TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2010-06-14, n. 201014156

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2010-06-14, n. 201014156
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201014156
Data del deposito : 14 giugno 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03044/2009 REG.RIC.

N. 14156/2010 REG.SEN.

N. 03044/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 3044 dell’anno 2009, proposto da:
Improta F, rappresentato e difeso dagli avv.ti C F e F Saverio Cosenza, con i quali è legalmente domiciliato presso la Segreteria del T.A.R.;

contro

Comune di Sorrento, in persona del Dirigente del V Dipartimento, rappresentato e difeso dall'avv. L D L D M, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Napoli, via Cesario Console n. 3;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

dell’ordinanza n° 148, prot. n° 10394, emessa dal Dirigente del V Dipartimento del Comune di Sorrento in data 20.3.2009;

di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenti.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sorrento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2010 il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, notificato il 18 maggio 2009 e depositato il successivo 4 giugno, Improta F ha esposto:

che unitamente alla moglie Cuomo Maria è comproprietario di una unità immobiliare ubicata in Sorrento, località Nuova Le Tore n. 5, sviluppatesi su tre livelli (il primo dei quali seminterrato e visibile solo dal lato sud), con annesso fondo ed area cortilizia, individuato catastalmente al foglio 8, p.lla 509 sub 101;

che detto immobile è stato acquistato a mezzo di atto del 9.2.1999 – rep. n. 44379 per notar A F da Hirsh Ottomar e Ebeling Eva Maria, i quali, ai sensi dell’art. 40 L. 47/1985, ebbero a dichiarare nell’atto di compravendita che il fabbricato, comprensivo del livello seminterrato, era stato realizzato in forza di regolare licenza edilizia rilasciata dal Sindaco del Comune di Sorrento in data 30.8.1968, n. 188, e di nulla osta della Soprintendenza ai Monumenti per la Campania in data 7.1.1969, nota n. 11360;

che, essendo certi della liceità del livello seminterrato dell’immobile, essi acquirenti avevano, in data 26.3.2002, inoltrato al Comune di Sorrento una D.I.A. (protocollata al n. 11456) al fine di eseguirvi lavori di ristrutturazione consistenti nella realizzazione di un WC, nella diversificazione della distribuzione dei vani interni, nello snellimento dei pavimenti e messa in opera di pavimentazione in cotto, nell’installazione di rivestimenti, nell’effettuazione di pitturazioni e di varie opere di rifinitura, nella rimozione degli impianti, nella realizzazione di una camera d’aria perimetrale atta alla deumidificazione degli ambienti, nel rifacimento di tutti gli impianti tecnologici;

che, trascorso il termine di legge senza che intervenisse alcun provvedimenti inibitorio ad opera del Comune, le opere previste nella D.I.A. erano state poste in essere;

che, in data 27.2.2009, era pervenuta dall’Ufficio Antiabusivismo del Comune di Sorrento una nota con la quale veniva dato avviso che, a seguito di ricerche, era stata rinvenuta la pratica edilizia inerente la licenza edilizia n. 188 rilasciata dal Sindaco in data 30.8.1968 e richiamata nel rogito di compravendita per notar A F del 9.2.1999, e che, da una verifica dei grafici allegati, era emersa l’assenza dei titoli urbanistico ed ambientale necessari per la realizzazione del livello seminterrato e per la modifica e l’innalzamento del tetto;

che, dopo di ciò, in applicazione degli artt. 31 D.P.R. 380/2001 e 167 Decr. Leg.vo 42/2004, il Dirigente del V Dipartimento del Comune di Sorrento aveva adottato l’ordinanza n. 148/2009, con la quale aveva ingiunto ai proprietari la demolizione delle opere abusive con ripristino dello stato dei luoghi, sotto comminatoria, in caso di inottemperanza, di acquisizione gratuita delle stesse al patrimonio comunale.

