TAR Brescia, sez. II, sentenza 2012-05-08, n. 201200788

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2012-05-08, n. 201200788
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201200788
Data del deposito : 8 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00556/2002 REG.RIC.

N. 00788/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00556/2002 REG.RIC.

N. 00557/2002 REG.RIC.

N. 02176/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 556 del 2002, proposto da:
GIAMBATTISTA TONINELLI, GIANCARLO TONINELLI, rappresentati e difesi dagli avv. G F, I F e F F, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Diaz 28;

contro

COMUNE DI ROVATO, rappresentato e difeso dall'avv. S V, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Diaz 9;

REGIONE LOMBARDIA, non costituitasi in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 557 del 2002, proposto da:
GIAMBATTISTA TONINELLI, GIANCARLO TONINELLI, rappresentati e difesi dagli avv. G F, I F e F F, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Diaz 28;

contro

COMUNE DI ROVATO, non costituitosi in giudizio;

nei confronti di

ALESSANDRO CAVALLI,

DIESEL

80 SRL, rappresentati e difesi dall'avv. Enzo Bosio, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Moro 54;

sul ricorso numero di registro generale 2176 del 2004, proposto da:
GIAMBATTISTA TONINELLI, GIANCARLO TONINELLI, rappresentati e difesi dagli avv. G F, I F e F F, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Diaz 28;

contro

COMUNE DI ROVATO, non costituitosi in giudizio;

nei confronti di

ALESSANDRO CAVALLI, ELISABETTA BERTUZZI, rappresentati e difesi dall'avv. Enzo Bosio, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Moro 54;

per l'annullamento

(a) quanto al ricorso n. 556 del 2002:

- della deliberazione consiliare n. 30 dell’11 settembre 1999, con la quale è stato adottato il nuovo PRG;

- della deliberazione consiliare n. 42 del 28 ottobre 2000, con la quale sono state esaminate le osservazioni;

- della DGR n. 7/8245 del 1 marzo 2002, con la quale sono state decise le modifiche d’ufficio al PRG in questione;

- della deliberazione consiliare n. 6 del 20 marzo 2002, con la quale il Comune ha accolto integralmente le modifiche d’ufficio della Regione;

(b) quanto al ricorso n. 557 del 2002:

- della concessione edilizia PE-362-2001 del 7 febbraio 2002 rilasciata al controinteressato A C per la realizzazione di un nuovo capannone agricolo per deposito macchinari in via Cavalletto sul mappale n. 140;

(c) quanto al ricorso n. 2176 del 2004:

- del permesso di costruire PE-354-2003 del 29 marzo 2004, riguardante l’edificazione di due nuovi capannoni agricoli sui mappali n. 140 e 336;

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rovato e di A C ed E B;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2012 il dott. M P;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti G T e G T sono proprietari di edifici residenziali con area pertinenziale (mappali n. 280 e 281) situati del Comune di Rovato in via Bargnana 5. In base alla disciplina urbanistica previgente gli immobili di proprietà dei ricorrenti erano inseriti in un programma di fabbricazione agricola.

2. Il Comune con deliberazione consiliare n. 30 dell’11 settembre 1999 ha adottato il nuovo PRG, nell’ambito del quale è stata confermata la classificazione in zona agricola degli immobili dei ricorrenti. I fabbricati sono stati qualificati come edifici non connessi all’attività agricola e sottoposti alla rigida regolamentazione dell’art. 36.3 delle NTA.

3. Nelle vicinanze degli immobili dei ricorrenti si trovano alcune aree di proprietà di terzi (mappali n. 263-265-291-292-141-196) sulle quali nel tempo sono stati realizzati diversi capannoni. Questi capannoni (assentiti in base alla normativa sull’edificazione in zona agricola) avrebbero dovuto rimanere al servizio di imprese agricole ma di fatto sono stati riconvertiti ad attività commerciali e artigianali (vendita, riparazione e collaudo di autoarticolati da parte della società Diesel 80 srl, vendita di cereali). Per alcuni dei capannoni il cambio di destinazione d’uso è stato oggetto di condono edilizio nel 1989. Il nuovo PRG ha previsto l’inserimento di tutte queste strutture in una specifica zona produttiva, isolata in mezzo alla campagna.

