TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2021-06-30, n. 202107726

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2021-06-30, n. 202107726
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202107726
Data del deposito : 30 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/06/2021

N. 07726/2021 REG.PROV.COLL.

N. 12708/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12708 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
M G, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e C G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Roma, via Cicerone 44;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati P P e A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Napoletano e Michelino Villani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Advance Sim S.p.A. in Liquidazione Coatta Amministrativa,
Comitato di Sorveglianza di Advance Sim S.p.A. in Liquidazione Coatta Amministrativa non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del decreto Prot. DT 67900 - 03/07/2019 del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento del Tesoro Direzione IV a firma del Dirigente Generale con cui “è revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla “Advance SIM S.p.A.”, con sede in Milano e la stessa è posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni” (doc. 1);

- dell’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0848868/19 del 05/07/2019 avente ad oggetto “Advance SIM in l.c.a. - Nomina degli Organi liquidatori” (doc. 2);

- del verbale del 9 luglio 2019 di presa in consegna dell’azienda da parte degli organi di ADVANCE SIM S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa (doc. 3)

- di tutti gli atti precedenti, conseguenti e connessi, ancorché non conosciuti, tra i quali in particolare: l’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0745246/19 del 11/06/2019 avente ad oggetto “Advance SIM (MI). Proposta di liquidazione coatta amministrativa” (doc. 4);
l’atto di CONSOB - Divisione Intermediari - Ufficio di Vigilanza Imprese di Investimento Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 avente ad oggetto “ADVANCE SIM S.p.A. – riscontro alla richiesta del 12 giugno 2019. Proposta di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998” (doc. 5);
la nota del 12 giugno 2019 prot. n. 0338590/19 trasmessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a Consob, al momento non nota, menzionata nell’atto di

CONSOB

Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 di cui appena sopra;
il verbale ispettivo degli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia presso ADVANCE SIM S.p.A. nel periodo 22/10/2018-21/12/2018, al momento non noto;
la richiesta di collabora zione ispettiva trasmessa da Consob a Banca d’Italia in data 22.11.2018, al momento non nota;
il riscontro a tale richiesta da parte di Banca d’Italia in data 13.06.2019, al momento non noto

nonché per la condanna ex artt. 30 e 34, c. 1 lett. c c.p.a.

all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente, e al risarcimento dei danni subiti e subendi con espressa riserva di dedurre, specificare, quantificare e provare in corso di causa i danni subiti e subendi.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da GROSSO MASSIMO il 9\12\2019 :

per l’annullamento

- del decreto Prot. DT 67900 - 03/07/2019 del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento del Tesoro Direzione IV a firma del Dirigente Generale con cui “è revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla “Advance SIM S.p.A.”, con sede in Milano e la stessa è posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni” (doc. 1);

- dell’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0848868/19 del 05/07/2019 avente ad oggetto “Advance SIM in l.c.a. - Nomina degli Organi liquidatori” (doc. 2);

- del verbale del 9 luglio 2019 di presa in consegna dell’azienda da parte degli organi di ADVANCE SIM S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa (doc. 3)

- di tutti gli atti precedenti, conseguenti e connessi, ancorché non conosciuti, tra i quali in particolare: l’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0745246/19 del 11/06/2019 avente ad oggetto “Advance SIM (MI). Proposta di liquidazione coatta amministrativa” (doc. 4);
l’atto di CONSOB - Divisione Intermediari - Ufficio di Vigilanza Imprese di Investimento Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 avente ad oggetto “ADVANCE SIM S.p.A. – riscontro alla richiesta del 12 giugno 2019. Proposta di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998” (doc. 5);
la nota del 12 giugno 2019 prot. n. 0338590/19 trasmessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a Consob, solo ora conosciuta, menzionata nell’atto di

CONSOB

Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 di cui appena sopra;
il verbale ispettivo degli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia presso ADVANCE SIM S.p.A. nel periodo 22/10/2018-21/12/2018;
la richiesta di collaborazione ispettiva trasmessa da Consob a Banca d’Italia in data 22.11.2018, al momento non nota;
il riscontro a tale richiesta da parte di Banca d’Italia in data 13.06.2019, al momento non noto

nonché per la condanna ex artt. 30 e 34, c. 1 lett. c c.p.a.

all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente, e al risarcimento dei danni subiti e subendi con espressa riserva di dedurre, specificare, quantificare e provare in corso di causa i danni subiti e subendi.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da GROSSO MASSIMO il 27\12\2019 :

per l’annullamento

- del decreto Prot. DT 67900 - 03/07/2019 del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento del Tesoro Direzione IV a firma del Dirigente Generale con cui “è revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla “Advance SIM S.p.A.”, con sede in Milano e la stessa è posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni” (doc. 1);

- dell’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0848868/19 del 05/07/2019 avente ad oggetto “Advance SIM in l.c.a. - Nomina degli Organi liquidatori” (doc. 2);

- del verbale del 9 luglio 2019 di presa in consegna dell’azienda da parte degli organi di ADVANCE SIM S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa (doc. 3)

- di tutti gli atti precedenti, conseguenti e connessi, ancorché non conosciuti, tra i quali in particolare: l’atto di Banca d’Italia - Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi - Divisione Liquidazioni Prot. N. 0745246/19 del 11/06/2019 avente ad oggetto “Advance SIM (MI). Proposta di liquidazione coatta amministrativa” (doc. 4);
l’atto di CONSOB - Divisione Intermediari - Ufficio di Vigilanza Imprese di Investimento Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 avente ad oggetto “ADVANCE SIM S.p.A. – riscontro alla richiesta del 12 giugno 2019. Proposta di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998” (doc. 5);
la nota del 12 giugno 2019 prot. n. 0338590/19 trasmessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a Consob, menzionata nell’atto di

CONSOB

Prot. 0373752/19 del 27/06/2019 di cui appena sopra;
il verbale ispettivo degli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia presso ADVANCE SIM S.p.A. nel periodo 22/10/2018-21/12/2018;
la richiesta di collaborazione ispettiva trasmessa da Consob a Banca d’Italia in data 22.11.2018, al momento non nota;
il riscontro a tale richiesta da parte di Banca d’Italia in data 13.06.2019, al momento non noto

nonché per la condanna ex artt. 30 e 34, c. 1 lett. c c.p.a.

all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente, e al risarcimento dei danni subiti e subendi con espressa riserva di dedurre, specificare, quantificare e provare in corso di causa i danni subiti e subendi.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa e di Banca d'Italia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2021 - svolta ai sensi degli artt. 25 d.l. n. 137/2020 e 4 d.l. n. 28/2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13/03/2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa - la dott.ssa O F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, già amministratore ed azionista di Advance Sim s.p.a ora in l.c.a., ha chiesto al Tribunale di annullare a) il decreto del 3.07.2019 del Ministero dell’Economia e delle Finanze con cui era stata revocata alla predetta società l’autorizzazione all’esercizio dell’attività e la medesima Advance Sim s.p.a. era stata posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57 comma 1 del d.lgs. n. 58/1998, b) l’atto della Banca d’Italia del 5.07.2019 di nomina degli Organi liquidatori, c) il verbale del 9.07.2019 di presa in consegna dell’azienda da parte degli organi di Advance Sim s.p.a. in l.c.a., d) tutti gli atti precedenti, conseguenti e connessi, tra i quali, in particolare, la proposta dell’11.06.2019 della Banca d’Italia relativa alla messa in l.c.a. della Sim, il riscontro della Consob del 27.06.2019, la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 12.06.2019, il verbale ispettivo degli accertamenti compiuti dalla Banca d’Italia nel periodo 22.10.2018 – 21.12.2018.

