TAR Genova, sez. II, sentenza 2016-01-19, n. 201600053

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2016-01-19, n. 201600053
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201600053
Data del deposito : 19 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01092/2013 REG.RIC.

N. 00053/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01092/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1092 del 2013, proposto da:
M T C, rappresentata e difesa dagli avv. G B, A D, B F C, con domicilio eletto presso G B in Genova, Via Innocenzo, IV 5/5;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Genova, viale Brigate Partigiane N. 2;

per l'annullamento

previa sospensione dell’esecuzione,

del provvedimento di diffida 15 aprile 2013 n. 2.8/2594 nonché del provvedimento di irrogazione di sanzione disciplinare della pena pecuniaria 31.7.2013 n. 2.8./5174.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2015 il dott. L M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 4 ottobre 2013 al Ministero dell’interno e depositato il successivo 30 ottobre 2013 la sig. ra M T C, assistente capo della Polizia di Stato, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, i provvedimenti in epigrafe.

Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi:

1) incompetenza, violazione degli artt. 4, 5, 6 , 7, 17, 18 e 19 d.p.r. 737/1981, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto, in primo luogo, il provvedimento disciplinare, ove l’addebito fosse ipotizzabile in termini di mero esercizio occasionale di commercio o mestiere incompatibile ex art. 4 n.2 d.p.r. 737/1981, avrebbe dovuto essere irrogato dal dirigente dell’Ufficio di Polizia di frontiera marittima di Savona e non già dal Dirigente della Prima zona di Polizia di frontiera di Torino, ove, invece, l’illecito disciplinare fosse ipotizzabile come esercizio in via abituale diretta ed esclusiva di commercio o mestiere incompatibile (ex artt. 4, 6 e 7 d.p.r. 737/1981) la competenza spetterebbe al Capo della Polizia;
in ogni caso sussisterebbe l’incompetenza del soggetto che ha in concreto adottato l’atto impugnato;

2) violazione degli artt. 7, 8 e 10 l. 241/90, violazione degli artt. 12 e 13 d.p.r. 737/1981, violazione dei principi del contraddittorio, del giusto procedimento e di difesa ex art. 24 Costituzione, in quanto non sarebbero state rispettate le garanzia procedimentali proprie in generale dei procedimenti amministrativi e di quelli disciplinari in particolare, quali quello della contestazione immediata degli addebiti della comunicazione di avvio del procedimento e del contraddittorio;

3) violazione dell’art.3 l. 241/90, violazione degli artt. 1, 4, 12, 13 e 14 d.p.r. 737/1981, difetto di presupposti, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria in quanto l’attività istruttoria sarebbe illegittima in quanto disposta in violazione delle disposizioni procedimentali che la disciplinano, in particolare non sarebbe chiaro né emergerebbe con certezza che la ricorrente sia stata vista all’interno del negozio della sorella e neppure che la stessa lo gestisse. Inoltre gli accertamenti trasfusi nella comunicazione riservata personale del sostituto commissario N sarebbero smentiti dalle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà della sorella della ricorrente;
inoltre nel periodo oggetto di osservazione era presenta in negozio la figlia della ricorrente, circostanza che avrebbe potuto indurre in errore gli agenti;
infine la presenza della ricorrente nel negozio sarebbe esclusa nei giorni 26 ottobre, 7 novembre e 14 novembre in quanto la stessa nelle predette date dalle ore 17 in poi si sarebbe recata presso lo studio del dott. V G. In ogni caso la mera presenza nel negozio non sarebbe idonea a dimostrare che la ricorrente abbia svolto attività commerciale.

La ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese e onorari di giudizio.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata.

Con ordinanza 9 gennaio 2015 n. 43 è stata disposta istruttoria.

All’udienza del 16 dicembre 2015 il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è rivolto avverso una diffida a cessare una situazione di incompatibilità, consistente nell’esercizio, in modo continuativo, dell’attività di commercio presso l’esercizio denominato Andrea’s in Savona via Orefici n. 26 – 2/R

Il ricorso è, altresì, rivolto avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della pena pecuniaria per avere esercitato l’attività di commercio presso lo stesso esercizio.

L’impugnativa avverso la diffida a cessare l’attività incompatibile è inammissibile.

La diffida ad un pubblico dipendente a cessare da una situazione di incompatibilità non costituisce atto autonomamente impugnabile giacché è il successivo ed eventuale provvedimento di decadenza che incide negativamente sul rapporto d'impiego e che il dipendente inutilmente diffidato ha interesse a rimuovere (C.S. IV 9 novembre 2005 n. 6257).

L’impugnativa avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria non è fondata.

