TAR Salerno, sez. II, sentenza 2018-01-25, n. 201800130

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2018-01-25, n. 201800130
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201800130
Data del deposito : 25 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/01/2018

N. 00130/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01888/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1888 del 2007, proposto da:
Matrone A M, rappresentata e difesa dagli avvocati U M e A S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A S, in Salerno, via Roma, n.16;

contro

Comune di Scafati, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento, prot. n. 14793 del 17 luglio 2007, di diniego di rilascio del permesso di costruire adottato dal Comune di Scafati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2018 la dott.ssa Maria Colagrande;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La ricorrente ha presentato in data 26 maggio 2006 istanza di rilascio del permesso di costruire un opificio industriale su un fondo di sua proprietà sito in Scafati, località Sant’Antonio Abate, ricadente nella sottozona D4 del piano regolatore generale allora vigente.

In data 17 luglio 2007 il Comune, ricevute le osservazioni dell’interessata al preavviso di diniego ex art. 10 bis della legge 241 del 7 agosto 1990, ha respinto l’istanza sul presupposto che per la sottozona D4 in questione non è stato predisposto il piano particolareggiato (PIP) entro i cinque anni dall’approvazione e vigenza del PRG, […], e che quindi il progetto proposto per l’intervento edilizio risulta essere in contrasto con l’art. 9 del DPR n. 380/2001 e ss.mm., dall’art. 38 della L.R. n. 16/2004 dall’art. 9 della L.R. n. 15/2005 .

A M Matrone impugna il provvedimento di diniego con i motivi di seguito sintetizzati.

1) Violazione degli articoli 3, 7, 20 e 21 quinques e nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241;
eccesso di potere sotto molteplici profili.

Il diniego, sopravvenuto dopo oltre 14 mesi dalla presentazione dell’istanza, avrebbe dovuto essere assistito da una motivazione specifica sull’interesse pubblico alla rimozione del silenzio assenso formatosi quando era ormai decorso il termine per provvedere.

2) Violazione della legge 7 agosto 1990 n. 241, in particolare degli articoli 3 e 10 bis – violazione dei principi del giusto procedimento – eccesso di potere sotto molteplici profili.

Il diniego mancherebbe di qualsivoglia riferimento alle osservazioni del 16 luglio 2007 opposte al preavviso del 4 luglio 2007, in sé idonee a determinare, se prese in considerazione, un diverso esito del procedimento.

3) Violazione e falsa applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 ed in particolare degli articoli 3, 9 e 12, 22, 23, 31 e 37 – violazione della legge regionale Campania 22 dicembre 2004 n. 16 e, in particolare, degli articoli 27 e 38 - violazione della legge regionale Campania 27 aprile 1998 n. 7 – violazione della legge regionale Campania 11 agosto 2005 n. 15 e, in particolare, dell’art. 9 - – violazione della legge regionale Campania 28 novembre 2001 n. 19 – violazione del vigente PRG e della delibera di Consiglio comunale n. 74 del 24 giugno 1998 – eccesso di potere sotto molteplici profili – difetto di motivazione e di istruttoria – difetto dei presupposti – irragionevolezza.

Il provvedimento gravato ritiene che la mancata adozione del piano attuativo per la sottozona D4, ove ricade la particella oggetto dell’intervento edilizio, sia ostativa al rilascio del permesso di costruire ed il progetto presentato sia in contrasto con disposizioni normative, segnatamente l’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001, che sottopone le aree non soggette a pianificazione al rispetto degli standard urbanistici generali (cosiddetto regime edilizio delle zone bianche), senza considerare:

- che il PIP per la zona D4 di Sant’Antonio Abate sarebbe stato approvato e pubblicato sul BURC n. 3 del 15 gennaio 2001;

- che, quand’anche lo strumento attuativo non fosse stato approvato nel termine di cinque anni dall’approvazione del PRG, non potrebbe dirsi interdetta l’iniziativa edilizia privata nella zona in questione che, di fatto, è completamente urbanizzata, come si evincerebbe dal fatto che il suolo oggetto dell’intervento edilizio denegato fu in parte espropriato per la realizzazione dell’impianto di depurazione del Comprensorio Medio – Sarno e confina a nord con un manufatto industriale e ad est con un fabbricato adibito ad attività produttiva;

- il progetto è conforme ai parametri stabiliti dal PIP Sant’Antonio Abate, cui, per la zona D4, l’art. 55 delle NTA del PRG fa espresso rinvio, e alla legge regionale n. 7 del 27 aprile 1998, che fissa il rapporto di copertura della superficie fondiaria nel limite massimo del 50%.

4) Violazione della legge regionale 28 novembre 2001 n. 19 – eccesso di potere sotto molteplici profili.

Il Comune, prima di adottare il provvedimento conclusivo, avrebbe dovuto assumere il parere della Commissione edilizia e la relazione contenente le risultanze istruttorie e le valutazioni sulla conformità del progetto alle previsioni degli strumenti urbanistici, ai sensi della legge regionale Campania 28 novembre 2001 n. 19.

Il Comune di Scafati, ritualmente intimato, non si è costituito.