Con il medesimo atto il ricorrente ha anche chiesto al Tribunale l’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la sua situazione giuridica, nonché la condanna dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni cagionati.

A sostegno delle sue domande, il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) con riferimento al decreto del MEF, incompetenza dell’organo che aveva emanato l’atto;
2) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per motivazione incongrua, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 e dell’art. 57 del d.lgs. n. 58/1998, difetto di contraddittorio, difetto di istruttoria e dei presupposti per l’adozione dell’atto;
3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 58/1998 e dell’art. 3 l.n. 241/1990, genericità e non specificità del provvedimento, violazione e/o falsa applicazione dei principi generali di cui agli artt. 97 e 113 Cost. e del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.;
4) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs n. 58/1998, eccesso di potere per travisamento in fatto e in diritto, violazione del principio di proporzionalità;
5) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 4 del Regolamento della Banca d’Italia e del relativo allegato, del Protocollo d’intesa Banca d’Italia – Consob ex art. 5 c. 5 d.lgs. n. 58/1998, eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà manifeste;
6) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. n. 58/1998, violazione del principio del contraddittorio, violazione e/o falsa applicazione del Regolamento di Banca d’Italia in materia di vigilanza (provv. 25.06.2008);
7) infondatezza, insussistenza, erroneità e illogicità dei presupposti per l’applicazione dell’art. 57 comma 1 TUF, nonché contraddittorietà, eccesso di potere e ingiustizia manifesta.

Si sono costituiti in giudizio la Banca d’Italia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Consob, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità e, nel merito, in ogni caso, l’infondatezza del ricorso.

Con atti depositati il 9.12.2019 e il 27.12.2019 il ricorrente ha formulato motivi aggiunti contro gli atti del procedimento conosciuti a seguito dell’esercizio del diritto di accesso.

Nella memoria depositata il 14.02.2021 il ricorrente ha dichiarato “di rinunciare … all’istanza risarcitoria formulata, con riserva di riproporla in apposito e separato giudizio”.

All’udienza pubblica del 3.03.3021 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente, amministratore della Advance Sim s.p.a. – società di intermediazione mobiliare autorizzata ai servizi di investimento, di collocamento, gestione, consulenza, ricezione e trasmissione ordini (RTO) - fino all’adozione del provvedimento di messa in l.c.a. della società, nonché azionista della predetta Sim, con partecipazione sociale pari al 6,67 %, ha dedotto: a) che, nel periodo in cui era intervenuta la revoca dell’autorizzazione, l’operatività della Sim poteva dirsi concentrata principalmente sul servizio di collocamento e sui servizi di finanza straordinaria d’impresa tipici dell’investment banking, essendo la Advance anche abilitata da Borsa Italiana allo svolgimento del ruolo di Nominated Advisor per la quotazione delle società al Mercato AIM Italia, generando al 31.12.2018 il 95% dei suoi ricavi proprio in tali ambiti;
b) che solo in via residuale, per il restante 5% dei ricavi, la predetta Sim aveva proseguito la sua attività di prestazione di servizi di investimento dedicati al patrimonio di terzi, che aveva svolto anche prima dell’ingresso della nuova compagine proprietaria di cui lui faceva parte, decidendo, anzi l’interruzione di tali servizi al 31.03.2019;
c) che la società era stata sottoposta dal 22.10.2018 al 21.12.2018 ad accertamenti ispettivi da parte della Banca d’Italia;
d) che, nonostante un andamento “assai positivo sia in termini assoluti, sia in rapporto agli anni precedenti” ed il fatto che l’attività considerata irregolare dagli organi di Vigilanza - ossia quella di gestione individuale di portafogli e consulenza - quotasse meno del 10% dell’intera attività e fosse stata da tempo abbandonata e che il percorso intrapreso per il riposizionamento dei servizi core e per l’irrobustimento del sistema di governance e di controllo fosse a buon punto, la società era stata inaspettatamente destinataria di un provvedimento di messa in l.c.a. a causa di “irregolarità e violazioni (che) per il loro carattere di eccezionale gravità… (avrebbero indicato) che il complessivo contesto aziendale non (sarebbe stato) compatibile con l’esigenza di assicurare i canoni della sana e prudente gestione, anche sotto il profilo patrimoniale, ed (avrebbero escluso) qualunque prospettiva di ordinaria prosecuzione dell’attività, rendendo necessario l’immediato avvio di un processo liquidatorio”;
e) che mai una Sim di dimensioni così modeste come la Advance avrebbe potuto determinare un pregiudizio al mercato dei capitali o ai clienti, essendo gli investimenti di questi ultimi comunque nettamente separati dal suo patrimonio, senza alcuna commistione.

Alla luce di tali circostanze, il ricorrente ha lamentato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati e, in primo luogo, del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non avrebbe dovuto, a suo dire, essere adottato dal Dirigente Generale, ma dal Ministro e, soprattutto, non sarebbe stato preceduto da alcuna autonoma istruttoria da parte dell’Amministrazione, “appiattitasi” sulla valutazione fatta dalla Banca d’Italia.

Il decreto di revoca dell’autorizzazione e di messa in l.c.a. non avrebbe, poi, tenuto in alcun conto le rilevanti modifiche alla situazione della società rispetto a quella ritratta mesi prima dagli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia e, soprattutto, le azioni poste in atto dalla Sim per superare le criticità contestatele, quali la chiusura dei servizi di gestione patrimoniale e di consulenza, l’implementazione delle procedure e dei presidi interni, l’adeguamento al rinnovato quadro normativo MiFID II ed il continuo monitoraggio delle attività correlate al default del titolo Energy Lab e alle problematiche insorte con Cosvig.

Né il decreto del Ministero dell’Economia e Finanze né la proposta della Banca d’Italia avrebbero indicato, poi, le fonti normative delle violazioni all’origine degli addebiti, né le fonti documentali poste a fondamento delle contestazioni, in violazione delle regole basilari che governano l’azione amministrativa e che discendono dai principi generali di buon andamento, imparzialità e trasparenza della p.a.

Nei suddetti provvedimenti non vi sarebbe stata traccia neppure della valutazione di adeguatezza al caso di specie della misura della messa in l.c.a. e del necessario preventivo vaglio della praticabilità di altre misure di prevenzione e di gestione della crisi meno afflittive, in grado di tutelare l’interesse pubblico, ma anche di preservare l’operatività aziendale ed il valore economico del capitale, come la rimozione dei soli componenti degli organi di amministrazione e controllo ex art. 56 – bis del TUF o l’amministrazione straordinaria di cui all’art. 56 TUF.

Quanto al procedimento seguito dalla Banca d’Italia e dalla Consob, rispettivamente nella proposta e nelle osservazioni inviate al MEF, le due Autorità di vigilanza non avrebbero rispettato le disposizioni relative ai termini di durata dell’iter procedimentale, alla comunicazione di avvio dello stesso, all’obbligo di consegna del verbale ispettivo e al principio del contraddittorio, pretermettendo ogni interlocuzione con i diretti interessati, nonché, come evidenziato, alla specificità degli atti per mancata indicazione delle norme ritenute violate.

