TAR Firenze, sez. II, sentenza 2022-11-14, n. 202201311

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2022-11-14, n. 202201311
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202201311
Data del deposito : 14 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/11/2022

N. 01311/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01209/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1209 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, in proprio e quale titolare della ditta individuale il Delfino di -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati N L e S D M, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Gesess in Firenze, lungarno A. Vespucci 20;

contro

il Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato domiciliataria ex lege in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

- dell'informazione antimafia interdittiva n. -OMISSIS- in data 24.5.2016 e ricevuta dal ricorrente, a mezzo raccomandata a/r, il successivo 3.6.2016, con la quale il Prefetto di Lucca informa l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ufficio dei Monopoli per la Toscana, Sezione operativa territoriale di Lucca che «nei confronti di -OMISSIS- ... sussistono le cause ostative previste dagli artt. 84 del D.Lgv. 15912011 e successive modifiche ed integrazioni», avendo ritenuto «che, nel caso di specie, siano configurabili i presupposti per l'applicazione della normativa in parola, nei confronti del nominato di cui sopra, in quanto il reato per il quale il Tribunale di Lucca ha emesso la condanna nei suoi confronti rientra fra quelli di cui all'art. 84 comma 4»;

- ove occorrer possa, delle «... risultanze della riunione del Gruppo Interforze in data 11 maggio 2016», richiamate nel citato provvedimento e allo stato incognite, già oggetto di richiesta di accesso agli atti, respinta dalla Prefettura di Lucca;

- ove occorrer possa, della «... nota del Ministero dell'Interno n. -OMISSIS-del 29/04/2016», richiamata nel citato provvedimento e allo stato incognita, anch'essa oggetto di richiesta di accesso, respinta dalla Prefettura di Lucca;

- di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale;

nonché per l 'annullamento

- dell'atto prot. n. 30624 del 29.7.2016, trasmesso a mezzo pec in pari data, con il quale la Prefettura - U.T.G. di Lucca ha respinto la richiesta del ricorrente di accesso agli atti «in quanto le informazioni fornite provengono da categorie di documenti non suscettibili di divulgazione e sottratti al diritto di accesso in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 24 della L. n.241/90 e 3 del successivo regolamento di attuazione adottato dal Ministero dell'Interno con D.M 10 maggio 1994, n. 415»;

- di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale;

e per l 'accertamento

- del diritto del sig. -OMISSIS- ad accedere agli atti richiesti e per la condanna della Prefettura- U.T.G. di Lucca a esibire i medesimi atti al ricorrente.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il dott. A C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno ricorrente gestisce una rivendita di generi di monopolio e ricevitoria del gioco del lotto in Marina di Pietrasanta. La Prefettura di Lucca, con atto 24 maggio 2016 n. -OMISSIS-, ha emesso informazione interdittiva antimafia nei suoi confronti, motivata dalla sua pregressa condanna per il reato di riciclaggio e con riferimento alle risultanze della riunione del Gruppo Interforze svolta in data 11 maggio 2016. Il ricorrente ha formulato richiesta di accesso all’intero fascicolo del procedimento definito con l’interdittiva ma la Prefettura, con nota 29 luglio 2016 prot. -OMISSIS- ha opposto diniego poiché quelli richiesti sarebbero documenti non suscettibili di divulgazione.

Il provvedimento e il diniego di accesso sono stati impugnati con il presente ricorso, notificato il 2 settembre 2016 e depositato il 20 settembre 2016, per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Si è costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Interno chiedendo l’irricevibilità e, comunque, la reiezione del ricorso nel merito.

Con ordinanza 6 ottobre 2016, n. 507, è stata respinta la domanda cautelare per difetto del periculum in mora .

Con ordinanza 17 novembre 2016, n. 1647, è stato annullato il diniego dell’istanza di accesso e ordinato all’Amministrazione di consentire l’ostensione della documentazione richiesta dal ricorrente.

Motivi aggiunti sono stati notificati il 20 febbraio 2017 e depositati in data 8 marzo 2017.

All’udienza del 3 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Oggetto di lite nell’odierna controversia sono gli epigrafati provvedimenti con cui la Prefettura di Lucca ha emesso un’informativa interdittiva antimafia nei confronti del ricorrente e opposto un diniego alla sua richiesta di accedere agli atti del procedimento.

Lamenta il ricorrente, con il ricorso principale, che illegittimamente l’Amministrazione abbia dedotto l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nella sua azienda unicamente dal reato pregresso da lui compiuto, poiché non risulta alcun elemento ulteriore che sia stato oggetto di una specifica valutazione in tal senso. Peraltro il fatto stesso costituente oggetto della condanna penale in questione non sarebbe idoneo a motivare il provvedimento impugnato poiché da un lato, non ha nulla a che fare con la criminalità organizzata e, dall’altro, sono trascorsi diciassette anni dalla vicenda. Il provvedimento sarebbe quindi affetto da difetto di motivazione e di istruttoria.