4. I ricorrenti hanno presentato un’osservazione al PRG in data 13 gennaio 2000 contestando la sanatoria implicita derivante dalla creazione della zona produttiva, che finirebbe per premiare l’insediamento abusivo di attività incompatibili con la destinazione agricola. Mediante un’altra osservazione, presentata contestualmente alla prima, i ricorrenti hanno chiesto la modifica dell’art. 36.3 delle NTA in modo da rendere possibili gli interventi di ristrutturazione negli edifici non connessi all’attività agricola.

5. Il Comune con deliberazione consiliare n. 42 del 28 ottobre 2000 ha accolto la seconda osservazione integrando l’art. 36.3 delle NTA con la facoltà di ristrutturazione senza ampliamento volumetrico previa concessione edilizia singola. È stata invece respinta la prima osservazione, e dunque è stata confermata la creazione della zona produttiva. Queste scelte sono rimaste inalterate anche nel seguito della procedura, tanto in sede di approvazione regionale (dove con la DGR n. 7/8245 del 1 marzo 2002 sono state introdotte, per altri profili, alcune modifiche d’ufficio), quanto nel successivo passaggio comunale (nel corso del quale con deliberazione consiliare n. 6 del 20 marzo 2002 sono state recepite integralmente le modifiche d’ufficio decise dalla Regione).

6. Contro i provvedimenti di adozione e approvazione del PRG i ricorrenti hanno proposto impugnazione con atto notificato il 13 giugno 2002 e depositato il 18 giugno 2002 (ricorso n. 556/2002). Le censure si possono così sintetizzare: (i) violazione dell’art. 1 comma 1-c della LR 7 giugno 1980 n. 93 e dell’art. 4 della LR 15 gennaio 2001 n. 1, in quanto negli edifici esistenti in zona agricola non più utilizzati per la coltivazione del fondo dovrebbero essere consentiti anche interventi di ristrutturazione e adattamento residenziale, compreso l’ampliamento volumetrico;
(ii) violazione dell’art. 29 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e sviamento, in quanto la disciplina applicata alle aree trasformate in produttive sarebbe eccessivamente favorevole e iniquamente vantaggiosa;
(iii) violazione dell’art. 2 comma 1-q della legge 7 gennaio 1976 n. 3, in quanto alla predisposizione del PRG non ha partecipato un dottore agronomo o forestale.

7. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

8. Mentre si stava concludendo la procedura di approvazione del nuovo PRG il Comune ha rilasciato al controinteressato A C la concessione edilizia PE-362-2001 del 7 febbraio 2002 per la realizzazione di un nuovo capannone agricolo per deposito macchinari in via Cavalletto sul mappale n. 140. L’area in questione, classificata in zona agricola, si colloca tra la proprietà dei ricorrenti e i mappali inseriti dal nuovo PRG in zona produttiva (oggetto del ricorso n. 556/2002). La concessione edilizia è stata rilasciata sul presupposto dell’esistenza in capo al controinteressato della qualità di imprenditore agricolo.

9. In questo intervento edilizio i ricorrenti leggono l’intenzione del controinteressato (socio al 40% di Diesel 80 srl) di espandere la superficie commerciale-artigianale al di fuori dell’area ora riclassificata come produttiva, determinando le condizioni di fatto per un uso non agricolo del nuovo capannone. Pertanto i ricorrenti hanno proposto impugnazione con atto notificato il 14 giugno 2002 e depositato il 18 giugno 2002 (ricorso n. 557/2002) esponendo le seguenti censure: (i) violazione dell’art. 3 della LR 93/1980, in quanto il controinteressato non sarebbe imprenditore agricolo a titolo principale e non disporrebbe di un’azienda agricola effettivamente funzionante;
(ii) sviamento, in quanto la concessione edilizia rivelerebbe un eccessivo favore dell’amministrazione verso i proprietari delle aree prossime agli immobili dei ricorrenti, mentre questi ultimi sono costretti a subire gli effetti negativi della presenza dei capannoni e delle attività correlate.

