TAR Roma, sez. III, sentenza 2014-02-25, n. 201402189

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2014-02-25, n. 201402189
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201402189
Data del deposito : 25 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00106/2013 REG.RIC.

N. 02189/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00106/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 106 del 2013, proposto da:
S P, rappresentato e difeso dagli avv. F G, A S, con domicilio eletto presso A S in Roma, via Giovanni Bettolo, 9;

contro

Agenzia delle Entrate di Roma - Direzione Provinciale Roma III, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 0182976 del 03.10.2012, emesso dal direttore dell'agenzia delle entrate di Roma III - ufficio territoriale di Tivoli, con il quale è stata disposta la revoca dell'abilitazione al servizio telematico "entratel"


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate di Roma - Direzione Provinciale Roma III;

Viste le memorie delle parti a sostegno delle rispettive difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2014 il dott. Francesco Brandileone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

-Riferisce parte ricorrente che:

1) in data 12/1 0/11 i funzionari Audit Gaetano De Crinito e Silvia Ottaviano, in esecuzione dell'incarico conferito con nota AUD/e - n. 2011/3358 del 03/1 0/2011, previo appuntamento orario concordato con il ricorrente, accedevano alla sede del suo studio professionale, situato in via Archimede n.62 in Roma, per effettuare dei controlli di rito tesi a verificare la sussistenza dei requisiti occorrenti per l'esercizio dell'attività di trasmissione telematica di cui all'art.3 comma 3 del D.P.R. 22/7/98 n.322 in relazione all'attività di trasmissione svolta negli anni 2008 - 2010 O nonché in relazione all'esatto adempimento degli obblighi imposti dalla normativa vigente in materia, anche in materia di privacy. In un primo momento i suddetti funzionari rilevavano che il ricorrente, essendo iscritto nell'Albo dei Consulenti del Lavoro della Provincia di Roma al n. 2595 (a far data dal 1/04/1998) e non essendo destinatario né di provvedimenti di sospensione né di radiazione irrogati dall'Ordine di appartenenza, era in possesso dei requisiti richiesti dall'art. 4 D.M. 31/07/1998 e dall'art. 7 comma 2 D.M. 164/99. Inoltre, dall'esame della relativa certificazione (Certiticato Generale del Casellario giudiziale e Certificato dei carichi pendenti), riscontravano l'insussistenza di carichi pendenti e dalla autocertificazione (relativa alla materia fallimentare), l'assenza di procedure fallimentari. Con riferimento alla prescritta polizza assicurativa obbligatoria il Sig. P S esibiva l'originale della stessa e la ricevuta del versamento del premio annuale (datata 24/0112011).

2) successivamente i funzionari, procedevano a verificare la sussistenza dei requisiti occorrenti per l'esercizio dell'attività di trasmissione telematica di cui all'art.3 comma 3, del D.P.R. 22/07/1998 n. 322, e contestavano che lo studio professionale aveva effettuato la tardiva trasmissione di 25 dichiarazioni (5 relative all'anno di trasmissione 2008;
9 relative all'anno di trasmissione 2009; 11 relative all'anno di trasmissione 2010) ed aveva omesso la trasmissione di 2 dichiarazioni (1 relativa all'anno di trasmissione 2009 e 1 relativa all'anno di trasmissione 2010). I funzionari provvedevano quindi a verificare l'esatto adempimento degli i obblighi imposti dalla normativa vigente in materia di privacy.

3) alle pagg. 13-15 del verbale i Funzionari, dopo aver premesso che lo studio professionale era situato al piano terra di una palazzina e nel locale vi svolgevano attività professionali anche altre società, rilevavano che una copia della chiave privata (necessaria per l'invio telematico), al momento del loro accesso, era conservata nella stanza della sig.na K N, dipendente della Service Agency S.r.l. ed incaricata dell'invio delle dichiarazioni, all’interno di un faldone posto in un armadio senza chiave mentre l'altra era "nello disponibilità della sig.na E M, dipendente della PS Servizi Professionali S.r.l., incaricata dell'invio degli F24, che si trovava in altra stanza, con altri 5 dipendenti della stessa società. Riferivano inoltre che le pratiche dello studio erano conservate in un piano interrato a cui si accedeva attraverso una scala interna non dotata di porta e che contestavano che chiunque avrebbe potrebbe accedervi. Inoltre in tale archivio sarebbero state conservate sia le pratiche relative all'attività di consulente del lavoro del ricorrente che quelle di intermediario della trasmissione e sarebbero altresì archiviate le pratiche della PS Servizi Professionali S.r.l. e della Service Agency S.r.l. (due delle società che svolgono una attività professionale nello studio auditato). Il tutto sarebbe conservato "promiscuamente" in faldoni nominativi su scaffali a vista.

