TAR Torino, sez. III, sentenza 2024-03-29, n. 202400321

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. III, sentenza 2024-03-29, n. 202400321
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202400321
Data del deposito : 29 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/03/2024

N. 00321/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00539/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 539 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati R V S e L M A, con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, anche per il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria ex lege in Torino, via dell’Arsenale n. 21;

per l’annullamento

- del provvedimento del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Primo Reparto - SM - Ufficio Personale Appuntati e Carabinieri del -OMISSIS- (notificato all'interessato il -OMISSIS-), a mezzo del quale è stata irrogata nei confronti del ricorrente la sospensione disciplinare dall’impiego, per quattro mesi, ai sensi degli artt. 1357 lett. a) e 1379 co. 1 d.lgs. 15/03/2010 n. 66;

- di ogni altro atto, ancorché non conosciuto, antecedente, successivo, connesso, collegato, presupposto e consequenziale a quello impugnato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il dott. G F P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – -OMISSIS- chiede l’annullamento del decreto del -OMISSIS-, a mezzo del quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri gli ha inflitto la sospensione disciplinare dall’impiego, per quattro mesi, ai sensi degli artt. 1357, lett. a) e 1379 co. 1 d.lgs. 15/03/2010 n 66. A fondamento della propria domanda, il ricorrente articola i seguenti motivi di impugnazione:

« I. Violazione di legge in relazione all’art. 1392, co.

3-4 del d.lgs. 15.03.2010 n. 66 (C.O.M)
», diretto a denunciare la violazione dei termini acceleratori previsti dal Codice dell’Ordinamento Militare per l’espletamento del procedimento disciplinare, sia con riferimento al compimento degli atti dell’istruttoria, sia con riferimento al complessivo completamento della procedura;

« II. Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1355, 1362, 1377 del d.lgs. 15.03.2010 n. 66 (C.O.M.) e 76 del regolamento generale dell’Arma dei carabinieri (R.G.A.);
Violazione di legge in relazione all’art. 653 c.p.p. nonché all’art. 6 co. 1, lett. b), l. n. 241/1990. Eccesso di potere per violazione e falsa applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa
» a mezzo del quale il ricorrente contesta il carattere abnorme e arbitrario della determinazione sanzionatoria impugnata, in quanto del tutto sproporzionata rispetto alla gravità della condotta illecita contestata e non correlata al complessivo livello di formazione e preparazione del ricorrente all’epoca dei fatti;

« III. Difetto di motivazione per violazione dell’art. 3 l. 241/1990 », teso a denunciare la povertà della motivazione del provvedimento sanzionatorio adottato, dalla quale non è possibile comprendere le ragioni delle decisioni.

2. – L’Amministrazione resistente si è ritualmente costituita in giudizio, rivendicando la correttezza del proprio operato e chiedendo l’integrale reiezione delle pretese avverse.

3. – All’udienza del 29/02/2024, previa discussione delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. – Il primo motivo di impugnazione, inerente l’asserita violazione dei termini per la trattazione e la conclusione del procedimento disciplinare è destituito di fondamento.

4.1 - Il Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione, ha recentemente chiarito che il dies a quo per la decorrenza i termini di instaurazione e di ultimazione del procedimento disciplinare di cui all’art. 1392 d.lgs. 66/2010 coincide con la data in cui l’Amministrazione di appartenenza ha avuto certa, completa e qualificata conoscenza del provvedimento giurisdizionale che conclude definitivamente il processo penale. La conoscenza della pronuncia conclusiva deve cioè essere integrale, e dunque non è sufficiente la mera conoscenza del dispositivo o di estratti della stessa;
esse deve inoltre essere certa sul piano legale, nel senso che la stessa irrevocabilità del giudicato penale deve essere attestato secondo le modalità previste dalla legge. Ne consegue che il termine di cui all’art. 1392, co. 3 d.lgs. 66/2010 non può che decorrere dal momento dell’acquisizione della copia conforme della sentenza, completa dell’attestazione di irrevocabilità resa dalla Cancelleria del Tribunale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 13/09/2022, n. 14;
in senso conforme ex plurimis Cons. Stato, Sez. II, 30/06/2023, n. 6410;
Id., 19/04/2023, n. 3976;
nonché TAR Lazio – Roma, Sez. IV, 30/01/2023, n. 1639).

Per giurisprudenza altrettanto consolidata, ai fini del rispetto del termine decadenziale per la conclusione del procedimento disciplinare occorre considerare la data in cui il provvedimento si è giuridicamente perfezionato, ossia quello della sua adozione da parte dell’Amministrazione. Non rileva dunque la data in cui la determinazione sia stata notificata all’incolpato, giacché l’adempimento partecipativo attiene all’efficacia dell’atto nei confronti del solo destinatario. Del resto, l’irrilevanza della notifica ai fini del perfezionamento dell’atto è confermata dal disposto dell’art. 21- bis legge 07/08/1990 n. 241, giacché la norma regola il regime dell’efficacia dei provvedimenti amministrativi, aspetto necessariamente successivo sul piano logico e “cronologico” al loro perfezionamento (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. II, 05/09/2023, n. 8168).