10. Il controinteressato e la società Diesel 80 srl si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. Il Comune non si è costituito in giudizio. Peraltro gli uffici comunali, in seguito alla richiesta istruttoria formulata dal TAR con ordinanza n. 459 del 25 giugno 2002, hanno prodotto in data 23 luglio 2002 alcuni documenti relativi all’attività agricola del signor A C, e precisamente: (a) una visura camerale da cui risulta l’iscrizione nel registro delle imprese a partire dal 5 dicembre 1996 con la qualifica di piccolo imprenditore coltivatore diretto;
(b) l’attestazione dell’iscrizione alla gestione coltivatori diretti dell’INPS;
(c) le dichiarazioni dei redditi degli anni 2000-2001-2002, che evidenziano la titolarità di significativi redditi dominicali e agrari e un volume d’affari costituito da operazioni imponibili agricole. Sulla base di tali acquisizioni il TAR ha respinto la domanda cautelare dei ricorrenti con ordinanza n. 656 del 10 settembre 2002.

11. Durante la pendenza dei predetti ricorsi il Comune ha rilasciato congiuntamente ad A C e a E B il permesso di costruire PE-354-2003 del 29 marzo 2004, riguardante l’edificazione di due nuovi capannoni agricoli sui mappali n. 140 e 336. Si tratta anche in questo caso di un titolo edilizio riferito a una zona agricola e rilasciato sul presupposto della qualità di imprenditore agricolo. I nuovi capannoni sono collegati tra loro e risultano contigui a quello assentito con la concessione edilizia PE-362-2001 del 7 febbraio 2002. Complessivamente le tre strutture occupano una superficie pari a 5.427 mq.

12. I ricorrenti, che confinano anche con l’area interessata da questo ulteriore intervento edilizio, hanno proposto impugnazione con atto notificato il 20 dicembre 2004 e depositato il 27 dicembre 2004 (ricorso n. 2176/2004). Le censure sono simili a quelle esposte nel ricorso n. 557/2002, ossia (i) difetto dei requisiti soggettivi per l’edificazione in zona agricola;
(ii) sviamento, essendo il vero fine di queste edificazioni l’ampliamento delle attività commerciali e artigianali esercitate sulla vicina area produttiva.

13. I controinteressati A C ed E B si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso, del quale hanno anche eccepito la tardività. Tra gli allegati è stata prodotta la relazione dell’agronomo C B sull’attività dell’azienda biologica Roberto e Federico di Cavalli Alessandro &
C., società semplice iscritta nel registro delle imprese in data 30 maggio 2002, di cui i controinteressati sono soci amministratori al 50%. Sono state inoltre depositate alcune fatture del 2004 relative all’acquisto da parte della suddetta azienda biologica di macchinari per l’agricoltura.

14. Il Comune non si è costituito in giudizio neppure in questo ricorso, ma in data 18 febbraio 2005, in seguito alla richiesta istruttoria formulata dal TAR con ordinanza n. 70 del 18 gennaio 2005, ha depositato documentazione da cui risulta che la signora E B possiede la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale mentre il signor A C possiede unicamente la qualifica di coltivatore diretto. Il TAR, sulla base di queste informazioni e della relazione agronomica, ha respinto la domanda cautelare dei ricorrenti con ordinanza n. 267 del 25 febbraio 2005, precisando tuttavia che l’effettiva destinazione dei nuovi capannoni al servizio dell’azienda agricola avrebbe potuto costituire oggetto di controllo da parte del Comune per evitare abusi nel corso dell’utilizzazione.

15. I tre ricorsi, pur avendo oggetti differenziati, possono essere trattati congiuntamente, in quanto propongono da angolazioni diverse un conflitto con il Comune e con i controinteressati circa l’utilizzazione di una porzione di territorio comunale in grado di interferire, per prossimità e destinazione, con la proprietà dei ricorrenti.

