TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-02-28, n. 201702925
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Pubblicato il 28/02/2017
N. 02925/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01049/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1049 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati F C, F L e Jacopo D'Auria, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. F C in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina, 47;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- “in parte qua” della determina prot. n. 0067346 del 20.11.2015, comunicata via PEC in pari data, a firma del Dirigente della Divisione II della D.G. per i Servizi di Comunicazione Elettronica, di radiodiffusione e postali (DGSCERP), nella parte in cui ha quantificato i contributi dovuti a titolo di rateo per il primo anno e per gli anni successivi in maniera difforme rispetto a quelli fissati dall’art. 5 Allegato n. 10 d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle Comunicazioni elettroniche);
- di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e comunque connesso, tra cui, ove occorrer possa, il parere tecnico della Divisione III della DGPGSR di cui alla nota prot. 20151110035/EC del 12.11.2015 con il quale ha comunicato le frequenze da attribuire alla società, parere richiamato dalla delibera impugnata ma di contenuto sconosciuto;
- ove occorrer possa e “in parte qua”, della determina n. 40851 del 17.7.2015, laddove il MiSE si era riservato la “possibilità di poter rideterminare il contributo dovuto per i collegamenti indicati in doppia polarizzazione”, pur non procedendo in tal senso e del richiamato parere tecnico della Divisone III della DGPGSR con nota prot. 201506031250/EC del 9.7.2015 di contenuto sconosciuto;
nonché con atto per motivi aggiunti notificato in data 18.3.2016
- della nota prot. 3316 del 19.1.2016 a firma del Dirigente della II Divisione della DGSCERP, avente ad oggetto l’esplicazione delle ragioni dell’applicazione delle maggiorazioni per le frequenze assegnate e utilizzate dal Telecom con doppia polarizzazione;
- della nota prot. 4151 del 21.1.2016 del Dirigente della II Divisione della DGSCERP;
nonché con successivo atto per motivi aggiunti notificato in data 28.6.2016
- della nota prot. 0034490 del 18.5.2016 a firma del Dirigente della II Divisione della DGSCERP, avente ad oggetto “diritti di uso delle frequenze radio”;
- dell’allegata determina ministeriale che, in accoglimento dell’istanza del 7.3.2016, attribuisce a Telecom i diritti di uso delle frequenze radio di 709 collegamenti (di cui n. 287 con doppia polarizzazione), nella parte in cui, nell’indicare gli importi del rateo dei contributi dovuti, applica una maggiorazione per i collegamenti in doppia polarizzazione;
- della nota prot. n. 0043954 del 21.6.2016 a firma del dirigente della II Divisione della DGSCERP;
- dell’allegata determina ministeriale che, in accoglimento dell’istanza del 10.5.2016, attribuisce a Telecom i diritti di uso delle frequenze radio di 472 collegamenti (di cui n. 164 con doppia polarizzazione), nella parte in cui, nell’indicare gli importi del rateo dei contributi dovuti, applica una maggiorazione per i collegamenti in doppia polarizzazione;
nonché con successivo atto per motivi aggiunti notificato in data 30.9.2016
- della nota prot. 57749 del 14.9.2016 a firma del Dirigente della II Divisione della DGSCERP, avente ad oggetto “diritti di uso delle frequenze radio” e dell’allegata determina ministeriale di attribuzione delle radiofrequenze richiesta dalla Telecom con istanza del 3.8.2016;
- di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e comunque connesso;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2016 il dott. C V e uditi per le parti i difensori l'Avv. J D'Auria e l'Avvocato dello Stato A. Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Telecom Italia S.p.A. è titolare di autorizzazione generale ex art. 25 del d.lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche, di seguito, semplicemente, “CCE”), per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica fissa e mobile sull’intero territorio nazionale. Nell’esercizio della sua attività la ricorrente si avvale, tra le varie componenti di infrastrutture di rete, dei c.d. “ponti radio”, vale a dire dei collegamenti radio unidirezionali e bidirezionali fra due stazioni fisse, che servono a connettere una determinata rete senza soluzione di continuità e interruzioni.