Contesta inoltre il diniego opposto alla sua richiesta di accesso in quanto non sarebbe dato conto delle ragioni che giustificherebbero, in concreto, il rifiuto dell’ostensione.

Con il ricorso per motivi aggiunti articola ulteriori deduzioni a favore delle proprie tesi, avendo acquisito la documentazione amministrativa del procedimento a seguito di accesso, evidenziando che nella riunione svolta in data 11 maggio 2016 il Gruppo Interforze si era limitato a prendere atto della condanna penale per riciclaggio ritenendo che ad esso debba conseguire, in ogni caso, l’emissione dell’interdittiva antimafia, senza che assuma rilievo la distanza temporale intercorrente rispetto al fatto di reato. Si confermerebbe quindi che la decisione di emettere l’informativa non è stata assunta in base ad una valutazione dell’effettiva ed attuale esistenza di un pericolo infiltrazione mafiosa ma a seguito del suddetto automatismo, che non sarebbe consentito dalla legge. Le fattispecie di reato che possono essere poste a base di tale provvedimento hanno il valore di elementi sintomatici di una possibile infiltrazione di cui l’Amministrazione deve avvalersi, senza però poter svolgere alcun automatismo ma valutando questo dato con altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti idonei a palesare la concretezza l’attualità del rischio di permeabilità dell’impresa ad organizzazioni criminali. Detta valutazione, nel caso di specie, non sarebbe stata compiuta.

La difesa erariale eccepisce tardività del ricorso poiché il provvedimento impugnato sarebbe stato notificato il 3 giugno 2016, come da cartolina postale di ricevimento, mentre il ricorso è stato notificato solo in data 8 settembre 2016. Nel merito replica puntualmente alle deduzioni del ricorrente evidenziando, in particolare, che la condanna nei suoi confronti scaturiva da indagini relative al reato di sfruttamento della prostituzione in concorso con cittadini albanesi. In particolare all’epoca dei fatti il ricorrente gestiva unitamente alla moglie un piccolo locale ricettivo che ospitava giovani prostitute le quali svolgevano però la loro attività all’interno di un altro appartamento, reperito dallo stesso ricorrente. I proventi dell’attività venivano di volta in volta consegnati al ricorrente e da questi versati su alcuni conti correnti, che poi sono stati sequestrati nell’ambito del procedimento penale culminato poi con la sentenza di condanna del ricorrente medesimo. In data 11 maggio 2016 la sua posizione è stata esaminata nella riunione del Gruppo Interforze valutando che il tipo di reato è espressamente previsto dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come delitto-spia ai fini della valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa, mentre che l’attualità del fatto di reato non rientra tra i parametri contemplati dall’art. 84, comma 4, lett. a) del medesimo decreto. L’Amministrazione ha quindi ritenuto sussistente “una causa ostativa” per il rilascio della certificazione antimafia. Rileva inoltre che l’attività esercitata dal ricorrente è stata avviata sulla base di una autocertificazione nella quale egli ha dichiarato il falso, omettendo di indicare la condanna pronunciata a suo carico.

2. In via preliminare deve essere dato atto della cessazione della materia del contendere relativamente alla richiesta ostensiva formulata dal ricorrente.

3. Sempre in via preliminare deve essere respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso formulata dalla difesa erariale.

Il provvedimento impugnato è stato notificato tramite posta e consegnato al ricorrente il 3 giugno 2016 mentre il ricorso, a sua volta notificato tramite posta, risulta spedito per la notificazione il 2 settembre 2016. Ai fini della tempestività della notifica dell’atto processuale eseguita tramite servizio postale occorre avere riguardo non al giorno di ricevimento del gravame, ma al giorno in cui lo stesso viene portato all’ufficio addetto alle notifiche. Tanto dispone l’articolo 149 del codice di procedura civile, comma terzo, il quale recita “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario…”. Il principio risulta applicabile nell’ambito del processo amministrativo in virtù di quanto disposto dall’articolo 39, comma 2, del codice del processo amministrativo secondo cui “le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”. Ai fini della tempestività dell’impugnazione nel caso di notificazione del ricorso eseguita tramite posta non rileva, quindi, il momento in cui lo stesso venga ricevuto dal destinatario ma il momento in cui viene consegnato al soggetto terzo incaricato della notificazione.

Nel caso di specie tra il ricevimento dell’atto lesivo da parte del ricorrente, avvenuto il 3 giugno 2016, e la spedizione del ricorso introduttivo effettuata il 2 settembre 2016 sono decorsi 60 giorni, corrispondenti al termine decadenziale di legge.

4. Nel merito il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Il provvedimento impugnato è motivato con riferimento alla condanna subita dal ricorrente per il reato di riciclaggio e richiamando le risultanze della riunione del Gruppo Interforze tenuta in data 11 maggio 2016, nonché la nota del Ministero dell’Interno 29 aprile 2016, n. -OMISSIS-.

