TAR Brescia, sez. I, sentenza breve 2017-11-13, n. 201701315

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. I, sentenza breve 2017-11-13, n. 201701315
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201701315
Data del deposito : 13 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/11/2017

N. 01315/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00595/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SNTENZA

sul ricorso n. 595 del 2017, proposto da -O-, rappresentato e difeso dal’avv. M M e dall’avv. M A, per il presente giudizio domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria di questo Tribunale, in Brescia, via Carlo Zima n. 3

contro

il Prefetto di Bergamo, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la quale è domiciliato, in Brescia, alla via Santa Caterina n. 6

per l'annullamento

del provvedimento reso dal Prefetto della Provincia di Bergamo in data 15 marzo 2017 recante il diniego di rinnovo della licenza del porto di pistola ad uso personale, notificato al ricorrente in data 22 marzo 2017


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2017 il dott. R P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Espone il ricorrente, operante da decenni nel settore imprenditoriale, di aver avvertito come esigenza intrinseca alla sua incolumità, gravemente compromessa dalla molteplicità ed entità dei rischi a cui si esponeva quotidianamente, la necessità di disporre di un’arma per difesa personale.

Per tali ragioni, il Sig. -O- presentava rituale richiesta di licenza di porto di pistola per difesa personale presso la Questura competente.

In data 26 luglio 2005, sulla base della comprovata sussistenza di una comprovata ed evidente situazione di rischio per l’incolumità del richiedente, e del conseguente bisogno di circolare armato, la Questura provvedeva a rilasciare al Sig. -O- la predetta licenza.

All’atto del rinnovo del titolo di polizia anzidetto, in data 16 gennaio 2017 l’interessato, a norma dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, si vedeva notificare la comunicazione (doc. prot. n. 22223/2017) con la quale lo stesso veniva informato del mancato rinnovo in ragione dell’assenza di “ specifiche condizioni di esposizione al pericolo grave ed attuale per la vita e l’incolumità personale dell’istante ”.

Interveniva, quindi, la gravata determinazione, nella quale l’Autorità emanante ha escluso che “ il rinnovo della licenza di porto di pistola richiesto … possa essere rilasciato sulla base di una non comprovata, ma potenziale, affermata e meramente probabilistica sussistenza di situazioni di pericolo, come effetto riflesso della attività imprenditoriale svolta dal richiedente ”.

Sostiene il ricorrente che l’atto, come sopra impugnato, sia inficiato per eccesso di potere in relazione all’art. 3 della Legge n. 241/1990 , in quanto in capo all’Amministrazione, in presenza di una consolidata tutela delle situazioni di vantaggio assicurate da un atto specifico e concreto che provenga dalla medesima, incomberebbe l’obbligo di fare riferimento alle sopravvenute circostanze che hanno comportato il diniego di rinnovo della licenza, rendendole altresì esplicite attraverso una puntuale motivazione.

Né, a carico del ricorrente, è predicabile la presenza di alcuna delle ragioni ostative al rilascio del titolo, per come individuate dalle pertinenti disposizioni del T.U.L.P.S.

Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

La rilevata sussistenza dei presupposti indicati all’art. 60 c.p.a. consente di trattenere la presente controversia – portata all’odierna Camera di Consiglio ai fini della delibazione dell’istanza cautelare dalla parte ricorrente incidentalmente proposta – ai fini di un’immediata definizione nel merito.

Prevede infatti la disposizione da ultimo citata che, “ in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata ”.

Nel precisare che le parti presenti all’odierna Camera di Consiglio sono state al riguardo sentite, il ricorso all’esame si rivela infondato.

Rilevano, quanto alla dedotta vicenda contenziosa, le disposizioni del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (in particolare, gli articoli 40 e 42), che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell’ordine pubblico.

In particolare:

- per l’art. 40, « il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell'autorità di pubblica sicurezza o dell'autorità militare » (il che significa che il Prefetto può senz’altro disporre il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento);

- per l’art. 42, « il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65 » (il che significa che il Prefetto può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il « dimostrato bisogno » di un porto d’armi per difesa personale, in rapporto ai profili coinvolti dell’ordine pubblico).

Il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dunque ben può effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni.

Gli organi del Ministero dell’Interno, ad es., anche possono decidere di restringere la diffusione e l’uso delle armi, quando occorra affrontare le situazioni locali ove sono radicate organizzazioni criminali.

In tal caso, l’Amministrazione può predisporre criteri rigorosi in base ai quali le istanze degli interessati vadano esaminate tenendo conto della esigenza di evitare la diffusione delle armi: anche nei contesti ove è più difficile la gestione dell’ordine pubblico, è del tutto ragionevole che ci si orienti verso valutazioni rigorose, anche sulla sussistenza dei presupposti tali da far ravvisare la completa affidabilità del richiedente.

A parte l’esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica.

Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categoria’ non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi.

Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).

Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, ecc., ovvero anche di appartenenti alle Forze dell’Ordine che intendano disporre di altre armi oltre quella di dotazione, in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae , si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2016 n. 4495).

Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell’Interno – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale – possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo.

Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti in tal senso, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo.

La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque – come, appunto, nella fattispecie all’esame – sulla rilevata assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento;
e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze.

Inoltre, sono configurabili profili di eccesso di potere, qualora l’Amministrazione – nel respingere l’istanza in quanto formulata da un appartenente ad una categoria per la quale non si sono ravvisati particolari esigenze da tutelare col rilascio della licenza di porto d’armi – invece abbia accolto l’istanza di chi versi in una situazione sostanzialmente equivalente: secondo i principi generali, chi impugna un diniego di licenza ben può dedurre che, in un caso equivalente (anche per circostanze di tempo e di luogo), l’istanza di altri sia stata invece accolta.

Nella specie, parte ricorrente ha omesso di dimostrare all’attenzione della procedente Autorità (così come ha omesso di addurre in sede di sottoposizione della gravata determinazione a sindacato giurisdizionale) la presenza di fatti, circostanze, elementi di valutazione suscettibili appunto, con carattere di attualità e concretezza, di integrare l’indefettibile presupposto, rilevante ai fini del rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, rappresentato dal “dimostrato bisogno” del titolo di polizia in questione.

Nel ribadire dunque che, come più volte affermato dal Consiglio di Stato ( ex multis , Sez. III, 14 febbraio 2017 n. 647 e 20 febbraio 2013 n. 1052), ai fini della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, oltre ai requisiti di affidabilità e di buona condotta, occorre che l’autorità competente ritenga il “ dimostrato bisogno ” dell’arma, va parimenti affermato che siffatto “ dimostrato bisogno ” non può essere desunto dalla tipologia di attività o professione, in difetto di specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che il Prefetto ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola, atteso che si tratta, in altri termini, di superare – con provvedimenti autorizzativi di carattere eccezionale – il generale divieto di legge che pone a carico degli apparati dello Stato e non della autodifesa privata, la tutela della incolumità e sicurezza pubblica.

Né, altrimenti, può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo della licenza, più volte in precedenza rilasciato.

Ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula, infatti, una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico.

In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi.

E se gli organi del Ministero dell’Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla appartenenza ad una ‘categoria’), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, fermo restando che l’interessato può dolersi delle eventuali disparità di trattamento che si commettano in concreto (Cons. Stato, sez. III, 14 dicembre 2016 n. 5276).

Ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio la reiezione del presente gravame.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

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