Tanto esposto, il ricorrente ha impugnato il provvedimento demolitorio da ultimo intervenuto, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

violazione e falsa applicazione dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, in relazione ai precedenti artt. 22 e 23 – eccesso di potere per carenza di istruttoria;
contraddittorietà;
carenza di motivazione in ordine al pubblico interesse;
violazione del principio dell’affidamento: non sarebbe stato esso ricorrente con la moglie a realizzare le contestate difformità, bensì i precedenti proprietari all’epoca dell’edificazione dell’immobile;
il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza avrebbero ingenerato una posizione di legittimo affidamento nel privato;
la P.A. avrebbe dovuto fornire specifica motivazione in ordine alla sussistenza del pubblico interesse – evidentemente diverso da quello al mero ripristino della legalità violata – idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato;
in particolare, l’affidamento ingenerato in esso ricorrente sarebbe dimostrato dalla presentazione, nel marzo 2002, di una D.I.A. riguardante lavori a farsi proprio al piano seminterrato oggi in contestazione, in riferimento alla quale il Comune nessun rilievo aveva sollevato;
comunque, già in precedenza il Comune di Sorrento sarebbe stato in possesso di dati dai quali rilevare l’esistenza del seminterrato abusivo (dichiarazione di svincolo idrogeologico del 1992, dichiarazione di abitabilità, non congruità dei mq. dichiarati in relazione al tributo ICI e alla TARSU, avvenuto inoltro agli uffici dell’atto di compravendita);

eccesso di potere sotto il profilo della carenza assoluta di motivazione – violazione del principio del giusto procedimento – sviamento – violazione e falsa applicazione dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 in relazione al precedente art. 23 e agli art. 19, 21 quinquies, 21 nonies L. 241/1990, così come novellata dalla L. 15/2005 – carenza di motivazione in ordine al pubblico interesse: a seguito della presentazione della D.I.A. del marzo 2002 e dell’assenza di comunicazione di elementi ostativi all’esecuzione del progettato intervento, in ordine al manufatto si sarebbe formato un idoneo titolo abilitativo, per rimuovere il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto esercitare i propri poteri di autotutela;
l’emissione di provvedimenti in autotutela sarebbe in ogni caso condizionata alla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità violata;

violazione dell’art. 38 D.P.R. 380/2001 in relazione ai precedenti artt. 22 e 23 – eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione – violazione del principio del giusto procedimento: essendosi nella sostanza consentito un intervento di ristrutturazione a mezzo della D.I.A. presentata nel marzo 2002, prima di disporre la demolizione delle opere, sarebbe stato necessario procedere alle valutazioni di cui all’art. 38 co. 2 bis D.P.R. 380/2001;

violazione e falsa applicazione dell’art. 31 D.P.R. 380/2001 in relazione al successivo art. 34 – essenza di autonomia funzionale delle opere sanzionate – eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione – genericità: in ogni caso nella fattispecie sarebbe applicabile l’art. 34 D.P.R. 380/2001, e, facendo le opere in questione corpo con la parte legittima del fabbricato, la loro demolizione non sarebbe possibile senza grave pregiudizio per la staticità dell’intero immobile;
sarebbe occorsa una valutazione circa la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria;
il provvedimento impugnato non spiegherebbe in cosa consisterebbe la modifica e la misura del preteso innalzamento del tetto, per cui la contestazione sul punto sarebbe del tutto generica;

violazione e falsa applicazione dell’art. 167 Decr. Leg.vo 42/2004 in relazione al precedente art. 148 – eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione – assenza di danno ambientale: le sanzioni di cui all’art. 167 Decr. Leg.vo 42/2004 sarebbero irrogabili esclusivamente nei confronti dei trasgressori delle disposizioni relative ai beni paesisticamente vincolati, e tali non sarebbero i coniugi Improta-Cuomo, essendo l’abuso riconducibile agli originari proprietari e costruttori;
trattandosi di realizzazione di opere seminterrate, e non essendo ravvisabile un loro forte impatto ambientale, la P.A. avrebbe potuto irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.

In data 8 giugno 2009 si è costituito il Comune di Sorrento per resistere al proposto ricorso, ed il successivo 16 giugno ha prodotto una memoria.

Con ordinanza n° 1474/2009 del 18 giugno 2009 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare avanzata dal ricorrente, sospendendo l’efficacia del provvedimento impugnato.

Sia il Comune resistente che il ricorrente hanno poi depositato una memoria, rispettivamente il 3 dicembre e il 4 dicembre 2009.

Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITO

Il presente giudizio ha ad oggetto l’impugnativa dell’ordinanza n° 148 – prot. n° 10394 del 19.3.2009, con la quale il Dirigente del V Dipartimento - Servizio Antiabusivismo ed Edilizia Privata del Comune di Sorrento ha ingiunto a Cuomo Maria e Improta F, in qualità di proprietari, la demolizione di opere risultate realizzate senza titolo in località via Nuova Le Tore n° 5.

