TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-09-25, n. 202314172
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Pubblicato il 25/09/2023
N. 14172/2023 REG.PROV.COLL.
N. 08469/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8469 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Tiziana D'Agosto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- del decreto del 4 aprile 2018 del Ministro dell’Interno di rigetto dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91/1992, reso all’esito del procedimento n. -OMISSIS-;
- della presupposta circolare prot. n. -OMISSIS- del 5 gennaio 2007 del Ministero dell’Interno;
nonché per la condanna ex art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. al rilascio del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2023 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente strumento di gravame, parte ricorrente contesta il provvedimento del Ministero dell’interno del 4 aprile 2018, con cui è stata respinta la domanda di cittadinanza presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 23 luglio 2014.
L’avversato diniego è fondato sulla mancata dimostrazione da parte dell’aspirante cittadino della disponibilità di adeguati mezzi economici di sostentamento, come richiesta ai fini dell’acquisizione dello status , contestata in sede di preavviso di rigetto di cui alla nota ministeriale del 25 luglio 2018 e non superata a seguito delle osservazioni trasmesse a sostegno della propria situazione dall’interessato.
In questa sede l’istante, innanzi tutto, mira ad ottenere l’annullamento e/o disapplicazione della presupposta circolare prot. n. -OMISSIS- del 5 gennaio 2007 del Ministero dell’Interno, deducendo il vizio di Violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91. Violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Eccesso di potere per illogicità manifesta, oggetto del primo motivi di ricorso.
Il ricorrente contesta detta circolare ritenendo illogico il parametro del reddito c.d. «soglia» che coincide con quello previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n. 8 [ed è pari a 16 milioni di lire (€. 8.263,61 euro), incrementato fino a 22 milioni di lire (11.362,05 euro) in presenza del coniuge ed in ragione di un ulteriore milione di lire (516,00 euro) per ogni figlio a carico].
Ritiene in particolare che sarebbe illogico negare la cittadinanza in mancanza del raggiungimento dei parametri minimi individuati, in ragione del timore di un aggravio della spesa pubblica sociale, visto che lo Stato garantisce comunque anche allo straniero l’assistenza sanitaria e il diritto alla salute, a pari condizioni del soggetto avente lo status civitatis , oltre che l’accesso ai diversi sussidi e ammortizzatori sociali in ossequio al principio di solidarietà e senza discriminazione alcuna.
Inoltre assume che sarebbe illogico, oltre che iniquo, richiedere ad un soggetto che aspira a divenire cittadino, al fine di valutare la sua capacità di contribuire al finanziamento della spesa pubblica, il raggiungimento di un livello reddituale superiore alla misura individuata dal legislatore, in ossequio al principio di capacità e di progressività contributiva ex art. 53 Cost., ai fini dell’esonero dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, rappresentata da un reddito inferiore a €. 8.174,00, percepito nel corso dell’anno d’imposta (oltre tale importo sul soggetto inizia a gravare un obbligo di contribuzione).
Con il secondo motivo di ricorso formula censure volte confutare la legittimità del DM del 4 aprile 2018 di reiezione della domanda di cittadinanza, chiedendone l’annullamento per:
1. Illegittimità derivata , per il caso di accoglimento delle doglianze mosse al punto che precede;
2. Violazione dell’art. art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91. Eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, inosservanza delle circolari nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle censure pregresse.
In tale sede, il ricorrente, rinviando ai documenti versati in atti (modelli 730 e PF) a confutazione della valutazione negativa effettuata dalla p.a. circa il possesso del requisito reddituale, deduce di aver percepito redditi sufficienti nel triennio 2011-2013, antecedente la presentazione dell’istanza di concessione della cittadinanza;rappresenta di aver subito una leggera flessione per il 2014, in cui il reddito sarebbe stato di poco inferiore al reddito soglia (ma, comunque, superiore al limite soglia previsto per l’esenzione dall’imposta sul reddito, ossia €. 8.174,00), avendo percepito un reddito di €. 10.324,00;infine, sostiene di aver anche mantenuto una capacità contributiva adeguata anche successivamente alla presentazione della domanda, visto che nel 2017 ha percepito un reddito di €. 14.040,00 e dal 2018 anche la moglie è percettrice di reddito, in qualità di lavoratrice dipendente, contribuendo alla determinazione del reddito del nucleo familiare utile.