All’udienza pubblica del 16 gennaio 2018 la causa è passata in decisione.

Vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso che maggiormente soddisfano l’interesse della ricorrente.

La perizia depositata in data 6 dicembre 2017 documenta infatti l’esistenza di una vasta area occupata da un insediamento produttivo con la quale la particella n. 1554 di proprietà della ricorrente condivide tre dei suoi confini.

Pertanto il fatto che detta particella ricada in un’area per la quale nessuno strumento attuativo era stato adottato prima della presentazione dell’istanza non può avere rilevanza decisiva a sostegno del diniego.

Il Comune avrebbe dovuto, in effetti, verificare se la concreta situazione dei luoghi poteva ammettere l’intervento edilizio che fu progettato facendo applicazione del rapporto di copertura posto dalla legge regionale n. 7 del 27 aprile 1998 e degli altri parametri edilizi previsti dal PIP della zona D4 di Sant’Antonio Abate estesi a tutte le sottozone D4 ex art. 55 delle NTA del vigente PRG, come riportato nell’istanza (all. 5 del ricorso) e nelle osservazioni presentate in sede procedimentale.

Sotto un primo profilo, appare, dunque, manifesta la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 in quanto se, come dedotto dalla ricorrente, alla particella in questione si applicano, per espresso rinvio dell’art. 55 delle NTA, i parametri del PIP della zona D4 di Sant’Antonio Abate, il Comune ha mancato di indicare le ragioni per le quali, ciononostante, sarebbe necessaria la previa adozione di un diverso ed autonomo piano attuativo per la omologa zona D4 ove ricade la particella in questione.

Sotto un secondo profilo, l’operato dell’Amministrazione intimata merita le censure di violazione della normativa urbanistica in specie applicabile, laddove ha assimilato la particella alle aree bianche, cosiddette perché non conformate da uno strumento urbanistico.

È’ infatti orientamento consolidato della Sezione che, premessa, per quanto rileva nella presente sede, l’assimilabilità del P.I.P. al piano particolareggiato, "alla cessata efficacia delle norme del piano attuativo consegue la decadenza dei vincoli espropriativi di zona, con riespansione dello ius aedificandi secondo le previsioni dettate dal vigente strumento urbanistico, rimanendo fermi a tempo indeterminato soltanto gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (TAR Campania, Salerno, Sez. II, n. 410/2014, Sez. I, nn. 356/2013 e 3323/2009 e Sez. II, n. 2085/2008).

Più recentemente, il Tribunale ha anche chiarito che “ la previa approvazione del p.i.p., costituisce un vincolo meramente procedimentale (consistente nella previsione di una procedura pubblica ablatoria al fine della realizzazione della pianificazione) che non comporta la decadenza della destinazione conformativa a zona industriale, ma determina al più la sola riespansione della facoltà privata di proporre, in alternativa al procedimento ablatorio pubblico, la realizzazione di un piano particolareggiato ad iniziativa privata (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 28 marzo 2017 n. 619).

Chiaramente, allora, il regime edilizio applicabile in specie non può essere quello residuale delle aree bianche, alle quali il Comune ha, invece, assimilato il suolo della ricorrente.

Inoltre il diniego non tiene conto della reale situazione dei luoghi che costituisce, al contrario, un elemento rilevante ai fini della decisione sull’istanza di rilascio del permesso di costruire della ricorrente, a mente dell’indirizzo già espresso dal Consiglio di Stato (sez. IV, 19 giugno 2014 n. 3119) e accolto dalla Sezione (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II 16 marzo 2015 n. 615): “ secondo ormai costante orientamento giurisprudenziale, infatti, lo strumento urbanistico attuativo non è necessario in caso di sufficiente urbanizzazione risultando il piano esecutivo privo di oggetto ed inutile. Il Supremo Consesso di G.A. ha tuttavia precisato, da un lato, che non è sufficiente un qualunque stadio di urbanizzazione, anche di fatto, per eludere l'obbligo della previa redazione dello strumento attuativo e, dall'altro, che, nella predetta situazione, l'ordinamento pone a carico del soggetto, che chiede il permesso di costruire, l'onere di documentare l'esistenza di sufficienti opere di urbanizzazione primaria e secondaria o, può aggiungersi, di indicare ed accollarsi, ma sempre nelle forme di legge, il compimento di quelle opere risultanti carenti”..

Se quindi l’inerzia dell’Amministrazione non può essere motivo di interdizione (Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2014 n. 3119, cit.) quasi assoluta dello ius aedificandi , considerato che in specie si è negata la stessa destinazione impressa al suolo dal PRG, riconducendolo alla categoria delle aree bianche, appare evidente che il Comune non avrebbe potuto prescindere dall’indagine - la cui mancanza integra pertanto il dedotto vizio di difetto di istruttoria e di motivazione - sulla compatibilità del progetto in questione con la conformazione urbanistica dell’area adiacente, puntualmente documentata nell’istanza e nelle osservazioni procedimentali della ricorrente.

Il ricorso, pertanto, assorbite le altre questioni, va accolto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato.

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