Quanto alla citata riunione, il verbale della stessa si limita a prendere atto che la condanna per il reato di riciclaggio compiuto dal ricorrente “rientra tra le cause ostative al rilascio della certificazione antimafia… per cui debba essere emesso provvedimento interdittivo” anche se la condanna risale ad oltre quindici anni fa, in quanto l’attualità del reato non rientrerebbe nei parametri previsti dall’articolo 84 del d.lgs. n. 159/2011. Sia il provvedimento che la presupposta conclusione del Gruppo Interforze ricollegano quindi, in via automatica, l’emanazione del provvedimento interdittivo alla pregressa condanna subita dal ricorrente.

Ma tanto costituisce motivo di illegittimità dell’atto, come correttamente il ricorrente pretende.

Se pure il provvedimento interdittivo antimafia assolve ad una funzione preventiva e si fonda su elementi prognostico-probabilistici, tuttavia la giurisprudenza concorda sul fatto che “la motivazione dell'informativa antimafia deve rappresentare, in maniera completa, il quadro degli elementi indiziari in virtù ai quali l'Autorità abbia ritenuto attuale e concreto il rischio di infiltrazioni mafiose all'interno della società od impresa interessata, ponendo in particolare risalto gli elementi di permeabilità criminale che possono influire anche indirettamente sull'attività dell'impresa (C.d.S. III, 8 luglio 2020 n. 4372;
24 settembre 2019 n. 6360). L'impianto motivazionale dell'informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull'attività dell'impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso;
il quadro indiziario dell'infiltrazione mafiosa, posto a base dell'informativa, deve dar conto in modo organico e coerente di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza dai quali, sulla base della regola causale del più probabile che non, il giudice amministrativo possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste tenuto conto di tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona specificamente dedotte a sostegno dell'adottato provvedimento (C.d.S. III, 11 giugno 2018 n. 3506).

Emerge quindi la necessità che un provvedimento così invasivo come l’informazione prefettizia antimafia debba fondarsi su dati di fatto concreti che denotino un pericolo attuale di infiltrazione mafiosa. In tale contesto il reato pregresso costituisce solo un indice sintomatico (“reato spia”) e non è sufficiente a fondare l’interdizione così come, correlativamente, anche la mancanza di un reato non è sufficiente ad escludere il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa laddove altri fatti, oppure le stesse risultanze fattuali processuali che pure hanno condotto ad una sentenza di assoluzione, inducano a ritenere secondo un criterio probabilistico che sia verosimile un tentativo di condizionamento dell’azienda da parte di organizzazioni criminali. In altri termini il reato non è condizione né necessaria, ma neanche sufficiente, per motivare l’emanazione dell’informativa interdittiva dovendo quest’ultima basarsi anche su circostanze concrete e di fatto, risultanti dalle indagini delle Forze di Polizia, le quali valutate nel loro insieme e nella loro concatenazione reciproca lascino presumere con alto grado di probabilità l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa per condizionare gli indirizzi dell’azienda.

E’ stato anche stabilito che l'informativa antimafia può legittimamente fondarsi pure su circostanze risalenti nel tempo purché, però, queste, riguardate nel loro complesso, siano idonee almeno in termini presuntivi, in conformità al criterio del “più probabile che non”, a giustificare un giudizio di attualità e concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (T.A.R. Campania-Napoli I, 7 maggio 2018 n. 3045).

Questi elementi sono assenti sia nel provvedimento interdittivo odiernamente impugnato che nel verbale della riunione del Gruppo Interforze da questo richiamato per relazione, mentre la nota-circolare ministeriale del 29 aprile 2016 che pure viene richiamata nello stesso provvedimento gravato a supporto delle decisioni assunte tuttavia smentisce le conclusioni ivi rappresentate (palesandosi così anche un vizio di contraddittorietà intrinseca) poiché, se pure si apre richiamando la funzione anticipatoria della soglia di difesa sociale che svolge l’informazione prefettizia interdittiva, tuttavia prosegue dedicando un intero paragrafo alla “valorizzazione degli elementi di fatto accertati dall’Autorità Giudiziaria” e richiama la necessità di fondare i provvedimenti interdittivi sul serio coinvolgimento del soggetto interessato in indagini di polizia riguardanti il fenomeno mafioso. Anche quest’ultimo elemento è assente sia nel provvedimento impugnato che negli atti procedimentali dallo stesso richiamati.

Le circostanze rappresentate nella difesa erariale, riguardanti il coinvolgimento del ricorrente in fatti di sfruttamento della prostituzione, costituiscono un’inammissibile motivazione postuma del provvedimento impugnato oltre, peraltro, a non dimostrare neanch’essi tentativi di infiltrazione criminale mafiosa nell’azienda da lui gestita.

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