In virtù di quanto descritto i Funzionari contestavano la violazione dell'art.7, comma 5 del Decreto 31/7/98 per " mancata osservanza degli obblighi di conservazione dello documentazione ricevuto dall'amministrazione Finanziaria " e dell'art.11, commi da 1 a 6. del D.M. 31/7/98 per " mancata osservanza degli obblighi inerenti l'obbligo di riservatezza" , rilevando che la stampa dei modelli di dichiarazione avveniva tramite una stampante ubicata in un locale dello studio accessibile a tutto il personale delle varie società operanti presso la struttura e pertanto consigliavano l'adozione di una stampante dedicata.

Con il ricorso in esame parte ricorrente impugna la disposta revoca indicata in epigrafe deducendo i seguenti motivi di gravame:

Eccesso di potere per travisamento del fatto. Eccesso di potere per carenza della motivazione. Eccesso di potere per illogicità e carenza della motivazione dell 'atto presupposto.Violazione elo falsa applicazione del DM 31/7/1998. Violazione e/o falsa applicazione della Legge 24/1/1981 n. 689. Violazione dell 'art. 97 Costituzione.

Con l'atto impugnato viene sanzionato un comportamento che, a mente della modifica legislativa intervenuta con L 6/12/2011 n. 201 convertito con Legge 22112/2011 n. 214, non è più considerato illecito. Tale normativa ha modificato l'art. 4 del D. Lvo 30/612003 n. 196 nel senso che le persone giuridiche, gli enti e le associazioni non sono più considerati come soggetti titolari dei diritti di protezione dei dati personali secondo il medesimo D. Lvo 196/2003. Questa modifica appare di particolare rilevanza in quanto introduce il principio (che risponde ad un concetto di buon senso) secondo il quale la tutela assicurata dalla norma in parola va intesa come riferita unicamente alle persone fisiche e non anche a quelle giuridiche, siano esse società di capitali, strutture economiche organizzate o gruppi di persone con scopo comune.

l’atto impugnato discende da una acritica applicazione dell'art. legge 689/198 nella interpretazione secondo la quale, in materia di sanzioni amministrative, non sarebbe applicabile il principio del favor rei".

E' opportuno ricordare che l'art.1 della legge 7/11/2000 n. 326 ha introdotto, nel testo unico delle leggi valutarie, un nuovo art. 23 bis che recita testualmente: " nessuno può essere assoggetta/o a sanzioni amministrative per un fatto che. secondo una legge posteriore. non costituisce violazione punibile, salvo che la sanzione sia stata irrogata con provvedimento definitivo ….Se la legge in vigore nel momento in cui è stata commessa lo violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diverse, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo ".

In termini di afflittività, non v'è differenza tra norma penale e sanzione amministrativa quando quest'ultima, come nel caso che ci occupa, ha come conseguenza una incisività così particolare, imponendo la definitiva interdizione da particolari attività lavorative e professionali.

Una applicazione costituzionalmente orientata dell’art.1 l.689/81 avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione resistente a valutare la modifica legislativa in tema di dati sensibili concludendo per la inapplicabilità delle sanzioni irrogate al caso concreto. L'applicazione dell'art. l 1.689/81, ancorchè non menzionata nell'atto impugnato, incide direttamente sulla legittimità dell'atto stesso con la conseguenza della sua diretta incidenza su! giudizio impugnatorio.

