TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2024-02-10, n. 202402698

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2024-02-10, n. 202402698
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202402698
Data del deposito : 10 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/02/2024

N. 02698/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00170/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 170 del 2013, proposto da A A, V A, P A, M G A, G A, S A, E A, A B, G B, A B, I B, A B, G M B, F C, P C, G C, S C, T C, P C, G C, S C, E C T, C C, P C, M C, L C, W C, V C, A C, M G C, V C, Massimo D’Agostino, M D A, V D F, E D F, R D S, S D I, S F, D F, F F, Alessandra Filippini, Stefano Franci, Elena Frasca, Maurizio Frosini, Paolo Gabello, Valeria Gentile, Gianluca Gentili, Carlo Grassini, Nicoletta Iavarazzo, Maddalena Lenzi, Vittorio Longobardi, Luciano Lucchesi, Teresa Macina, Toni Marcelli, Cinzia Matola, Laura Merzetti, Carlo Milia, Marcello Minenna, Vittorio Mirra, Diego Monorchio, Dario Montesanto, Valeria Morabito, Elisabetta Moretti, Sergio Morici, Francesco Nazzaro, Antonella Nibaldi, Adele Oliva, Edoardo Antonio Pace, Fabrizio Pagliara, Antonio Palazzo, Marina Paolella, Marina Piccioni, Federico Picco, Eugenio Predetti, Flavia Pulejo, Massimo Quagliani, Pietro Rizzo, Carlo Rodotà, Mario Romeo, Guido Rossetti, Ginevra Rossi, Antonio Russo, Giulia Sargenti, Alfredo Sebastiani, Paolo Sottili, Neomisio Susi, Giancarlo Tempestilli, Annalisa Tiralosi, Chiara Tomaiuoli, Aurelia Vaccarella, Sante Vagnarelli, Fabio Vasselli, Paolo Verzella e Barbara Zanin, rappresentati e difesi dagli avvocati Roberto D’Atri e Antonio Saitta, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 34;

contro

Consob - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Sanino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Parioli, 180;

per l’annullamento

dei provvedimenti del responsabile della Divisione Amministrazione Consob del 24 ottobre 2012, avente ad oggetto “ Valore nominale dei buoni pasto in conseguenza del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 ” e del 2 novembre 2012, avente ad oggetto “ Modalità fruizione del congedo straordinario per festività soppresse ”, nonché, ove occorra, di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale;

per l’accertamento

del diritto dei ricorrenti al trattamento economico dovuto senza tener conto degli istituti di cui all’art. 5, commi 7 e 8, del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012, n. 135;

e per la condanna

di Consob al pagamento delle somme corrispondenti, con interessi e rivalutazione monetaria, come per legge, dal maturare dei singoli ratei stipendiali sino al soddisfo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Consob - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2024 la dott.ssa V G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I ricorrenti indicati in epigrafe, nel premettere di essere tutti dipendenti della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), chiedono che venga accertato il loro diritto a non subire le decurtazioni del trattamento retributivo e previdenziale derivanti dall’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 5 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di valore massimo dei buoni pasto attribuiti al personale delle amministrazioni pubbliche e delle autorità indipendenti (comma 7) e di divieto di monetizzazione delle ferie, dei riposi e dei permessi non goduti da parte del medesimo personale (comma 8). Formulano, conseguentemente, domanda di condanna della Consob al pagamento delle maggiori somme dovute, con interessi e rivalutazione monetaria, dal maturare dei singoli ratei stipendiali sino al soddisfo.

I ricorrenti chiedono, inoltre, l’annullamento di due atti emanati dalla Consob in relazione all’applicazione delle richiamate disposizioni normative di riduzione della spesa pubblica, e in particolare: (i) comunicazione del 24 ottobre 2012 concernente la riduzione del valore dei buoni pasto a decorrere dalla mensilità di ottobre 2012; (ii) comunicazione del 2 novembre 2012 concernente le modalità di fruizione del congedo straordinario per festività soppresse.

2. A sostegno delle proprie domande, i ricorrenti deducono due motivi di ricorso, con cui lamentano che i richiamati commi 7 e 8 dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui stabiliscono che le relative disposizioni si applicano anche nei confronti del personale della Consob, si pongono in contrasto con la direttiva n. 2000/78/CE del 27 novembre 2000 e con alcune norme costituzionali, specie in quanto non assicurano al medesimo personale lo stesso regime previsto per quello della Banca d’Italia.