In particolare, con la suddetta ordinanza sono state applicate sanzioni, sia urbanistiche che paesistiche, in relazione alla riscontrata realizzazione di rilevanti difformità rispetto ai titoli (licenza edilizia n° 188 del 30.8.1968, a firma del Sindaco di Sorrento;
nulla osta della Soprintendenza ai Monumenti per la Campania, reso con nota n° 11360 del 7.1.1969) di cui si erano muniti Hirsch Ottomar e Ebeling Eva Maria, precedenti proprietari, per costruire l’intero immobile (sviluppantesi su tre livelli, di cui uno seminterrato, con annesso fondo ed area cortilizia), poi venduto agli attuali ingiunti in data 9.2.1999, a mezzo di atto per notar A F - rep. n° 44379, raccolta n° 8603.

Le difformità in contestazione, nel provvedimento sanzionatorio, sono descritte come abusiva realizzazione dell’intero livello seminterrato e intervenuta “modifica e innalzamento del tetto”.

In questa sede agisce il solo Improta F, e censura per più profili l’atto impugnato, tra l’altro prospettando che specifico rilievo sarebbe da attribuire (ai fini della dimostrazione della buona fede degli attuali proprietari circa la regolarità dell’intero immobile acquistato, nonché per sostenere che sarebbe intervenuta una sorta di legittimazione successiva della struttura) all’avvenuta presentazione, in data 26.3.2002, di una D.I.A. (acquisita al protocollo comunale con il n° 11456) finalizzata all’esecuzione di lavori di ristrutturazione proprio al piano seminterrato;
lavori poi anche eseguiti, non essendo intervenuto alcun provvedimento inibitorio degli stessi.

Dal suo conto, il Comune di Sorrento resiste contestando la fondatezza degli avversi assunti.

Così sommariamente delineato l’ambito del giudizio, osserva il Tribunale che, dato essenziale da tener presente onde pervenire alla risoluzione delle questioni con esso poste, è che il provvedimento demolitorio è stato emesso non soltanto nell’esercizio dei poteri spettanti all’Amministrazione comunale per esercitare la demandatagli vigilanza urbanistico-edilizia sul territorio, bensì anche di quelli spettantile per assicurare tutela al bene “paesaggio”, atteso che l’intero territorio del Comune di Sorrento risulta assoggettato a vincolo paesaggistico d’insieme (ai sensi della L. 1497/1939, oggi trasfusa nel Decr. Leg.vo 42/2004) in forza di Decreto Ministeriale 26.1.1962, pubblicato in G.U. n° 41 del 15.2.1962.

Ciò premesso, deve altresì evidenziarsi che la tutela del bene “paesaggio” (da intendersi come morfologia del territorio, ovvero l’ambiente nel suo aspetto visivo, in quanto “è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale” – cfr. Corte Costituzionale n° 367 del 7.11.2007) è inserita specificamente dall’art. 9 della Costituzione Italiana tra i propri “principi fondamentali”, così da assurgere a valore non solo “primario”, ma anche “assoluto”, come ribadito più volte in pronunzie della Corte Costituzionale (cfr. sentenze n° 367/2007;
182/2006;
183/2006;
151/1086;
641/1087).

A questo proposito, va sottolineato che la Corte delle leggi, con la ricordata sentenza 367/2007, dopo aver affermato che “L'oggetto tutelato non è il concetto astratto delle <<bellezze naturali>>, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico” , ha proseguito, precisando che “Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni. Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti….. In buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni.” .

Il legislatore ordinario, per parte sua, ha, con la stringente normativa di cui al Decr. Leg.vo 42/2004, inteso dare attuazione al precetto costituzionale in questione. Tale normativa è stata più volte rimaneggiata e risulta oggi quanto mai restrittiva per molteplici aspetti: tra gli altri, possono ricordarsi la prescrizione dell’art. 146, per la quale “Fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. L'autorizzazione è valida per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.” ;
e quella di cui al precedente art. 145 (in tema di “Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione”), in forza della quale le previsioni dei piani paesaggistici (nella cui categoria l’art. 135 Decr. Leg.vo 42/2004 assimila tanto i piani paesaggistici veri e propri, che i piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici) “non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette.” .