Si solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale sull'art. 1 L 689/1981 per violazione dell'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede la non punibilità nell'ipotesi in cui il fatto non costituisca, per la legge posteriore, violazione sanzionabile ovvero non preveda l'applicazione di sanzione più favorevole se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa.

La norma di cui all'art. 7 comma 5 del D.M. 31707/98, in base alla quale l'Ufficio ha disposto la revoca dell'abilitazione all'invio telematico, recita testualmente: " l'abilitazione al servizio può essere revocata dall'Amministrazione fìnanziaria in caso di gravi e ripetute inadempienze agli obblighi derivanti dal presente decreto ".

Il Legislatore quindi, ha previsto che tale radicale provvedimento sanzionatorio (revoca dell'abilitazione) possa essere legittimamente disposto solo in presenza di accertate "gravi e reiterate inadempienze".

A ) Nel caso di specie, come si legge a pagina 16 clel processo verbale di constatazione del 12/10/2011 i funzionari di Audit hanno verificato che nel corso dell'anno 2011 il sig. Polito (tramite la propria struttura organizzativa) ha trasmesso n.575 dichiarazioni (di cui 180 riguardano persone fisiche) e che le irregolarità contestate (concernenti le modalità di conservazione di documenti attestanti spese sanitarie) hanno riguardato tre sole posizioni SlC ....

Ebbene, si contesta che ciò possa integrare quelle "gravi e reiteratte inadempienze" che la legge richiede perché si possa, legittimamente irrogare una simile sanzione. Nel caso di specie non ricorre nessuno dei due requisiti.

Certamente non quello della "gravità", considerato che, nella sconcertante laconicità del verbale, non viene neppure spiegato quale sarebbe il rischio per la diffusione di tali dati (considerando che l'accesso ai fascicoli è consentito solo al personale dello studio che li tratta professionalmente) e che, altrettanto chiaramente, si parla di un numero assolutamente trascurabile di casi rispetto alla mole complessiva del lavoro movimentato dallo studio (3 posizioni su 575).

Ma non basta: se gli ispettori hanno verificato che gli stessi dati sensibili sono stati regolarmente tenuti in tutte le altre pratiche ad eccezione di queste tre significa che in questi soli casi isolati il personale dello studio è incorso in un mero errore materiale, del tutto casuale, e quindi non si è in presenza di un problema di protocollo nella gestione delle pratiche (questo sì, considerabile grave). Con ciò resta definitivamente esclusa un ipotesi di gravità del fatto conseguente ad una impostazione sbagliata del modus operandi complessivo dello studio ed il fatto resta circoscritto ad una mera disattenzione, prova di effettiva lesività.

Ancora più difficile è ipotizzare la ricorrenza del secondo criterio, che la Legge impone debba ricorrere ll1S1eme al primo: la reiterazione delle violazioni. Non vi sono stati altri accessi ispettivi (né precedenti né successivi) presso lo studio del ricorrente all'esito dei quali sia stata accertata tale reiterazione. Né tale reiterazione, intesa come persistenza nella ripetizione di comportamenti gravi, risulta aliunde. Il difetto di tale essenziale caratteristica del comportamento del ricorrente è di piena evidenza e non potrebbe apparire in modo più chiaro: non risulta essere stata posta in essere, da parte del sig. Polito, quella reiterazione di gravi comportamenti, integranti lesioni dei principi dettati in materia di privacy che possano legittimare l'adozione di una sanzione estrema come quella impugnata. L'unico accertamento operato dall' Agenzia delle Entrate, del 12/10/11, non ha evidenziato tale reiterata serie di gravi inadempienze ma solo, a tutto concedere, fermo quanto verrà detto infra' , isolati (tre) ed occasionali episodi di irregolarità, comunque privi della caratteristica della gravità. La ripetitività, nel tempo, è quindi esclusa non potendosi neanche ipotizzare un ipotetico disinteresse del ricorrente ad eventuali precedenti prescrizioni che non sono mai avvenute.