Da un punto di vista più specificamente tecnico, i ponti radio sfruttano la propagazione delle onde elettromagnetiche nello spazio libero o occupato da un mezzo non totalmente opaco, alle lunghezze d'onda utilizzate (radiopropagazione), grazie all'utilizzo di antenne (tipicamente antenne direzionali paraboliche) per l'irradiazione e la ricezione elettromagnetica, poste su appositi tralicci o torri sia in trasmissione che in ricezione, in aggiunta a trasmettitore e ricevitore, agli estremi del radiocollegamento o nelle eventuali tratte interne di trasporto dove l'intero blocco ricetrasmissivo assume la funzionalità logica tipica di ripetitore del segnale.
Un ponte radio tipicamente può essere:
• “terrestre” se si appoggia ad infrastrutture poste sulla superficie terrestre;
• “aereo” se si appoggia provvisoriamente ad un velivolo in volo in quota;
• “satellitare” se si appoggia sui satelliti artificiali in orbita e le relative telecomunicazioni satellitari.
Ciascuno di questi può trasmettere in maniera analogica o digitale con la seconda ormai definitivamente affermatasi per i suoi vantaggi trasmissivi.
In funzione delle proprie esigenze di copertura, Telecom Italia ogni anno pianifica i vari collegamenti in ponte radio, anche attivandone di nuovi e/o disattivandone altri già in uso. Alla fine dell’anno, l’operatore comunica al MiSE l’elenco puntuale dei collegamenti attivi (con evidenziazione di quelli eventualmente dismessi rispetto all’anno precedente), sulla cui base il Ministero provvede al calcolo e richiede il pagamento delle contribuzioni dovute, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento.
Vi è la prassi consolidata in base alla quale Telecom fornisce al MiSE la rendicontazione periodica dei nuovi collegamenti attivati su base trimestrale.
L’attivazione dei ponti radio è soggetta al pagamento di contributi determinati dal MiSE sulla base delle consistenze comunicate ogni anno (oltre che trimestralmente) dall’operatore. La disciplina di riferimento per la quantificazione di tali contributi è contenuta nell’art. 35 CCE il quale prevede: “1. I contributi per la concessione di diritti di uso delle frequenze radio o dei numeri sono fissati dal Ministero sulla base dei criteri stabiliti dall'Autorità.
2. In sede di prima applicazione si applicano i contributi nella misura prevista dall'allegato n. 10”.
L’art. 5 dell’Allegato 10 al CCE (richiamato anche dall’art. 2 del medesimo Allegato) prevede il pagamento di importi crescenti, secondo scaglioni che aumentano in funzione: a) della larghezza di banda occupata dal segnale trasmesso (L);b) della frequenza utilizzata dal segnale medesimo che è ripartita in quattro fasce (A,B, C e D) secondo la tabella di cui al medesimo Allegato n. 10.
Con riferimento al trimestre aprile/giugno 2015, cui si riferisce l’istanza del 28.7.2015, il MiSE, svolta l’istruttoria, adottava la determina prot. n. 67346 del 20.11.2015, oggetto dell’odierna impugnazione, con la quale determinava l’attribuzione a Telecom dei diritti di uso per le frequenze specificate nel documento allegato alla determina, quantificando, in misura maggiore rispetto al passato, i contributi dovuti per i diritti di uso nelle seguenti misure (doc. 2 ric.):
- euro 57.445,48 (a titolo di rateo per il primo anno);
- euro 436.825 (per gli anni successivi).
Afferma la ricorrente che, pur non essendo chiare le modalità di calcolo (non indicate in modo analitico nel provvedimento), si evincerebbe comunque dalla determina impugnata (che fa esplicito riferimento alla possibilità del Ministero di poter rideterminare il contributo dovuto “per i collegamenti indicati in doppia polarizzazione”) l’applicazione di maggiorazioni relative ai ponti radio con “doppia polarizzazione”.
