TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2014-10-08, n. 201405174
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N. 05174/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01959/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1959 del 2006, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
E M, rappresentata e difesa dall'avvocato G B, presso il cui studio in Napoli, alla via Tino di Camaino n.6, è elettivamente domiciliato;
contro
Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco, non costituito in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la quale, alla via Diaz n. 11, domicilia ex lege;
per l'annullamento
a) del parere negativo del Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta, prot. 2429 del 27 gennaio 2005, notificato in data 25 gennaio 2006, espresso sull’istanza di condono edilizio inoltrata dalla ricorrente in data 27 febbraio 1995, prot. 10795, prat. n. 1392 ai sensi della legge n. 724/1994;
b) del decreto del Ministro Segretario di Stato per la Pubblica Istruzione del 24 settembre 1947, con il quale è stato imposto, ai sensi dell’art. 21 della legge 1089/1939, il vincolo indiretto di inedificabilità dei suoli ricadenti nelle particelle indicate nelle premesse del Decreto, già di proprietà dell’Opera Nazionale Combattenti;
c) di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresa la nota del Comune di Pozzuoli del 16 gennaio 2006, prot. n. 4360 con la quale è stato trasmesso il parere negativo della Soprintendenza;
e, con primi motivi aggiunti,
per l’annullamento:
d) del provvedimento del Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta, di cui alla nota del 17 marzo 2006, prot. n. 9845, con il quale è stata respinta la richiesta di riesame del parere negativo sub a);
e) di ogni altro atto allo stesso preordinato, presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresa, per quanto possa occorrere la nota del Ministero per i beni e le attività culturali del 16 marzo 2006, prot. n. 2757, pervenuta il 20 marzo 2006, indirizzata alla Soprintendenza e per conoscenza alla ricorrente;
nonché, con secondi motivi aggiunti,
per l’annullamento:
f) del decreto n. 79 del 17 maggio 2006 del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, con il quale è stata respinta la richiesta di rivisitazione del vincolo indiretto imposto con D.M. 24 settembre 1947;
g) di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresa la nota prot. 4576 del 17 maggio 2006, con la quale è stato trasmesso il decreto;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2014 la dott.ssa P P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente, proprietaria di un fabbricato abusivamente realizzato in Pozzuoli, in relazione al quale aveva presentato istanza di condono ai sensi della legge 724/1994, ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale la Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta ha espresso parere negativo in ordine alla sanabilità del manufatto. Ha impugnato altresì l’atto del Comune di comunicazione del parere suddetto, nonché il provvedimento con il quale, nel 1947, fu imposto il vincolo di inedificabilità sull’area di realizzazione dell’immobile.
Avverso i provvedimenti gravati ha dedotto diverse censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il Ministero, costituito in giudizio, ha chiesto la reiezione del ricorso.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha gravato il provvedimento con il quale la Soprintendenza ha disposto il rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela del parere negativo oggetto del gravame principale.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania ha respinto la richiesta di rivisitazione del vincolo indiretto imposto con il D.M. 24 settembre 1947 sull’area su cui è collocato il fabbricato.
Anche avverso tali provvedimenti ha dedotto diverse censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Con memoria depositata in data 24 giugno 2014 la ricorrente ha insistito per l’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 24 settembre 2014 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
La Sezione si è già pronunciata in analoghe vicende contenziose risolvendole tutte in senso sfavorevole alle pretese di parte ricorrente (cfr. sentenze nn. 24034/2010, 24410/2010, 3046/2009).
Ciò premesso, il ricorso introduttivo è in parte infondato e in parte inammissibile (dei possibili profili di inammissibilità del gravame la ricorrente è stata avvisata in udienza ai sensi dell’art. 73, comma 3 c.p.a. – cfr. verbale).
L’istanza di condono, in relazione alla quale la Soprintendenza ha espresso parere negativo, è riferita ad un fabbricato realizzato in difetto dei necessari titoli abilitativi su un terreno che, dal 1947, era soggetto a vincolo ai sensi dell’art. 21 della legge 1089/1939 in quanto collocato all’interno dell’area archeologica monumentale dell’Acropoli di Cuma.
