TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-12-15, n. 202303786

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-12-15, n. 202303786
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202303786
Data del deposito : 15 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/12/2023

N. 03786/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01830/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1830 del 2019, proposto da C G, rappresentato e difeso dagli avvocati N C, G F e R V S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Biancavilla, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

per l'annullamento:

- dell’ordinanza di demolizione n. 33 del 26 luglio 2019;

- del provvedimento prot. n. 16786 del 6 agosto 2019 con cui è stata annullata e archiviata la segnalazione certificata di inizio attività n. 633/2016;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 dicembre 2023 il dott. Emanuele Caminiti e udito per la parte ricorrente il difensore come specificato nel verbale.

FATTO

Con ricorso notificato il 31 ottobre 2019 e depositato il 15 novembre 2019, l’odierno ricorrente, C G, impugna chiedendone l’annullamento l’Ordinanza n. 33 del 26 luglio 2019 di con la quale veniva disposta la demolizione con rimessa in pristino dei luoghi per opere realizzate nel fabbricato di proprietà del ricorrente sito nel territorio del Comune di Biancavilla e il provvedimento (prot. n. 16786 del 06 agosto 2019, notificato il 3 settembre 2019), con il quale veniva annullata la Segnalazione Certificata Inizio Attività (assunta al prot. n. 633 del 1 aprile 2016 P.E. n. 14/16).

Parte ricorrente espone, in punto di fatto, quanto segue:

- nell’atto di acquisto in data 23 febbraio 2010 la parte venditrice dichiarava che i lavori di costruzione del fabbricato rurale erano iniziati anteriormente all’1 settembre 1967 e che successivamente non erano state apportate modifiche che richiedevano autorizzazioni amministrative;

- nel mese di aprile 2016, veniva conferito incarico ad un tecnico di fiducia per la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività finalizzata al restauro del fabbricato;

- nel mese di marzo 2019, veniva comunicato al Comune che i lavori previsti nella segnalazione certificata di inizio attività non erano stati ancora ultimati;

- in data 9 luglio 2019, si svolgeva un sopralluogo da parte della Polizia Municipale, cui facevano seguito interlocuzioni nella sede procedimentale;

- l’Amministrazione, tuttavia, adottava i provvedimenti in questa sede impugnati.

Avverso detti provvedimenti – ritenendoli illegittimi – veniva proposto ricorso per le motivazioni di seguito riportate. Secondo la prospettazione del ricorrente, l’ordine di demolizione sarebbe privo di adeguata motivazione, tenuto conto, in particolare, del fatto che l’Amministrazione non avrebbe indicato quali acquisizioni probatorie consentano di collocare nel tempo quanto contestato e ciò anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso, del conseguente affidamento dell’interessato e della necessità di indicare il pubblico interesse idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse del privato. Il ricorrente deduceva, inoltre, la sua pretermissione dal procedimento. In ogni caso, rappresentava di aver agito in perfetta buona fede tanto da avere proceduto all’accatastamento dell’immobile. Adduceva, altresì, che non potrebbe farsi affidamento sulla semplice aerofotogrammetria, senza procedere ad un accertamento de visu . Rappresentava, infine, che le conclusioni raggiunte dall’Amministrazione sarebbero contraddette dalla perizia di parte versata in atti e che nulla la stessa aveva osservato in ordine all'epoca di realizzazione del fabbricato e all’esistenza di tracce della costruzione originaria da cui desumere un possibile ampliamento.

L’Amministrazione comunale depositava in giudizio documentazione (in data 3 dicembre 2019).

Con Ordinanza n. 774 del 4 dicembre 2019, il Collegio rigettava l’istanza di concessione della misura cautelare per insussistenza del requisito del fumus boni iuris atteso che “il ricorrente non fornisce alcuna prova documentale in ordine alla effettiva consistenza dell’immobile prima delle opere di ristrutturazione, consistenza che non appare plausibile fosse di 280 mq trattandosi ab origine di deposito per gli attrezzi dell’agricoltura” .

Con memoria depositata in data 5 novembre 2023 il ricorrente ribadiva le proprie difese.

All’udienza del 7 dicembre 2023, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

L'obbligo del rilascio della licenza edilizia per le costruzioni realizzate anche al di fuori del perimetro del centro urbano è stato introdotto dall'art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che ha modificato l'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (tra le altre, Cons. Stato, sez. II, 5 febbraio 2021, n. 1109);
prima del 1967 non era necessario munirsi di un previo titolo abilitativo.

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che “in presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate legittimamente senza titolo ante 1967, sicché rientrano fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto” (Consiglio di Stato sez. VI, n.570 del 27 gennaio 2022).

L'onere di provare l'ultimazione entro una certa data di un'opera edilizia abusiva per dimostrare che rientra fra quelle in sanatoria incombe sul privato interessato (Consiglio di Stato sez. VI, n.6112 del 12 ottobre 2020);
nondimeno nell'ambito della surriferita opinione giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3177) si ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima del 1967 elementi dotati di un alto grado di plausibilità (aeorofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione ante 1 settembre 1967) e, dall'altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali (Consiglio di Stato sez. VI, n.6112 del 12 ottobre 2020).