Tali maggiorazioni sarebbero, ad avviso della ricorrente, illegittime e meritevoli di annullamento. A tale scopo Telecom Italia ha proposto il ricorso all’odierno vaglio, notificato in data 19.1.2016 e depositato il successivo 25 gennaio, nel quale, a sostegno della domanda di annullamento dei provvedimenti oggetto di impugnazione, articola un unico complesso motivo, sintetizzabile nei termini seguenti: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 e dell’art. 5 dell’Allegato 10 d.lgs. n. 259 del 2003;violazione dell’art. 23 Cost.. Incompetenza. Carenza di potere. Eccesso di potere sotto diversi profili”: ai sensi dell’art. 35 CCE si debbono applicare i soli contributi determinati dalla tabella di cui all’art. 5 dell’Allegato 10 del Codice ”: in detta tabella non vi sarebbe alcun riferimento alla c.d. doppia polarizzazione del segnale radio trasmesso;non sembra potersi leggere in termini ampliativi la generale previsione di cui all’art. 35 del Codice - che rimette all’AGCOM la fissazione dei contributi per la concessione dei diritti di uso delle frequenze radio – la quale viene limitata dal comma 2 del medesimo art. 35, secondo cui “2. In sede di prima applicazione si applicano i contributi nella misura prevista dall'allegato n. 10”; peraltro nessun potere dell’AGCOM o del Ministero in materia di contributi per l’attribuzione dei diritti di uso sulle frequenze potrebbe prescindere da una previsione di legge “ad hoc”, stante la riserva di legge in materia di prestazioni imposte di cui all’art. 23 Cost. (che impone che siano disciplinati dalla legge i soggetti imposti, i presupposti impositivi, criteri di determinazione dell’imposta e della base imponibile);così, con riguardo al caso di specie, l’intervento del MiSE presupponeva una modifica legislativa dei parametri della contribuzione ex art. 35 CCE, nella quale trovasse spazio il parametro della doppia polarizzazione;in assenza di innovazioni legislative la maggiorazione operata dal MiSE rappresenterebbe “uno stravolgimento dei criteri orientativi fissati dal legislatore per delimitare il potere regolamentare delegato al Ministero” ;come sopra rilevato gli unici parametri di riferimento nella determinazione del contributo sono dati dalla frequenza utilizzata e dalla larghezza di banda occupata dal canale radio;le diverse alternative di polarizzazione (H, V oppure H/V) dipenderebbero soltanto dal bisogno di capacità trasmissiva sul particolare collegamento e dalla disponibilità della tecnologia (più sofisticata nel caso in cui debba assicurare la doppia polarizzazione) ma non comporterebbero un aumento dell’utilizzo della risorsa frequenziale attribuita, per cui non appare ragionevole alcuna maggiorazione relativa alla doppia polarizzazione;quanto precede troverebbe conferma nella recente revisione del comma 172 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che, nell’attribuire al MiSE, il potere di determinare con decreto l’importo dei contributi per i diritti di uso delle frequenze, impone al medesimo il rispetto dei principi di trasparenza, proporzione allo scopo, non discriminazione e obbiettività, ammettendo meccanismi premianti ai fini concorrenziali e per l’uso di tecnologie innovative;in questa ottica l’uso della tecnologa sottesa alla doppia polarizzazione dovrebbe essere incentivato e non penalizzato con l’incremento della contribuzione, in quanto esso garantirebbe un ottimale ed efficiente sfruttamento di risorse, come quelle frequenziali, che sono per definizione scarse.
Si è costituito il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) – Dipartimento delle Comunicazioni, il quale resiste con memoria al ricorso di cui chiede l’integrale rigetto, evidenziando che:
- il contestato metodo di calcolo è stata applicato dall’Amministrazione a tutti gli operatori;
- con la doppia polarizzazione la frequenza può essere utilizzata in entrambi i fasci, orizzontale (H) e verticale (V);quando ciò avviene è tecnicamente impossibile per il MiSE assegnare la medesima frequenza anche ad altro operatore, acquisendo i relativi introiti;
- nel contempo detta tecnica incrementa a vantaggio dell’assegnatario la capacità trasmissiva della banda offerta;
- per queste ragioni nel procedere al calcolo dei contributi si è ritenuto di applicare una maggiorazione pari al contributo dovuto per i collegamenti nella medesima banda di frequenza, ma con larghezza di banda immediatamente superiore a quella comunicata.
