TAR Lecce, sez. II, sentenza 2009-12-10, n. 200903053
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
N. 03053/2009 REG.SEN.
N. 00699/1996 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 699 del 1996, proposto da:
M F, rappresentato e difeso dall'avv.to L A, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Lecce, via 95 Rgt Fanteria, 9;
contro
Regione Puglia - Bari, rappresentata e difesa dall'avv.to R B, con domicilio eletto presso R B in Lecce, via dei Templari, 15;
per l'annullamento
del provvedimento 30/16047/p del 16/5/92 e, ove occorra della nota prot. n. 30/00828/p del 14.1.92 e di ogni atto connesso consequenziale e presupposto, nonché per il riconoscimento del diritto del Sig. Minonne a vedersi inquadrare nella VI^ qualifica funzionale ed a vedersi corrispondente, anche indipendentemente dal suddetto inquadramento, la differenza fra quanto effettivamente percepito e quanto spettante in relazione alla concreta utilizzazione in mansioni superiori, maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia - Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22/10/2009 il dott. Paolo Marotta e udito l’avv.to G. Capozza, in sostituzione dell’avv.to L. Ancora;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente ha presentato ricorso per l’annullamento del provvedimento 30/16047/p del 19 maggio 1992, con il quale il Coordinatore dell’assessorato al personale ha respinto una richiesta presentata dal ricorrente medesimo di essere riquadrato nella VI^ q.f.
Oltre che l’annullamento dell’atto impugnato, il ricorrente chiede il riconoscimento del suo diritto ad essere inquadrato nella VI^ q.f. in relazione alle mansioni svolte nonché il riconoscimento del suo diritto alla corresponsione, anche indipendentemente dal suddetto inquadramento, della differenza tra la retribuzione percepita e quanto spettante per le mansioni superiori svolte, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Nel ricorso viene rappresentato quanto segue:
- Il ricorrente, ai sensi della L.R. n. 12/81, ha sostenuto e superato gli esami di idoneità per la posizione del livello funzionale corrispondente alla qualifica con la quale aveva prestato la propria opera presso la Cooperativa COSSU, costituita in applicazione della l. n.285/77 (cioè la terza qualifica funzionale);
- Dal 16 marzo 1987 al 4 marzo 1988 è stato comandato presso l’Ufficio Ordine del giorno della Giunta regionale e, successivamente, sulla base della deliberazione G.R. n. 808/88, ha prestato servizio presso la segreteria della Presidenza della Giunta regionale dal 10 maggio 1988 al 21 aprile 1989;
- Dal 14 aprile 1981 alla data del ricorso è stato assegnato presso l’Ufficio Agricolo di Zona di Tricase , espletando mansioni di collaboratore amministrativo nel settore AA.GG.;
- Ha prestato collaborazione come sociologo presso il Comune di San Cassiano, giusta autorizzazione rilasciata con deliberazione G.R. n. 9459 del 19 ottobre 1987;
- Durante il servizio, il ricorrente è stato adibito ad attività di ricerca, di studio ed elaborazione atti, cioè ad attività riconducibili nell’ambito del VI^ q.f.;
- Con istanza del 27.12.1991, in relazione alle mansioni svolte, il ricorrente chiedeva il reinquadramento nella VI^ q.f.;
- La richiesta di reinquadramento veniva riscontrata negativamente con nota prot. n. 30/00828/p del 14 gennaio 1992 dal Coordinatore dell’Assessorato al personale;
- In data 2 marzo 1992 il ricorrente riproponeva la medesima istanza, che veniva riscontrata negativamente con nota prot. n. 30/16047/p del 19 maggio 1992.
Con il ricorso in esame il ricorrente, dopo aver precisato, in limine litis, che la sua domanda relativa alla corresponsione delle differenze economiche relative alle mansioni superiori svolte dovrà essere esaminata anche prescindendo dalla domanda di annullamento degli atti impugnati e da quella di reinquadramento nella VI^ q.f., contesta la legittimità dell’operato dell’amministrazione per i seguenti motivi:
- Incompetenza dell’organo. Violazione di legge: Falsa ed errata applicazione l.r. 25 marzo 1974 n. 18.
- Violazione di legge: mancata applicazione art. 97 Cost. Eccesso di potere per violazione dei principi generali in materia di autotutela.
- Violazione di legge: Falsa ed erronea applicazione ed attuazione dell’art. 36 Cost. e 2126 c.c.
Si è costituita l’Amministrazione regionale, evidenziando, in via preliminare, l’irricevibilità del ricorso per tardività del proposto gravame, la sua inammissibilità, in quanto rivolto contro atto meramente reiterativo e confermativo di altro, rimasto inoppugnato, e, comunque, nel merito, la sua infondatezza.