Il ricorrente ha, poi, prospettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 comma 3 del d.lgs. n. 385/1993 ed eventualmente, dell’art. 57 del d.lgs. n. 58/1998 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui tali norme inibiscono qualsiasi forma di partecipazione e di contraddittorio agli interessati prima dell’insediamento del Commissario liquidatore, ossia quando la l.c.a. - provvedimento che incide profondamente sulla sfera giuridica degli ex amministratori e degli azionisti, con danni di estrema gravità in parte irreparabili - sia stata già disposta.

Quanto alla sussistenza dei presupposti per la revoca dell’autorizzazione e per la l.c.a., secondo il ricorrente le condizioni indicate dagli artt. 57 comma 1 e 56 TUF – irregolarità nell’amministrazione, violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie e perdite del patrimonio - non sarebbero state previste dalla legge come alternative e, per condurre alla l.c.a., (che rappresenta la misura più grave e un provvedimento di carattere eccezionale rispetto all’amministrazione straordinaria) avrebbero dovuto coesistere, nel senso di richiedere necessariamente, oltre alle irregolarità o alle violazioni, il requisito delle perdite, che avrebbero dovuto essere, per di più, definitive ed irrimediabili e, dunque, tali da determinare una grave inadeguatezza delle risorse economiche della società rispetto all’ammontare delle obbligazioni assunte e dei rischi connessi all’operatività della società.

Nel caso di specie, invece, il presupposto delle perdite sarebbe mancato, poiché “gli esiti degli accertamenti ispettivi unitamente alle valutazioni di vigilanza… (sarebbero risultati) infondati o erronei…”, così come non sarebbero stati ravvisabili neppure gli altri elementi delle irregolarità e delle violazioni e della eccezionale gravità degli addebiti.

Da un lato, la Sim non avrebbe subito al 31.12.2018 nessuna grave perdita patrimoniale attuale, né, tantomeno, una riduzione dei fondi propri al di sotto dei requisiti prudenziali e il “rischio contenzioso” non avrebbe potuto tradursi nel concetto di “perdita potenziale”, né costituire un elemento negativo dei fondi propri, come ritenuto dall’Autorità di vigilanza;
dall’altro lato, non sarebbero esistite in concreto le violazioni e le irregolarità contestate dalla Banca d’Italia, comunque tutte riguardanti esclusivamente il settore dei servizi di investimento della gestione individuale e della consulenza e, dunque, un’attività divenuta marginale e poi addirittura sospesa dalla società.

Quanto al preteso mancato rispetto della normativa antiriciclaggio, il ricorrente ha precisato che i 12 clienti che non sarebbero risultati censiti non sarebbero stati, in realtà, clienti della Sim, ma di altra società, avendo soltanto avviato con la Advance interlocuzioni preliminari in vista dell’instaurazione di un rapporto di investimento.

Anche le contestazioni svolte dalla Banca d’Italia in rapporto alle criticità nell’acquisizione fuori sede della clientela sarebbero state del tutto generiche e infondate, non avendo l’attività dell’offerta fuori sede posta in essere dal consulente della Sim prodotto l’acquisizione di alcun cliente.

Alla luce delle attività intraprese dalla società subito dopo la conclusione dell’ispezione per il superamento delle carenze rilevate dalle funzioni di controllo e dei risultati conseguiti nel primo trimestre 2019 - che avrebbero permesso di considerare riassorbita la precedente situazione di (eventuale) deficit patrimoniale (in ogni caso assai modesto) - sarebbe, infine, mancato l’ultimo fondamentale presupposto per l’applicazione dell’art. 57 comma 1 TUF: la eccezionale gravità delle irregolarità amministrative, delle violazioni di legge, ovvero delle perdite patrimoniali, segnale inequivocabile della natura irreversibile della crisi aziendale.

Premessa l’infondatezza del primo dei motivi articolati dal ricorrente in relazione alla pretesa incompetenza del Dirigente firmatario dell’atto ad adottare il decreto che ha disposto la l.c.a. della Sim, poiché il DM 17 luglio 2014 (Individuazione e attribuzioni degli Uffici di livello dirigenziale non generale dei Dipartimenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze) prevede l’attribuzione al Dipartimento del Tesoro – Direzione IV Ufficio VIII della competenza, tra l’altro, sui provvedimenti da adottarsi da parte del Ministero dell’Economia e delle finanze in caso di crisi di banche, intermediari finanziari, imprese d’investimento e società di gestione del risparmio, e poichè manca, in realtà, una disposizione di legge che riservi espressamente tale tipologia di provvedimenti al Ministro, in seguito ad una approfondita analisi della complessa documentazione in atti, le doglianze svolte dal ricorrente in rapporto all’insufficienza della motivazione degli atti impugnati ed alla violazione del principio di proporzionalità devono essere, invece, riconosciute in parte fondate e meritevoli di accoglimento nei termini di seguito illustrati.

Per un più efficace esame delle questioni al centro della presente controversia occorre, però, ricostruire in via preliminare il quadro normativo nel quale i provvedimenti impugnati vanno ad inserirsi.

In materia di disciplina della crisi degli intermediari finanziari, mentre gli artt. 56 e 56 bis del d.lgs. n. 58/1998 stabiliscono che “1. La Banca d'Italia, di propria iniziativa o su proposta formulata dalla Consob nell'ambito delle sue competenze, può disporre lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle Sicaf quando: a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività sempre che gli interventi indicati dagli articoli 55-quinquies o 56-bis, ove applicabili, non siano sufficienti per porre rimedio alla situazione;
b) siano previste gravi perdite del patrimonio della società;
c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi o dall'assemblea straordinaria ovvero dal commissario nominato ai sensi dell'(articolo 7-sexies)” (art. 56 Amministrazione straordinaria), e che “1. La Banca d'Italia (sentita la Consob) può disporre la rimozione di tutti i componenti degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle relative società capogruppo, al ricorrere dei presupposti indicati all'articolo 56, comma 1, lettera a)…” (Art. 56-bis Rimozione collettiva dei componenti degli organi di amministrazione e controllo”), il successivo art 57 applicato dall’Amministrazione nel caso di specie, si occupa della “liquidazione coatta amministrativa”, prevedendo che “1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, su proposta della Banca d'Italia o della CONSOB, ciascuna per le materie di propria competenza, può disporre con decreto la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività e la liquidazione coatta amministrativa delle SIM, delle società di gestione del risparmio e delle SICAV, anche quando ne sia in corso l'amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, qualora le irregolarità nell'amministrazione ovvero le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall'articolo 56 siano di eccezionale gravità”.

Dalle suddette norme si comprende come l’applicazione della l.c.a. nel caso delle Sim (come anche di altri soggetti rilevanti in campo economico-finanziario, come quelli bancari o assicurativi) possa essere disposta non solo in caso di crisi economica o finanziaria dell’impresa, ad esempio di grave squilibrio patrimoniale legato all’eccedenza delle passività sulle attività, bensì anche al ricorrere di una varietà di altri presupposti di natura eterogenea, quali le gravi irregolarità della gestione o le cosiddette “crisi di legalità” (cfr. «qualora le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie […] siano di eccezionale gravità») e, dunque, in caso di sussistenza, comunque, di un interesse pubblico - come tale riconosciuto e valutato dall’autorità amministrativa di riferimento, preposta al controllo di vigilanza sull’attività in questione - alla soppressione ed eliminazione dal mercato dell’impresa, per via appunto della sua coatta liquidazione.

