TAR Bologna, sez. II, sentenza 2022-11-17, n. 202200919
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Pubblicato il 17/11/2022
N. 00919/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00597/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 597 del 2017, proposto da Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato F B in Bologna, Strada Maggiore n. 31 e domicilio digitale presso la PEC come da Registro di Giustizia;
contro
Comune di Cesenatico, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A Z, domiciliato presso la PEC come da Registro di Giustizia;
per l'annullamento
- dell'Avviso Pubblico per la formazione e gestione di un elenco di avvocati esterni cui conferire incarichi di assistenza e patrocinio legale prot. 27342 del 14 luglio 2017.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cesenatico;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2022 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori A M, Luca Babini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Rimini ha impugnato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, l'Avviso Pubblico del Comune di Cesenatico per la formazione e gestione di un elenco di avvocati esterni cui conferire incarichi di assistenza e patrocinio legale di cui alla nota prot. 27342 del 14 luglio 2017.
Secondo parte ricorrente l’Avviso, così come predisposto dal Comune di Cesenatico, sarebbe lesivo del decoro, del prestigio e della autonomia degli Avvocati, nonchè dell’Ordinamento Forense oltre che dei principi costituzionali garantiti dall’art. 97 della Costituzione sicchè la fattispecie in esame sarebbe riconducibile nell’ambito di impugnazione delle “clausole” inerenti una procedura selettiva che rendono impossibile la stessa formulazione dell’offerta, per le quali la giurisprudenza amministrativa ammette pacificamente la impugnabilità immediata indipendentemente dalla presentazione dell’istanza di partecipazione che anzi, per i motivi anzidetti, apparirebbe come una evidente contraddizione.
I motivi di censura sono affidati a violazione dell’art.36 Cost., dell’art. 2233 c.c., degli artt. 6,9,29 del codice deontologico, dei principi di autonomia e decoro degli avvocati;violazione dell’art. 97 Cost in relazione ai principi di buona amministrazione e di garanzia della trasparenza e della par condicio.
In particolare, l’Avviso sarebbe illegittimo e andrebbe annullato nella parte in cui agli artt.3 (Requisiti per l’inserimento nell’elenco) e 7 (Onorari – attività di domiciliazione) si prevedono criteri di “partecipazione” eccessivamente stringenti sotto il profilo del compenso e per la connessa mancanza di determinazione dell’oggetto dell’incarico (ipotizzabile sotto diversi profili, come la possibile espansione della prestazione professionale del professionista al quale, a termini di avviso, verrebbero “accollati” tutti gli adempimenti per il recupero del credito, l’obbligo di fornir un parere gratis “al buio”, la cui entità potrebbe essere ipoteticamente anche di rilevante importanza, con necessità di notevole studio da parte del professionista ed assunzione di grandi responsabilità), che in quanto incidenti sull’autonomia e sul decoro del professionista, sarebbero elementi idonei a comprimere notevolmente la partecipazione alla procedura selettiva, alterandone in radice lo svolgimento in violazione delle regole di concorrenza e di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
Nella fattispecie in esame si sarebbe dunque in presenza di un Avviso pubblico che , vuoi a causa dei criteri “stringenti” per la formulazione del preventivo (da predisporsi necessariamente per importi inferiori ai minimi tariffari), vuoi in conseguenza della indeterminatezza dei servizi richiesti al professionista, sarebbe suscettibile di generare un’accentuazione dell’esiguità del compenso, incidendo gravemente sulla stessa attivazione, da parte dell’ente comunale, di una procedura di tipo comparativo idonea a consentire, a tutti gli aventi diritto, di partecipare, in condizioni di parità ed uguaglianza, alla selezione per la scelta del miglior contraente, con evidente compromissione delle regole delle procedure selettive pubbliche della massima partecipazione e della leale concorrenza.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cesenatico, che ha evidenziato in via preliminare la carenza di interesse del Consiglio dell’Ordine di Rimini.
Se infatti il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati può vantare una legittimazione ad agire contro “procedure di evidenza pubblica ritenute lesive dell'interesse istituzionalizzato della categoria da esso rappresentata”, nel caso in esame si ritiene il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rimini non lamenta la lesione di un interesse rappresentativo della categoria, perché il ricorso è volto unicamente a sindacare la possibilità di derogare ai minimi tariffari, come noto aboliti ex lege, e dunque non più oggetto di una tutela da parte dell’Ordine professionale.
Nel merito, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.
Nell’odierna udienza, in cui il Collegio ha evidenziato ex art.73 c.p.a. profili di improcedibilità del ricorso in relazione alla normativa sopravvenuta in materia di “equo compenso” degli avvocati, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il Collegio – posto che non è pacifica, nelle prime applicazioni giurisprudenziali, l’applicazione anche alle pubbliche amministrazioni dell’art.13 bis della L. 31/12/2012, n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), il cui comma 2 specifica che in caso di convenzioni unilateralmente predisposte ai sensi del comma 1 “ si considera equo il compenso quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6”, ritenendosi che tale norma troverebbe unicamente applicazione solo per taluni soggetti imprenditoriali (es. imprese assicurative e bancarie) che notoriamente godono di una certa forza contrattuale - ritiene di prescindere dal suindicato profilo perché, nel merito, il ricorso è infondato.