B) Nel merito. il verbale redatto dai funzionari di Audit, contiene una serie di gravi inesattezze e lacune che sono suscettibili di condurre a conclusioni errate e fuorvianti.

a-la postazione di lavoro della sig.na K N (la quale è delegata all'invio telematico delle dichiarazioni), si trova, è vero, all'interno di una stanza dove lavorano altre due dipendenti della stessa Società (Service Agency S.r.l.) ma alla stessa è affidata una postazione personale di lavoro che si trova sul suo tavolo alle cui spalle v'è un armadio a vista che le serve per appoggiare i faldoni su cui sta lavorando. Il PC della dipendente è dotato di una password conosciuta solo dalla stessa e di una chiusura a tempo (4 minuti) che disabilita il terminale in caso di mancato utilizzo. Ella, com'è imposto dalle esigenze organizzative dell'ufficio, al pari della sig.na E M, riceve la mattina, dalle mani del ricorrente, il quale le conserva all'interno di un armadio con chiusura a chiave che si trova all'interno della propria stanza, la chiave privata: sostanzialmente un supporto informatico di piccole dimensioni (un floppy disk), che consente l'autenticazione dei fìles informatici richiesti dall'Amministrazione finanziaria e l'accesso al sito dell'Agenzia delle Entrate per l'invio di dichiarazioni e documenti.

La stessa chiave, alla fine della giornata lavorativa, viene restituita a mani del ricorrente il quale provvede a rimetterla nell 'armadio. Per il periodo di utilizzo della chiave durante la giornata lavorativa, questa non è tenuta dalla sig.na N sul proprio tavolo, in vista, ma bensì all' interno del faldone personale, che si trova nell'armadio da lei sola utilizzato per appoggiare le pratiche da lavorare e al quale nessun altro dipendente può accedere essendo direttamene controllato, né potrebbe essere altrimenti data la immediata vicinanza, dalla stessa sig.na N;

Questa prassi si è resa necessaria in quanto, frequentemente e spesso in modo non prevedibile, il ricorrente, che è titolare dello studio professionale, deve assentarsi per incontrarsi con clienti presso le sedi delle aziende e ciò renderebbe praticamente impossibile l'attività di invio telematico laddove non fosse organizzato, com 'è infatti stato fatto nella specie, un sistema per il funzionamento dello studio che si basi sulla delega, a dipendenti particolarmente affidabili, di tali delicate funzioni. Ovviamente ciò implica necessariamente che gli stessi siano dotati delle copie della chiave privata che consente l'accesso alla rete. Sarebbe per altro impensabile che il ricorrente provvedesse personalmente a tutti chi incombenti paralizzando, cosi, di fatto la propria attività professionale fatta anche, e soprattutto, di relazioni con i clienti i quali, essendo prevalentemente società di capital i, richiedono la presenza del consulente presso e loro sedi con regolare frequenza.

Si ribadisce comunque che al di fuori dei casi di assenza del titolare, le chiavi sono sempre conservate nell'armadio, nella sua stanza.

B Ugualmente dicasi per la chiave affidata alla sig.na Mericone, incaricata dell'invio dei modelli F24, la quale, anche se lavora in un'altra stanza e con altre persone, può trovarsi ad avere, com'è avvenuto in occasione dell'accesso del personale di Audit, la temporanea disponibilità della chiave privata per procedere all'invio telematico. Anche per lei valgono le stesse disposizioni di sicurezza già indicate per l'altra dipendente:

C )I Funzionari accertatori hanno contestato che l'archivio in cui sono conservate le pratiche, che si trova in una cantina ubicata al di sotto dello studio professionale sia " accessibile a chiunque " in quanto la scala interna. che mette in comunicazione i due ambienti non aveva "porta di accesso". Questa circostanza, prima che illogica, non è neppure vera! Intanto non si capisce come potrebbe, "una scala interna. essere dotata di porta (') e poi questa affermazione non tiene conto del fatto che la stanza al piano interrato dove conduce la scala (cfr. fotografie in atti), è chiusa da una porta dotata di chiave la quale è nella disponibilità del ricorrente ed esiste proprio per tutelare l'accesso all'archivio'