Con il primo motivo si deduce l’incompetenza oltre al difetto di istruttoria e alla contraddittorietà con la precedente diffida. In sostanza la ricorrente sostiene che non sarebbe chiaro se l’imputazione debba riferirsi all’esercizio abituale dell’attività commerciale (come espresso nella diffida) ovvero all’esercizio occasionale (come espresso nel provvedimento impugnato).

Da tale insanabile contraddizione deriverebbe poi l’incompetenza.

Preliminarmente deve rilevarsi da un lato l’inammissibilità della impugnativa avverso la diffida, non avendo quest’ultima valenza provvedi mentale, e dall’altro, il difetto di interesse della ricorrente a dolersi della qualificazione della propria condotta in termini più gravi di quella ritenuta nel provvedimento di irrogazione della sanzione.

Senza contare che il provvedimento sanzionatorio essendo successivo alla diffida ben può essere stato emesso a seguito di una attenta valutazione delle sopravvenienze nel frattempo occorse di talchè deve ritenersi prevalente la valutazione nello stesso espressa rispetto a quella evidenziata nella diffida.

Una volta accertata la riconducibilità della fattispecie all’ipotesi di cui all’art. 4, comma 1 n. 2 d.p.r. 737/1981 il Collegio rileva l’insussistenza del lamentato difetto di competenza. Deve, infatti, rilevarsi, come ai sensi del d.m. 16 marzo 1989 e come chiarito con la circolare 18 gennaio 1994 n. 333 - A/9809 del Capo della Polizia e reso evidente dalla tabella annessa la competenza ad irrogare la sanzione disciplinare della pena pecuniaria è attribuito al Dirigente dell’ufficio di Zona nella specie il Dirigente della Prima Zona di Polizia di frontiera.

Donde l’infondatezza del mezzo.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione della garanzie procedimentali, in particolare degli artt. 12 e 13 d.p.r. 737/1981.

Il motivo è infondato.

Per quanto attiene alla mancata applicazione dell’art. 12 d.p.r. 737/1981 il Collegio rileva come ai fini della regolarità del procedimento disciplinare, è sufficiente che al dipendente vengano comunicati e contestati in modo completo e circostanziato i fatti che gli si addebitano, in modo da metterlo in grado di svolgere le sue difese in una situazione di cognizione piena e consapevole, per cui la relativa contestazione formale non deve essere necessariamente preceduta da una preventiva constatazione dell'infrazione ex art. 12 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (cfr. TAR Valle d’Aosta 23 gennaio 2012 n. 8, T.A.R. Calabria-Catanzaro, I, 2.3.2010, n. 265).

Quanto poi alla tardività della contestazione degli addebiti rispetto alla data di commissione dei fatti occorre rilevare che, nel procedimento disciplinare a carico di agenti della Polizia di Stato non è previsto dall'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal T.U. n. 3 del 1957 - alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti. Inoltre, l'uso del termine 'subito' nel contesto dell'art. 103, T.U. impiegati civili dello Stato, ai fini della contestazione degli addebiti, presenta mera valenza sollecitatoria, con la conseguenza che residua per l'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame (TAR Lazio 3 novembre 2014 n. 10988).

Nel caso di specie la circostanza che la contestazione degli addebiti sia stata emessa in data 10 giugno 2013 a circa sei mesi di distanza dai fatti oggetto di incolpazione non è rilevante, anche avuto riguardo alla circostanza della intervenuta precedente diffida e della circostanza che il lasso di tempo trascorso non ha impedito alla ricorrente di approntare una propria linea di difesa dimostrando documentalmente la propria assenza dal negozio in determinati giorni e in determinati orari.

Con il terzo motivo la ricorrente contesta nel merito la valutazione dell’amministrazione.

Il motivo non è fondato.

Plurime circostanze inducono a ritenere come, effettivamente, la ricorrente esercitasse in via occasionale il commercio ingerendosi nella gestione del negozio della sorella (Andrea’s).

In primo luogo gli orari di apertura dello stesso, spesso solo pomeridiani, che coincidevano con la fine dell’orario di servizio della ricorrente. In secondo luogo le diposizioni della signora P dapprima alla Guardia di finanza e di poi alla Polizia che confermano come il rapporto di lavoro fosse gestito almeno in parte dalla ricorrente.

La circostanza che la ricorrente sia stata notata nel negozio da sola.

Le dichiarazioni del sig. M F che riferisce di avere avuto notizia che la persona che faceva acquisti per il negozio era una poliziotta.

Si tratta di un insieme di elementi che rendono non illogica o irragionevole la valutazione dell’amministrazione in ordine all’esercizio dell’attività commerciale da parte della ricorrente.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

La spese seguono la soccombenza.

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