16. Sulle questioni urbanistiche (ricorso n. 556/2002) si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) l’argomento relativo all’ingiustificata compressione delle facoltà edificatorie dei ricorrenti è in parte inammissibile e per il resto non può essere condiviso. In realtà l’art. 36.3 delle NTA, come modificato tramite la deliberazione consiliare n. 42/2000 nella fase di esame delle osservazioni (v. sopra al punto 5), ammette in aggiunta alle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelle di restauro e risanamento conservativo (già previste nel PRG adottato) anche gli interventi di ristrutturazione purché senza ampliamento di volume;

(b) l’interesse dei ricorrenti alla ristrutturazione è stato quindi riconosciuto come meritevole di tutela direttamente dal Comune, con un’interpretazione corretta della normativa sulla riconversione residenziale degli edifici non più utilizzati per scopi agricoli (v. all’epoca l’art. 1 comma 1-c della LR 93/1980 nonché l’art. 4 della LR 1/2001, e ora l’art. 62 della LR 11 marzo 2005 n. 12). In effetti non sarebbe ragionevole, una volta accertata l’assenza di finalità speculative, limitare agli interventi edilizi minori il recupero del patrimonio edilizio situato in zone agricole quando sia da tempo cessato ogni collegamento con la coltivazione dei fondi. Perché vi sia recupero deve essere riconosciuta necessariamente anche la possibilità di realizzare interventi di ristrutturazione (intesi come trasformazione del volume esistente agricolo in volume pienamente e funzionalmente residenziale). La scelta se concedere o meno ampliamenti della volumetria oltrepassa invece il concetto di recupero dell’esistente e si colloca nell’ambito delle modifiche in melius . Viene quindi in rilievo la discrezionalità rimessa agli strumenti urbanistici secondo gli ordinari criteri della pianificazione (una volta perso il collegamento con la destinazione agricola cade anche l’aspettativa a una disciplina di favore nella fissazione degli indici edilizi);

(c) passando al secondo problema, ossia la nuova destinazione produttiva delle aree di terzi (soggetti che in parte coincidono con i controinteressati dei ricorsi n. 557/2002 e 2176/2004), si ritiene che la scelta urbanistica operata dal Comune, pur collocandosi lungo uno spartiacque amministrativo non privo di insidie, tra l’opportunità della riqualificazione degli edifici esistenti e il rischio della regolarizzazione automatica degli abusi edilizi, sia rimasta alla fine sul versante delle opzioni urbanistiche legittime;

(d) la norma richiamata dai ricorrenti (art. 29 della legge 47/1985) non è perfettamente adeguata alla fattispecie in esame, in quanto riguarda il potere delle regioni di disciplinare “ con proprie leggi la formazione, adozione e approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzati al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, esistenti al 1° ottobre 1983, entro un quadro di convenienza economica e sociale ”. Tuttavia si può trarre da questa norma un’indicazione in contrasto con la tesi dei ricorrenti e a favore invece della possibilità per l’amministrazione di individuare una migliore sistemazione delle aree interessate da abusi edilizi. Questo non significa che la pianificazione urbanistica possa essere ordinariamente utilizzata per sanare con zonizzazioni mirate l’edificazione abusiva o i cambi di destinazione non autorizzabili. Gli abusi vanno di norma repressi con la demolizione e il ripristino, mentre la conservazione rappresenta un’eccezione circoscritta ai casi ammessi dalla legge, e non compete alla pianificazione urbanistica rovesciare questa regola per venire incontro alle esigenze degli autori degli abusi. Non sarebbe però neppure ragionevole negare alla pianificazione urbanistica la facoltà di individuare interessi pubblici compatibili con la presenza di opere abusive. Quando una determinata scelta urbanistica sia ritenuta conveniente per la collettività non costituisce necessariamente sintomo di sviamento il fatto che qualche privato abbia in precedenza commesso abusi che non sarebbero più tali con le nuove regole. La disciplina urbanistica sopravvenuta, se più favorevole, si estende anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore (v. Cass. civ. Sez. II 2 marzo 2007 n. 4980;
Cass. civ. Sez. II 12 febbraio 2000 n. 1565), il che provoca un consolidamento di quanto edificato, con un risultato sostanzialmente sanante;