Non solo, ma non è dato comprendere la portata semantica del termine " chiunque ": se è vero, come è vero, che quello del ricorrente è uno studio professionale di assistenza aziendale, in cui il personale ivi presente non può qualificarsi come "chiunque" ma bensì è personale specializzato ed affidabile che si occupa professionalmente delle questioni relative ai clienti del ricorrente (circa 400 società ), il quale, proprio per necessità lavorative deve continuamente accedere ai documenti che i clienti consegnano (documentazione contabile di vario tipo), e tenuto presente che l'accesso allo studio non è consentito a "chiunque" ma solo, evidentemente, a persone facoltizzate dal ricorrente (personale certamente non essendo i clienti o visitatori a qualsiasi titolo, abilitati a girovagare nello studio a loro piacimento), non è dato capire a chi tale termine ("chiunque") possa riferirsi. Oltretutto, le pratiche non si trovano a vista, al piano terra dove operano i dipendenti, ma bensì nella cantina sottostante, alla quale nessun "estraneo" potrebbe neppure casualmente accedere.

Ma non basta. Neppure può avere rilevanza la circostanza che le pratiche tenute nell'archivio posto nella cantina siano tenute in faldoni nominativi.

Le pratiche dei clienti che sono conservate nell'archivio posto al piano inferiore sono solo quelle delle persone giuridiche, che ormai sono collocate fuori dall'obbligo posto dalla normativa in tema di privacy, come modificato dalla recente L. 214/2011, la quale, intervenendo sulla materia, ha delimitato alle sole persone fisiche l'adozione delle misure (tra cui il divieto di indicazione nominativa sull'esterno dei faldoni) a tutela della prIvacy da parte degli studi professionali. Ancora, v'è da aggiungere che all'interno dei singoli faldoni, non sono contenute e conservate le copie cartacee delle comunicazioni inviate telematicamente. Secondo il protocollo adottato dallo studio del ricorrente, all'esito dell'invio telematico (sia delle dichiarazioni che degli F24), viene mandata al cliente una comunicazione con un allegato in formato PDF di quanto inviato all' Agenzia delle Entrate ma non viene fatta alcuna stampa di quanto inviato proprio per evitare ogni possibilità di diffusione delle informazioni ivi contenute.

D) E' singolare che, all'esito dell'accesso presso gli uffici, i Funzionari di Audit, dopo aver contestato al ricorrente la pretesa violazione delle norme in tema di tutela della privacy (art.11, commi da 1 a 6 del D.M. 31/7/98), abbiano verbalizzato che il " rischio " rilevato " sarebbe solo ed esclusivamente quello connesso alla " possibilità di accesso alla stampa dei documenti relativi all'assistenza fìscale da parte di persone estranee" , per evitare il quale raccomandano di " dotare la struttura di assistenza fìscale di una stampante dedicata e riservata all 'attività stessa " (sicl).

La discrasia tra quanto contenuto nel processo verbale di contestazione (cfr. pago 13 - 14) in tema di pretese violazioni delle norme a tutela della privacy, peraltro smentite sia documentaImente che con le numerose prove per testi richieste, e tali conclusioni, non potrebbe essere più evidente e inficia gravemente l'attendibilità e la consequenzialità dell'accertamento operato. Com 'è infatti possibile sostenere che possa esservi le contemporanea violazione di tutte le norme poste dall'art. l1 citato laddove la sola modifica che gli Ispettori chiedono di fare è rappresentata da una "stampante dedicata"? Come può affermarsi che vi sia stata una violazione in ordine alla "conservazione della documentazione ricevuta dall'amministrazione" laddove è stato dimostrato che le modalità di conservazione della chiave privata (in un armadio chiuso a chiave posto all'interno di una stanza chiusa) e l'affidamento della stessa a due esperte collaboratrici (come già indicato anche dal D.P.S.) avvenisse solo in occasione dell'assenza del titolare per impegni esterni o per sopperire ad inderogabili esigenze organizzative dell'ufficio?