Giova preliminarmente evidenziare che sebbene nel testo del ricorso siano state riportate integralmente, e in alcuni passaggi sottolineate, le disposizione dell’Avviso Pubblico impugnato, ritenute genericamente lesive dei principi generali di cui all’art.97 e 36 Cost.– principi generali insufficienti, ad avviso del Collegio, in mancanza di una concretizzazione, a fondare l’illegittimità dell’atto impugnato - del codice deontologico (artt.6,9,29, richiamati senza riportarne il testo e senza che ne sia concretizzata la rilevanza nella fattispecie in esame sicchè il Collegio ritiene che il richiamo consista, quanto all’art.6 nel riferimento contenuto al comma 2 secondo cui “ L'avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”;quanto all’art.9, nel riferimento contenuto al comma 1 secondo cui “ L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”, mentre considerata la formulazione dell’art.29 neppure è dato interpretare sotto che profilo l’Avviso impugnato si porrebbe pur astrattamente in violazione con detta norma) e dell’art.2233 c.c., norma generale applicabile al compenso dei professionisti - il quale a sua volta statuisce esclusivamente che “ Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene” confermando quindi il principio generale della libera pattuizione del compenso - di contro parte ricorrente non individua invece sotto quali profili le richiamate disposizioni (artt. 3 e 7), si porrebbero in contrasto con la specifica normativa di rango primario e secondario che disciplina la determinazione del compenso degli avvocati, con cui sono stati dettati i parametri generali di un compenso professionale rispettoso del “decoro” della professionale anche ove eventualmente pattuito al di sotto dei minimi tariffari oggi recati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247).
La normativa primaria di riferimento, vigente già al momento della pubblicazione dell’Avviso impugnato e applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, è infatti da rinvenirsi nel suindicato l’art.13, comma 6, della L. 247/2012 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), che stabilisce “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”.
Al riguardo, come anche di recente chiarito dal T.A.R. Lazio, Roma, sez.III, 9404/2021, in tema di compensi professionali degli avvocati, la regola è attualmente data dalla libera pattuizione – fattispecie alla quale è, ad avviso del Collegio, assimilabile quella del consenso prestato dal difensore all’offerta di compenso proposta dall’amministrazione, mediante la libera scelta di presentare la propria candidatura - mentre l'eccezione è costituita, in caso di mancato accordo tra le parti, dal rispetto dei minimi tariffari di cui all'apposito d.m., la cui applicazione è stata comunque prevista dal Comune di Cesenatico che, malgrado una infelice formulazione con riferimento alla predisposizione di parcelle inferiori ai minimi tariffari, comunque prevede che (art.7) i “ compensi non potranno di norma essere superiori ai minimi di tariffa sì come determinati dal Decreto del Ministero della Giustizia del 10 marzo 2014 n. 55 (o eventuali successivi D.M. di modifica delle tariffe forensi, fermo restando che, per gli incarichi già affidati, le fasi processuali già consumate saranno remunerate secondo la tariffa vigente al momento del conferimento dell’incarico) etc” .
Oltrettutto, lessicalmente, “di norma” significa che in relazione a detti parametri il compenso potrebbe essere eventualmente superiore, a seconda della peculiarità dell’attività prestata.
Peraltro, a voler applicare la norma sopravvenuta (art.13 bis cit.) anche alla pubblica amministrazione, la suindicata sentenza del TAR Lazio ha già evidenziato che per la pubblica amministrazione anche il concetto di "equo compenso" deve ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica (si veda in proposito la consueta clausola di invarianza finanziaria di cui al comma 4 dell'art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017);dall'altro lato, alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto. Imporre alle pubbliche amministrazioni l'applicazione di tariffe pari o superiori ai minimi tariffari anche in assenza di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe infatti un'irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell'affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l'introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza. Ne consegue che per la pubblica amministrazione trova sì applicazione il concetto di "equo compenso" ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al D.M. contemplato dall'art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012 (ora, il D.M. 55 del 2014).
Né il Collegio ritiene di poter sindacare, nel merito, trattandosi di profilo legato alla sfera di discrezionalità di cui gode l’amministrazione, la decisione dell’amministrazione di richiedere la disponibilità degli avvocati da inserire in detta lista a fornire un parere gratis per ogni incarico ricevuto, non apparendo tale richiesta abnorme o irrazionale considerata sia la assolutamente libera valutazione dei professionisti esterni di aderire o meno all’Avviso del Comune di Cesenatico, sia che con riferimento ai professionisti esterni la scelta di prestare o meno la propria attività legale per l’ente non necessariamente è legata, come avviene quando l’incarico è conferito dal cliente persona fisica, alla convenienza economica del compenso strettamente considerato, ma può avere riguardo anche a valutazioni ulteriori relative ad altri aspetti (quali ad es. acquisizione di uno specifico know-how rivendibile in altre amministrazioni etc.).
Del resto, come anche di recente sostenuto dal Consiglio di Stato, Sez. IV, 09/11/2021, n. 7442, anche il richiamo alla disciplina dell'equo compenso di cui all'art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall'art 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017, non esclude la possibilità per i professionisti anche di valutare la prestazione di attività gratuite o liberali.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Vista la novità della questione si ritiene comunque giustificata la compensazione tra le parti delle spese di lite.