TAR Perugia, sez. I, sentenza 2009-08-18, n. 200900492
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N. 00492/2009 REG.SEN.
N. 00411/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 411 del 2002, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M A, rappresentato e difeso dall'avv. F A D M, anche domiciliatario in Perugia, via Bonazzi, 9;
contro
Comune di Perugia, rappresentato e difeso dagli avv.ti S M e R M, con domicilio eletto presso S M in Perugia, corso Vannucci, 39;
per l'annullamento
- del provvedimento prot.n. 84171/2002 dell'11 luglio 2002, con il quale il Dirigente dell'Unità Operativa Concessioni Edilizie del Comune di Perugia ha respinto la domanda di concessione edilizia in sanatoria, inoltrata dalla dante causa dell'odierno ricorrente (sig.ra Pia Sargenti) ai sensi degli artt. 31 e ss L. 28 febbraio 1985 n. 47, con riserva di adottare i provvedimenti sanzionatori di cui al Capo I della citata L.n. 47/1985, nonchè di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, conseguente e/o collegato, inclusi - in quanto occorra - i pareri espressi sulla pratica dalla Commissione Edilizia integrata nelle sedute del 7 agosto 1996 e del 10 giugno 2002;
- dell'ordinanza n.34 del 7 luglio 2008, con la quale il Dirigente Responsabile dell'Unità Operativa - S.U.E. del Comune di Perugia ha ingiunto all'odierno istante di demolire entro gg. 90 tutte le opere oggetto dell'istanza di condono prot.n. 8949 in data 2 luglio 1986, nonchè di ripristinare l'originario stato dei luoghi insieme ad ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, conseguente e/o collegato;
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10/06/2009 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Nel 1986, la nonna del ricorrente ha chiesto la concessione edilizia in sanatoria per la realizzazione senza titolo di opere in un immobile sito in Perugia, Via Bonazzi-Via Larga (area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 1497/1939).
Si tratta di una copertura parziale in ferro e vetro, della superficie complessiva di mq 27, realizzata su una terrazza all’ultimo piano.
2. Il Comune di Perugia, sulla base del parere negativo espresso dalla commissione edilizia integrata in data 7 luglio 1986 e 10 giugno 2002, ha negato la sanatoria con provvedimento prot. 84171 in data 11 luglio 2002.
Ciò, in quanto ha ritenuto che l’intervento «per le caratteristiche di materiali determina un notevole impatto ambientale e quindi non è compatibile con le esigenze di tutela del contesto interessato».
3. Il ricorrente, divenuto acquirente dell’appartamento, impugna detto diniego.
Lamenta che il diniego sia sostanzialmente immotivato.
Lamenta inoltre che vi sia stata errata applicazione dell’articolo 32 della legge 47/1985, non avendo l’amministrazione dettato prescrizioni idonee a rendere l’abuso compatibile con l’ambito paesaggistico protetto.
4. Il Comune di Perugia si è costituito in giudizio, controdeducendo puntualmente.
5. Nelle more della decisione, l’istanza di condono è stata riesaminata dal Comune, che è giunto ad adottare, con provvedimento prot. 132712 in data 3 ottobre 2002, un nuovo diniego.
Questa volta la motivazione, con riferimento al parere reso dalla commissione edilizia integrata in data 30 settembre 2002, consiste nel rilievo secondo cui «l’intervento appare ingombrante rispetto all’architettura circostante ed estraneo alla tipologia architettonica dell’edificio su cui lo stesso è inserito (edificio posto nel cuore del centro storico). Inoltre il manufatto sito in posizione panoramica ben visibile dai piani alti del centro storico e zone circostanti, altera l’armonica articolazione dei tetti del centro storico stesso creando un degrado architettonico in una zona di notevole pregio ambientale da salvaguardare».
6. Con motivi aggiunti, il ricorrente impugna il nuovo provvedimento.
Lamenta che il riesame non sia stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, in violazione dell’articolo 7 della legge 241/1990.
Inoltre, il riesame è stato condizionato dalla richiesta, alla commissione edilizia, di «integrare e motivare in maniera più adeguata il parere contrario espresso nella seduta del 10.6.2002», cioè al solo scopo di condizionare il giudizio in corso, senza prendere in considerazione il secondo ordine di censure originariamente dedotto.
Il ricorrente ribadisce anche dette ultime censure.
Sostiene, infine, che la copertura è stata realizzata fin dal 1971, e che quindi è sorto un legittimo affidamento sulla possibilità di conservarla, magari modificandola per renderla compatibile con la tutela paesaggistica.
7. Dopo di che il ricorrente ha rimosso parte della copertura, al fine di non renderla visibile dalla pubblica via.
Ciononostante, con ordinanza n. 34 in data 7 luglio 2008, il Comune ha disposto il ripristino dello stato originario dei luoghi.
8. Con ulteriori motivi aggiunti, il ricorrente impugna anche detto provvedimento sanzionatorio.
Oltre a censure di invalidità derivata, il ricorrente deduce una censura (nuova) di eccesso di potere per disparità di trattamento ed arbitrarietà manifesta, sottolineando che, nello stesso isolato, il Comune ha concesso la sanatoria ad una struttura del tutto analoga ed in condizioni ancor più precarie.
Inoltre, che, in violazione dell’articolo 6 della l.r. 21/2004 e difetto di motivazione, il Comune non abbia tenuto conto del lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera e dalla richiesta di condono.
9. Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.
9.1. Il provvedimento prot. 132712/2002, adottato a seguito del riesame della pratica di sanatoria, ha sostituito il precedente diniego prot. 84171/2002.