Dall’esposto quadro, a giudizio del Collegio, deve quindi desumersi che viene imposta una tutela dei beni paesaggistici (collegata ai vincoli posti a loro protezione) ben più restrittiva rispetto a quella assicurata ai valori urbanistico-edilizi da rispettare nell’utilizzo del territorio;
con conseguente assoluta recessività degli interessi pubblici di tipo diverso che con detta tutela si intersechino, nonché – a maggior ragione - degli interessi privati in conflitto con la stessa, che possano eventualmente venire in rilievo.

E’ allora per tali ragioni che, in relazione appunto ai vincoli paesaggistici, non possono trovare spazio applicativo i peculiari principi in base ai quali la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n° 2705 del 6.6.2008;
Cons. di Stato sez. V, n° 883 del 4.3.2008;
Cons. di Stato sez. IV, n° 2441 del 14.5.2007;
Cons. di Stato sez. V, n° 247 del 12.3.1996;
T.A.R. Liguria n° 4127 del 31.12.2009;
T.A.R. Calabria-Catanzaro n° 1026 del 6.10.2009;
T.A.R. Piemonte n° 2247 del 4.9.2009;
T.A.R. Campania-Napoli n° 504 del 29.1.2009) ha individuato una posizione di affidamento tutelabile (quanto meno con il richiedersi nel provvedimento sanzionatorio una motivazione specifica, ulteriore rispetto a quella fondata sul mero perseguimento di un ripristino della legalità, in ordine alla necessità della demolizione dei manufatti e al connesso sacrificio dell’interesse privato) per colui che, pur avendo posto in essere abusi edilizi, abbia visto trascorrere un lungo lasso di tempo dalla loro commissione con inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza.

Alla luce delle esposte considerazioni, deve perciò essere disatteso il primo motivo di ricorso, incentrato proprio sulla necessità di una tutela della buona fede del privato ingiunto (e ciò a prescindere da ogni valutazione circa gli elementi portati a riprova di essa, tra cui in particolare l’avvenuta presentazione di una D.I.A. volta a ristrutturare il seminterrato oggetto di contestazione), non potendosi che ribadire che, ai fini della tutela paesaggistica, la necessità di pervenire al ripristino della legalità violata, con ricostituzione del bene “paesaggio” alterato, non può soffrire limitazioni di sorta, pur se siano trascorsi molti anni dalla realizzazione delle opere abusive e dalla successiva conoscenza della loro esistenza da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo (e che non si sia tempestivamente attivata per perseguire l’illecito).

Parimenti da disattendere è il secondo motivo di ricorso, atteso che l’avvenuto consolidamento della D.I.A. del marzo 2002, essendo riferita ad un’attività di mera ristrutturazione, non avrebbe potuto costituire titolo edilizio idoneo a “sanare” in qualche modo l’abusiva edificazione del preesistente immobile su cui è stata effettuata;
né, peraltro, risulta che la relativa attività sia stata supportata da un’autorizzazione paesaggistica riferibile anche a quanto già esistente (e il cui rilascio oggi non sarebbe assolutamente ipotizzabile, stante il divieto posto dall’art. 146 Decr. Leg.vo 42/2004).

Quanto testé detto esclude, altresì, che siano fondati gli argomenti di cui al terzo motivo articolato: il fatto che l’attività ristrutturativa assentita con D.I.A. sia stata effettuata su una parte di immobile costruita in assenza dei richiesti titoli edilizio e paesaggistico, comporta che l’assenso così intervenuto non possa presentare una rilevanza del tutto autonoma e svincolata dalla struttura oggetto dell’intervento, tale da giustificare la necessità di un suo previo ritiro prima dell’emissione dell’ordine di ripristino riguardante la parte abusiva dell’immobile (con il che sono venute ad essere non necessarie neppure le ulteriori valutazioni previste dall’invocato art. 38 D.P.R. 380/2001).

Quanto poi alle doglianze proposte con il quarto dei motivi articolati, è necessario operare una distinzione tra quelle riferite all’ordine di demolizione dell’intero piano seminterrato, e quelle riferite all’ordine di demolire le apportate modifiche al tetto, con suo assunto innalzamento.

Invero, queste ultime (con le quali in sostanza si pone in luce la carenza motivazionale dell’atto sanzionatorio sul punto) risultano fondate, atteso che effettivamente appare estremamente generica la descrizione delle abusive opere interessanti il tetto, così da non consentire né eventuali contestazioni in proposito da parte del privato interessato, né un pur possibile spontaneo ripristino ad opera dello stesso. Pertanto, l’ordinanza demolitoria va sul punto annullata.