Quest’ultimo fine, a ben vedere, è del resto quel che accomuna, unitamente al rilievo dell’impresa in questione per l’interesse generale, le diverse ipotesi di applicazione della l.c.a. previste dall’ordinamento, (per Sim, banche, imprese di assicurazione ecc.) nel senso del profilarsi e della conseguente attuazione coattiva dell’interesse pubblicistico alla estinzione dell’impresa, poiché reputata non più idonea (in quanto insolvente o non patrimonialmente adeguata o ancora perché irregolarmente gestita) o comunque non più coerente rispetto a quelle stesse istanze di natura generale e sistemica coinvolte dal suo perdurante esercizio;
una estinzione in ordine alla quale l’applicazione di regole di concorsualità - quelle stesse dichiarate inderogabili dall’art. 194 l. fall., e che fanno della l.c.a una procedura a pieno titolo concorsuale – nel recepimento e soddisfacimento delle pretese dei terzi creditori, funge non già da obiettivo, bensì da modalità inderogabile di attuazione della procedura, al fine estintivo che essenzialmente e funzionalmente la connota.

Visto tale carattere “definitivo” ed “estintivo” nel senso proprio, di eliminazione del soggetto giuridico-economico dal sistema, della misura della l.c.a., dalla documentazione in atti, e principalmente dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla proposta della Banca d’Italia avrebbe dovuto emergere una valutazione d’insieme effettuata dall’Amministrazione circa le ragioni assolutamente preclusive al mantenimento dell’attività aziendale, tenuto conto delle violazioni riscontrate e degli effetti da esse scaturenti, congiuntamente ad un giudizio di insufficienza e di inidoneità, (o almeno un attento vaglio) degli altri strumenti messi a disposizione dall’ordinamento per il caso di crisi di imprese così particolari come le Sim.

L’Amministrazione avrebbe, in breve, dovuto dar conto del perché ritenesse impossibile aspettarsi un superamento delle criticità rilevate dall’Autorità di Vigilanza, nonostante le plurime misure adottate dalla Sim per far fronte alle carenze, alle disfunzioni e alle illegittimità segnalate e nonostante le altre peculiari circostanze caratterizzanti il caso di specie, e non limitarsi apoditticamente ad affermare la “eccezionale gravità” delle irregolarità nell'amministrazione ovvero delle violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o delle perdite;
ciò, sia per le caratteristiche specifiche del sistema delle misure appena illustrate, previste nel TUF con una crescente “incidenza” sugli organi, sul funzionamento e sull’esistenza stessa dei soggetti economici, per fronteggiare con strumenti calibrati di volta in volta sulla gravità delle varie situazioni la crisi delle imprese finanziarie, sia per il principio di portata, in realtà, generale per cui “gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione deve realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all’obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere” (Cons. Stato, Sez. VI, 18/9/18, n. 5454;
TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 3/02/2021 n. 1386).

Il suddetto principio di proporzionalità è espressione di un canone di giustizia sostanziale che permea tutto l’ordinamento e riguarda plurime branche del diritto, modificando in parte la sua natura, presupposti e ratio in base al settore di riferimento.

Nel diritto penale e nel diritto amministrativo cd. “punitivo” – con principi valevoli per qualsiasi atto incidente negativamente sulle posizioni dei singoli - la proporzionalità ha modo di manifestarsi nel rapporto che esiste fra l’illecito e l’adeguatezza\congruità della sanzione sia in astratto con riguardo alla “forbice edittale” e, quindi, in ordine al suo minimo e al suo massimo, sia in concreto, con la determinazione della sanzione di volta in volta comminata per la singola violazione, nel rispetto dei principi di legalità sostanziale, colpevolezza e funzione rieducativa della pena ex art. 27 Cost., art. 7 CEDU e art. 41 Carta di Nizza.

Nel diritto europeo e nel diritto amministrativo più generale, il principio di proporzionalità assume poi una accezione ristretta ex art. 5 T.U.E. e un significato più ampio ex art. 41 Carta di Nizza.

La prima rivolge i suoi effetti verso gli organi europei limitando il potere di legislazione dell’Unione Europea solo alle materie ad essa attribuite e nel rispetto dei canoni del minimo mezzo e della sussidiarietà verticale, cosicchè l’azione legislativa dell’Unione Europea è giustificata, congrua e proporzionale quando gli obiettivi prefissati dalla stessa non possono essere raggiunti mediante l’intervento dei singoli Stati membri (come avvenuto in numerosi settori strategici quali il libero mercato, la circolazione di merci, persone e capitali per i quali è necessario stabilire regole uniformi funzionali ad una ottimale integrazione e collaborazione fra gli Stati) mentre quando gli obiettivi prefissati dall’U.E. possono essere raggiunti autonomamente dalle Nazioni, vige il principio di sussidiarietà verticale, il quale impone che ad operare sia l’ente più vicino al cittadino, con l’importante precisazione che questi dovrà operare in conformità agli obiettivi prefissati anche alla luce del principio di leale collaborazione.

Ben diversi sono i presupposti e l’operatività del principio di proporzionalità sancito implicitamente nell’art. 41 della Carta di Nizza, intitolato “Diritto ad una buona amministrazione”, secondo cui ogni cittadino ha diritto che le questioni che lo riguardino siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole con l’ulteriore obbligo di motivare le proprie decisioni.

Secondo la Corte di Giustizia l’art. 41 della Carta di Nizza riguarda non solo gli organi dell’Unione, ma anche i singoli Stati centrali e le sue diramazioni periferiche;
questi, devono agire nell’ottica del migliore perseguimento dell’interesse pubblico con il minore sacrificio in capo al privato. Inoltre, la stessa Corte di Giustizia ha precisato che il principio di proporzionalità in senso “ampio” enuclea tre criteri che devono orientare l’azione amministrativa ovvero: l’idoneità intesa come la capacità del provvedimento a raggiungere “astrattamente” lo scopo prefissato;
la necessarietà, quale declinazione del principio del minimo mezzo, secondo cui l’atto adottato deve essere il più idoneo a tutelare l’interesse pubblico;
l’adeguatezza\proporzionalità in senso stretto, per la quale l’atto deve comportare il minor sacrificio per il privato.

Prima del Trattato di Lisbona, la giurisprudenza e dottrina amministrativa utilizzavano il concetto di proporzionalità come sinonimo di ragionevolezza dell’azione amministrativa ovvero come limite alla discrezionalità dell’azione pubblica sotto il profilo della logicità e congruenza in astratto. Quindi, il canone di ragionevolezza\proporzionalità riguardava la “qualità” di potere speso nel procedimento amministrativo.

Tuttavia, dal Trattato di Lisbona in poi, l’art. 41 della Carta di Nizza e la sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, hanno portato la giurisprudenza e la dottrina a differenziare il principio di ragionevolezza da quello di proporzionalità. Difatti, quest’ultima non atteneva più alla “qualità” del potere utilizzato ma alla “quantità” volgendo lo sguardo al provvedimento e non anche al procedimento a monte.

La giurisprudenza amministrativa ha delineato con accuratezza il contenuto e l’ambito operativo del canone della proporzionalità nell’ottica del concreto bilanciamento fra interesse pubblico ed interessi privati. In particolare, è stato precisato che, mentre la ragionevolezza riguarda la logicità e congruità dell’azione amministrativa in “astratto”, la proporzionalità riguarda il concreto ed effettivo bilanciamento degli anzidetti interessi nell’ottica del minor sacrifico per il privato, in particolar modo, nel settore delle sanzioni amministrative punitive, nei provvedimenti ablatori e anche in provvedimenti, come quello oggetto di causa, che vanno ad incidere direttamente sulla sorte dei soggetti economico-finanziari nel mercato.