Con ordinanza istruttoria n. 1472/97, è stato ordinato alla Regione Puglia di depositare una relazione attestante la sussistenza del posto vacante nella pianta organica dell’Ente.
A tale incombente la Regione Puglia provvedeva con nota prot. 30/10346/p/44 del 9 marzo 1998, nella quale si dichiarava che <<ai sensi dell’art. 1 della L.R. 18/74 presso la Regione Puglia non vi è una pianta organica complessiva ma il personale “ è compreso in un ruolo unico ed è inquadrato in fasce funzionali in rapporto alle mansioni attribuite”>>.
Con memoria del 13 maggio 1998 l’amministrazione resistente, oltre ad insistere per l’irricevibilità del ricorso, a fronte della documentazione prodotta dalla Regione Puglia, ha evidenziato la infondatezza del ricorso, mancando uno dei presupposti per il riconoscimento delle mansioni superiori (vacanza del posto in organico) ed ha eccepito, comunque, la prescrizione del diritto del ricorrente alla corresponsione delle differenze stipendiali.
Alla Camera di Consiglio del 25 giugno 1998, l’istanza cautelare, presentata in via incidentale dal ricorrente, è stata abbinata al merito.
Con memoria depositata in data 2 ottobre 2009, l’amministrazione resistente, dopo aver riproposto le eccezioni preliminari di irricevibilità ed inammissibilità del ricorso ed aver nuovamente eccepito l’intervenuta prescrizione dei crediti presumibilmente vantati dal ricorrente, si è soffermata sulla infondatezza del proposto gravame e ne ha chiesto, pertanto, la reiezione.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2009, il ricorso è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato anzitutto a valutare la fondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalla amministrazione resistente. Quest’ultima evidenzia, preliminarmente, che il ricorso sarebbe irricevibile, in quanto il ricorso in esame è stato proposto oltre il termine decadenziale previsto dall’art. 21 della l. n.1034/1971.
L’eccezione non può essere accolta.
Come è notorio, il termine decadenziale per proporre ricorso in sede giurisdizionale decorre dalla conoscenza del provvedimento pregiudizievole, che avviene, ai sensi dell’art. 21 della l. n.1034/1971, per effetto della notifica dell’atto (nei casi in cui quest’ultimo si rivolga a soggetti determinati, ancorché non direttamente nominati), della sua pubblicazione (laddove non si rivolga a soggetti determinati e la pubblicazione sia prevista da fonte normativa, legislativa o regolamentare) o, in ogni caso, indipendentemente dalla notifica o dalla pubblicazione, dalla sua piena conoscenza (la cui prova è, però, onere del soggetto che la eccepisce e, quindi, nel caso de quo, dell’amministrazione resistente).
Orbene, nel caso di specie, non sono sufficienti a dedurre la piena conoscenza dell’atto impugnato gli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione resistente: il decorso del lungo periodo di tempo (quattro anni) dalla adozione della determinazione impugnata;il fatto che una precedente missiva indirizzata allo stesso indirizzo sia stata recapitata all’odierno ricorrente;la condizione di contiguità fisica del ricorrente rispetto alle strutture burocratiche, presso le quali era incardinato come dipendente, che lo poneva in condizione privilegiata, per conoscere il contenuto del provvedimento che lo riguardava; il fatto che l’amministrazione dichiari nella memoria depositata in data 2 ottobre 2009, che dallo stralcio del Registro della corrispondenza della Regione Puglia spedita il giorno 21/05/1992 si evincerebbe che la missiva sia stata correttamente inviata al ricorrente e che, quindi, sia stata, presumibilmente, da questi ricevuta.
Per costante giurisprudenza, la piena conoscenza dell’atto impugnato deve essere provata in modo certo e inequivocabile da parte di chi eccepisce la tardività del gravame ed il relativo onere non può dirsi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non assurgono a dignità di prove (ex multis, Tar Lazio, Roma Sez. III^ 7 luglio 2009 n. 6574;Tar Puglia, Lecce Sez. III 11 aprile 2009 n. 714;Tar Puglia, Lecce Sez. II 24 febbraio 2009 n. 294;Consiglio di Stato, Sez. VI 23 giugno 2008 n. 3150).
Il Collegio ritiene, poi, di prescindere dalla pur rilevante eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa dell’amministrazione e fondata sulla considerazione che l’atto impugnato sarebbe meramente reiterativo e confermativo di altro precedente, rimasto inoppugnato, essendo il ricorso palesemente infondato nel merito.
Il ricorrente contesta, anzitutto, la legittimità dell’impugnato provvedimento per violazione delle disposizioni che disciplinano la competenza degli organi regionali, di cui alla legge della Regione Puglia. 25 marzo 1974 n. 18.