3. In data 29 marzo 2013 si è costituita in resistenza la Consob.

4. A seguito di avviso di perenzione, inviato dalla segreteria in data 12 febbraio 2018, i ricorrenti hanno depositato in data 19 luglio 2018 istanza di fissazione dell’udienza, nei termini e nei modi previsti dall’art. 82 c.p.a.

5. In vista della pubblica udienza del 16 gennaio 2024, l’amministrazione resistente ha depositato una memoria difensiva con cui eccepisce l’improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione di alcuni atti dalla stessa adottati successivamente alla proposizione del ricorso, ritualmente depositati in giudizio, e chiede, in ogni caso, la reiezione del ricorso in quanto infondato nel merito. Anche i ricorrenti hanno presentato una memoria ex art. 73 c.p.a., evidenziando l’irrilevanza, ai fini della decisione del giudizio, dei documenti depositati da controparte e insistendo per l’accoglimento di tutte le domande proposte. Sono seguite memorie di replica.

6. Alla pubblica udienza del 16 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare deve essere vagliata l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.

Deduce, in particolare, l’amministrazione resistente che l’improcedibilità deriverebbe dalla mancata impugnazione dei seguenti atti: (i) comunicazione al personale n. 30 del 27 luglio 2018, concernente l’aumento, a decorrere dal mese di luglio 2018, del valore dei buoni pasto a euro 10,28;
(ii) delibera n. 19431 del 29 ottobre 2015 (poi confluita nel regolamento del personale approvato con delibera n. 21621 del 10 dicembre 2020), con cui è stata recepita nell’ordinamento Consob la disciplina adottata dalla Banca d’Italia in materia di divieto di monetizzazione delle ferie non godute e di c.d. banca del tempo.

L’eccezione è manifestamente infondata sulla scorta di due ordini di considerazioni.

Innanzitutto, l’aumento del valore dei buoni pasto e l’adeguamento alla disciplina applicata ai dipendenti della Banca d’Italia comportano – come, del resto, ammesso dalla stessa Consob al punto 2.1 nella memoria del 22 dicembre 2023 – unicamente una limitazione dell’ambito temporale a cui vanno riferite le pretese avanzate dai ricorrenti, fermo restando l’interesse a coltivarle per il periodo antecedente all’entrata in vigore di tali modifiche.

In secondo luogo, venendo in rilievo nel presente giudizio pretese patrimoniali aventi natura di diritto soggettivo, conoscibili nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego non privatizzato, ex art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non assume in ogni caso rilevanza l’eccepita mancata impugnazione di atti (i quali, peraltro, nel caso specie hanno un contenuto sostanzialmente favorevole, di talché nessun interesse alla loro contestazione è insorto in capo ai ricorrenti).

2. Nel merito il ricorso è infondato.

3. Occorre precisare che i ricorrenti non censurano l’operato della Consob per avere la stessa fatto applicazione, nei loro confronti, delle disposizioni di cui all’art. 5, commi 7 e 8, del d.l. n. 95 del 2012, essendo il ricorso interamente fondato sull’asserito contrasto di tali disposizioni, ciascuna nella parte in cui si riferisce espressamente al personale della Consob medesima, con la normativa eurounitaria e costituzionale.

Detti commi 7 e 8 prevedono, invero, che le misure di riduzione della spesa dagli stessi introdotte si applicano “ al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) ”.

Il successivo comma 14- bis dello stesso art. 5 del d.l. n. 95 del 2012 dispone, poi, che “ La Banca d’Italia, nell’ambito del proprio ordinamento, tiene conto dei principi di riduzione della spesa contenuti nel presente decreto ”.

Ed è proprio la mancata estensione al personale della Consob del regime speciale previsto dalla disposizione appena richiamata per quello della Banca d’Italia che comporta, nella prospettiva dei ricorrenti, la contrarietà al diritto dell’Unione Europea e l’illegittimità costituzionale delle norme in questione.