Con i motivi aggiunti notificati il 18 marzo 2016 Telecom Italia ha impugnato la nota prot. 3316 del 19.1.2016 con cui l’Amministrazione ha esposto, dopo l’instaurazione del presente contenzioso, le ragioni tecniche e giuridiche che giustificherebbero la maggiorazione dell’imposizione in contestazione. Telecom Italia, con unico articolato motivo, ha contestato la ricostruzione della disciplina di riferimento proposta dal MiSE, deducendo l’illegittimità dell’operato ministeriale sotto i profili dell’incompetenza, della violazione di legge e dell’eccesso di potere.
In data 21.3.2016 Telecom ha eseguito il pagamento dell’importo richiesto dal Ministero a titolo di contributo per l’anno 2016 per l’uso delle frequenze ad essa assegnate, con riserva di ripetere le somme che si rivelino indebite all’esito del presente giudizio (vedi docc. 11 e 12).
Con nuovo atto per motivi aggiunti notificato il 28.6.2016 la Telecom, più recentemente, ha impugnato: - la nota prot. n. 0034490 del 18.5.2016 a firma del Dirigente della II Divisione della DGSCERP, avente ad oggetto “diritti di uso delle frequenze radio” e l’allegata determina ministeriale che, nell’attribuire a Telecom i diritti di uso delle frequenze radio di 709 collegamenti, applica la maggiorazione sopra descritta per i collegamenti in doppia polarizzazione;- la successiva nota prot. n. 0043954 del 21.6.2016 della II Divisione della DGSCERP e l’allegata determina ministeriale di contenuto analogo a quella precitata che, in accoglimento dell’istanza del 10.5.2016, attribuisce a Telecom i diritti di uso delle frequenze radio di 472 collegamenti (di cui n. 164 con doppia polarizzazione), nella parte in cui applica una maggiorazione per i collegamenti in doppia polarizzazione.
Con quest’ultima impugnazione la ricorrente reitera, avverso gli atti precitati, le medesime doglianze già articolate nel ricorso introduttivo.
Inoltre Telecom Italia evidenzia ulteriori profili di censura attinenti alla violazione dei principi di:
- neutralità tecnologica (art. 4 CCE);
- efficienza (artt. 11, 13, 13bis, 14 e 27 CCE);
- principi di rango comunitario e nazionale in materia di diritti di uso delle frequenze (secondo cui le risorse frequenziali “scarse” devono essere utilizzate nel modo più efficiente possibile), i quali vietano maggiorazioni che, come nella specie, penalizzano l’uso efficiente della risorsa scarsa.
Sotto il profilo tecnico-fattuale Telecom Italia contesta nuovamente le assunzioni ministeriali di cui alla nota prot. n. 3316/16 (già impugnata con il primo atto per motivi aggiunti), in quanto: non sarebbe tecnicamente dimostrata l’affermazione secondo cui l’utilizzazione mediante doppia polarizzazione della frequenza attribuita precluderebbe in assoluto l’uso della medesima frequenza da parte di altro operatore;il MiSE non darebbe conto dell’effettivo verificarsi in concreto di situazioni di incompatibilità tra assegnazioni sulle medesime frequenze, cagionate dall’uso della doppia polarizzazione del canale radio. In ogni caso, sostiene Telecom, la doppia polarizzazione non equivale a doppia utilizzazione e la maggiorazione appare del tutto ingiustificata.
Con il terzo atto per motivi aggiunti, notificato in data 30.9.2016 e depositato il successivo 3 ottobre, Telecom Italia ha impugnato, per illegittimità derivata, la nuova determina ministeriale, comunicata con nota prot. n. 57749 del 14.9.2016, la quale liquida gli importi dovuti per la concessione dei diritti di uso sulle radiofrequenze richieste dalla società, applicando nuovamente le maggiorazioni per “doppia polarizzazione”, oggetto di contestazione in questa sede.