L’atto impugnato, in quanto adottato dal Coordinatore dell’assessorato al personale, si porrebbe in insanabile contrasto con le norme ed i principi in tema di competenze degli organi regionali. Parte ricorrente evidenzia, sulla base delle disposizioni contenute nella legge regionale n. 18/74, che l’unico organo dell’amministrazione regionale competente in materia di stato giuridico del personale è la Giunta regionale (non l’Assessore competente, né tantomeno il Coordinatore dell’assessorato al personale).
La censura non può essere accolta.
Se è vero, infatti, che nell’assetto ordinamentale delle Regioni e degli Enti locali sono demandati all’organo esecutivo dell’Ente i provvedimenti relativi allo status giuridico dei dipendenti, è altrettanto vero che i provvedimenti di inquadramento del personale dipendente sono preceduti, necessariamente, da un’attività istruttoria volta a verificare la sussistenza dei presupposti normativamente previsti per l’inquadramento medesimo.
Nel caso di specie, l’istanza presentata dal ricorrente è stata sottoposta ad una prima delibazione dall’organo cui la richiesta era indirizzata (Coordinatore dell’Assessorato al personale), che, ritenendola manifestamente infondata, l’ha respinta, indicando le ragioni ostative al suo accoglimento.
Del resto, la palese infondatezza della censura relativa alla dedotta illegittimità appare evidente, considerando che il ricorrente, collocato in ruolo, in posizione soprannumeraria, alla III^ qualifica funzionale (operatore), con Decreto del Presidente della Regione n. 757 del 12 settembre 1991, in esecuzione della deliberazione G.R. n. 268 dell’11 febbraio 1991, dopo aver presentato un’istanza, datata 21.12.1991, indirizzata al Presidente della G.R. ed all’Assessore al Personale, diretta ad ottenere il suo inquadramento nella VI^ q.f. (istanza riscontrata negativamente dal Coordinatore dell’assessorato al personale, con nota del 14 gennaio 1992, rimasta inoppugnata) e dopo aver presentato una nuova istanza di reinquadramento, datata 2 marzo 1992, indirizzata al Coordinatore dell’Assessorato al personale, si duole, ora, della incompetenza dello organo da lui stesso adito.
Parte ricorrente passa, poi, a contestare il fondamento giuridico del diniego opposto dall’amministrazione alla richiesta di reinquadramento, rappresentato dalla considerazione che le norme relative allo stato giuridico del personale regionale non consentono di procedere a reinquadramenti in relazione alle mansioni superiori svolte dal dipendente.
Il ricorrente evidenzia che proprio dalla Costituzione e, precisamente, dall’art. 97 della Cost., a norma del quale l’organizzazione dei pubblici uffici deve assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, discenderebbe il potere-dovere dell’Amministrazione di procedere ad una revisione degli inquadramenti erroneamente effettuati.
Il ricorrente contesta la legittimità del provvedimento impugnato anche per falsa ed erronea applicazione ed attuazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2126 c.c. In particolare, il ricorrente evidenzia che, anche nell’ipotesi in cui il Giudice adito, conformandosi all’orientamento seguito da una parte della giurisprudenza, dovesse ritenere irrilevante, ai fini giuridici, l’esercizio delle mansioni superiori svolte dal ricorrente, dovrebbero in ogni caso essergli riconosciute, in base alle disposizioni sopra richiamate, le differenze retributive tra quanto effettivamente percepito e quanto spettante in relazione alle mansioni svolte.
Le censure dedotte da parte ricorrente non possono essere condivise.
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale, in assenza di una specifica disposizione di legge, lo svolgimento di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento è del tutto irrilevante, oltre che ai fini della progressione della carriera, anche ai fini economici, non essendo, sotto questo aspetto, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono indisponibili sia, comunque, perché l’attribuzione di mansioni superiori e del relativo trattamento economico debbono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di inquadramento (Consiglio di Stato sez. V 21 novembre 2007 n. 5918;Consiglio di Stato, sez. V 29 marzo 2004 n. 1657;Consiglio di Stato sez. VI 8 gennaio 2003 n. 17;Consiglio di Stato sez. VI 11 luglio 2000 n. 3882;Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 23 febbraio 2000 n.11;Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.22 del 18 novembre 1999).
In sede di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, il legislatore è intervenuto in subiecta materia, introducendo nel nostro ordinamento, con l’art. 57 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, una disciplina generale, valida per tutte le pubbliche amministrazioni, relativa al conferimento delle mansioni superiori nel pubblico impiego. Ma l’operatività di questa disposizione è stata ripetutamente differita ope legis, fino a quando la disposizione stessa non è stata abrogata dall’art. 43 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80.
Solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (e, cioè, dal 22 novembre 1998) possono essere riconosciuti ai pubblici dipendenti le differenze retributive inerenti lo svolgimento di mansioni di qualifica superiore, in quanto l’art. 15 del predetto decreto legislativo, rendendo anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del D.Lgs. n. 29/1993, ha implicitamente riconosciuto, con carattere di generalità, la spettanza ai dipendenti pubblici delle predette differenze retributive.
La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che il riconoscimento legislativo del diritto alle differenze retributive relative alle mansioni superiori, effettuato dall’art. 15 del D.Lgs. n. 387/1998, ha portata innovativa e non riverbera la propria efficacia sulle situazioni pregresse (ex multis, Consiglio di Stato sez. VI 11 ottobre 2005 n. 5632;Consiglio di Stato sez. V 5 ottobre 2005 n. 5323;Consiglio sez V 19 febbraio 2004 n. 665;Consiglio di Stato sez IV 14 ottobre 2005 n. 5799; Adunanza plenaria 23 febbraio 2000 n.12;Adunanza plenaria 18 novembre 1999 n. 22).
Da ultimo, questo orientamento giurisprudenziale ha trovato ulteriore conferma nella decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 24 marzo 2006 n. 3.
Pertanto, in disparte ogni altra considerazione in ordine alla sussistenza nel caso di specie dei requisiti considerati dalla giurisprudenza amministrativa necessari ai fini del riconoscimento economico delle mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego (vacanza del posto in organico di livello corrispondente alle mansioni svolte;esercizio effettivo, in misura prevalente rispetto alla prestazione lavorativa, per un periodo di tempo apprezzabile, delle mansioni di qualifica superiore;avvenuto conferimento delle stesse mediante incarico formale, emanato dall’organo competente a disporre della copertura del posto), il ricorso in esame non può trovare accoglimento, in quanto le mansioni di qualifica superiore svolte dal ricorrente si riferiscono ad un arco temporale antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 387/1998 e, pertanto, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, l’esercizio di dette mansioni deve essere considerato irrilevante sia sotto il profilo giuridico, in ordine al preteso inquadramento nella 6^ qualifica funzionale, sia sotto il profilo economico, in ordine alla corresponsione delle relative differenze retributive.
Le argomentazioni addotte dal ricorrente non sono reputate dal Collegio idonee ad infirmare tale conclusione.
Con riguardo all’art.97 Cost., richiamato dal ricorrente, si fa rilevare che proprio il principio costituzionale di imparzialità e buon andamento si presenta come ostativo al riconoscimento giuridico del preteso inquadramento, dovendo sussistere, sulla base di detto principio, una precisa rispondenza tra la qualifica rivestita e le mansioni affidate e potendosi consentire una deroga a questo principio solo, in via transitoria, per esigenze eccezionali di buon funzionamento dei servizi.
Con riguardo all’art. 36 Cost., anch’esso richiamato dal ricorrente per giustificare la sua pretesa al riconoscimento delle differenze retributive per le mansioni svolte, il Collegio fa rilevare che, sin dalla decisione dell’Adunanza plenaria 18 novembre 1999 n. 22, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la norma costituzionale in questione non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito anche altri principi di pari rilevanza costituzionale, quale quello enunciato nell’art. 98 Cost. (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) ed, appunto, il principio di imparzialità e buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., sopra richiamato (Adunanza plenaria 18 novembre 1999 n. 22;in senso conforme, ex multis: Consiglio di Stato sez IV 24 aprile 2009 n. 2626;Consiglio di Stato sez. IV 10 aprile 2009 n.2232;Consiglio di Stato sez. V 21 novembre 2007 n. 5918 Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 24 marzo 2006 n. 3).
Né possono ritenersi applicabili alle ipotesi di svolgimento di mansioni di qualifica superiore rispetto a quella di inquadramento, l’art. 2126 c.c., che introduce nel nostro ordinamento il principio della retribuibilità delle prestazioni lavorative di fatto, effettuate sulla base di contratto nullo o annullato, o l’art. 2041 c.c., in considerazione del carattere sussidiario dell’azione di arricchimento senza causa (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV 24 aprile 2009 n. 2626;Consiglio di Stato sez IV 14 ottobre 2005 n. 5799;Consiglio di Stato 30 giugno 2003 n. 3920) e per la insussistenza della deminutio patrimoniale (il c.d. “depauperamento”) che costituisce il presupposto essenziale per l’esercizio di detta azione (Consiglio di Stato sez VI 7 agosto 2007 n. 4381;Consiglio di Stato sez. VI 5 dicembre 2006 n. 7118;Consiglio di stato sez IV 12 maggio 2006 n. 2687;Consiglio di Stato sez IV 12 agosto 2005 n. 4370;Consiglio di Stato sez IV 6 aprile 2004 n. 1831).
In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nell’importo indicato nel dispositivo.