Concludendo, parte ricorrente avanza una Richiesta di condanna ex art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. al rilascio del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91 , in quanto, accolte le doglianze volte a dimostrare il possesso dell’unico requisito contestato, ritiene presunto il possesso degli ulteriori requisiti richiesti ai fini della concessione della cittadinanza italiana (quali, ad esempio, l’irreprensibilità della condotta, l’incensuratezza dell’istante, il pieno inserimento del medesimo nel contesto sociale).
In data 9 febbraio 2023 il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 73 cod. proc. amm. in cui, dopo aver dedotto il raggiungimento di adeguati livelli di reddito del nucleo familiare successivamente alla presentazione della domanda, riportandosi interamente ai propri atti e scritti difensivi, ha insistito per l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, per la concessione della cittadinanza.
La resistente, costituita in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato in data 17 febbraio 2023 documenti e una relazione tesa a confutare le difese ex adverso svolte, chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 13 giugno 2023 - cui la discussione del merito del ricorso era stata rinviata con ordinanza collegiale n. 4745/2023 all’esito dell’udienza del 14 marzo 2023, vista l’eccezione, sollevata da parte ricorrente, di tardività del deposito da parte della p.a. dei documenti e della relazione difensiva, asseritamente equiparabile ad una memoria difensiva - la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con l’odierno ricorso, parte ricorrente sostiene, in primo luogo, l’illegittimità derivata del provvedimento di reiezione ed impugna preliminarmente la circolare ministeriale presupposta, con cui sono stati definiti i parametri soglia il cui rispetto l’autorità pubblica è tenuta a verificare in sede di valutazione del possesso del requisito reddituale e, in via subordinata ed eventuale, l’illegittimità per vizi autonomi del decreto ministeriale di rigetto della domanda di cittadinanza, ritenendo erronea la valutazione della p.a. sulla situazione economico-finanziaria dell’intero nucleo familiare del richiedente,
Al riguardo, in funzione dello scrutinio dei motivi di gravame formulati nell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso il motivo con cui si deduce l’illegittimità della presupposta circolare prot. n. -OMISSIS- del 5 gennaio 2007 del Ministero dell’Interno, il Collegio ritiene opportuno premettere un richiamo ai principali punti d’arrivo della giurisprudenza in materia, come di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22;n. 7980/2022;n. 7889/2022;n. 7888/2022).
L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione e non riguarda un circoscritto rapporto rilevante nelle relazioni tra privati o nella relazione con la PA, ma rileva piuttosto sul piano politico, in quanto comporta l’attribuzione di una frazione di sovranità.
In questo procedimento la p.a. esercita un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. V bis, sentenza n. 1590/2022, Sez. I ter, sentenza n. 3227/2021 e sentenze ivi richiamate), ciò in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale propria del cittadino che comporta non solo diritti, ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
In tal modo, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza, violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. V bis, n. 2945/2022;Sez. I ter, n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568 del 2009).
Il requisito che è risultato mancare nel caso in esame impone al richiedente lo status civitatis di dimostrare la disponibilità di adeguati mezzi economici di sostentamento nonché il regolare adempimento degli obblighi fiscali e la possibilità di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Sez I ter, n. 13690/2021;id., n. 1902/2018;Cons. Stato Sez. I, parere n. 240/2021;id., n. 2152/2020;Sez. III, n. 1726/2019).
L’accertamento del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica e, in particolare, di prevenzione di illeciti conseguenza dell’indisponibilità di mezzi adeguati di sostentamento ( “ considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale ”, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;id., 19 febbraio 2018, n. 1902;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
Il legislatore, tuttavia, non ha fissato una soglia di reddito minima, rimettendone l’individuazione all’Amministrazione sulla base di parametri indefettibili di garanzia dall’autosufficienza economica del richiedente e della sua reale capacità di partecipare alla spesa pubblica necessaria ad assicurare i servizi pubblici essenziali in Italia.