4.2 - Nel caso di specie, Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” ha acquisito copia conforme della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del -OMISSIS-, corredata dall’attestazione di irrevocabilità, in data 10/06/2019. Il procedimento disciplinare è stato avviato in data -OMISSIS- (doc. 5 di parte resistente) e la contestazione degli addebiti è stata notificata al ricorrente in data -OMISSIS- (doc. 6 di parte resistente). A seguito del deposito delle memorie difensive, la relazione formale di inchiesta è stata compilata in data -OMISSIS- (doc. 9 di parte resistente) e la formale proposta sanzionatoria è stata emessa dal Comandante di Corpo in data -OMISSIS- (doc. 10 di parte resistente). Con nota del -OMISSIS- il Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri ha chiesto il parere di concordanza al Ministero della Difesa (doc. 11 di parte resistente), che vi ha provveduto in data -OMISSIS- (doc. 12 di parte resistente). Il provvedimento sanzionatorio è stato infine adottato in data -OMISSIS-.

Risulta dunque rispettato il termine previsto dall’art. 1392 co. 3 d.lgs. 66/2010 per la conclusione del procedimento sanzionatorio. Deve inoltre escludersi che, tra i diversi atti dell’istruttoria, sia mai decorso il periodo superiore a novanta giorni, di talché non si è determinata l’estinzione della procedura ai sensi dell’art. 1392 co. 4 d.lgs. 66/2010.

5. – Parimenti infondato è il secondo motivo di impugnazione, diretto a censurare il merito della determinazione amministrativa impugnata.

A dispetto della rubrica del motivo e della sua prospettazione in diritto, la doglianza non è diretta a censurare un travisamento in senso proprio dei fatti posti a fondamento della sanzione disciplinare. Il ricorrente non afferma infatti che l’Amministrazione abbia errato nel ricostruire i contorni del fatto materiale contestatogli in sede disciplinare, ma che ne abbia impropriamente valutato la pregnanza offensiva. La doglianza attiene dunque al merito della determinazione amministrativa, sotto il profilo della valutazione di rilevanza dell’illecito e della conseguente scelta della sanzione applicabile.

5.1 - Tanto premesso, è opportuno rilevare che, per consolidata e condivisibile giurisprudenza, le valutazioni dell’Amministrazione in materia di sanzioni disciplinari, ivi comprese quelle afferenti ai fatti ascritti al dipendente, alla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere, sono espressioni di ampia discrezionalità amministrativa, sindacabili soltanto per evidenti profili di manifesto travisamento o manifesta illogicità e irragionevolezza (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 31/05/2021, n. 4143), che palesino con immediatezza una chiara carenza di proporzionalità tra l’infrazione e il fatto (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20/02/2020, n. 1296). Il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo, il quale non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che queste ultime siano inficiate da travisamento dei fatti, evidente sproporzionalità o qualora il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente ovvero sia viziato da palese irrazionalità (Cons. Stato, Sez. III, 17/10/2023, n.9018;
in senso conforme da ultimo ex permultis TAR. Sicilia – Palermo, Sez. I, 29/12/2023, n. 3911;
TAR Piemonte, Sez. III, 02/12/2023, n. 972).

L’ampiezza della discrezionalità sottesa all’inflizione delle sanzioni disciplinari si riverbera sulla rilevanza dell’onere motivazionale posto a carico dell’Amministrazione, specialmente in presenza di condotte di particolare gravità, quali quelle palesemente contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato, a quelle di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare. In tali ipotesi, infatti, l’obbligo motivazionale è attenuato e può essere assolto attraverso il puntuale riferimento al fatto addebitato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26/03/2020, n. 2107;
Id. 04/03/2020, n. 1580;
cfr. altresì da ultimo TAR Valle d’Aosta, 13/06/2023 n. 23;
TAR Campania - Napoli, Sez. VI, 09/01/2023, n.187).

5.2 - È opportuno altresì rilevare, in punto di fatto, che -OMISSIS- è stato condannato in via definitiva a quattro mesi di reclusione, con il beneficio della non menzione della pronuncia ex art 175 c.p., per aver colposamente rivelato ad un soggetto estraneo all’Amministrazione informazioni coperte da segreto di indagine e di sensibilissimo valore istruttorio, vanificando in parte gli sforzi dell’Autorità inquirente. In particolare, mentre era in servizio presso la Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, il ricorrente ha chiesto a un suo conoscente, avvocato del posto, quale fosse l’indirizzo esatto dell’abitazione di un appartenente ad un locale clan mafioso, incautamente informandolo della prossima esecuzione di una misura cautelare personale a carico di venti affiliati. Due di questi, appresa la notizia, si sono resi irreperibili e sono riusciti a sottrarsi alla cattura.