Il provvedimento risulta motivato in riferimento al fatto che la costruzione abusiva di proprietà della ricorrente ha alterato le condizioni di ambiente e decoro a tutela delle quali fu imposto il vincolo archeologico.
L’amministrazione, inoltre, ha prodotto in atti copia del decreto ministeriale di sottoposizione a vincolo dell’area di ubicazione del fabbricato dal quale emerge che nella zona “è fatto divieto di elevare nuove costruzioni e, comunque, di eseguire opere che possano alterare il naturale aspetto dei luoghi”.
Con il primo motivo di doglianza la ricorrente ha lamentato la mancata comunicazione di avvio del procedimento.
La censura va respinta.
Il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, alla luce dell’esistenza di un vincolo di inedificabilità e del disposto dell’art. 33 della legge 47/85, aveva contenuto vincolato.
Stabilisce, infatti, la norma, che “le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree. Sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della L. 1° giugno 1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima.”
Ne consegue l’irrilevanza del mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento come pure della mancata comunicazione, ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/90, delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza.
Sono, invece, inammissibili le censure articolate con il secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente ha lamentato la mancata adozione in autotutela, da parte, rispettivamente, del Ministero per i Beni e le Attività culturali e della Soprintendenza, di un provvedimento di revoca del D.M. di sottoposizione a vincolo dell’area di realizzazione dell’abuso e del diniego di sanatoria.
Le eventuali censure avverso la condotta inerte delle amministrazioni intimate, in disparte le valutazioni di merito sulla fondatezza delle pretesa, avrebbero dovuto essere fatte valere a mezzo di un ricorso proposto avverso il silenzio e non in sede di ordinario giudizio di annullamento.
Il motivo è anche, parzialmente, improcedibile, alla luce dell’adozione del diniego espresso di annullamento in autotutela del parere negativo in ordine al rilascio di sanatoria, impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti e del decreto con il quale è stata respinta la richiesta di rivisitazione del vincolo indiretto imposto con D.M. 24 settembre 1947, impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il ricorso risulta, poi, inammissibile per tardività in relazione alle doglianze articolate con il terzo motivo di gravame e volte a contestare la legittimità del decreto ministeriale con il quale è stato imposto sull’area il vincolo di inedificabilità.
L’efficacia lesiva del provvedimento, infatti, era immediata e così l’onere di impugnare l’atto.
In relazione alla conoscibilità del vincolo occorre rilevare che la ricorrente, che pure ha genericamente affermato con il quinto motivo di doglianza la mancata trascrizione del provvedimento impositivo del vincolo, non ha in realtà in alcun modo contestato la produzione documentale dell’Amministrazione al cui interno è contenuta la copia della nota di trascrizione del decreto a favore del Ministero della Pubblica Istruzione e contro il dante causa della ricorrente, al quale ultimo, pertanto, il vincolo era opponibile quantomeno dal momento dell’atto di acquisto del terreno.
Né può, poi, sostenersi che la lesività del divieto di edificare si è manifestata al momento dell’emissione del parere negativo al rilascio del condono, atteso che la chiara portata del divieto e il consequenziale annullamento dello jus aedificandi prodotto dal decreto aveva, senza ombra di dubbio, effetto immediatamente precettivo (cfr. sull’onere di immediata impugnativa di disposizioni che producano effetti diretti sulle potenzialità edificatorie, T.A.R. Emilia Romagna, Parma 18 dicembre 2007, n. 627).
Va pure respinta la censura di carenza di istruttoria e di motivazione, atteso che il concreto contenuto del vincolo rendeva ictu oculi palese la non condonabilità dell’abuso, consistito in un incremento volumetrico in zona inedificabile. Né un aggravamento dell’onere motivazionale poteva essere rinvenuto nella circostanza, pure questa solo riferita, dell’avvenuta urbanizzazione dell’area in tempo successivo all’apposizione del vincolo. La valutazione della Soprintendenza è, infatti, legata al contenuto del vincolo e alle ragioni per le quali è stato introdotto, non potendo mutare il contenuto del giudizio a seguito di eventuali violazioni poste in essere da terzi nel tempo.
In alcun modo può, infine, rilevare la diversa condotta asseritamente tenuta dall’amministrazione anni prima in fattispecie similare.