A tal fine, l’Amministrazione ha attinto alla legislazione vigente in materia di esenzione totale dalla partecipazione alla spesa sanitaria in favore del cittadino italiano titolare di pensione di vecchiaia (art. 3 del decreto-legge n. 382/1989) secondo quanto specificato nella Circolare del Ministero dell'Interno DLCI -OMISSIS- del 5 gennaio 2007.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente contesta detta Circolare – quale atto presupposto del provvedimento di diniego impugnato – in parte qua , sostenendo che sia da ritenere:
- illogico negare la cittadinanza in mancanza del raggiungimento dei parametri minimi individuati, in ragione del timore di un aggravio della spesa pubblica sociale, visto che lo Stato garantisce comunque anche allo straniero l’assistenza sanitaria e il diritto alla salute, a pari condizioni del soggetto avente lo status civitatis , oltre che l’accesso ai diversi sussidi e ammortizzatori sociali in ossequio al principio di solidarietà e senza discriminazione alcuna;
- illogico, oltre che iniquo, richiedere ad un soggetto che aspira a divenire cittadino, al fine di valutare la sua capacità di contribuire al finanziamento della spesa pubblica, il raggiungimento di un livello reddituale superiore alla misura individuata dal legislatore, in ossequio al principio di capacità e di progressività contributiva ex art. 53 Cost., ai fini dell’esonero dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, rappresentata da un reddito inferiore a €. 8.174,00, percepito nel corso dell’anno d’imposta (oltre tale importo sul soggetto inizia a gravare un obbligo di contribuzione).
Sulla legittimità del parametro cui si conforma l’Amministrazione, in assenza di base normativa, la giurisprudenza ha affermato che “ non può convenirsi con le affermazioni di cui al ricorso, secondo le quali l’amministrazione non potrebbe considerare “indefettibile” la soglia reddituale, in quanto essa non è precisata da atti aventi rango primario. Quello che conta, invero, è che il requisito reddituale minimo integri una delle condizioni che devono risultare soddisfatte ai fini dell’acquisizione dello status di cittadino italiano, come pacificamente imposto dalle previsioni del d.m. 22 novembre 1994, prima richiamato. Va da sé che, a tal fine, una soglia minima deve essere individuata a fini di certezza, allo scopo di evitare arbitrarie e divergenti valutazioni da parte dell’amministrazione, e tale soglia è, allo stato, quella già più sopra ricostruita, considerata valido parametro anche dalla costante giurisprudenza ” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 9582/2023).
A ben vedere si tratta delle stesse ragioni per cui è stata già da tempo risalente ritenuta legittima la prescrizione di soglie reddituali minime già solo al fine di autorizzare l’ingresso ed il soggiorno sul territorio nazionale, ai sensi dell’art. 6, comma 5, d.lgs. 286/1998, per cui “il possesso di un reddito minimo – idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare – costituisce un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attinente alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese al quale ha chiesto di ospitarlo;il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l’inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti;d’altro canto la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose” ( cfr. di recente, tra tante, Cons. Stato, sez. II, n. 4026/2021; cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 3141/2020, n. 8839/2019, Cons. Stato, sez. I, parere n. 2176/2016 su affare 377/2016;Cons. St., sez. III, n. 2645/2015 e 2335/2015 ;Cons. Stato, sez. VI, n. 5994/2010).
Quindi, se la fissazione del requisito economico e delle relative soglie reddituali minime è necessaria per consentire allo straniero il semplice ingresso ed il temporaneo soggiorno sul territorio nazionale, a maggior ragione si richiede che tali condizioni siano soddisfatte per conseguire la cittadinanza dello Stato ospite sulla base della mera considerazione che “il più contiene il meno”: a tale riguardo è appena il caso di ricordare che si tratta di attribuire uno status che include, tra l’altro, il diritto di incolato, con conseguente permanente collegamento del soggetto al territorio del Paese di appartenenza. In tale prospettiva è stato chiarito che “ Il parametro su riferito costituisce, dunque, un requisito minimo indefettibile, ragion per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno;anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996 (sicché il requisito reddituale risulta implicitamente incluso nel requisito della ‘residenza legale’)” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1698/2022 e, tra tante, da ultimo, n. 9588/2023;cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3213/2008;TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012;TAR Lazio, sez. II quater, n. 5565/2013).