In vista della pubblica udienza sono stati prodotti ulteriori documenti da parte della società ricorrente, tra i quali la relazione tecnica con allegati redatta dal prof. R B.
Entrambe le parti hanno prodotto memorie conclusive.
Alla pubblica udienza del primo dicembre 2016 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita di essere accolto, al pari dei motivi aggiunti pedissequamente proposti.
Dalla lettura della nota prot. n. 3316 del 19.1.2016 (doc. 7 primi mot. agg.) e delle memorie difensive dell’Avvocatura erariale, si evince che le ragioni poste dal Ministero a fondamento delle maggiorazioni economiche richieste agli operatori a partire dall’anno 2015, in relazione alla doppia polarizzazione di specifiche frequenze, possono così riassumersi: nel caso in cui l’operatore assegnatario utilizzi la frequenza in entrambi i fasci (H – orizzontale e V – verticale), a fronte di un uso ottimale dello spettro a vantaggio dell’operatore che si avvale della tecnica che va sotto il nome di “doppia polarizzazione”, verrebbe meno la possibilità di attribuire la medesima frequenza (anche) ad altro operatore (come sarebbe tecnicamente invece possibile in caso di uso “normale” della frequenza) e, di conseguenza, anche la possibilità di acquisire al bilancio dello Stato i relativi introiti per i diritti d’uso delle frequenze.
L’Amministrazione, non volendo impedire un simile utilizzo “più intenso” della frequenza, nell’autorizzare i collegamenti in doppia polarizzazione ha ritenuto però di applicare ad essi (non un doppio contributo ma) una maggiorazione, pari al contributo dovuto per i collegamenti nella medesima banda di frequenza, ma con larghezza di banda immediatamente superiore a quella comunicata (cfr. la tabella di cui all’art. 5 Allegato n. 10 CCE). Il criterio, sottolinea l’Amministrazione, riguarda tecnologie innovative che non potevano essere considerate alla data di entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (anno 2003);ad avviso della difesa erariale detto criterio è da ritenere “incentivante” rispetto alle nuove tecnologie in quanto costituisce trattamento economico più favorevole rispetto all’applicazione di un doppio contributo;il criterio, inoltre, è stato applicato in maniera eguale e non discriminatoria a tutte le società che richiedono collegamenti frequenziali (cfr. memoria AGS del 26.10.2016, pag. 4).
Invero le ragioni addotte a giustificazione della maggiorazione del contributo, in relazione all’utilizzo di una singola frequenza con doppia polarizzazione, non risultano convincenti per un triplice ordine di ragioni.
In primo luogo il parametro introdotto dal Ministero con gli atti impugnati, anche a prescindere, per il momento, dalle criticità che esso presenta sul piano della giustificazione tecnica e dei principi di derivazione comunitaria in materia di diritti di uso delle frequenze, non trova alcun saldo fondamento a livello normativo. Come si è visto l'art. 35, comma 2, CCE (d.lgs. n. 259/03) in combinato disposto con l’art. 5 dell’Allegato 10 al medesimo Codice (richiamato anche dall’art. 2 dell’Allegato), collega la quantificazione dei contributi per l’attribuzione dei diritti di uso delle frequenze unicamente a due soli elementi e cioè: a) la larghezza della banda occupata dal segnale trasmesso (L);b) la frequenza utilizzata dal segnale medesimo che è ripartita in quattro fasce (A,B, C e D).
Sebbene il medesimo art. 35 affidi in linea di principio al Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento delle Comunicazioni, il compito di fissare la misura dei contributi “sulla base dei criteri stabiliti dall'Autorità” , è indubbio che detta disposizione non può essere interpretata come una sorta di delega “in bianco” che attribuisca al MiSE una indefinita libertà di manovra nell’individuazione dei presupposti per la quantificazione della misura del contributo che sarebbe inammissibile, in quanto, è la norma stessa che vincola il Ministero al rispetto dei criteri promananti dall’Autorità di regolazione, i quali non vengono tuttavia in rilievo nelle specie in quanto non sono invocati in nessun passaggio motivazionale (o difensivo) dell’Amministrazione e, in ogni caso, non è individuabile in nessuna determinazione o atto dell’AGCOM il criterio della “doppia polarizzazione”, autonomamente prescelto e applicato, invece, dal Ministero a partire dall’anno 2015.
