TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-05-13, n. 202400992
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Pubblicato il 13/05/2024
N. 00992/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01148/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1148 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno - Prefettura -OMISSIS-, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Venezia, piazza S. Marco, 63;
per l’annullamento
previa sospensione, del decreto prot. n. -OMISSIS-, con il quale la Prefettura -OMISSIS- ha dichiarato inammissibile l’istanza di acquisizione della cittadinanza italiana presentata in data 01.10.2022, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f, l. 5 febbraio 1992, n. 91;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Prefettura -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Nasini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente, in data 1° ottobre 2022, ha presentato istanza per l’acquisto della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91.
La Prefettura -OMISSIS-, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha respinto la domanda sulla base delle seguenti motivazioni, in sintesi:
- dal certificato di residenza rilasciato dal Comune di -OMISSIS-risulta che l’interessata è stata cancellata dai registri anagrafici in data 14 febbraio 2018 e riscritta nei registri del Comune di -OMISSIS- il 18 luglio 2018 proveniente dal -OMISSIS- e, pertanto, non possiede il requisito del periodo di dieci anni di residenza legale, continua ed ininterrotta sul territorio italiano;
- l’interessata ha fatto pervenire all’ufficio unicamente la documentazione relativa allo stato d’origine e allo stato di famiglia, insufficiente a dimostrare la sua presenza sul territorio nazionale nel periodo di cancellazione anagrafica;
- l’interessata non ha prodotto alcunché a seguito della comunicazione dei motivi ostativi.
Avverso il suddetto diniego l’odierna ricorrente ha proposto impugnazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi, in sintesi:
1. l’Amministrazione avrebbe errato nel non considerare, ai fini del rispetto del requisito dei dieci anni di residenza ininterrotta nel territorio italiano, la residenza “effettiva” anziché la residenza anagrafica;inoltre, secondo parte ricorrente, l’eventuale esistenza di periodi interruttivi della residenza non inciderebbero sulla possibilità di computare periodi successivi in aggiunta a quelli precedenti all’interruzione;inoltre, la ricorrente sarebbe stata all’oscuro dell’interruzione della residenza anagrafica, la cancellazione anagrafica essendo imputabile ad una mera dimenticanza da parte della ricorrente stessa;dalla documentazione prodotta nel presente giudizio emergerebbe poi la piena prova della residenza continuativa in Italia;in subordine, laddove si dovesse ritenere la lettera dell’art. 1, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 572/1993 ostativa all’interpretazione sostanzialistica della nozione di residenza legale, il predetto regolamento dovrebbe essere annullato per violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/1992.
2. un’interpretazione della norma regolamentare che valorizzi anche solo un breve periodo di interruzione della residenza, in modo da determinare l’azzeramento di tutto il periodo pregresso, sarebbe irragionevole, oltreché illegittima per disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di cui all’art. 4, comma 2, come interpretata dal Ministero dell’Interno con la circolare n. 22/2007, che si riferisce ad una nozione di residenza effettiva e non anagrafica, consentendo anche assenze temporanee dal territorio nazionale;
3. l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire all’interessata, di provare l’effettiva permanenza sul territorio nazionale;l’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/1992, comunque, se interpretato nel senso sopra accolto dalla P.a. sarebbe incostituzionale per manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto alla fattispecie dello straniero nato in Italia di cui all’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
All’esito dell’udienza pubblica del 8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
È un dato di fatto non controverso che parte ricorrente, richiedente la concessione della cittadinanza per c.d. “naturalizzazione”, ha subìto la cancellazione dai registri anagrafici in data 14 febbraio 2018 sino al 18 luglio 2018, quando è stata riscritta nei registri del Comune di -OMISSIS-.
L’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/1992 stabilisce che “ la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica ... allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica ”.
L’art. 1, comma 2, lett. a), d.P.R. n. 573 del 1993 (recante il regolamento di esecuzione della l. n. 91 del 1992) specifica, a sua volta, che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, “si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica” .