Per cui salvo qualche sporadico caso isolato (che peraltro si giustifica con riferimento alle particolarità del caso di specie, vedi, Cons. St., sez. II, n. 1175/2009), il possesso del requisito reddituale è ritenuto una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo ad evitare che l’ammissione del nuovo membro non finisca per gravare (in negativo) sul pubblico erario per carenza di adeguate fonti di sussistenza, ma anche e soprattutto per assicurare che sia in grado di assumersi i doveri che derivano dall’appartenenza alla Comunità Nazionale, in primis quello di concorrere (in positivo) allo sviluppo economico-sociale e di onorare il vincolo di solidarietà mediante la partecipazione al gettito fiscale (vedi, Cons. Stato, sez. IV, n. 2254/1996, 3145/1998, 1474/1999; 6063/2002), che possa “apportare un contributo ulteriore ed autonomo alla Comunità di cui entra a far parte” (TAR Lazio, sez. I, n. 2377/2006;TAR Lazio, sez. II quater n. 832/2009;Cons. St., sez. VI, n. 8421/2009;Cons. St., sez. VI, 3213 e 3907 del 2008;TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012;vedi, tuttavia, per la possibilità di deroga a tali principi nel caso in cui il richiedente sia un portatore di handicap, TAR Lazio, sez. I ter, n. 7846/2020, con richiamo ai principi di eguaglianza e non discriminazione di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, alla legge 104/1992 ed alla sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2017).
Si tratta pertanto di un punto di arrivo ormai pacifico (vedi, da ultimo, tra tante, Cons. St., sez. III, nn. 3143, 4754 e 4767 del 2023) che la Sezione ha da subito recepito (TAR Lazio, sez. V bis, n.1590/2022, 1698/2022, 1724/2022, 2945/2022, nonché, di recente, n. 11028/2022, 11187/2022, 8273/2023, 9570/2023, 9582/2023, 11964/2023, 12386/2023), evidenziandone la validità anche dal punto di vista storico-comparatistico, dato che “il requisito dell’autonomia reddituale costituisce una condizione prescritta dalla legislazione in materia dei diversi Stati membri dell’Unione Europa, configurandosi come principio comune ai diversi ordinamenti giuridici” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 11028/2022;16321/2022, 1993/2023, 4268/2023, 10747/2023).
A tale riguardo va peraltro osservato che, anche a livello sovranazionale, il possesso del requisito in contestazione è prescritto dalla normativa comunitaria sulla cittadinanza dell’Unione per l’esercizio del diritto di soggiorno nei territori degli Stati Membri, che, al fine di evitare il fenomeno del cd. “turismo sociale”, è sottoposto alla condizione “ di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato Membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato Membro ospitante ” (art. 7 direttiva 2004/38/CE), per la ragione che “ i beneficiari non devono costituire un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato ospitante ” (considerando n. 10 della citata Direttiva).
L’autosufficienza reddituale rileva, pertanto, quale elemento tangibile dell’effettiva appartenenza alla comunità nazionale richiesta in capo al richiedente la cittadinanza, il quale, proprio in vista di detta verifica, deve dimostrare di poter contare su strumenti personali per far fronte ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare.
Il ricorrente, infatti, che pure evoca in prima battuta detta finalità primaria sottesa alla previsione del requisito reddituale in esame, finisce, nell’articolare gli argomenti a sostegno della ritenuta illegittimità della circolare ministeriale e nel dedurre l’illogicità dei “parametri soglia” ivi individuati, per soffermare l’attenzione esclusivamente sull’esigenza – a suo dire non realizzata - di assicurare che il soggetto, da un lato, non gravi sulla finanza pubblica, dall’altro, contribuisca a finanziare la spesa pubblica.
Se si tiene conto, tuttavia, che il requisito del reddito rappresenta un indice dell’avvenuta realizzazione dell’imprescindibile processo di integrazione, oltre che garanzia - come sopra diffusamente chiarito - dell’utile inserimento nella Comunità politica di soggetto in grado di assumersi tutti gli oneri ed i doveri pubblici che costituiscono la “contropartita” dei diritti politici, le censure di parte ricorrente crollano: le previsioni normative - rinvenibili all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale, richiamate da parte ricorrente - recanti misure volte a garantire l’assistenza sanitaria e la fruizione di ammortizzatori sociali ovvero strumenti a sostegno del reddito in favore degli stranieri a condizioni di parità con il cittadino, con inevitabili effetti negativi a carico dell’erario, sono preordinate - come in parte evidenziato dallo stesso istante - alla tutela dell’essere umano e dei diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale, comunitario o internazionale e non si scontrano con l’esigenza di richiedere in capo al soggetto che aspira ad essere inserito in modo stabile e irreversibile nella comunità politica nazionale la produzione di redditi adeguati, essendo la concessione della cittadinanza subordinata ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale, informata a principi di cautela nell’interesse nazionale [l’Amministrazione è chiamata ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero già raggiunta nella società e il giudizio prognostico volto a stimare la proficuità del futuro inserimento di un nuovo elemento, il cui interesse personale deve essere comparato con l’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “ proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza (Corte di Giustizia UE, causa Rotmann, punto 51) ” (Consiglio di Stato, sez. III, 21/10/2019, n. 7122)].