Il fatto imputato al ricorrente in sede penale è esattamente il medesimo che gli è stato contestato in sede disciplinare. Il giudicato penale era vincolante per l’Amministrazione procedente a norma dell’art. 553 c.p.p..

5.3 - Tanto premesso, prive di pregio sono le deduzioni tese a far valere la scarsa pregnanza offensiva della condotta in ragione delle finalità in concreto perseguite dal ricorrente.

L’argomentazione difensiva poggia su di una premessa non condivisibile, giacché impropriamente identifica i motivi dell’azione illecita con le finalità di servizio che -OMISSIS- era chiamato a realizzare. Una simile prospettazione non è condivisibile sul piano fattuale e giuridico.

La contestazione disciplinare elevata nei confronti del ricorrente attiene infatti alla colposa rivelazione, nell’esercizio delle funzioni, di informazioni coperte da segreto di indagine, di talché l’illecito è insito proprio nelle modalità con le quali il ricorrente ha tentato di eseguire gli ordini impartiti. -OMISSIS- non è dunque stato soggetto a sanzione (penale e) disciplinare « a causa della propria solerzia e diligenza » nell’adempiere ai propri uffici, bensì per l’inescusabile leggerezza con cui vi ha provveduto. Il contesto nel quale l’illecito si è consumato può illuminare i motivi dell’azione, ma non ne oblitera né ne attenua – quantomeno non in modo automatico e incontroverso – la gravità.

In questa prospettiva l’affermazione di parte ricorrente a tenore della quale « i fatti colposi in contestazione non sono incompatibili con i fini istituzionali » travisa in modo palese l’oggetto del rimprovero disciplinare, giacché la rivelazione di segreti di indagine non può che essere incompatibile con l’espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria. Si rileva d’altronde che la non volontà dell’evento è uno dei presupposti dell’imputazione per colpa, ciò che rende ancor meno rilevanti i motivi della condotta illecita.

Si osserva infine che la violazione della regola cautelare, generica o specifica, finalizzata a impedire l’evento antigiuridico costituisce il fondamento stesso dell’imputazione colposa, in quanto giustifica “l’attribuzione” del fatto all’agente sul piano soggettivo e conseguentemente legittima il giudizio di rimproverabilità nel quale si sostanzia la colpevolezza penale. Nella specie, il ricorrente è stato condannato in via definitiva per il reato di rivelazione colposa di segreti d’ufficio, per essere dunque venuto meno non solo a regole di comune prudenza, ma anche al precetto dell’art. 329 c.p.p., che gli imponevano il massimo riserbo sugli atti di indagine. È dunque scarsamente comprensibile, prima ancora che infondata, l’affermazione contenuta nel ricorso introduttivo, a tenore della quale sarebbe « indubbio che dalla condotta accertata nel giudizio penale alcuna violazione del contestato dovere di diligenza è stato commesso ».

5.4 - Considerazioni non dissimili devono essere svolte in relazione alle contestate frequentazioni tra il ricorrente e l’avvocato cui egli ha rivelato i segreti di indagine.

L’illecito commesso da -OMISSIS- non è consistito nell’instaurare o nel coltivare un rapporto di amicizia con questa persona, ma nell’avervi fatto affidamento al fine di espletare una funzione del proprio servizio, vieppiù in un contesto straordinariamente delicato, quale non può che essere l’esecuzione di una misura cautelare personale contro esponenti di spicco di una cosca mafiosa. Il rimprovero disciplinare attiene dunque all’incapacità del ricorrente di mantenere la distinzione tra la funzione di servizio e il proprio (più che legittimo) rapporto di amicizia. Il fatto che la persona contattata fosse conosciuta da altri colleghi nulla toglie alla gravità dell’iniziativa assunta dal ricorrente, giacché non giustifica la rivelazione, per quanto colposa, di segreti di indagine.

Ancora una volta, la doglianza non coglie l’oggetto della contestazione disciplinare.

5.5 - Destituite di ogni fondamento sono le deduzioni attoree, relative all’asserito concorso dell’Amministrazione nell’integrazione dell’illecito.

Non è ragionevole affermare che l’illecito sia riconducibile alla mancata formazione del professionista, giacché il divieto di divulgare segreti inerenti un’indagine di ‘ndrangheta gli era imposto, oltre che dal comune buon senso, dal codice di procedura penale, la cui violazione è – appunto – penalmente sanzionata. La conoscenza di tali precetti era imposta al ricorrente non già solo dall’art. 5 c.p. ( ignorantia legis non excusat ), bensì dal fatto stesso di appartenere all’Arma dei Carabinieri, vieppiù in considerazione delle funzioni di polizia giudiziaria che egli erano state conferite.