La riferita circostanza, peraltro completamente sfornita di prova in relazione alla perfetta sovrapponibilità delle situazioni, non legittimerebbe in alcun modo l’amministrazione a perseverare nell’illegittimità eventualmente perpetrata (cfr., in tale senso Consiglio di Stato, sez. IV, 7 aprile 2008, n. 1482, ove si afferma che “ … un precedente comportamento dell'amministrazione, illegittimo perché in contrasto con un preciso e inderogabile divieto, non può essere invocato per sostenere l'illegittimità sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento del successivo corretto esercizio del medesimo potere”).
Alla luce dell’avvenuto deposito in atti della copia della nota di trascrizione, non contestata, come visto, dalla ricorrente né quanto alla validità né quanto alla riferibilità della stessa al terreno su cui insiste l’abuso, va infine respinto il quinto motivo di doglianza con il quale la ricorrente ha sostenuto la inopponibilità del vincolo per difetto di trascrizione dello stesso.
Passando all’esame del primo ricorso per motivi aggiunti, questo è infondato.
Il gravame ha ad oggetto l’atto con il quale la Soprintendenza ha respinto la richiesta di annullamento in autotutela del parere negativo in ordine alla sanabilità dell’abuso realizzato dalla ricorrente.
Ribadito quanto già osservato sul contenuto e sull’efficacia del vincolo, si osserva come:
1) l’atto di diniego, considerata l’esistenza e il contenuto del vincolo gravante sull’area, aveva contenuto vincolato, con conseguente inconfigurabilità di tutte le censure rivolte avverso il preteso cattivo uso di poteri discrezionali, articolate con il primo motivo di doglianza;
2) la sopra rilevata inoppugnabilità del provvedimento impositivo del vincolo (nel cui ambito legittimamente l’amministrazione aveva previsto l’imposizione di una prescrizione di inedificabilità) rende inammissibili tutte le censure relative alla pretesa invalidità derivata, pure articolate con il primo motivo di doglianza;
3) il riferimento all’esistenza del vincolo, il cui contenuto era opponibile alla ricorrente fin dal momento dell’acquisto del terreno, rende sufficiente la motivazione che richiama l’esistenza del divieto di edificazione, con conseguente reiezione della relativa censura, formulata con il primo ed il secondo motivo di doglianza;
4) la natura vincolata del provvedimento rende irrilevante la violazione delle garanzie partecipativa articolata con il terzo e ultimo motivo di doglianza, tanto più che, trattandosi del diniego di un atto di annullamento in autotutela, il provvedimento risulta emesso sulla base di ragioni già espresse nell’originario diniego di parere e sulle quali la ricorrente aveva ampiamente avuto modo di dedurre.
Anche il secondo ricorso per motivi aggiunti è infondato.
Con il provvedimento censurato con tale ultimo gravame la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesistici per la Campania ha respinto la istanza di rivalutazione del vincolo, inoltrata ai sensi dell’art. 128 del decreto legislativo n. 42/2004.
La reiezione è stata adottata alla luce del parere espresso dalla Soprintendenza con nota dell’11 maggio 2006 (che richiama a sua volta quanto evidenziato nella nota del 17 marzo 2006) e nella quale, da quanto è dato cogliere dal provvedimento di rigetto della istanza di rivisitazione e dalla produzione documentale prodotta dall’amministrazione sono state ribadite le ragioni di permanenza del vincolo a suo tempo apposto, rilevandosi come l’unico elemento sopravvenuto, costituito dai fabbricati realizzati in violazione del vincolo stesso, non è idoneo, proprio perché illecito, a giustificare una revisione della precedente determinazione.
Preliminarmente, occorre osservare come la norma sulla cui base è stata richiesta la rivalutazione del vincolo gravante sull’area così dispone “ … in presenza di elementi di fatto sopravvenuti ovvero precedentemente non conosciuti o non valutati, il Ministero può rinnovare, d'ufficio o a richiesta del proprietario, possessore o detentore interessati, il procedimento di dichiarazione dei beni che sono stati oggetto delle notifiche di cui al comma 2, al fine di verificare la perdurante sussistenza dei presupposti per l'assoggettamento dei beni medesimi alle disposizioni di tutela”.