4. Il primo motivo di ricorso si incentra sul preteso contrasto dell’art. 5, commi 7 e 8, del d.l. n. 95 del 2012 con il principio di non discriminazione stabilito dalla direttiva n. 2000/78/CEE, dal che dovrebbe derivare la necessaria disapplicazione, da parte di questo Giudice, delle disposizioni recate da tali commi e il conseguente accertamento del diritto dei ricorrenti a non subire le relative decurtazioni.

La doglianza è manifestamente infondata.

È sufficiente rilevare, al riguardo, che la direttiva invocata dai ricorrenti, nel porre il “ principio della parità di trattamento ” nei settori dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, si riferisce, secondo quanto enunciato all’art. 2 (“ Nozione di discriminazione ”), all’assenza di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, basata sugli specifici motivi individuati all’art. 1 (“ Obiettivo ”), vale a dire la “ religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali ”.

Tale normativa eurounitaria si rivela, pertanto, del tutto inconferente rispetto ai pretesi effetti discriminatori prodotti, ad avviso dei ricorrenti, dalle disposizioni nazionali di cui si tratta, i quali scaturirebbero dal trattamento giuridico ed economico più favorevole riservato al personale della Banca d’Italia rispetto a quello della Consob, senza alcuna rilevanza dei fattori di discriminazione presi in considerazione dalla direttiva.

5. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’illegittimità costituzionale dei ridetti commi 7 e 8 dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012 “ per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), degli artt. 41, 47, 77, 97 e 117, comma 1, Cost. ”. Chiedono, quindi, a questo Giudice, considerata la rilevanza della questione ai fini della decisione della controversia (“ il diritto all’adeguato trattamento retributivo e previdenziale vantato dai ricorrenti incontra quale unico ostacolo le disposizioni in parola e “ non appare possibile […] seguire un’interpretazione costituzionalmente orientata ”), di rimettere gli atti alla Corte costituzionale.

5.1. Il Collegio reputa la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata e ciò avuto riguardo ad entrambi i profili denunciati nel ricorso.

5.2. I ricorrenti sostengono, innanzitutto, che le disposizioni contestate, nella parte in cui prevedono l’applicazione delle relative misure di riduzione della spesa nei confronti del personale della Consob, violerebbero i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, nonché gli artt. 41, 47 e 97 Cost. Ciò in ragione, per un verso, della disparità di trattamento tra i dipendenti della Consob e quelli della Banca d’Italia, che “ nel quadro normativo di attuazione degli artt. 41 e 47 […] sono i due organismi posti in posizione paritaria e di identica indipendenza a garanzia, rispettivamente, della solidità ed efficienza del sistema bancario e del mercato mobiliare ”, e, per altro verso, del pregiudizio arrecato, in tesi, all’autonomia e all’indipendenza organizzativa riconosciuta alla Consob.

5.2.1. Quanto alla dedotta violazione da parte del Legislatore del principio di uguaglianza, occorre chiedersi se le due fattispecie messe a confronto, nel caso di specie rappresentate dal rapporto di lavoro alle dipendenze della Consob e da quello alle dipendenze della Banca d’Italia, presentino elementi differenziali tali da giustificare la diversa disciplina.

Nel rispondere a tale interrogativo, si deve far riferimento alle conclusioni raggiunte dalla Corte Costituzionale nella sentenza 23 gennaio 2014, n. 7, con cui, per quanto di interesse, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., da questo Tribunale con le ordinanze n. 184, n. 185 e n. 194 del registro ordinanze 2012 (pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 e n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2012).

In tale occasione, il Giudice delle Leggi è stato chiamato a pronunciarsi, tra l’altro, sulla legittimità delle disposizioni del citato d.l. n. 78 del 2010, che, nell’introdurre alcune misure di contenimento delle spese in materia di impiego pubblico – e segnatamente il blocco delle retribuzioni e delle progressioni economiche – hanno previsto un regime speciale per la Banca d’Italia e non anche per l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM). L’art. 3, comma 3, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 prevede, in particolare, in termini analoghi a quanto dispone il richiamato comma 14- bis dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012, rilevante nell’odierna controversia, che “ La Banca d’Italia tiene conto, nell’ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo ”.