Appare evidente, quindi, come l'Amministrazione resistente si sia determinata nella irrogazione di una sanzione particolarmente pesante sulla base della erronea interpretazione della realtà di fatto da un lato e dalla illogica ed irragionevole applicazione delle disposizioni normative dandone una interpretazione puramente meccanicistica ed avulsa dal reale ambito nel quale esse trovano applicazione. Un conto è. infatti, consentire che i supporti informatici (chiavi private) siano accessibili a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, vengono in contatto con le postazini (pc) utilizzate per l'attività di invio informatico, altro è pretendere che quel supporti informatici "viaggino" da un ufficio all'altro all'unico scopo dì prevenire la teorica intromissione di soggetti non autorizzati. Va inoltre rilevato come le C.d. chiavi private non sono altro che dei floppy disk che debbono necessariamente essere inseriti nel relativo lettore e costantemente collegati alla postazione consentendo l'autenticazione, unitamente alla chiave pubblica detenuta dall'Amministrazione finanziaria, dei file inviati. Le chiavi di autenticazione, inoltre, consentono di accedere alla rete telematica della medesima Amministrazione e sarebbe impensabile che non fossero nella disponibilità e sotto il diretto controllo delle operatrici;
soluzione diversa paralizzerebbe il lavoro del ricorrente e ne vaniflcherebbe la funzione di intermediario.

Ne consegue che l'atto impugnato sconta notevoli e rilevanti illogicità che non consentono di ritenere la motivazione sufficiente.-La stessa applicazione del D.M. 31/7/1998 appare incongrua e l'Amministrazione resistente avrebbe potuto, e dovuto. ricorrere allo strumento della raccomandazione o indicazione di soluzioni da essa ritenute più rispondenti allo spirito della norma invece di acriticamente ed apoditticamente ritenere la pretesa violazione come ìmpeditiva del prosieguo dell'attività professionale del ricorrente.

Si costituisce in giudizio l’Amministrazione resistente, che nel controdedurre alle censure di gravame chiede la reiezione del ricorso .

DIRITTO

Il ricorso è palesemente fondato sotto il profilo della violazione dell’art. 7, comma 5, d.m. 31 luglio 1998, per travisamento dei fatti e difetto di motivazione.

Ed invero osserva il Collegio che già questa Sezione con ordinanza n. 579/2013 ha avuto modo di acclarare che “… il provvedimento di revoca dell’abilitazione al servizio telematico, adottato in data 3 ottobre 2012 a seguito di una verifica eseguita un anno prima (12 ottobre 2011) nello studio del ricorrente non ha evidenziato carenze tali da giustificare – rapportate anche alla mole degli affari dallo stesso trattati – la gravissima sanzione comminata..”, che “… tre inadempienze alla violazione della privacy non possono costituire “gravi e reiterate inadempienze” previste dall’art. 7, comma 5, d.m. 31 luglio 1998 per poter disporre la revoca dell’abilitazione…” e “ …, quanto alla conservazione nella cantina di faldoni contenenti le pratiche dei clienti del ricorrente, che se è vero che la scala interna, dalla quale si accede alla cantina, non è preceduta da una porta, è anche vero che tale porta, dotata di serratura, è posta in fondo alla scala, prima di accedere alla cantina stessa…”..

In tale situazione risulta palese la erroneità dei presupposti di fatto valutati dall’Amministrazione che ex se non costituiscono gravi e reiterate violazioni con conseguente impossibilità da parte dell’Amministrazione di irrogazione della disposta misura revocatoria impugnata in questa sede, senza altresì contare che le circostanze fattuali,( correlate a)- alla copia della chiave privata (necessaria per l'invio telematico), conservata nella stanza della sig.na K N, incaricata dell'invio delle dichiarazioni, all’interno di un faldone posto in un armadio senza chiave e l'altra chiave nella disponibilità della sig.na E M;
b) - alle pratiche dello studio conservate in un piano interrato a cui si accedeva attraverso una scala interna non dotata di porta che chiunque avrebbe potrebbe accedervi, conservate "promiscuamente" in faldoni nominativi su scaffali a vista,) risultano palesemente generiche fondatamente contraddette da parte ricorrente, con conseguente palese carenza motivazionale dell’atto impugnato

Sulla base delle suesposte considerazioni il ricorso va accolto e per l’effetto l’atto impugnato va annullato per violazione dell’art. 7, comma 5, d.m. 31 luglio 1998, per travisamento dei fatti e difetto di motivazione.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2000,00 (duemila).

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