Pertanto il fatto che il richiedente già gravi sulla finanza pubblica, in quanto ammesso a fruire di alcune prestazioni essenziali a salvaguardia di beni fondamentali (vita, salute, integrità fisica) pur non avendo i mezzi per far fronte ai relativi costi, in virtù del riconoscimento di alcuni minimi “diritti di cittadinanza” spettanti nei confronti della Pubblica Amministrazione ad una persona in stato di bisogno a prescindere dalla sua nazionalità, non comporta la maturazione dei requisiti per l’acquisto della cittadinanza di quello Stato, che implica l’attribuzione di un bene totalmente diverso, cioè il riconoscimento allo straniero del potere di partecipazione all’autodeterminazione della vita della Nazione mediante l’assegnazione di quella “frazione” di sovranità statale che viene conferita mediante la “concessione” della cittadinanza. Altrimenti si finirebbe per confondere due diversi piani, quello degli inderogabili doveri di solidarietà connesso ai diritti universali dell’Uomo e quello delle condizioni da soddisfare per acquisire la cittadinanza di un Paese, disciplinato dalla legislazione nazionale dello Stato stesso, operando un’indebita estensione di benefici, perché dal riconoscimento di livelli minimi di assistenza volti a salvaguardare beni di importanza fondamentale per ogni persona a tutti i soggetti in difficoltà, ancorché stranieri, si farebbe derivare un ulteriore, diverso, non connesso effetto e il godimento di detti benefici assurgere a presupposto per il conseguimento della naturalizzazione, in luogo della dimostrazione del possesso del requisito reddituale prescritto per ottenere la cittadinanza di quello Stato (cfr. TAR Liguria, sez. II, n. 1752/2004 nel senso che “Tale principio non può ritenersi compromesso dal riconoscimento, ad opera della legislazione vigente, di alcuni benefici a favore di tutti i soggetti in difficoltà, ancorché stranieri, in virtù del principio di generale riconoscimento di alcuni diritti della persona come fondamentali e spettanti a ciascun individuo in quanto tale, trattandosi di disposizioni eccezionali, e quindi di stretta interpretazione, rispetto al principio generale per cui il diritto alle prestazioni sociali erogate da uno Stato spetta necessariamente ai soli suoi cittadini.
Né da tale riconoscimento di livelli minimi di assistenza volti a salvaguardare ogni persona, ancorché straniera, può in alcun modo farsi discendere il diritto della stessa ad essere inserita nella comunità da cui eccezionalmente riceve aiuto.
In altri termini, dalla previsione di un livello minimo di assistenza, riconosciuto in nome di inderogabili doveri di solidarietà socio-umanitaria, non può farsi derivare alcun diritto di cittadinanza, trattandosi di distinte questioni: una cosa è assicurare il rispetto dei diritti fondamentali minimi ed una cosa è determinare quali siano le condizioni di ammissione di un soggetto in una comunità nazionale. ).
Esiste dunque un’interconnessione di diritti politici e correlativi doveri pubblici (che, come si è detto, costituiscono i “contrappesi” dell’assegnazione allo straniero del potere di partecipare mediante l’esercizio dei diritti politici all’autodeterminazione della vita del Popolo di cui entra a far parte) che induce a disattendere la riduttiva prospettazione proposta dal ricorrente, dato che i beni in gioco vanno ben oltre le mere esigenze di tutela della sicurezza pubblica e di ordine economico da questi richiamate e giustificano la scelta di richiedere all’aspirante cittadino il possesso della capacità di produrre redditi adeguati.
Le considerazioni sopra svolte consentono di superare qualunque dubbio sull’ an della prescrizione del requisito reddituale quale condizione per l’acquisto della nazionalità del Paese in cui lo straniero risiede, ma anche gli specifici rilievi sul quantum del reddito che deve essere posseduto al fine di dimostrare che tale condizione è soddisfatta.