In secondo luogo si osserva che la potestà ministeriale, in quanto avente ad oggetto prestazioni patrimoniali imposte, deve inquadrarsi nell’ambito della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. che, per quanto “relativa”, subordina ogni azione impositiva della p.A. a presupposti minimi che debbono trovare nella normazione primaria la propria fonte di disciplina. In altri termini, ogni prestazione patrimoniale, per essere legittimamente imposta dall’Amministrazione, deve trovare nella legge che la istituisce gli elementi essenziali e i criteri per la definizione dell’ ”an” e del “quantum debeatur”, il che implica che siano individuati e definiti a livello legislativo (e non da fonti secondarie): i soggetti imposti, i presupposti impositivi, i criteri di determinazione dell’imposta o del contributo e la base imponibile.
Non v'è dubbio, quindi, che ai contributi in esame, siccome determinati con atto unilaterale, alla cui adozione non concorre la volontà del privato, sia da attribuire la natura di prestazioni patrimoniali obbligatoriamente imposte, come tali soggette alla garanzia dettata dall'articolo 23 Cost.. Al riguardo appare illuminante quanto a suo tempo affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 190 del 2007 secondo cui “tale parametro (art. 23 Cost. ndr), secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, configura una riserva di legge di carattere "relativo", nel senso che essa deve ritenersi rispettata anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione (sentenza n. 67 del 1973 e n. 507 del 1988) purché la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione (sentenze n. 507 del 1988, n. 182 del 1994, n. 180 del 1996, n. 105 del 2003). Così individuata la portata della riserva di legge posta dall'art. 23 Cost., appare evidente che la disciplina legislativa sugli obblighi contributivi posti dalla norma denunciata, esaminata nel contesto dei dati normativi citati, non risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale. In particolare, venuto meno ogni collegamento con le fonti legislative succedutesi (….) la norma censurata, pur contenendo l'identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione, (…) si limita a confermare l'obbligatorietà dei contributi previdenziali, che continuano ad esser posti a carico dei medesimi soggetti professionali anche dopo la privatizzazione dell'ente impositore, senza offrire alcun elemento, neanche indiretto, idoneo ad individuare criteri adeguati alla concreta quantificazione e distribuzione degli oneri imposti ai soggetti sopra menzionati. Invero, i controlli previsti nel corso della procedura di approvazione dei contributi riguardano gli aspetti gestionali e di bilancio, mentre restano completamente in ombra le valutazioni sull'entità dei contributi obbligatori (come pure dei relativi aggiornamenti). Il risultato è che non si comprende in quale modo i precitati criteri e limiti possano essere ricavati da procedure di controllo ministeriale mirante a tutt'altro fine. (….)” ” (si veda più recentemente Corte cost. 15 maggio 2015, n. 83).
Si deve desumere da quanto precede che, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 35 CCE, al Ministero non spetta alcun potere di individuare un peculiare presupposto fattuale per la maggiorazione del contributo al di fuori di un preciso referente legislativo, nella specie carente atteso che i due parametri legali (di cui all’Allegato A, art. 5, d.lgs. n. 259/2003), costituiti dalla larghezza di banda e della frequenza utilizzata, nulla hanno a che vedere con una tecnologia specifica quale è quella della “doppia polarizzazione”, la quale, peraltro, non risultava ancora ben sviluppata ed applicabile al momento dell’entrata in vigore del Codice.
L’individuazione da parte del Ministero di un presupposto per l’imposizione in misura maggiorata del contributo di cui all’art. 35 CCE, al di fuori di un fondamento legislativo che lo consenta, è motivo di illegittimità degli atti impugnati.