Ancora, la ragionevolezza dell’atto amministrativo si evince principalmente dall’istruttoria del procedimento e della valutazione dei presupposti di fatto e di diritto;
viceversa, la proporzionalità attiene più precisamente alla motivazione del provvedimento finale dal quale emerge la sintesi degli interessi coinvolti e la pervasività del potere speso dall’organo procedente.

Oltretutto, è stata sottolineato che la concretezza del principio di proporzionalità derivi proprio dai requisiti di idoneità, necessarietà ed adeguatezza che riguardano il modo in cui il provvedimento produce i suoi effetti nei confronti di determinati cittadini. In quest’ottica, il giudice amministrativo presterà attenzione a quanto potere è stato speso dalla P.A. per raggiungere l’interesse pubblico a danno del privato, valutando l’indispensabilità di quel provvedimento e se l’amministrazione avrebbe potuto adottare un provvedimento meno lesivo per l’interesse del privato (cfr. Cons. St. Sez. IV, 26.02.2015 n. 964)

Dal punto di vista applicativo, la violazione sia della ragionevolezza che della proporzionalità comporta l’annullabilità per eccesso di potere che dovrà condurre l’Amministrazione ad adottare se del caso un nuovo provvedimento integrando la motivazione o rendendola più congrua e logica da un lato e dall’altro adottando valutazioni e scelte idonee al perseguimento dell’interesse pubblico ma contemporaneamente meno penalizzanti o pregiudizievoli possibili per gli altri interessi coinvolti, pubblici o privati

Nel diritto amministrativo prima del Trattato di Lisbona, la giurisprudenza utilizzava indifferentemente i termini “ragionevolezza” e “proporzionalità” quali parametri per sindacare, in astratto, l’illogicità e la contraddittorietà dell’atto amministrativo. Solo a seguito dell’efficacia diretta dell’art. 41 della Carta di Nizza, come detto, e tramite l’art. 1 della l. 241/90, i predetti principi hanno assunto dei tratti identificativi ben distinti, costituendo due pilastri fondamentali del nostro ordinamento giuridico che presidiano ad ampio spettro i diritti del cittadino avverso gli abusi del potere legislativo o del potere esecutivo. Essi, non sono altro che frutto di un sentimento intercomunitario di giustizia sostanziale del quale il giurista, prima di ogni altro, si deve fare interprete tramite le guarentigie del giusto processo, del diritto di difesa, di non discriminazione ed effettività della tutela ex artt. 3, 24 Cost., art. 6, 7 CEDU ed art. 41 della Carta di Nizza.

Come efficacemente sintetizzato dal Consiglio di Stato in un’altra significativa decisione sul tema,

il principio di proporzionalità va inteso “nella sua accezione etimologica …da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale” (Consiglio di Stato, sezione V, 21 gennaio 2015, n. 284).

Proprio alla luce del così delineato principio di proporzionalità che permea l’intero ordinamento,

pur non potendo accogliere la lettura dell’art. 57 TUF proposta dal ricorrente in relazione alla necessaria co-sussistenza, per l’assunzione di una valida determinazione di messa l.c.a. da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del requisito delle perdite congiunto ad uno degli altri due requisiti previsti dalla norma (irregolarità o violazioni) – in quanto contrastante con il dettato letterale della disposizione, che enuncia i tre presupposti collegati dalla congiunzione disgiuntiva “o” - e condividendo, invece, a pieno il principio per cui la motivazione di un atto può essere anche “ob relationem”, e dunque consistere anche in uno specifico richiamo alla proposta della Banca d'Italia, allorché il Ministero ritenga di farla propria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012, nr. 6583), senza peraltro la necessità di enunciazione specifica delle singole norme violate - rilevando soltanto che siano individuate in modo chiaro e preciso condotte o circostanze di fatto contrastanti con una sana gestione dell'istituto di credito (e, difatti, la circostanza che la norma faccia riferimento anche all'ipotesi di violazione di disposizioni "amministrative o statutarie" rende abbastanza chiaro che può trattarsi anche di disposizioni meramente interne, relative alle regole di gestione del credito e di conduzione dell'istituto) – questo Tribunale non può, però, condividere la tesi, affermata in verità più volte in dottrina e giurisprudenza, circa l’inconfigurabilità della normativa dettata dal TUF come un "sistema" di misure più o meno afflittive e circa l’impossibilità di far uso degli strumenti previsti all’interno di esso secondo un criterio di gradualità rispetto alle violazioni e irregolarità riscontrate, in modo tale da imporre una motivazione ad hoc, quanto meno nell’ipotesi “capitale” della messa in l.c.a., in ordine alla inevitabilità di tale misura estrema ed alla non idoneità o insufficienza di misure meno gravose, secondo una valutazione da rapportare – secondo un coerente nesso di conseguenzialità - alle criticità riscontrate in esito agli accertamenti ispettivi, specie nelle ipotesi in cui, come avviene nella fattispecie in esame, le criticità rilevate non appaiano di incidenza tale da non consentire la rimozione delle irregolarità e, dunque, la permanenza del soggetto sul mercato.

Tale profilo non risulta, invero, esaustivamente affrontato né nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, né nella proposta della Banca d’Italia, né, infine, in alcuno dei numerosi atti (ispettivi e non) prodotti in giudizio, con la conseguenza di un grave vulnus motivazionale che non può non inficiare la legittimità dei provvedimenti impugnati.

Occorre evidenziare al riguardo che, nel caso de quo, il suddetto onere motivazionale si atteggiava come particolarmente importante e gravoso per una serie di ragioni sia “intrinseche”, cioè irrimediabilmente connesse alla natura della funzione e del potere esercitato, sia “contingenti”, cioè legate alle natura delle circostanze emerse nel corso dell’ispezione e successivamente, per effetto delle contestazioni mosse dall’Autorità di vigilanza e delle condotte assunte dalla Sim e degli elementi da essa evidenziati.

Da un lato, nel caso in questione, vengono in rilievo, prima di tutto, l’esercizio della discrezionalità tecnica dell’Autorità di Vigilanza che è deputata dal legislatore a valutare, in base alle sue competenze specialistiche, la correttezza dell’attività degli operatori economici nel mercato, ma anche l’esplicazione di un’ampia discrezionalità propriamente amministrativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che “può” disporre con proprio decreto la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività e la liquidazione coatta amministrativa delle SIM, scegliendo, così, di adottare una misura gravissima e “definitiva” per l’esistenza stessa della società interessata.

Tali determinazioni, per ragioni diverse, risultano sindacabili in sede di giurisdizione di legittimità nei limiti in cui diano luogo ad esiti abnormi, ovvero illogici, per incoerenza interna ovvero per incoerenza con i dati di fatto e non certo sotto i profili del “merito” (tecnico o amministrativo) che comporterebbe un’inammissibile sostituzione del Giudice alle prerogative dell’Amministrazione;
i suddetti atti, però, risultano effettivamente ed efficacemente esaminabili in punto di legittimità soltanto qualora contengano un’esaustiva motivazione che non renda “impossibile a chi non abbia egli stesso compiuto la relativa istruttoria comprendere le ragioni del giudizio” in essi espresso (cfr. Cons. St. Sez. VI, 25.11.2019 n. 8017).

