TAR Salerno, sez. I, sentenza 2021-12-28, n. 202102926

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. I, sentenza 2021-12-28, n. 202102926
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 202102926
Data del deposito : 28 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/12/2021

N. 02926/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02714/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 2714 del 2015, proposto da
- G P, rappresentato e difeso in giudizio dall'avvocato V S, con domicilio eletto presso la segreteria di questo Tribunale e domicilio digitale in atti;

contro

- Comune di Centola in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso in giudizio dall'avv. G C, con domicilio eletto lo studio dell’avv. Alessandro C, in Salerno, alla via R. De Martino n.10, e domicilio digitale in atti;

per l'annullamento

- della deliberazione del Consiglio comunale di Centola n. 26 del 24 agosto 2015;

- della relazione istruttoria ivi allegata;

- di ogni ulteriore atto e provvedimento, ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Centola;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all'udienza smaltimento del giorno 15 novembre 2021, il Primo Referendario avv. Benedetto Nappi;

Uditi i procuratori delle parti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. G P, con atto depositato l’11 dicembre 2015, è insorto avverso l’atto in epigrafe, concernente la decisione di «non accogliere la richiesta dell'avv. Petracca Giovanni, e quindi di non alienare la porzione di terreno "relitto stradale" riportato in catasto al foglio 15, tra le particelle 327 e 328, avente le dimensioni di metri 25,80 x 2,50 e per un totale di mq 64,50, così come dallo stesso richiesto».

1.1. In fatto, dagli atti di causa, emerge quanto segue:

- il deducente risulta essere comproprietario di un immobile destinato a struttura ricettiva, denominato “Hotel Palinuro”, per il quale è stata presenta (da altro soggetto) in data 2 aprile 1986, prot. n. 2187, una «istanza, ai sensi dell'art. 31 della legge n. 47 del 1985, per chiedere il "condono edilizio" per le opere "ultimate entro la data del 1° ottobre 1983" ed eseguite senza licenza edilizia o in difformità della stessa, nonché delle opere "ultimate anteriormente alla data del 1° settembre 1967 e per le quali era richiesto, ai sensi dell'art. 31, primo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di costruzione»;

- tale pratica di condono, secondo il ricorrente, sarebbe «andata avanti fino ad oggi con alterne vicende e ripetute integrazioni documentali, senza mai pervenire a conclusione, nonostante varie e continue sollecitazioni e interventi diretti e pressanti presso le strutture tecniche e amministrative del Comune»;

- in particolare, per quanto qui rileva «un motivo ostativo alla conclusione del procedimento […] era, ed è ancora oggi, rappresentato dalla impossibilità di sanare e condonare i lavori eseguiti in assenza di concessione edilizia su suolo di proprietà comunale»;

- in data 8 aprile 2009, il deducente ha presentato una «DIA- prot. n. 3142 -, per l'esecuzione di favori di "restauro e risanamento conservativo" finalizzati al consolidamento e al risanamento delle armature dei pilastri portanti dell'edificio denominato Hotel Palinuro, che si presentavano fatiscenti ed in pericolo di crollo»;

- a seguito di sopralluogo in cantiere effettuato il 22 aprile 2010, è stata emanata l'ordinanza comunale n. 19/2010 del 3 maggio 2010, disponente la demolizione delle opere abusive, come indicate nel verbale di sopralluogo,

- soltanto in seguito, in data 16 luglio 2010, il ricorrente «prendendo atto della denunziata occupazione di suolo comunale e al fine di integrare e perfezionare la domanda di condono edilizio presentata in data 02.04.1986, prot. n. 2187, dalla sig.ra C.G., comproprietaria del complesso edilizio "Hotel Palinuro”, chiedeva al Comune la vendita o la permuta (con suolo di pari metratura di proprietà dell'attuale ricorrente confinante con quello per il quale era stata chiesta la vendita) della porzione di suolo in questione»;

- in data 11 maggio 2015, con nota prot. n. 4984, l’Ente civico ha rappresentato che "dall'istruttoria dei competenti uffici è emerso che l'immobile al servizio del quale si chiede l'acquisto della porzione del bene pubblico, è oggetto di ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, ragion per cui la […] richiesta non può essere accolta";

- è seguito il provvedimento comunale qui avversato.

1.2. In diritto, il ricorrente ha dedotto motivi specifici in punto di violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere.

2. L’Amministrazione comunale intimata, costituitasi in giudizio, ha concluso per l’inammissibilità in rito e per il rigetto nel merito del ricorso.

3. All’udienza del 15 dicembre 2021, previo deposito di scritti difensivi, l’affare è transitato in decisione.

4. Il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue. Ritiene dunque il Collegio di poter soprassedere alla disamina delle eccezioni in rito sollevate dall’Ente resistente.

4.1. Si è in primo luogo dedotta la violazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che impone una «corretta, efficace ed imparziale gestione della cosa pubblica, specialmente in considerazione del fatto che, ad oggi e dopo oltre trenta anni dalla istanza di condono, nessun provvedimento (nel senso ipotizzato dal responsabile del procedimento) sia stato mai adottato dall'Amministrazione, né mai proposto, prima d'oggi, dallo stesso relatore che solo adesso e solo in occasione dell'esame e della valutazione di una richiesta di un privato si ricorda di proporre (o di inventarsi) una diversa utilizzazione di una particella di suolo che, se non fosse per la necessità della definitiva risoluzione del provvedimento di condono edilizio (ormai pendente da svariati anni) non avrebbe alcun valore commerciale o di mercato (in quanto trattasi di un relitto di soli mq. 64,50)».