Sebbene sia possibile riscontrare qualche oscillazione interpretativa nella giurisprudenza, il Collegio ritiene di dover accogliere, in quanto maggiormente rispondente al dato normativo e alla ratio degli istituti in esame, l’orientamento (si veda Cons. Stato, sez. I, 26 maggio 2023, n. 772) secondo il quale l’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/92 dev’essere interpretato nel senso che, da un lato, il requisito della residenza decennale nel territorio della Repubblica italiana deve essere posseduto attualmente ed ininterrottamente alla data di presentazione della domanda, non essendo possibile cumulare periodi diversi né avvalersi del detto requisito maturato in passato ove, poi, la continuità della residenza sia venuta a mancare;dall’altro lato, le disposizioni succitate non esigono la mera presenza in Italia dello straniero, ma la “residenza legale ultradecennale”, ossia il mantenimento di un’ininterrotta situazione fattuale di residenza accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe.
In questo senso, il provvedimento di diniego di concessione della cittadinanza italiana per mancanza di continuità dell’iscrizione anagrafica nel decennio, deve ritenersi immune da vizi formali e sostanziali nel caso di intervenuta cancellazione dell’istante dall’anagrafe del Comune di residenza per un certo intervallo di tempo, seguita da una successiva nuova iscrizione nei registri dell’anagrafe comunale.
L’accertamento, in sede istruttoria, della discontinuità delle iscrizioni anagrafiche (predisposte sia nell’interesse della pubblica Amministrazione alla certezza sulla composizione ed i movimenti della popolazione, sia nell’interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi necessarie per l’esercizio dei diritti civili e politici), costituisce un insuperabile fattore ostativo alla concessione della cittadinanza, in quanto, la residenza, per potersi considerare “legale”, non può prescindere dall’iscrizione anagrafica, la quale rappresenta un requisito richiesto dalla legge, alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio, con indizi di carattere presuntivo od elementi sintomatici indiretti.
Né giova alla ricorrente il riferimento da costei operato alla circolare ministeriale del 5 gennaio 2007, la quale - sebbene disponga che in ragione delle mutate condizioni di vita dell’era contemporanea non dovranno essere ritenute pregiudizievoli ai fini della concessione dello status civitatis eventuali assenze temporanee dello straniero dal territorio nazionale - tuttavia ribadisce espressamente che l’aspirante cittadino deve aver «comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale (iscrizione anagrafica presso il Comune e titolo di soggiorno valido per l’intero arco temporale)» , così confermando, in armonia con il dato normativo sopra indicato, che “ l’iscrizione anagrafica ininterrotta rappresenta un requisito ineludibile ai fini della richiesta di concessione della cittadinanza ” (in questo senso, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, 18 settembre 2023, n. 13815).
Tenuto conto del contesto normativo – di rango primario e secondario – sopra descritto, il gravato decreto di inammissibilità risulta immune anche dall’asserito vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto alla diversa fattispecie prevista dall’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992, riguardante la cittadinanza richiesta dai minori stranieri nati in Italia, che così dispone testualmente: “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data” .
La disposizione, infatti, si riferisce ad una speciale categoria di stranieri, i “ minori stranieri nati in Italia ”, che, per un verso, si appalesa “più debole” in quanto minore d’età e dunque meritevole di una maggior tutela e, per altro verso, presenta un “legame genetico” con il Paese cui aspira a divenire cittadino, a differenza dello straniero giunto in Italia dopo la nascita, come nel caso in esame. In tal senso, l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina eccezionale di cui sopra deve ritenersi circoscritto ai soli minori stranieri nati in Italia, e ciò alla stregua di una precisa scelta del legislatore che, per quanto evidenziato, appare ragionevole e legittima.