Tale riflessione è efficacemente sintetizzata in numerose pronunce del Consiglio di Stato, che evidenziano la “premessa logica, prima che giuridica” che rende possibile il controllo di legittimità affidato al Giudice amministrativo: “il carattere abnorme, o comunque illogico, del ragionamento contenuto in un provvedimento amministrativo si può apprezzare, se del caso con l’ausilio di un tecnico, solo se nel provvedimento in questione il ragionamento effettivamente si può rinvenire. In altre parole, il provvedimento deve dare adeguato conto delle premesse di fatto dalle quali è partito, spiegando da quali atti esse risultino, esporre il percorso logico seguito per confermarle o criticarle, con le regole applicate, ove esse non siano immediatamente evidenti, e spiegare la conclusione cui ha ritenuto di arrivare. Solo in questo modo, si soddisfa il requisito fondamentale di ogni ragionamento logico scientifico, ovvero la sua ripetibilità, ed eventuale falsificabilità, da parte di un osservatore esterno, sia esso la parte che ne è destinataria, ovvero il Giudice chiamato a sindacarlo”. (cfr. Cons St. n. 8017/2019 cit.).

Nel caso di specie pertanto il provvedimento, con riguardo alla sussistenza delle “irregolarità nell’amministrazione ovvero … violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o… perdite … di eccezionale gravità”, avrebbe dovuto partire dagli esiti dell’accertamento ispettivo così come risultanti dalla relazione della Banca d’Italia, evidenziando nel quadro complessivo delle criticità contestate, le ragioni per le quali le problematiche rilevate, anche alla luce dei numerosi elementi e delle precisazioni forniti dalla società interessata, nonché di tutti i fatti successivi, apparivano irrisolte e comunque irrisolvibili, integrando fattispecie dotate, appunto, di un grado eccezionale di gravità e conducendo inevitabilmente all’applicazione della misura più “afflittiva” per un operatore economico-finanziario: la l.c.a.

Viceversa, nei provvedimenti impugnati vengono indicati sì una serie di rilievi in numerosi settori, in rapporto ai servizi di investimento, di gestione patrimoniale e di consulenza, in relazione alla mancanza di un’organizzazione tale da garantire il rispetto della normativa antiriciclaggio e con riguardo alla mancata idonea segnalazione di situazioni di conflitto di interesse, ma tali elementi non sembrano messi in collegamento con il quadro generale della complessa attività svolta dalla società e dal suo “ruolo” nel mercato economico-finanziario;
ciò rende impossibile a chi non abbia egli stesso compiuto la relativa istruttoria comprendere le ragioni del giudizio di “eccezionale gravità” emesso e, conseguentemente, anche dell’esito “fatale” per la società, nel senso che si è esposto.

Dall’altro lato, nell’ipotesi de qua, esistevano, come anticipato, numerosi elementi e circostanze che avrebbero imposto un onere motivazionale “rafforzato”, nonché specifico, che appare non essere stato sufficientemente assolto dall’Amministrazione.

La situazione della Sim in questione anche e proprio in base ai numerosi documenti in atti appare, in verità, priva dei caratteri indicativi in modo inequivoco, di norma, di gravissime irregolarità o di profonda crisi economico finanziaria nonché di elevato rischio per il mercato di riferimento che si rinvengono usualmente alla base dei decreti di messa in l.c.a. e che risultano proprio per la loro significatività e la loro rilevanza in qualche modo “autoevidenti”.

Società di intermediazione mobiliare autorizzata ai servizi di investimento concernenti collocamento, gestione, consulenza, ricezione e trasmissione ordini, la Advance si era via via concentrata sui servizi di finanza straordinaria, riducendo sempre più (circa ad un 5% dei ricavi al 31.12.2018) la prestazione dei servizi di investimento dedicati al patrimonio di terzi (gestione patrimoniale e consulenza in materia di investimenti) ambito cui attengono, come già ricordato, i principali rilievi mossi dall’Autorità di Vigilanza e posti alla base del decreto impugnato.

Tale campo di azione – divenuto già comunque assai modesto tanto da riguardare “meno di 15 contratti di gestione patrimoniale e… una manciata di contratti di consulenza per un patrimonio in gestione/consulenza che, nel suo complesso, non ha mai raggiunto i 30 milioni di €…” risultava essere stato ulteriormente limitato nel corso degli ultimi mesi del 2018 per poi venire definitivamente “chiuso” a far data dal 31.01.2019.

Quanto agli aspetti patrimoniali, la Sim non aveva fatto registrare, alla data del 31.12.2018, alcuna grave perdita né tantomeno una riduzione dei fondi propri al di sotto dei requisiti prudenziali;
le segnalazioni di vigilanza effettuate ai sensi della Circolare 285 della Banca d’Italia alla chiusura dell’esercizio 2018 facevano riferimento ad un ammontare dei fondi propri pari ad euro 1.406.084,00 successivamente rettificato in euro 1.252.000 in ragione della mancata detrazione della perdita di euro 140.000,00 circa subita nell’esercizio stesso, dovuta ad un mero errore materiale, ma il requisito patrimoniale minimo era pari, alla medesima data, ad euro 507.348,00 e le esigenze di accantonamento a fronte dei reclami della clientela, poste dalla Banca d’Italia tra le criticità riscontrate non avrebbero potuto comunque mai intaccare il capitale sociale minimo (corrispondente all’importo di € 385.000).

Quanto ai “ripetuti richiami” che sarebbero stati rivolti alla Società dalla Banca d’Italia prima dell’emissione dei pareri sfavorevoli che avevano poi condotto ai provvedimenti impugnati, e che congiuntamente agli altri elementi avrebbero potuto contribuire a dimostrare la inadeguatezza degli strumenti già attivati per la soluzione delle criticità, la parte ricorrente ha precisato che la Sim aveva, in realtà, ricevuto “un’unica comunicazione del 29.06.2018 nella quale l’Autorità (le aveva)… chiesto chiarimenti in merito a due temi specifici (gestione/consulenza patrimoni;
default dell’obbligazione Energy Lab)” ed alla quale essa aveva “risposto con una nota del 31.07.2018 … corredata da un Piano di Attività e da due allegati sul titolo Energy Lab…(esprimendo) chiaramente la disponibilità…ad interloquire … per qualsiasi necessità di chiarimento”, senza ricevere però in risposta “alcuna indicazione, tanto meno critica rispetto ai contenuti della stessa da parte dell’Autorità”.

Quanto alle problematiche connesse alle operazioni poste in essere in conflitto di interesse, esse apparivano aver riguardato, in ogni caso, una minima parte dell’attività della Sim (quella di consulenza man mano diminuita e poi definitivamente cessata) e un numero di clienti ed un ammontare di masse in gestione in assoluto assai modesti.

Infine, l’attività cd “fuori sede” del consulente finanziario non aveva fatto registrare nessuna manifestazione esterna in termini di acquisizione di clienti e le condotte che avevano integrato violazioni della normativa antiriciclaggio erano, in realtà, connesse al fatto che i soggetti coinvolti nella mancata registrazione e acquisizione delle informazioni non erano ancora divenuti clienti della Sim.

Proprio alla luce di queste circostanze peculiari, almeno apparentemente non univoche, prima di addivenire alla determinazione di messa in l.c.a. della Sim e, dunque, alla decisione di extrema ratio che avrebbe condotto alla sua estinzione, l’Amministrazione avrebbe quindi dovuto escludere che le pur “eccezionalmente gravi” violazioni/irregolarità/perdite fossero rimediabili tramite gli strumenti meno afflittivi messi a disposizione dall’ordinamento, contraddistinti da effetti meno “drastici” e definitivi sull’esistenza della società.