Nella specie, la parte non ha provato l'epoca di realizzazione del manufatto, quantomeno nella consistenza odierna di 280 mq, ma ha semplicemente prodotto in giudizio: - una relazione tecnica di parte dalla quale risulterebbe la realizzazione del fabbricato in epoca anteriore al 1967;
- la dichiarazione contenuta negli atti di compravendita del dante causa circa l’anno di realizzazione dell’immobile;
- la circostanza dell’avvenuto accatastamento nell’anno 2013;
tutti elementi che non sono in grado di assurgere a quel principio di prova richiesto dall’ordinamento processuale amministrativo circa la realizzazione dell’immobile in parola.

Il provvedimento del Comune, di contro, fa riferimento a una dimensione dell’immobile nella sua consistenza “ originaria” (ossia ante 1967) di mq 64 che risulterebbe verificata (rectius provata) dalla aerofotogrammetria del 2003 prodotta in giudizio dallo stesso ricorrente in data 27 ottobre 2023.

Il Collegio – come sopra ricordato - non sconosce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, a fronte di un principio di prova fornito dalla parte ricorrente in ordine alla presunta data di realizzazione dell’immobile, l’onere della prova contraria si trasferisce in capo all’Amministrazione locale;
tuttavia, giova evidenziare che, nel caso di specie, i pochi elementi forniti dalla parte ricorrente (ossia, in concreto, la semplice dichiarazione contenuta nella perizia di parte da parte del tecnico di fiducia e nell’atto di compravendita) non possono ritenersi sufficienti ad assurgere a principio di prova o comunque a “contrastare” l’elemento probante dell’aerofotogrammetria del 2003 cui fa riferimento (nella motivazione e nell’istruttoria espletata) il provvedimento impugnato.

Tali dichiarazioni, come pare evidente, non costituiscono elementi probatori utili a dimostrare l'antecedenza della realizzazione dell'edificio rispetto al 1967 nella sua attuale dimensione pari a 280 mq, ma soprattutto non permettono di dimostrare che le opere “in ampliamento” rispetto ai 64 mq non in contestazione siano state realizzate in epoca antecedente al 1967.

Ne consegue che il provvedimento comunale avversato risulta legittimamente adottato, non potendosi certamente attribuire valore decisivo alla menzione risultante nell’atto di acquisto in data 23 febbraio 2010, secondo cui “i lavori di costruzione del fabbricato rurale erano iniziati anteriormente all’1 settembre 1967 e che successivamente non erano state apportate modifiche che richiedevano autorizzazioni amministrative” .

In altri termini, a fronte delle dichiarazioni fornite dalla parte ricorrente, il provvedimento impugnato fornisce un elemento risolutivo in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto post 1967 nelle odierne dimensioni dell’immobile, ovvero le risultanze dell’aerofotogrammetria del 2003.

Con riferimento alla censura di difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione impugnata (atteso che con essa il comune ha disposto la demolizione dell’intero fabbricato comprendente anche quella parte di mq 64,00 che ad avviso del comune non costituiva abuso edilizio in quanto preesistente) il Collegio si limita a richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “La circostanza che l’opera non necessiti di titolo edilizio, invece, non può assumere rilievo allorquando essa si inserisca nell’ambito di un più complesso intervento abusivo. A tale ultimo riguardo è stato, infatti, precisato che, qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, deve procedersi all'integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall'Amministrazione” (sul punto, cfr. Consiglio di Stato, VI, n. 515/2021);
non è, quindi, possibile distinguere fra interventi abusivi, sanabili o di edilizia libera, dovendo farsi riferimento alla complessiva edificazione abusiva.

Con riguardo, invece, alla denunciata violazione del principio di legittimo affidamento, la giurisprudenza formatasi in subiecta materia ha osservato che il lasso di tempo che fa sorgere in capo alla pubblica amministrazione l'onere di una motivazione rafforzata per l'ingiunzione di demolizione di opera edilizia abusivamente realizzata, non è quello che intercorre tra il compimento dell'abuso ed il provvedimento sanzionatorio, ma tra la conoscenza da parte dell'amministrazione dell'abuso e il provvedimento sanzionatorio adottato, con la conseguenza che, in mancanza di conoscenza dell'illecito da parte dell'amministrazione, non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente considerato in sede motivazionale (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2017 n. 3840 e Sez.VI, 8 aprile 2016 n. 1393);
al riguardo occorre osservare che il provvedimento impugnato “origina” da un verbale di accertamento protocollo 15159 del 11 luglio 2019 della Polizia Municipale, che fa seguito, a sua volta, alla comunicazione di parte ricorrente di mancata conclusione dei lavori risalente al mese di marzo 2019.

Alla luce di quanto sopra esposto, non essendo stata provata la data di realizzazione del manufatto (quanto meno nella sua interezza odierna) in periodo anteriore al 1967, il ricorso deve essere rigettato.

La natura della controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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