Tenuto conto di quanto precede, deve ritenersi manifestamente infondata la questione, dedotta da parte ricorrente, di incostituzionalità dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/92, interpretata nel senso sopra esposto. Al riguardo, il Collegio condivide le argomentazioni svolte in una recente sentenza (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, 18 settembre 2023, n. 13815), ove viene sottolineato che: « non appare irragionevole la scelta del legislatore laddove, ai fini in esame, abbia inteso far coincidere la nozione di residenza legale con quella di residenza anagrafica, atteso che il livello di integrazione e di adesione dello straniero ai valori e ai principi dello Stato cui aspira a divenire cittadino ben può essere apprezzato anche alla stregua della puntuale osservanza degli adempimenti prescritti “in materia d’iscrizione anagrafica” (l’art. 1, comma 2, lett. a d.P.R. n. 572/1993), i quali, lungi dal poter essere considerati meri “cavilli burocratici” come eccepito dal ricorrente, costituiscono il presupposto per consentire, per quanto qui rileva, anche un efficace monitoraggio degli stranieri che soggiornano nel territorio statale al fine di garantire preminente tutela ai principi fondamentali della sicurezza e dell’ordine pubblico. Il comportamento dello straniero residente in Italia che, dunque, si renda irreperibile per un apprezzabile periodo di tempo (pari ad un anno nella vicenda in scrutinio) anche solo a causa di una mera dimenticanza nell’osservanza dei suddetti adempimenti, comunque incide negativamente sulle capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, di modo che quel periodo di “irreperibilità” determina una soluzione di continuità con il periodo di residenza “legale” nel territorio della Repubblica sulla scorta della richiamata normativa regolamentare che appare immune dai vizi prospettati in ragione delle considerazioni sinora descritte. 4.2- La censura di irragionevolezza della norma primaria – e della conforme disposizione regolamentare – deve ritenersi infondata anche sotto altro profilo. Infatti, ritiene il Collegio che, tenuto anche conto dell’elevatissimo numero delle richieste di cittadinanza, non sia manifestamente illogica o irragionevole una previsione che disponga di ancorare la nozione di residenza legale, a tali fini, ad un dato formale di immediato accertamento quale, appunto, le risultanze delle certificazioni anagrafiche, e ciò anche al fine di salvaguardare la speditezza e, più in generale, il buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 Cost. In quest’ottica, va osservato che onerare, in via generale, l’Amministrazione procedente dell’accertamento del requisito della residenza “legale” anche sulla base di altri documenti dai quali desumere un’asserita residenza “effettiva”, significherebbe aggravare notevolmente il procedimento amministrativo, con conseguente dilatazione dei tempi per la sua conclusione, già notoriamente lunghi. Non sembra, in definitiva, che, a fronte della riscontrata discontinuità delle iscrizioni anagrafiche, si debba esigere dalla Prefettura (ovvero dal Ministero dell’Interno) di disattendere ovvero di rettificare d’ufficio tale documentazione. D’altronde, tale conclusione non appare neanche irrazionale o sproporzionata considerato che, sul punto, l’interessato non è affatto sprovvisto di strumenti di tutela, avendo egli l’onere di attivare - come ribadito a più riprese anche da questa Sezione (cfr., di recente, T.A.R. Roma, sez. V-bis, 03/02/2023, n.1939) - gli appositi rimedi per correggere gli asseriti errori nelle cancellazioni anagrafiche (ed in caso di esito positivo presentare un’eventuale istanza di riesame) presso i competenti uffici anagrafici comunali ovvero gli ulteriori rimedi a disposizione di tutela giustiziali o giurisdizionali presso le autorità competenti».
Nel caso di specie, nel quale il periodo di cancellazione è risultato comunque significativo (cinque mesi), ove l’interessata avesse voluto dimostrare la propria effettiva residenza ininterrotta in Italia e la conseguente erroneità della cancellazione anagrafica operata dall’Amministrazione, avrebbe dovuto chiedere al Comune competente l’annullamento in autotutela del provvedimento di cancellazione, oppure avrebbe potuto proporre ricorso gerarchico improprio al Prefetto (ai sensi dell’art. 5, comma 2, l. n. 1228/1954 e art. 36 d.P.R. 223/1989) o, ancora, avrebbe potuto adire il giudice ordinario, non essendo questo Tribunale munito di giurisdizione su tale questione (si veda al riguardo, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 22 marzo 2022, n. 3276).
Sotto altro profilo, la questione di costituzionalità della norma primaria de qua , con riferimento all’asserita disparità di trattamento rispetto alla semplificazione probatoria prevista per i minori stranieri nati in Italia ai sensi del citato art. 33, d.l. n. 69/2013, deve ritenersi destituita di fondamento stante la specialità ed eccezionalità di siffatta disposizione legislativa per le medesime ragioni espresse con riguardo all’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992.
Poiché alla luce di quanto precede né il provvedimento impugnato, né la normativa nazionale di rango primario e secondario censurata da parte ricorrente, risultano essere illegittimi, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite devono essere compensate, tenuto conto della non univocità degli orientamenti giurisprudenziali in materia.