(e) il punto dirimente è quindi l’individuazione di un interesse pubblico che sia idoneo a sostenere da solo la nuova zonizzazione (o la nuova regolamentazione edilizia) da cui derivano gli effetti sananti. Nello specifico sui mappali n. 263-265-291-292-141-196 tutti i capannoni sono stati realizzati con iniziale destinazione agricola e poi sono stati adattati senza autorizzazione a un uso commerciale o artigianale. Per alcuni capannoni (in particolare quelli della signora I B) è intervenuto (ancora nel 1989) il condono edilizio che ha sanato e consolidato il cambio di destinazione d’uso;
per gli altri l’attuale destinazione è invece precaria. Dunque esiste una situazione mista che può giustificare la decisione di creare una zona produttiva, nonostante il contesto agricolo. È vero che la concessione del condono, riguardando casi singoli, non equivale a una scelta urbanistica, ma poiché il condono legittima la presenza dell’edificio non più abusivo (o la nuova destinazione d’uso), con ciò stesso si determina anche il presupposto per un nuovo inquadramento urbanistico che renda coerente la zonizzazione con la situazione dei luoghi e possibilmente migliori la qualità di quanto edificato. Nell’ambito di tale inquadramento possono trovare sistemazione anche gli edifici per i quali non è stato rilasciato il condono, purché (come sembra nel caso in esame) siano strettamente collegati con quelli condonati in modo da formare un insieme omogeneo;

(f) per quanto riguarda invece la mancata partecipazione alla stesura del PRG di un dottore agronomo o forestale (categoria professionale dotata di competenza specifica ex art. 2 comma 1-q della legge 3/1976), questa circostanza non è sufficiente a provocare l’annullamento dell’intero PRG. In realtà solo gli ordini professionali hanno interesse a tutelare le prerogative della categoria impugnando nella sua globalità il provvedimento finale. La platea dei destinatari ha invece interesse a far valere il mancato coinvolgimento del professionista unicamente in via indiretta, ossia per lamentare il difetto di istruttoria sui punti del provvedimento che sono stati predisposti senza il necessario supporto tecnico. Nello specifico però l’introduzione di una zona produttiva non implica valutazioni agronomiche o forestali ma rimane nell’ambito delle scelte urbanistiche e in particolare riguarda, come si è visto sopra, il problema del corretto inquadramento urbanistico di edifici che hanno da tempo una destinazione d’uso non agricola.

17. Sulle questioni relative ai titoli edilizi (ricorsi n. 557/2002 e 2176/2004) si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) innanzitutto, con riguardo al ricorso n. 2176/2004, non vi sono elementi da cui si possa desumere con certezza che la piena conoscenza del permesso di costruire PE-354-2003 del 29 marzo 2004 da parte dei ricorrenti sia avvenuta già nel mese di agosto 2004. Dunque non può dirsi accertato il necessario presupposto di una pronuncia di irricevibilità;

(b) in entrambi i ricorsi il punto formale di dissidio riguarda il possesso dei requisiti soggettivi stabiliti dall’art. 3 della LR 93/1980 (v. ora l’art. 60 della LR 12/2005) per l’edificazione in zona agricola;

(c) il controinteressato A C ha prodotto al Comune documentazione da cui risulta unicamente la qualifica di piccolo imprenditore coltivatore diretto (v. sopra ai punti 10 e 14);