La tesi non ha pregio. E’ evidente che il ricorso qui in delibazione non concerne la definizione della pratica di condono a suo tempo presentata da distinto soggetto (che non è parte del presente giudizio), sicché inconferenti risultano le considerazioni svolte a tal riguardo.

Peraltro, l’ampia discrezionalità di cui gode in materia la pubblica amministrazione circa la destinazione e l’utilizzo dei fondi di proprietà nel perseguimento di finalità di interesse pubblico non può essere sindacata che per palese erroneità in fatto o irragionevolezza, estremi non predicabili nel caso di specie.

Ancora, l’alienazione risulta pianamente preclusa dalla mancata inclusione del suolo nel piano di alienazioni comunale di cui all'art.58 del d.l. n.112/2008;
circostanza, quest’ultima, che non ha formato oggetto di contestazione specifica.

4.1.1. Il deducente, in sede di scritti difensivi, ha poi lamentato la violazione dell’art. 5 -bis del decreto legge 24 giugno 2003, n. 143, nel senso che «secondo il Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 5959/del 10 marzo 2006 […]) “quanto previsto dall’art. 5 bis del decreto legge 24 giugno 2003, n. 143 […] la proprietà del suolo si estende ai manufatti sullo stesso edificati solo dopo la mancata adesione entro il termine di novanta giorni dall’invito di acquisto ritualmente avanzato dall’agenzia del Demanio costituisce espressa attuazione della deroga in forza di legge alla previsione dell’art. 934 c.c..”. La previsione legislativa in esame può, quindi, essere considerata espressione del principio della regolazione convenzionale dell’accessione invertita che permette cioè l’acquisto a favore del costruttore della proprietà della porzione di suolo occupato in evidente deroga alla regola generale superficies solo cedit» .

La censura è fuori asse, risultando testualmente riferita la disposizione in questione alla «alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato» e non degli enti pubblici territoriali.

In ogni caso, la stessa risulterebbe in questa sede inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto, come condivisibilmente osservato dal Giudice d’appello, la potestà che la pubblica amministrazione è chiamata ad esercitare in materia non ha natura discrezionale, bensì natura interamente vincolata, sia nell' an (previo accertamento della sussistenza dei delineati elementi costitutivi e dell'insussistenza di quelli impeditivi dell'acquisto) che nel quid (area oggetto dell'istanza del privato, entro i limiti legislativamente consentiti). Ne consegue che la fattispecie va ricondotta alla cognizione del Giudice ordinario, dovendo inquadrarsi nello schema tipico di un diritto soggettivo perfetto in capo al privato istante, il cui interesse è dal legislatore assunto come prevalente sulla natura pubblica del bene oggetto della pretesa acquisitiva, esercitabile senza necessità di un previo provvedimento di sdemanializzazione, essendo la relativa scelta già operata in astratto dal legislatore (subordinatamente alla presenza dei delineati requisiti, positivi e negativi), in considerazione dell'intervenuta trasformazione del bene e/o della sua natura pertinenziale al bene trasformato (Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5546;
T.A.R. Lombardia, sez. II, 2 febbraio 2018, n. 294).

4.2. Il mancato rispetto del termine per provvedere di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990, di regola, non comporta l’esaurimento del relativo potere in capo all’Amministrazione, né la fattispecie rientra tra quelle assentibili “ per silentium ” ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241/1990. D’altro canto, non risulta che il deducente si sia avvalso dei rimedi apprestati dall’ordinamento avverso l’inerzia della pubblica amministrazione.

4.3. Inammissibile per genericità e palese difetto di interesse è la doglianza relativa alla violazione dell’art. 9 della legge n. 241/1990, non essendo state indicate né le associazioni di rappresentanza cui sarebbe stata impedita la partecipazione procedimentale, né in che modo ciò avrebbe giovato alle tesi del ricorrente.

4.4. Il fatto che in passato sia stata prospettata la cessione delle aree in questione ad altro soggetto risulta irrilevante, in ragione del mancato perfezionamento del relativo negozio giuridico (come riconosciuto da parte ricorrente), così come inammissibile per genericità è l’affermazione secondo cui «il predetto suolo è stato sempre occupato dal precedente (e dall’attuale) proprietario dello stabile (con il consenso tacito dell’precedente e dall’attuale Amministrazione) per essere asservito al fabbricato già esistente e che tale situazione “di possesso tacito e incontestato “è proseguito ininterrottamente e pacificamente dal 1965 ad oggi». Invero, il deducente non offre prova alcuna di quanto innanzi, né finanche allega di essere divenuto proprietario per usucapione di tale superficie. Del resto, tale ultima conclusione contrasterebbe frontalmente con l’interesse ad acquisire la proprietà della medesima superficie, ovverosia quello che sottende il ricorso qui in delibazione.

4.5. In ragione di tutto quanto innanzi osservato, trattandosi di provvedimento plurimotivato, gli aspetti sin qui esaminati risultano scevri dai vizi denunciati, garantendone la legittimità e quindi la stabilità degli effetti. Ciò conduce alla reiezione delle censure concernenti l’obliterazione della fase di partecipazione procedimentale, in applicazione dell’art. 21 -octies , secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, stante l’inconfigurabilità di esiti solutori differenti rispetto a quello raggiunto dall’Amministrazione intimata.

5. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.

6. Le spese seguono la soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

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