TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-02-13, n. 202302436

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-02-13, n. 202302436
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202302436
Data del deposito : 13 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/02/2023

N. 02436/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02940/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2940 del 2019, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato G A D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico presso la sede in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del provvedimento di diniego della cittadinanza italiana ex art.9, co.1, lett. f, della l. 91/92, n.-OMISSIS-


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 10 febbraio 2023 il dott. M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il ricorrente, straniero di origine -OMISSIS-, ha presentato istanza per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Il Ministero dell’Interno, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10-bis Legge n. 241/1990, ha respinto la domanda dell’interessato ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza. In particolare, a fondamento del diniego ha posto una pronuncia di condanna del Tribunale di -OMISSIS-(resa in data 14 novembre 2012), per violazione degli articoli 488, 474 C.p., 171 bis e 171 ter, comma II^, della L. n. 633/1941.

1.1. Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessato, censurando il difetto di motivazione in relazione al giudizio di non meritevolezza del beneficio richiesto, nonché per travisamento ed erronea valutazione di fatti costitutivi della fattispecie impediente, tenuto conto che il fatto contestato sarebbe di lieve entità e comunque non idoneo a sostenere sotto il profilo motivazionale il gravato decreto essendo, invece, necessario un più approfondito giudizio circa la complessiva condotta tenuta nell'arco dell'intero periodo di permanenza sul territorio nazionale.

1.2. Si è costituito il Ministero dell’Interno, che deposita gli atti del fascicolo e chiede la reiezione del ricorso.

1.3. Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2023, celebrata nelle forme previste per lo smaltimento dell’arretrato, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

2. Il ricorso non è meritevole di favorevole apprezzamento.

2.1. Giova, in punto di diritto, osservare che:

- ai sensi dell'articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana "può" essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica;
l'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale" (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato sez. III, 23/07/2018 n. 4447);

- il conferimento dello status civitatis, cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
n. 52 del 10 gennaio 2011;
Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012);

- l'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.

In altri termini, il provvedimento di concessione della cittadinanza in esame “è atto squisitamente discrezionale di ‘alta amministrazione’, condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno ‘status illesae dignitatis’ (morale e civile) di colui che lo richiede” (Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104), che può essere sindacato nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale.

3. Nel caso concreto il Ministero ha motivato, seppure sinteticamente, il provvedimento diniego, affermando che il precedente penale relativo alla commissione di reati contro il patrimonio e la pubblica fede (con condanna sancita nel 2012) costituisce circostanza da cui si desume che la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale desumibile da un complesso di situazioni e comportamenti, posti in essere nel corso della permanenza nel territorio nazionale – e, in particolare, nel decennio anteriore alla data di presentazione della domanda – idonei a fondare l’opportunità della concessione del nuovo status civitatis.

In relazione a taluni dei reati in esame (contro il patrimonio e contro il diritto d’autore), è stato osservato dalla giurisprudenza anche di questa Sezione che i fatti contestati integrano in odo non irragionevole l’inquadramento della personalità, il primo sotto il profilo dell’atteggiamento assunto in caso di difficoltà reddituali ed il secondo sotto il profilo della contiguità con le organizzazioni criminali attive nei reati contro il diritto d’autore (“per cui vanno considerate non atomisticamente, bensì nel loro rapporto specifico a fini dell’espressione di un giudizio globale, ed in tale prospettiva, rilevanti, sotto il profilo della significatività della personalità dell’autore).

3.1. A sostegno della non manifesta irragionevolezza o illogicità della valutazione discrezionale cui è pervenuta l’Amministrazione depongono i seguenti elementi concreti:

- il tipo di reato contestato, che, come detto, effettivamente provoca è connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato, anche perché indice di contiguità con ambienti della criminalità organizzata;

- il rilievo che il fatto contestato non sia particolarmente recente, non appare dirimente, in quanto il Ministero ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

3.2. Giova rammentare che, nell’esaminare la domanda di cittadinanza di chi ha commesso un reato, l’Amministrazione è chiamata ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse pubblico, al pari di quando deve decidere se revocare la cittadinanza già concessa, dovendo tener conto dell’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51).

3.3. Vale aggiungere che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non pare assumere alcuna portata dirimente l’intervenuta estinzione del reato per effetto della ordinanza di riabilitazione emessa dal competente giudice di sorveglianza, peraltro non ancora concessa. Il comportamento dell'istante, nonostante l’estinzione del reato, rimane valutabile come fatto storico e, pertanto, può essere, come accaduto nel caso in esame, ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, e tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana. Infatti, “le valutazioni volte all'accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, sicché può darsi la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale vengano valutate negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti del parallelo iter giudiziale” (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. III, 14/02/2022, n.1057).

D’altronde, tale conclusione rappresenta il precipitato applicativo del più generale principio della c.d. pluriqualificazione dei fatti giuridici, invocato dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione alla circostanza della riabilitazione pronunciata dal giudice penale. Difatti, mentre sul piano penale gli effetti della riabilitazione sono chiaramente diretti ad agevolare il reinserimento nella società del reo, in quanto eliminano le conseguenze penali residue e fanno riacquistare all’interessato la capacità giuridica persa in seguito alla condanna, viceversa, sul piano amministrativo, la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

Ne consegue che, nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell'art. 9 della l. n. 91 del 1992, pur se intervenuta la riabilitazione, l’Amministrazione è chiamata, comunque, a prendere in considerazione il “fatto storico” per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;
sez. III, n. 7022/2019;
T.A.R. Lazio sez. II quater, n. 10590/12;
10678/2013).

4. In ultima analisi, considerato che il provvedimento di concessione della cittadinanza rappresenta un atto eminentemente discrezionale di "alta amministrazione” suscettibile di essere sindacato solo nei ristretti ambiti del controllo di legittimità – escluso ogni sindacato sostitutivo - ritiene il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione sia esente da vizi di illogicità o irragionevolezza. Ed invero la difesa della parte ricorrente non contesta la sussistenza dei fatti per i quali è stato denunciato, ma si limita a dedurre la ininfluenza del decreto di condanna, la residenza in Italia da oltre un decennio e l'asserito inserimento nel contesto sociale, ritenendo che tali circostanze siano sufficienti al rilascio della cittadinanza: tali argomentazioni difensive, tuttavia, non appaiono idonee a scalfire il giudizio svolto dall’Amministrazione.

L’istante, infatti, non offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.

Difatti, il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

D’altronde, la particolare cautela con cui l'Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all'esito negativo originario.

In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, con conseguente reiezione del ricorso.

5.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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