A tutto quanto precede si aggiunge, in terzo luogo, l’ulteriore profilo di illegittimità, anch’esso dedotto dalla ricorrente nei propri scritti difensivi, legato al fatto che la scelta impositiva in oggetto non risulta giustificata sul piano tecnico ed appare in contrasto con il principio della “neutralità tecnologica” di cui all’art. 4 CCE (che non consente all’Amministrazione di discriminare tra diverse tecnologie né di imporre in modo ingiustificato l’uso di una particolare tecnologia rispetto alle altre) e con il principio dell’efficienza nell’uso delle frequenze radio rinvenibile negli artt. 13, 13 bis, 14 e 27 CCE (principio secondo il quale, come recita l’art. 14 cit., “il Ministero e l’Autorità, nell’ambito delle rispettive competenze, assicurano la gestione efficiente delle radiofrequenze per i servizi di comunicazione elettronica”).
Sul piano tecnico è risultato che (vedi relazione tecnica di parte del prof. Bolla, doc. 23 ric.):
- la c.d. doppia polarizzazione costituisce un’evoluzione della tecnica trasmissiva che utilizza una peculiare proprietà delle onde radio in virtù della quale la propagazione nell’etere dei segnali elettromagnetici può essere sia orizzontale che verticale;
- attraverso la tecnica in discorso il flusso di dati in trasmissione può suddividersi in due metà che vengono modulate su una stessa portante, per essere irradiate dall’antenna con l’assegnazione di due diverse polarità, creando due onde elettromagnetiche distinte;
- le due onde trasmesse occupano la stessa banda di frequenze e, quindi, lo stesso canale assegnato;
- in questo modo la doppia polarizzazione incrementa la capacità del canale pur nel rispetto dei vincoli prefissati;
- il MiSE non impone vincoli sulle modalità di utilizzo del canale assegnato quando il suo pieno utilizzo non causa interferenze dannose per gli altri assegnatari;quindi, in mancanza di vincoli specifici, il principio di neutralità tecnologica autorizza l’assegnatario ad utilizzare la tecnologia più adatta per l’utilizzo più efficiente possibile della risorsa assegnata (relazione tecnica prof. Bolla, pag. 8);
- in questa ottica l’utilizzo della doppia polarizzazione sui canali assegnati dal MiSE, quando tecnicamente possibile, non comporta un uso “maggiore” della risorsa assegnata ma piuttosto una uso adeguato allo stato dell’evoluzione tecnologica al momento raggiunta;
- l’utilizzo della medesima banda di frequenza da parte di due operatori (possibilità che, secondo il MiSE, giustificherebbe l’incremento del contributo, dal momento che tale uso concorrente sarebbe precluso dall’impiego della “doppia polarizzazione”), sembra costituire, in realtà, un’ipotesi alquanto marginale, limitata a situazioni critiche presenti in territori “caratterizzati da una estrema saturazione dello spettro radio e dalla presenza di molte richieste di collegamenti a scarsa capacità di trasmissione da parte degli operatori”;in ogni caso l’uso della medesima frequenza in “coabitazione” tra più operatori costituisce un uso meno efficiente dello spettro (doc. ult. cit. pag. 9).
Alla luce degli elementi tecnici sopra evidenziati si deve concludere che la maggiorazione in contestazione penalizza l’uso più efficiente della risorsa, assicurato da una tecnica più innovativa e avanzata, quale è la doppia polarizzazione e sembra in tal modo non conformarsi al principio dell’uso efficiente delle risorse radio, emergente dagli artt. 11, 13, 13 bis, 14 e 27 CCE.
Per tutte le ragioni che precedono il ricorso al pari dei motivi aggiunti proposti meritano accoglimento con conseguente annullamento degli atti impugnati limitatamente alla parte in cui pretendono il pagamento di somme maggiorate per le frequenze richieste e assegnate a Telecom Italia e da essa utilizzate con la tecnica della doppia polarizzazione.
Dall’annullamento degli atti “in parte qua” , discende l’obbligo del MiSE di provvedere al calcolo e alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione dei provvedimenti impugnati ed eccedenti quanto legittimamente dovuto dall’operatore ricorrente.
La complessità tecnica delle questioni trattate oltre che la loro assoluta novità giustificano pienamente la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.