Il fatto – invero del tutto indimostrato – che -OMISSIS- non sia stato guidato dal proprio superiore nell’eseguire gli ordini non elide la gravità della condotta, giacché la comune prudenza gli imponeva di ricorrere agli strumenti e al personale della Polizia Giudiziaria, e financo di astenersi temporaneamente da ogni azione, piuttosto che correre il rischio di condividere un’informazione di primario rilievo investigativo con un soggetto esterno all’Amministrazione. Per di più, la persona contattata da -OMISSIS- era un avvocato del foro, dunque una persona avente potenzialmente legami diretti con i difensori, attuali e futuri, dei destinatari della eseguenda misura cautelare.

L’imprudenza compiuta dal ricorrente non appare insomma scusabile, anche solo in parte, tenuto conto della funzione rivestita dal ricorrente e dal contesto in cui la condotta è stata posta in essere.

5.6 - Quanto infine alle doglianze relative al merito della valutazione di gravità dell’illecito e alla scelta della sanzione inflitta, è sufficiente ricordare come la Pubblica amministrazione disponga di ampia discrezionalità non solo nell’apprezzamento della gravità dei fatti contestati, ma anche – ed anzi soprattutto – nella graduazione della sanzione, fermo restando che l’applicazione della misura afflittiva deve conformarsi a parametri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla rilevanza dell’illecito ascritto. Da ciò consegue che il Giudice Amministrativo può sindacare la valutazione svolta della competente autorità amministrativa nei soli casi di manifesta irragionevolezza, sproporzione, illogicità, contraddittorietà (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. II, 04/08/2023, n. 7553;
Id., 7/11/2022, n. 9756;
cfr. anche TAR Lazio, Sez. IV, 16/02/2023 n. 2765): ipotesi che non ricorrono nel caso di specie, tenuto conto della natura dei fatti contestati e del manifesto disvalore dell’illecito commesso, quand’anche colposo.

Si rileva d’altronde che l’Amministrazione è parsa tenere in espressa considerazione la natura colposa dell’illecito contestato al ricorrente, giacché non ha ritenuto di deferire il ricorrente al Consiglio di disciplina, ma ha ritenuto “sufficiente” l’inflizione della sospensione temporanea dal servizio.

Il provvedimento sanzionatorio è dunque scevro da profili di manifesta contraddittorietà o abnormità.

6. – Infondato è altresì il terzo e ultimo motivo di impugnazione, teso a denunciare l’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato.

Sul punto, oltre a richiamare le considerazioni svolte in ordine al carattere attenuato dell’onere motivazionale in materia di sanzioni disciplinari, si osserva che le difese attoree trascurano la reale portata dell’impianto motivazionale del provvedimento impugnato, che illustra per relationem le ragioni di fatto e diritto poste a fondamento della determinazione sanzionatoria, giacché richiama in modo espresso « gli atti dell’inchiesta formale […] da intendersi integralmente richiamati e oggetto di rituale notifica nei confronti dell’interessato », nonché « la proposta n. -OMISSIS-, formulata dal citato Comandante di Corpo al termine dell’inchiesta formale ». In tali atti, e in particolare nella menzionata relazione formale di inchiesta del -OMISSIS- (doc. 9 di parte resistente), l’Amministrazione ha preso ampia ed articolata posizione in ordine alle controdeduzioni svolte dal ricorrente circa la ricostruzione dei fatti contestati e la loro gravità, esaminando e ritenendo prive di pregio le argomentazioni difensive dell’incolpato. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente in atti, dunque, la motivazione offerta dall’Amministrazione sul punto non è meramente formale o apparente, bensì include per relationem il contenuto dell’ampia documentazione di corredo, puntualmente indicata e resa disponibile all’interessato.

Il motivo di impugnazione è dunque infondato.

7. – In definitiva, i tre profili di doglianza proposti dal ricorrente non colgono nel segno e, pertanto, il ricorso deve essere integralmente respinto.

8. – Le spese di lite seguono la soccombenza. La liquidazione dei compensi professionali è operata sulla scorta dei valori di cui alla Tabella n. 21 dell’Allegato 1 al DM 10/03/2014 n. 55, con riferimento alle cause di valore indeterminabile di c.d. “bassa complessità”, a norma dell’art. 5, co. 6 del DM. I valori tabellari sono soggetti a dimidiazione a norma dell’art. 4, co. 1 del menzionato DM, stanti l’assenza di questioni di fatto o di diritto di particolare complessità, e sono escluse le competenze spettanti per la fase istruttoria, giacché nessun incombente è stato espletato a tal fine.

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