In questa stessa prospettiva, è quindi da ritenere inconsistente anche la censura di illogicità e iniquità formulata avverso la scelta di cui all’avversata circolare di far coincidere la soglia minima reddituale per il richiedente lo status con quella prevista dalla legislazione vigente in materia di esenzione totale dalla partecipazione alla spesa sanitaria in favore del cittadino italiano titolare di pensione di vecchiaia, soglia che parte ricorrente evidenzia essere superiore a quella individuata dal legislatore ai fini dell’esenzione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Il ricorrente pretenderebbe di sostituire la valutazione in tema di adeguatezza dei livelli reddituali effettuata dall’amministrazione competente a rilasciare lo status civitatis , titolare del delineato potere altamente discrezionale, con un criterio diverso che se, da un lato, è fondato sulla capacità di contribuire al finanziamento della spesa pubblica del soggetto interessato, tuttavia, dall’altro, prescinde dalla necessità di riscontrare l’effettiva sussistenza di mezzi idonei per mantenersi in base alla composizione del nucleo familiare, con conseguenze che non necessariamente si risolvono in un maggiore vantaggio per il richiedente lo status , come si vedrà meglio infra .
L'amministrazione, in linea con le pregresse (oltre che susseguenti) acquisizioni giurisprudenziali maturate in relazione ad analoghe fattispecie, ha fatto applicazione dell’art. 3 del decreto-legge n. 382/1989, che costituisce “il minimo esigibile” da chi aspira a condividere quella frazione di potere pubblico dello Stato, come elemento essenziale del Popolo, cui chiede di essere ammesso. A tenore di detta previsione normativa sono esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile fino a € 8.263,31, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico e in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico (importi peraltro confermati – e, a distanza di decenni, mai aggiornati - in sede di estensione dell’esenzione anche ad altre categorie di soggetti, dapprima dall’art. 8, comma 16, della legge n. 537/1993 e successivamente dall'art. 2, comma 15, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995).
Il ricorrente, invece, propugna l’applicabilità anche ai fini della concessione della cittadinanza del criterio individuato dalla legislazione sul pagamento di imposte dirette (quali l’IRPEF) e sull’esonero per redditi maturati nel corso dell’anno d’imposta inferiori a determinati importi (in particolare nel ricorso si invoca la possibilità di rifarsi al reddito soglia, previsto ratione temporis , di euro 8.174,00).
In proposito, il Collegio, in primo luogo, rileva che il richiamo di parte ricorrente alla disciplina della c.d. “ no tax area ” è parziale e non puntuale, visto che non tiene conto che le soglie di reddito fissate a detti fini, oltre ad essere suscettibili di aggiornamenti, sono plurime e (anche fortemente) differenziate in base alla categoria di appartenenza dell’interessato (lavoratore indipendente, lavoratore autonomo, pensionato). È chiaro che detto aspetto finisce ex se per indebolire la tesi della parte.
Il parametro cui si conforma la p.a. individua una soglia che è ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia, in quanto “ indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale ” (cfr. ex multis : Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958;T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 2.2.2015, n. 1833).
D’altronde la soglia reddituale che il ricorrente contesta non è stata creata arbitrariamente dalla giurisprudenza, assume infatti, quale parametro di riferimento, il livello reddituale minimo previsto, cautelativamente, dall'art 26, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, che richiede, appunto, il possesso “ di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria ” (cfr. livello individuato quale soglia dall’art. 24 legge 40/1998).
Gli evocati criteri, posti alla base delle previsioni di esenzione dalle imposte dirette, espressione di scelte di politica fiscale, sono informati a una logica diversa, di contenimento del potere impositivo dello Stato e di ridistribuzione della ricchezza, in ossequio ai principi di capacità e di progressività contributiva ex art. 53 Cost., a tutela dell’interesse del privato - considerato atomisticamente e con riferimento al reddito percepito in ciascun anno d’imposta – acché il prelievo tributario sia parametrato alla propria idoneità attuale a far fronte all’obbligazione tributaria, con maggior incisione su chi dispone di risorse più cospicue.
In altri termini, la disciplina richiamata attiene all’esercizio unilaterale di un potere pubblico che determina una diminuzione del patrimonio del destinatario, circostanza che giustifica il ricorso a indici rivelatori di ricchezza del singolo, in ipotesi particolarmente garantisti.