La norma, come sostenuto anche negli atti difensivi depositati dalla difesa erariale, costruisce il potere di rivalutazione del vincolo in termini di facoltà, nell’esercizio della quale l’amministrazione appare dotata di ampi poteri discrezionali.
Rispetto a tale tipo di determinazione, dunque, l’unica valutazione che può essere fatta dal giudice amministrativo attiene alla congruenza e logicità della motivazione utilizzata.
Nel caso in esame le circostanze sopravvenute indicate dalla ricorrente (cfr. anche la relazione tecnica da ultimo depositata) per alcuni versi attengono a circostanze precedenti l’apposizione del vincolo e rispetto alle quali, conformemente a legge, l’amministrazione ha ritenuto mantenere ferma la valutazione a suo tempo posta in essere, per altro, e prevalente, verso attengono ad una attività di urbanizzazione in massima parte ascrivibile ad illecita attività edificatoria.
Rispetto a tale ultimo e più rilevante fenomeno l’amministrazione ha correttamente e motivatamente ritenuto di non dover mutare la sua determinazione sul vincolo, esplicitando, attraverso il richiamo al parere della Soprintendenza, come, a diversamente opinare, si perverrebbe al perverso risultato per cui l’abusiva edificazione di un’area sottoposta a vincolo diventa la ragione portante del venir meno del vincolo stesso e il veicolo attraverso il quale l’originario abuso risulta, infine, sanabile.
L’impianto motivazionale richiamato appare in tutto congruente con lo spirito della norma della quale il privato aveva invocato l’applicazione, nonché con una elementare applicazione del principio di buon andamento la cui applicazione, nel caso in esame, porta ad escludere che la violazione di un divieto possa essere premiata con l’eliminazione del divieto medesimo.
Quanto dalla dedotta sproporzionata estensione del vincolo deve rilevarsi come per salvaguardare l’integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra, l’amministrazione può sottoporre a vincolo un’ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o siano stati rinvenuti reperti (cfr. Cons. Giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579).
Ciò premesso - e rilevata la generale inammissibilità di tutte le censure con le quali, nell’ambito di tale ultimo gravame, la ricorrente ha inteso nuovamente censurare il decreto ministeriale del 1947 di apposizione del vincolo – in relazione alle singole censure si osserva:
1) va respinta la censura formulata con il primo motivo di doglianza atteso che il provvedimento della Soprintendenza, richiamato per relationem nell’atto gravato, è congruamente e validamente motivato;
2) va respinta la censura di eccesso di potere per carenza di motivazione, formulata con il secondo motivo di doglianza, atteso che la valutazione posta in essere nel provvedimento di diniego di revisione del vincolo appare sorretta da argomentazioni logiche e non contraddittorie, nelle quali, come sopra accennato, sono state valutate tutte le circostanze asseritamente sopravvenute, distinguendosi tra quelle di tipo naturale, ma preesistenti all’esistenza del vincolo e dunque già valutate a suo tempo, e quelle di tipo antropico, in massima parte abusive e perciò inidonee a giustificare una revisione del vincolo (cfr. sul punto le relazioni dell’amministrazione depositate dall’Avvocatura distrettuale);
3) devono essere considerate inammissibili le doglianze con le quali la ricorrente ha inteso censurare, attraverso la impugnazione della mancata rivalutazione del vincolo, i vizi dell’originaria apposizione non tempestivamente gravata;
4) va respinta la censura di violazione delle garanzie partecipative, formulata con il terzo motivo di doglianza, in considerazione del fatto che non vi era obbligo dell’amministrazione di inviare l’avviso di cui all’art. 7 della legge 241/90 in relazione ad un procedimento ad istanza di parte né, alla luce dell’art. 21 octies, vi è spazio per lamentare la mancata comunicazione del preavviso di rigetto atteso che in ricorso non risultano articolate argomentazioni la cui tempestiva proposizione avrebbe potuto condurre ad un esito diverso del procedimento (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 23 aprile 2008 , n. 514).
In conclusione il ricorso introduttivo va in parte dichiarato inammissibile e per il resto deve essere respinto come pure i successivi motivi aggiunti.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.