(d) questa condizione da sola non costituisce il requisito soggettivo che assicura una corsia privilegiata per l’edificazione in zona agricola, in quanto non è equivalente all’iscrizione nell’albo degli imprenditori agricoli di cui alla LR 13 aprile 1974 n. 18 (norma richiamata dall’art. 3 comma 1-a della LR 93/1980). Dopo l’abrogazione della LR 18/1974 e del relativo albo si deve fare riferimento alla qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP) contenuta nella LR 7 febbraio 2000 n. 7 e specificata (all’epoca dei fatti) nella DRG n. 7/5326 del 2 luglio 2001 e nella DGR n. 7/9924 del 26 luglio 2002. Qualora il richiedente abbia tale qualifica non è necessaria una puntuale indagine sulla consistenza dell’azienda agricola, una volta accertato che la stessa è esistente. Nel caso invece degli imprenditori agricoli non-IATP l’art. 3 comma 1-b della LR 93/1980, pur attribuendo la facoltà di edificare, richiede in aggiunta un’attestazione del competente servizio tecnico–amministrativo provinciale sulle esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa;

(e) peraltro nel corso delle istruttorie comunali e in seguito agli approfondimenti richiesti da questo TAR (v. sopra ai punti 10, 13 e 14) è emersa l’effettiva gestione di attività agricola, in forma individuale e associata, il che consente di parificare in concreto la posizione di A C a quella della controinteressata E B (la quale risulta in possesso della qualifica di IATP);

(f) indipendentemente dal possesso della qualifica di IATP la possibilità per un imprenditore agricolo di edificare in zona agricola è comunque subordinata alla dimostrazione di un rapporto di proporzionalità tra i nuovi fabbricati e l’attività svolta. La legislazione regionale presenta un particolare favore nei confronti degli imprenditori agricoli con la qualifica di IATP ma il corretto dimensionamento delle infrastrutture agricole si può considerare un presupposto intrinseco ai fini del rilascio del titolo edilizio;

(g) il problema sostanziale è che le imprese (specie le più giovani) tendono a dimensionare le infrastrutture agricole sullo sviluppo futuro dell’azienda, che potrebbe anche non verificarsi, o verificarsi in misura inferiore alle aspettative. Questa proiezione non è per sé illegittima, quando non risulti evidentemente assurda. Ne consegue che non è facile distinguere ex ante i progetti seriamente motivati da quelli con finalità speculative. In via di principio non è mai ammissibile un processo alle intenzioni, neppure quando vi siano nel medesimo contesto esempi di infrastrutture agricole riconvertite abusivamente all’attività commerciale o artigianale. Certamente l’amministrazione potrebbe disincentivare gli intenti speculativi escludendo già nel permesso di costruire la possibilità di un cambio di destinazione d’uso nell’ipotesi di abbandono dell’attività agricola prima di una certa data, oppure inserendo per tale ipotesi l’obbligo di rimessione in pristino. In mancanza di simili precauzioni l’unica garanzia è costituita dalla vigilanza degli uffici comunali, che sono tenuti a reprimere l’alterazione non autorizzata della destinazione d’uso e dello stato dei luoghi, anche per impedire che il fatto compiuto diventi nel tempo il punto di partenza per chiedere la modifica della zonizzazione;

(h) l’attività di vigilanza deve essere svolta d’ufficio, ma poiché i vicini (e nello specifico i ricorrenti) hanno interesse a non subire alterazioni dell’ambiente circostante superiori a quelle consentite dalla legge e dalla disciplina urbanistica si deve riconoscere a tali soggetti una posizione differenziata anche sotto il profilo della segnalazione di eventuali variazioni dello stato dei luoghi e della destinazione d’uso. In altri termini, quando l’amministrazione consente tipologie edificatorie che possono avere un impatto molto diverso sul territorio a seconda di come vengono utilizzati gli edifici, assume anche una posizione di garanzia nei confronti dei proprietari confinanti e deve assicurare che il disturbo subito dagli stessi non oltrepassi quello medio desumibile dal progetto approvato con il titolo edilizio;

(i) peraltro, come è evidente, si tratta di vicende successive all’edificazione, che non possono retroagire sotto forma vizi dei provvedimenti autorizzatori.

18. In conclusione tutti e tre i ricorsi devono essere respinti, sia pure con le precisazioni esposte ai punti precedenti. La complessità della controversia unitariamente valutata permette l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

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