Nel caso della concessione della cittadinanza invece si è di fronte ad un potere dell’autorità pubblica di ampliamento – non già di restrizione - della sfera giuridica del soggetto, un potere di costituire una posizione giuridica soggettiva ex novo , non preesistente neanche in capo alla stessa p.a., ma di cui è ad essa riservata la disponibilità, attesa l’esigenza di valutare se l’interesse del richiedente a far parte in maniera stabile della comunità nazionale sia conciliabile con il giustapposto interesse pubblico ad ammettere un nuovo individuo nel novero dei cittadini nel rispetto della sicurezza, della stabilità economico-sociale, dell’identità nazionale ( ex plurimis , Tar Lazio, V bis, n. 9346/2022). Ne deriva che non appare illogico né ingiusto richiedere all’autorità procedente, in sede di valutazione del percorso integrativo compiuto dall’aspirante cittadino, che questi disponga di mezzi economici adeguati rifacendosi a parametri ritenuti espressivi di una più concreta capacità di sostentamento.
Infine, nel merito della fondatezza della tesi del maggior favor per l’aspirante cittadino in caso di applicazione della diversa soglia reddituale individuata ai fini della no tax area , si osserva che in realtà il parametro propugnato da parte ricorrente, prescindendo dalla considerazione della consistenza reddituale dell’intero nucleo familiare, su cui la circolare avversata fa leva al fine di favorire il rilascio della cittadinanza anche ai familiari a carico non percettori di reddito proprio, potrebbe in ipotesi rivelarsi nel caso concreto pregiudizievole, ove, ad esempio, il richiedente percepisca un reddito inferiore a quello soggetto a tassazione ma all’interno del nucleo familiare vi sia un altro percettore di reddito a sua volta non tassabile, ma che sommato al primo consentirebbe di superare le soglie reddituali contestate.
Sul punto giova evidenziare che la circolare impugnata ha previsto - innovando rispetto a quanto accedeva in precedenza, quando non era possibile concedere la cittadinanza allo straniero non titolare di reddito proprio, anche ove fiscalmente a carico di altro familiare e nonostante un reddito complessivo dell’intero nucleo familiare in grado di assicurare a tutti i componenti condizioni di vita dignitose - che, nel rispetto del concetto della solidarietà familiare cui sono tenuti tutti i membri della famiglia, possa essere valutata la consistenza economica dell’intero nucleo familiare di cui il richiedente fa parte.
Va pertanto distinta la questione del reddito a fini fiscali rispetto alla rilevanza dello stesso ai diversi fini di autorizzare la presenza dello straniero sul territorio nazionale e, a maggior ragione, di attribuzione allo stesso della cittadinanza, con riconoscimento di tutti i diritti politici e dei doveri pubblici a questa connessi.
Analogamente è stata ritenuta non adeguata la soglia alternativa “riduttiva”, che fa invece riferimento “all'importo annuo dell'assegno sociale” (che per il 2023 è pari a €. 6.541,21), in quanto è stato considerato che “detto assegno rappresenta solo un parziale contributo per assicurare un livello minimo di sussistenza, paragonabile ad un assegno alimentare, e non è assolutamente indicativo dell’importo necessario per il mantenimento dei cittadini in stato di bisogno, mantenimento cui sono finalizzate anche altre provvidenze, quali l’assegnazione di case popolari, i contributi specifici per la frequenza di corsi di istruzione etc. finalizzati a soddisfare varie esigenze che il titolare di assegno sociale non può autonomamente fronteggiare. Proprio al fine di evitare tali costi, ben più elevati del mero contributo di sussistenza rappresentato dall’assegno sociale, la capacità reddituale dell’aspirante cittadino deve essere intesa non come quella minima per assicurare la mera sussistenza, che porrebbe le ulteriori esistenze relative al suo mantenimento a carico della collettività, ma come quella che corrisponde ad una misura che consenta allo stesso di assumersi gli obblighi di carattere economico derivanti dalla sua ammissione della comunità nazionale” (TAR Liguria, sez. II, n. 4/2005;TAR Lazio, I ter, n. 2650/2002).
Non appare quindi illogico né iniquo, viste le importanti conseguenze legate al rilascio dello status , pretendere a tal fine la disponibilità di risorse economico-finanziarie effettivamente in grado di assicurare il sostentamento proprio e della propria famiglia e, conseguentemente, di concorrere in certa misura al finanziamento della spesa pubblica e dei servizi erogati alla collettività, che, costituisce, appunto, la “contropartita” del conferimento del potere di autodeterminazione della vita della Comunità di cui si entra a far parte mediante l’acquisizione dei diritti politici.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il primo motivo di ricorso deve essere respinto perché infondato.
Conseguentemente deve essere affermata l’infondatezza anche della tesi dell’illegittimità derivata del provvedimento di rigetto dell’istanza di cittadinanza, di cui al primo punto del secondo motivo di ricorso.