Di tali valutazioni non si rinviene traccia nel decreto di l.c.a. e nemmeno nella proposta della Banca d’Italia, dovendosi, quindi, riconoscere fondata, come anticipato, una delle principali censure svolte dalla ricorrente, in relazione al fatto che “il MEF non …(abbia) svolto alcuna autonoma valutazione, evidentemente dando per scontato che la proposta di l.c.a. trovasse effettiva giustificazione” e che “Banca d’Italia, dal canto suo, si (sia)… limitata ad assumere che gli addebiti elevati nei confronti della Sim fossero di eccezionale gravità…(senza però aver) speso una sola parola per dimostrare l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure proposte…”

I rilievi critici dell’Autorità di Vigilanza avevano riguardato, come anticipato, principalmente l’attività di investimento svolta dalla Sim, l’organizzazione aziendale non in linea con la normativa antiriciclaggio, il compimento di operazioni in conflitto di interessi, alcune criticità patrimoniali cagionate dall’apertura di alcuni contenziosi al riguardo e alcune ipotesi di “opacità” determinate dalla commistione delle attività esercitate con alcuni interessi proprietari non sempre esplicitati.

Il primo elemento che emerge dagli atti, puntualmente evidenziato dalla ricorrente fin dal ricorso introduttivo, è il fatto che i servizi di investimento sui quali si erano appuntate le critiche della Banca d’Italia rappresentavano, già al momento della conclusione degli accertamenti ispettivi, in realtà, solo la minima parte dell’operatività della Sim. Nel corso del tempo, infatti, la società si era via via concentrata sempre di più sul servizio di collocamento e sui servizi di finanza straordinaria d’impresa tipici dell’investment banking, essendo la Advance anche abilitata da Borsa Italiana allo svolgimento del ruolo di Nominated Advisor per la quotazione delle società al Mercato AIM Italia, generando al 31.12.2018 il 95% dei suoi ricavi proprio in tali ambiti;
quindi, solo in via residuale, per il restante 5% dei ricavi, la predetta Sim aveva proseguito la sua attività di prestazione di servizi di investimento dedicati al patrimonio di terzi, che aveva svolto anche prima dell’ingresso della nuova compagine proprietaria di cui il ricorrente faceva parte.

A tale circostanza devono poi aggiungersi: 1) la considerazione del ruolo assai modesto svolto dalla Sim stessa all’interno del mercato di riferimento, cosicchè essa, con un numero assai esiguo di clienti il cui investimento poteva dirsi in gran parte garantito dal meccanismo della “segregazione” patrimoniale, avrebbe potuto difficilmente porre a rischio la posizione di altri operatori, né tantomeno produrre, con le sue eventuali difficoltà economiche o finanziarie una “reazione a catena”;
2) la constatazione del fatto che le criticità evidenziate dalla Banca d’Italia, così come rappresentate negli atti depositati, appaiono riconducibili essenzialmente all’azione dei vertici della Sim piuttosto che al complessivo andamento societario, con la conseguente concreta possibilità – che avrebbe dovuto quantomeno essere attentamente vagliata dall’Amministrazione– di idoneità e sufficienza dell’adozione di correttivi mirati a dirigerne l’operato, in modo da porre termine alle violazioni, provvedendo, se del caso, anche alla rimozione dei componenti degli organi di amministrazione e controllo ex art. 56 bis TUF o a disporre l’Amministrazione straordinaria per preservare almeno l’operatività aziendale ed il valore economico del capitale.

Dopo la conclusione in senso sfavorevole dell’ispezione della Banca d’Italia la situazione appariva poi, almeno in parte, mutata rispetto a quella registrata nel corso della verifica ispettiva, in quanto la Sim risultava aver messo in atto una serie di azioni per superare le criticità contestatele.

Tali misure non comprendevano soltanto l’implementazione delle procedure e dei presidi interni e, l’adeguamento al rinnovato quadro normativo MiFid II ed il monitoraggio delle attività correlate al default del Titolo Energy Lab e alle problematiche insorte con il cliente Cosvig, ma, soprattutto, la definitiva chiusura al 31.01.2019 e quindi ancor prima della data programmata dalla stessa Sim (31.03.2019), dei servizi di gestione patrimoniale e di consulenza e dunque proprio del settore su cui si erano concentrati i rilievi critici che hanno poi condotto alla proposta di l.c.a.

Anche l’eventuale venir meno del requisito patrimoniale minimo, così come contestato dall’Autorità di Vigilanza a causa dell’esistenza di alcuni contenzioni connessi al conflitto di interessi che avrebbero dovuto essere all’origine di più cospicui accantonamenti rispetto alle somme stimate dalla Sim, è risultato in seguito, dagli atti successivi prodotti in giudizio, assai ridimensionato nella sua rilevanza, nonché nel valore assoluto (pari ad un disavanzo “temporaneo” di circa € 200.000) e dunque anch’esso difficilmente in grado di condurre, anche considerato congiuntamente agli altri elementi, ad una crisi irreversibile della società tale da giustificarne la messa in l.c.a.

Trattasi di interventi correttivi che, pur non incidenti in termini di illegittimità dei gravati provvedimenti, laddove intervenuti successivamente al momento della adozione di questi ultimi, costituiscono, tuttavia, indici sintomatici della non irreversibilità delle criticità riscontrate e della loro suscettibilità ad essere sanate e risolte.

Nessuna incidenza sulla validità dei provvedimenti impugnati possono invece esercitare gli atti adottati ed i procedimenti avviati successivamente alla determinazione di messa in l.c.a. della società, citati dal ricorrente quali “indizi” della non gravità delle condotte contestate o di una contraddittorietà nella valutazione operata in precedenza dall’Amministrazione, oggetto del presente giudizio.

Al riguardo non può che riconoscersi, come affermato dalla difesa della Banca d’Italia, che gli atti o i procedimenti iniziati successivamente all’adozione dei provvedimenti impugnati da altre Autorità corrispondono all’esercizio di ben distinti poteri, caratterizzati da finalità diverse, da propri presupposti e da posizioni soggettive non assimilabili.

Da qui la non pertinenza delle relative argomentazioni all’impugnazione del provvedimento in esame nel presente giudizio, dovuta all’impossibilità di dedurre qualsiasi elemento di contraddittorietà nell’agire dell’Amministrazione da attività poste in essere da diversi soggetti pubblici, ciascuno nell’ambito della sua competenza, posteriori al decreto impugnato e per di più esercitate in ambiti del tutto differenti come quello sanzionatorio o quello delle misure esecutive della liquidazione vera e propria.

Tale precisazione non inficia, però, la constatazione della effettiva mancanza nel decreto e nella proposta impugnati di una specifica motivazione che permetta di comprendere e ricostruire l’iter logico che ha condotto l’Amministrazione (Autorità di Vigilanza e Ministero) a reputare le criticità riscontrate - che anche nel loro complesso ben potevano essere suscettibili, come detto, di valutazioni non univoche - assolutamente preclusive di qualsiasi prosecuzione dell’attività della società e dunque di tale estrema gravità da imporre l’immediato, definitivo avvio del processo liquidatorio nella forma della l.c.a.