Al riguardo, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 7 del 2014, ha ritenuto che “ In conclusione, il diverso trattamento riservato dall'art. 3, comma 3, del d.l. n. 78 del 2010 alla Banca d’Italia rispetto all'AGCOM è giustificato dall’esigenza imposta dalla disciplina dell’Unione di previa consultazione della Banca centrale europea da parte delle autorità nazionali sui progetti di disposizioni legislative concernenti, tra l’altro, le banche centrali nazionali. Poiché analoga esigenza non viene in rilievo con riferimento alle altre autorità amministrative indipendenti, la disciplina riservata alla Banca d'Italia non può costituire, sotto questo profilo, un utile tertium comparationis per una pretesa disparità di trattamento e la prospettata questione di legittimità costituzionale è priva di fondamento in riferimento all’art. 3 Cost. ”.

Tali argomentazioni, ad avviso del Collegio, si attagliano perfettamente alle disposizioni delle quali gli odierni ricorrenti denunciano l’illegittimità, ponendosi per le misure di contenimento della spesa dalle stesse introdotte la medesima esigenza – per come enucleata dalla Corte Costituzionale – di escluderne la diretta applicazione nei confronti della Banca d’Italia e non anche delle altre autorità indipendenti, tra cui la Consob.

Ed invero, benché la Banca d’Italia e la Consob condividano, come evidenziato dai ricorrenti, lo svolgimento dell’attività di vigilanza diretta ad assicurare la tutela del risparmio e la stabilità dei mercati finanziari, la Consob non partecipa dei caratteri del tutto peculiari che la Banca d’Italia presenta per il fatto di essere parte integrante del Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Proprio tale aspetto legittima, secondo la ricostruzione operata dal Giudice delle leggi, una disciplina differenziata, atteso che la normativa eurounitaria impone la previa consultazione della BCE per i progetti di legge riguardanti le banche centrali nazionali.

Tanto chiarito, è appena il caso di precisare che non coglie nel segno il ripetuto richiamo, ad opera dei ricorrenti, dell’art. 2, terzo comma, del d.l. 8 aprile 1974, n. 95, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, il quale con riferimento alla Consob, dispone che “ Il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti dal regolamento di cui al precedente articolo 1, ottavo comma, in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione ”). Si tratta invero di una norma di legge ordinaria che non vale certamente ad escludere che un’altra norma di pari rango introduca – in relazione alle peculiarità, sotto il profilo istituzionale o funzionale, della Banca d’Italia o della Consob – taluni elementi di differenziazione nella disciplina del relativo rapporto di lavoro.

5.2.2. In ordine, poi, al lamentato pregiudizio all’autonomia della Consob che deriverebbe dalle disposizioni contestate, in violazione degli artt. 47 e 97 Cost., ritiene il Collegio che le misure di contenimento e razionalizzazione della spesa di cui si discute, consistenti nella riduzione del valore dei buoni pasto e nel divieto di monetizzazione delle ferie, non siano in alcun modo idonee a menomare l’indipendenza di azione della Consob e ad ostacolarne lo svolgimento delle funzioni nella posizione di neutralità tipica delle autorità amministrative indipendenti.

5.3. Nel sostenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012, i ricorrenti lamentano altresì la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto dei presupposti di necessità e urgenza che giustificano il ricorso allo strumento del decreto legge.

Anche sotto tale profilo la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.

La costante giurisprudenza costituzionale, infatti, con riguardo alla sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza, limita il sindacato sulla legittimità dell’adozione di un decreto legge ai casi di evidente mancanza degli stessi o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione (cfr. Corte Cost. 11 novembre 2021, n. 213, e precedenti ivi richiamati). Nel caso di specie, tali situazioni non ricorrono, tenuto conto che, in un contesto generale caratterizzato da un’importante crisi economico-finanziaria, il d.l. n. 95 del 2012 è stato emanato, secondo quanto si legge nel preambolo, in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza sia di emanare disposizioni volte ad assicurare la stabilizzazione della finanza pubblica, attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, sia di sospendere l’incremento dell’imposta sul valore aggiunto precedentemente disposto, evidentemente per evitare un’ulteriore depressione dei consumi.

6. L’infondatezza dei motivi di ricorso determina il rigetto sia della domanda di annullamento, sia delle domande di accertamento e di condanna.

7. La particolarità della controversia giustifica la compensazione delle spese processuali.

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