È dunque possibile passare allo scrutinio delle censure di cui al secondo punto del secondo motivo di ricorso, con cui l’istante, che assume di poter vantare la necessaria autosufficienza reddituale, sostiene l’illegittimità del provvedimento di diniego del 4 aprile 2018, in quanto asseritamente affetto dai vizi di violazione dell’art. art. 9, comma 1, lett. f), l. 5 febbraio 1992, n. 91, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, inosservanza delle circolari.
Anche questa doglianza si mostra destituita di fondamento.
La valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto sia di quello già maturato al momento della presentazione della domanda (cfr. TAR Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;id., 31 dicembre 2021, n. 13690) – che deve essere corredata dalla dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994, adottato in attuazione dell’art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – sia di quello successivo, dovendo essere mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10.1993, n. 572 (cfr. Consiglio di Stato sez. I, parere n. 240/2021;TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;sez. I ter, n. 507/2021 e n. 13690/2021, cit.;sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;id., 13 maggio 2014, n. 4959;id., 3 marzo 2014, n. 2450;id., 18 febbraio 2014, n. 1956;id., 10 dicembre 2013, n. 10647 nel senso che lo straniero deve dimostrare di possedere una certa solidità e continuità nel possesso del requisito;questo non viene meno in caso di flessioni meramente transitorie e suscettibili di recupero in breve tempo, cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2015, n. 60;idem, sez. I, n. 1791/2021 e 1959/20;TAR Lazio, sez. I ter, n. 6979/2021).
Dagli atti acquisiti nel corso del presente giudizio si evince al contrario che la situazione economica del richiedente non presentava caratteri di stabilità, in quanto, non solo è mancata la dimostrazione per gli anni 2014, 2015 e 2016 di redditi sufficienti rispetto ai parametri previsti per la concessione della cittadinanza (essendo rimasta a lungo disoccupato), ma è emersa la costante indisponibilità di risorse proprie sufficienti ad assicurare a sé e ai propri familiari il soddisfacimento dei bisogni primari: il ricorrente ha infatti usufruito di contributi pubblici dal 2001 al 2016 (a vario titolo, anche per la soluzione abitativa e per le rate di affitto) e di aiuti da parte di associazioni caritative, ha subito uno sfratto per morosità, goduto di servizi pubblici (mensa e scuolabus) senza provvedere a versare il dovuto corrispettivo, ecc. (v. rapporti Servizi sociali e Comune Caslino D’Erba, di cui agli allegati 4, 5 e 6 documenti Ministero dell’interno del 17 febbraio 2023).
Il quadro testé delineato depone a favore della correttezza del giudizio negativo formulato dalla p.a. in relazione alla condizione economico-finanziaria del richiedente, atteso che peraltro, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopradelineato, non può assumere rilevanza dirimente la capacità di autosostentamento relativa ad un limitato periodo di tempo, anche se più recente rispetto all’adozione del provvedimento, invocata dal ricorrente con riferimento all’avvio di un’attività commerciale nel 2017 e l’assunzione della moglie a partire nel 2018 con contratto di lavoro dipendente.
Gli elementi istruttori di cui sopra conclusivamente sono da considerarsi indicativi di una mancata integrazione del richiedente lo status , risultato altresì per un certo periodo non in regola con il permesso di soggiorno per non essersi presentato per il proseguo della pratica, dopo la presentazione in data 25 gennaio 2017 dell’istanza di rinnovo del permesso per lavoro autonomo (v. pareri Questura e prefettura di Catanzaro rispettivamente del 17 e 18 gennaio 2018), rilasciatogli poi il 19 giugno 2019, come si evince dall’istanza di prelievo del 6 settembre 2021.
Per cui neanche il secondo motivo di ricorso merita accoglimento anche in relazione ai vizi appena esaminati, con conseguente rigetto della domanda di annullamento del decreto del Ministero dell’interno di diniego della cittadinanza.
Assolutamente inammissibile, data la natura altamente discrezionale del potere esercitato, è infine la richiesta, formulata ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., di condannare l’amministrazione al rilascio del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana in favore del ricorrente (e comunque, tale pretesa risulta sostanzialmente infondata, avendo trovato conferma la bontà della valutazione compiuta dalla p.a. sulla mancanza in capo al ricorrente del necessario requisito reddituale).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto perché infondato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.