Non sussiste dunque più l’interesse del ricorrente a contestare il diniego originario.
9.2. Quanto alla legittimità del diniego che attualmente impedisce la legittimazione del manufatto, non può ritenersi che, in pendenza del giudizio, fosse precluso riesaminare la pratica (quali che fossero le ragioni che hanno indotto il Comune a determinarsi in tal senso).
La circostanza che il parere della Commissione edilizia integrata sia stato chiesto con specifico riferimento al giudizio pendente, e con una formulazione che richiamava espressamente il precedente parere negativo e l’opportunità di integrarlo sotto il profilo della motivazione, non muta la natura del procedimento attivato, che è quella di un riesame integrale della pratica.
E’ vero che il ricorrente non è stato avvertito dell’avvio del procedimento di riesame.
Tuttavia, in una prospettiva volta a considerare la valenza sostanziale della partecipazione, se si tiene conto che il ricorrente aveva già impugnato il primo diniego e fatto valere in sede giurisdizionale ogni argomentazione volta a contrastare la valutazione di non compatibilità paesaggistica del manufatto (e che nemmeno con i motivi aggiunti ha addotto nuovi e diversi elementi, tali da poter orientare diversamente la valutazione del Comune), occorre concludere che l’articolo 21-octies impedisce che l’omissione dell’avvio del procedimento infici il diniego impugnato.
9.3. Infatti, per ciò che concerne la possibilità di rendere il manufatto compatibile, mediante modifiche, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che «l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo non ha nessun obbligo di porre in essere prescrizioni per rendere l’abuso esteticamente compatibile, perché tale finalità non rientra tra i compiti di istituto, dovendo la stessa limitarsi ad accertare la compatibilità paesaggistica e non già suggerire ulteriori attività volte a legalizzare comportamenti contra legem» (cfr. TAR Umbria, 29 luglio 2008, n. 437, e Cons. Stato, V, 23 novembre 2006, n. 6862, ivi richiamata).
Né il trascorrere del tempo dalla realizzazione dell’abuso è tale da far nascere, di per sé, un affidamento tutelabile.
Questo Tribunale ha già affermato – con riferimento all’orientamento giurisprudenziale, invero minoritario, secondo il quale, in forza del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e del protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, l’intervento sanzionatorio richiederebbe l’indicazione del pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato – che in ogni caso la tutela dell’affidamento del privato deve essere subordinata al rigoroso accertamento dei suoi presupposti giustificativi (cfr., TAR Umbria, 18 marzo 2008, nn. 102 e 103);in sostanza, quanto meno:
- il lasso di tempo trascorso dalla realizzazione, dell’opera senza che l’amministrazione sia intervenuta in alcun modo, deve essere considerevole, ed è onere dell’interessato far constare in modo ragionevolmente certo (non soltanto mediante riferimenti documentali, diretti o indiretti, ma anche sulla base di considerazioni concernenti elementi oggettivi, quali le tipologie e modalità realizzative, i materiali impiegati, lo stato di conservazione, etc.) la data di realizzazione dell’abuso;
- la presenza dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione deve essere stata ritenuta, anche implicitamente, regolare dalla stessa Amministrazione in occasione dell’esame di precedenti pratiche edilizie, di attività di vigilanza sul territorio, o di altre attività amministrative.
Nel caso in esame non ricorrono nemmeno i presupposti indicati. Infatti, non è dimostrata la data di realizzazione dell’abuso;mentre risulta che, ancora nel 1996, il ricorrente ha prodotto al Comune la documentazione necessaria a valutare l’istanza di condono, e già in data 7 agosto 1996 la commissione edilizia aveva espresso parere negativo.
9.4. La censura incentrata sul preteso diverso trattamento di situazioni abusive che il ricorrente assume come “pressoché identiche” appare irricevibile, in quanto tardiva.
Fa infatti leva sulla conoscenza sopravvenuta della struttura abusiva vicina, invocata come elemento di comparazione.
Ma, una volta decorso il termine decadenziale di impugnazione, simili accadimenti, per giurisprudenza consolidata, non giustificano l’impugnazione o la deduzione di ulteriori censure.
Peraltro, la prevalente giurisprudenza ritiene che, stante la natura vincolata delle sanzioni degli abusi edilizi, non siano per esse configurabili disparità di trattamento nei confronti di altri soggetti (cfr., da ultimo, TAR Toscana, III, 16 giugno 2008, n. 1600). Senza contare che, “anche qualora fossero stati forniti elementi atti a comprovare un comportamento ingiustificatamente difforme dell’amministrazione, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento postula l’identità della situazione di fatto sottoposte alla valutazione discrezionale, presupposto che è ben difficilmente riscontrabile in materia di compatibilità paesaggistica (cfr. TAR Umbria, 437/2008, cit.;29 luglio 2008, n. 440 e n. 455;6 maggio 2009, n. 202;vedi anche, per la configurabilità del vizio di disparità di trattamento solo in caso di assoluta identità delle situazioni, gravando comunque sul ricorrente il relativo onere probatorio, TAR Lazio, Roma, II, 15 maggio 2008, n. 4269;Cons. Stato, VI, 6 giugno 2008, n. 2720).
A rimarcare la differenza delle situazioni, può aggiungersi che, secondo quanto sottolineato dalla difesa del Comune (e non ulteriormente contestato dal ricorrente), la struttura abusiva vicina sarebbe rappresentata da un pergolato in legno, amovibile, sul quale sono infissi teli ombra mobili in tessuto di colore corda naturale.
10. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.