Pur dovendosi riconoscere che l’art. 57 TUF prevede una automaticità nell’applicazione della liquidazione coatta amministrativa qualora le irregolarità nell'amministrazione ovvero le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall'articolo 56 siano di ‘eccezionale gravità’, la tenuta costituzionale della norma transita attraverso la necessaria intermediazione del potere amministrativo che dia puntualmente conto del carattere di ‘eccezionale gravità’ delle irregolarità, delle violazioni o delle perdite, che, nel costituire i presupposti legittimanti l’adozione della misura estrema, diano conto, al contempo, della sua inevitabilità in quanto nessuno degli altri rimedi previsti dal TUF sarebbe idoneo al ripristino della sana e prudente gestione consentendo la permanenza sul mercato del soggetto, e ciò sulla base di una valutazione coerentemente conseguenziale rispetto agli esiti dell’istruttoria alla luce dei parametri e dei requisiti la cui verifica costituisce oggetto del potere di vigilanza.

Tale insostituibile giudizio e la sua estrinsecazione in forma di idonea e completa motivazione risultano essere, invece, mancati, come detto, nel caso in questione, sia negli atti dell’Autorità di Vigilanza, sia nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dal quale non emerge nessuna attività ulteriore e specifica di valutazione autonoma rispetto agli atti ricevuti, né alcuna esplicita disamina degli elementi posti a fondamento della proposta di l.c..a. né, infine, un esame analitico della stessa.

Anzi, come efficacemente sottolineato dal ricorrente, dalla lettura degli atti, il provvedimento del MEF appare esattamente “sovrapponibile” a quello della Banca d’Italia, per l’identità delle espressioni utilizzate tra i due testi e ciò starebbe ad indicare che il Ministero si sarebbe, in certa misura, “appiattito” sulle valutazioni dell’Autorità di Vigilanza, senza compierne di proprie.

La tesi di parte ricorrente relativa alla configurabilità se non di un distinto e necessario potere-dovere istruttorio del MEF, almeno di un “riservato” e specifico “spazio discrezionale”, riconosciuto, in verità, all’Amministrazione anche dal Consiglio di Stato in alcune rilevanti decisioni in materia (Cons. St. Sez. IV, 9.02.2015 n. 657;
26.02.2015 n. 966), sembra trovare conforto anche nel dettato letterale, nonché nell’impianto sistematico del d.lgs. n. 58/1998 che, nel caso della l.c.a., a differenza di quanto previsto per le altri strumenti approntati per affrontare la crisi dei soggetti economico-finanziari, stabilisce che non sia la Banca d’Italia ad assumere il provvedimento finale, ma il Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta, appunto, dell’Autorità di vigilanza.

Per conferire un contenuto effettivo a siffatto potere discrezionale in ordine alla scelta di aderire o meno alla proposta formulata dalla Banca d’Italia, occorre, però, postulare che il MEF possa e debba svolgere una propria istruttoria o sia quantomeno messo in condizione di esprimere la sua autonoma valutazione degli atti ricevuti, dando conto, ad esempio, della verifica dell’attualità dei rilievi dell’Autorità di vigilanza e, eventualmente, dell’incidenza dei mutamenti organizzativi, gestionali ed economici nelle more intervenuti sulla situazione dell’interessato rappresentata nelle conclusioni dell’ente proponente.

La necessità di una specifica autonoma ed esplicita motivazione da parte dell’Amministrazione, in primo luogo, in merito alla eccezionale gravità delle criticità riscontrate, all’insufficienza di tutti gli altri strumenti prefigurati dal legislatore nel TUF e della idoneità della sola scelta della misura “capitale” della l.c.a. appare rafforzata non solo, come già più volte evidenziato, dagli effetti sostanziali “definitivi” della liquidazione coatta amministrativa, volta a mettere fine all’attività del soggetto economico all’interno del mercato, ma anche a causa delle peculiari caratteristiche del procedimento che conduce a tale determinazione.

Riguardo ai profili procedimentali, il ricorrente ha lamentato, oltre alla “tardività” del provvedimento per “sforamento” del termine stabilito per la conclusione del procedimento (indicato, in verità, da un lato, in 30 giorni ai sensi della l.n. 241/1990, dall’altro lato, in 90 giorni, in base al Regolamento di vigilanza della Banca d’Italia del 25.06.2008) – da considerarsi, però, soltanto ordinatorio in assenza di diversa e precisa disposizione normativa di senso contrario - anche gravi violazioni del principio del contraddittorio, che avrebbero condotto alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività ed alla messa in l.c.a. senza alcun previo avviso alla Sim e agli altri interessati, neppure informati degli esiti delle verifiche ispettive che li avevano riguardati, né alcuna possibilità per essi di interloquire con l’Autorità di vigilanza o con l’Amministrazione prima dell’adozione da parte di quest’ultima del provvedimento finale “letale” per la società.

L’inapplicabilità in caso di messa in l.c.a. delle garanzie partecipative di cui alla l.n. 241/1990 risulta stabilita dalla legge e deriva per le Sim, attraverso appositi rinvii da parte del TUF, dalle disposizioni previste per le banche dall’art. 80 c. 3 TUB.

Tale regola di esclusione dei diritti partecipativi, pure in presenza di misure così incidenti ed incisive sulla situazione giuridica e sull’esistenza stessa dei soggetti economico-finanziari, si giustifica, come riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente, sia per le banche che per gli altri intermediari come le SIM, in ragione dell’esigenza di mantenere la riservatezza del procedimento insita nella natura stessa di questi provvedimenti a carattere straordinario e dettata dal superiore interesse pubblico alla stabilità dei mercati e, in definitiva, alla tutela del risparmio (cfr. ex multis, TAR Lazio, Roma, 11.07.2018 n. 7718;
Cons. St, 17.03.2014 n. 1306).

In siffatte ipotesi, l’ordinamento, che deve contemperare il diritto di partecipazione e di difesa con tali complesse esigenze di carattere pubblicistico, appare, però, in grado di recuperare l’equilibrio tra le diverse istanze di tutela attraverso un differimento del contraddittorio, che si può instaurare ex post, successivamente all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento in cui grazie anche alla disclosure degli atti e dei documenti utilizzati nell’iter procedimentale gli interessati possono sollecitare la verifica della legittimità e correttezza delle scelte operate dall’Amministrazione e delle relative determinazioni dinanzi al Giudice Amministrativo.

Perché tale controllo sia effettivo ed il diritto di partecipazione e di difesa sia pieno occorre che nei propri atti l’Amministrazione dia conto con completezza, come detto, degli elementi di fatto e di diritto che sostengono le determinazioni assunte, tanto più quando si tratta di esercitare discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa e di “riempire” di significato concetti giuridici indeterminati.

In tale prospettiva, che il ricorrente utilizza in funzione della prospettazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 TUF in combinato disposto con l’art. 80 comma 3 TUB per violazione dell’art. 3 e 97 Cost., le disposizioni di legge in questione non appaiono, in verità, contrarie ai principi ed alle norme della Carta Costituzionale nella misura in cui sia adempiuto dall’Amministrazione nei provvedimenti assunti nelle suddette modalità “non partecipate” proprio l’onere di specifica e puntuale motivazione, attraverso il quale le scelte amministrative acquistano, come già illustrato, comprensibilità, “giustiziabilità” e legittimazione democratica.

La centralità del ruolo della motivazione nella tipologia di atti come il decreto in esame e il fatto che l’Amministrazione non risulta aver assolto al suo onere in modo puntuale e completo per tutte le ragioni sin qui esposte, determinano l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, che non possono che essere annullati.

Per la natura e la complessità della controversia le spese di lite devono essere compensate, per giusti motivi.

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