Viceversa, non colgono nel segno le censure riguardanti l’ordine di demolizione del seminterrato, posto che il Tribunale ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 1055 del 28.2.2000;
Cons. di Stato sez. V, n° 841 del 29.12.1987;
T.A.R. Basilicata n° 921 del 29.11.2008;
T.A.R. Umbria n° 453 del 18.9.2006;
T.A.R. Basilicata n° 779/2005;
T.A.R. Lazio-Roma n° 3327 del 17.4.2007;
T.A.R. Lombardia-Brescia n° 2213 del 9.12.2002;
T.A.R. Campania-Napoli n° 4703 del 26.10.2001) secondo cui “nel sistema sanzionatorio introdotto con la L. 28 febbraio 1985 n. 47 (e oggi integralmente trasfuso nel D.P.R. 380/2001) il primo atto del procedimento per la repressione di abusi edilizi è costituito dalla diffida dell'autorità comunale al responsabile dell'opera, perché demolisca, adeguandosi spontaneamente all'ordine di ripristino della legalità edilizia, restando all'amministrazione la successiva scelta della sanzione pecuniaria o della demolizione, in ragione delle concrete esigenze della fattispecie.” ;
con la conseguenza che l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dagli artt. 33 co. 2 e 34 co. 2 D.P.R. 380/2001) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente emana l’ordine (questa volta non indirizzato all’autore dell’abuso edilizio, ma agli uffici e relativi dipendenti dell’Amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso: pertanto, soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all’entità degli abusi commessi ed alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33 co. 2 e 34 co. 2 D.P.R. 380/2001;
valutazione che deve essere effettuata mediante apposito accertamento da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale, d’ufficio o su richiesta dell’interessato.

Nella situazione qui in esame, si versa nella descritta prima fase, per cui legittimamente l’Autorità Amministrativa ha disposto la demolizione di quanto abusivamente realizzato.

Rimane, infine, da esaminare il quinto motivo di ricorso;
l’unico diretto specificamente a censurare il provvedimento impugnato in relazione alla sua adozione per ragioni paesistiche.

Anch’esso risulta però infondato, in quanto, a giudizio del Collegio, correttamente l’ordine di demolizione è stato emesso, sulla scorta dell’art. 167 Decr. Leg.vo 42/2004, nei confronti del ricorrente, attuale proprietario ancorché con evidenza non sia stato questi a costruire le strutture prive di titolo. Invero, va osservato che all’illecito amministrativo conseguente ad una edificazione in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica, analogamente a quello penale di cui all’art. 181 Decr. Leg.vo 42/2004 (e la cui previsione risale all’art. 1 sexies D.L. 312/1985, conv. in L. 431/1985) deve essere riconosciuta natura istantanea (eventualmente permanente fino al momento di completamento dei lavori) seppure con effetti permanenti, derivando da esso alterazioni appunto permanenti al bene paesaggistico oggetto di tutela. In correlazione a tale situazione, deve dirsi allora che l’ingiunzione di ripristino è volta essenzialmente a demolire quanto abusivamente edificato, onde eliminare proprio i persistenti effetti pregiudizievoli derivanti dall’illecito, cosicché essa non può non essere legittimamente adottata anche nei confronti dell’attuale proprietario dell’immobile, pur se questi non abbia materialmente commesso l’abuso, atteso che è lui ad essere in ogni caso, per la sua qualità, in grado di ottemperare spontaneamente a tale ingiunzione. In tal senso depongono in particolare esigenze di garanzia e di praticità, posto che, se è vero che il disposto dell’art. 167 Decr. Leg.vo 42/2004 impone (comma 1) al trasgressore la remissione in pristino, il successivo comma 4 stabilisce che in caso di inottemperanza sia l’Autorità Amministrativa preposta alla tutela paesaggistica a dover comunque provvedere d’ufficio a tanto: quindi l’emissione dell’ingiunzione a demolire nei confronti dell’attuale proprietario che non sia anche autore dell’illecito consente a costui in primis di venire a conoscenza del procedimento demolitorio e di apprestare eventuali difese in proposito, e, in ultima analisi, di poter provvedere con propri mezzi al disposto ripristino, in modo da ricevere da tale attività il minor pregiudizio possibile.

L’accoglimento soltanto parziale del ricorso induce a compensare le spese di giudizio tra le parti costituite.

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