TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2021-09-10, n. 202109717
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Pubblicato il 10/09/2021
N. 09717/2021 REG.PROV.COLL.
N. 08731/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8731 del 2021, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati P B e G A, con domicilio digitale all’indirizzo p.e.c. come da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dei primo in Roma, Via Grotte Celoni, n. 26;
contro
Roma Capitale – Commissione elettorale circondariale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
la Prefettura – U.T.G. di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale all’indirizzo p.e.c. come da Registri di Giustizia;
del verbale n. -OMISSIS-, ore 12.30, nella parte in cui ha escluso definitivamente dalla lista “-OMISSIS-– -OMISSIS-” il candidato -OMISSIS- -OMISSIS-, in vista dell’elezione diretta del Presidente e del Consiglio del-OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura– U.T.G. di Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 129 c.p.a.;
Relatore nella udienza pubblica speciale elettorale del giorno 10 settembre 2021 la Dott.ssa B B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto esposto dalle parti nel ricorso introduttivo e negli atti difensivi;
Premesso che:
- con il ricorso introduttivo del presente giudizio il Sig. -OMISSIS- -OMISSIS- ha agito per l’annullamento dell’atto in epigrafe indicato, con il quale è stata disposta la propria esclusione dalle elezioni comunali di Roma Capitale calendarizzate per le date del 3 e 4 ottobre 2021, stante la ritenuta sussistenza della causa di incandidabilità di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 235 del 2012, lett. e);
- il ricorrente – nell’evidenziare, fornendo documentazione a comprova, di aver già ottenuto la candidatura in occasione delle precedenti elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Roma del 2013 – ha rappresentato che l’esclusione trova fondamento nella sentenza della Corte di Appello di Roma del 6 ottobre 2003, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e divenuta irrevocabile dal 15 gennaio 2004, di condanna, per delitti non colposi, ad anni due di reclusione ed all’interdizione dai pubblici uffici per tre anni, sostenendo l’illegittimità della determinazione gravata dovendo trovare applicazione analogica le previsioni dell’art. 13 del d. lgs. n. 235 del 2012, con le quali vengono stabiliti i limiti di durata dell’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, sicché, sebbene non abbia neanche chiesto la riabilitazione, non sussisterebbe nessuna preclusione alla luce della risalenza della condanna riportata nell’anno 2003. Inoltre, non sarebbe neanche rilevante discorrere in ordine alla necessità della riabilitazione tenuto conto della circostanza la condanna è stata irrogata ex art. 444 c.p.p. in epoca precedente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 235 del 2012, soccorrendo le previsioni dell’art. 16 del medesimo testo normativo che espressamente sanciscono, al comma 1 che: “ la disposizione del comma 1 dell'art. 15 si applica alle sentenze previste dall'art. 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del presente testo unico ” (avvenuta a partire dal 5 gennaio 2013);
- la Prefettura– U.T.G. di Roma si è costituita in giudizio con la Difesa erariale producendo documentazione e, segnatamente, una relazione predisposta dal Presidente della Sottocommissione elettorale nella quale sono state articolate ampie deduzioni in ordine alla legittimità della determinazione adottata;
- all’udienza pubblica del 10 settembre 2021 la causa è stata trattenuta per la decisione;
Ritenuto che:
- il ricorso non si valuta meritevole di favorevole apprezzamento, per le ragioni di seguito esposte;
- è incontestato che il ricorrente abbia riportato nel 2003 una condanna penale a pena detentiva, ex art. 444 c.p.p., per reati non colposi e che la riabilitazione non sia stata neppure richiesta dall’interessato;
- il Collegio ritiene di ribadire l’orientamento condiviso anche dal Giudice d’Appello (cfr., ex multis , Cons. St., n. 2552 del 2017;id. n. 2943 del 2019), per cui la riabilitazione non può trovare equipollenti sulla base di interpretazioni estensive ed analogiche, le quali condurrebbero alla sostanziale disapplicazione della chiara norma di cui all’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012, espressamente riferita, tenuto conto del suo inserimento sistematico, anche alle ipotesi di condanna ex art. 444 c.p.p.;
- in tale direzione, infatti, depone l’espressione ‘unica’ riferita alla riabilitazione come causa di estinzione della situazione di incandidabilità (cfr., ex multis , la sentenza di questa Sezione n. 5636 del 2019);
- come già rilevato nelle pronunce sopra richiamate, deve escludersi una equivalenza delle due figure della riabilitazione e dell’estinzione del reato e dei relativi effetti sotto il profilo sostanziale, dal momento che l’estinzione del reato e degli effetti penali della condanna di cui all’art. 445 c.p.p. discende dal mero decorso del tempo ove il condannato non commetta altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni, mentre nel caso della riabilitazione l’effetto estintivo si verifica solo se il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta;
- ai fini della riabilitazione non è, infatti, sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “ completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato ” (Cassazione Penale, Sezione I, 18 giugno 2009, n. 31089);
- mentre, infatti, l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale, la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo, così emergendo la diversità degli istituti dell'estinzione del reato e della riabilitazione per presupposti e modalità di funzionamento atteso che: l'estinzione del reato è istituto che si fonda, ai sensi dell'art. 167 comma 1 c.p., sul decorso dei termini stabiliti unitamente ad ulteriori elementi (il condannato non commetta entro tali termini un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempia gli obblighi impostigli);la riabilitazione è un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza con cui si riscontri che è decorso il termine fissato dalla legge “ dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta ” ex art. 179, comma 1, c.p. (cfr. la sentenza di questa Sezione n. 5636 del 2019, cit.);
- la riabilitazione, ai sensi dell'art. 178 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti;in questo contesto essa costituisce, quindi, un istituto che vale ad attestare in modo più sicuro il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato perché opera sulla base di una valutazione ex post della condotta dello stesso e, a differenza dell'estinzione della pena, non opera ope legis , ma postula uno specifica pronuncia costitutiva, fondata sulla verifica di prove effettive e costanti di buona condotta. Il rapporto fra le due misure va, pertanto, inteso in termini di compatibilità e differenza di effetti, atteso che la persona condannata ha interesse ad ottenere la riabilitazione anche quando il reato risulti estinto per il compiuto decorso del termine previsto dalla legge, in quanto essa comporta vantaggi ulteriori rispetto a quelli prodotti dall'estinzione ex art. 167 comma 1, c.p., anche ai fini della candidabilità secondo le rigorose disposizioni dettate dal citato art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012 (ibidem);
- proprio su tali basi, peraltro, la Corte di Cassazione ha riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445 c. 2 c.p.a., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona (ex plurimis: Cass. Pen. Sez.-OMISSIS-, cit.);
- sebbene, dunque, entrambi gli istituti – della riabilitazione e dell’estinzione della pena patteggiata - assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono ritenersi sovrapponibili ed equiparabili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo;
- tale scelta deve ricondursi alla discrezionalità del legislatore che ha espressamente richiesto la prova dell’effettiva rieducazione del reo, quale elemento ritenuto indefettibile per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2 Cost. per l’accesso alle funzioni pubbliche;
- né soccorre, ai fini pretesi da parte ricorrente, la risalenza della condanna ad epoca precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 235 del 2012, tenuto specificamente conto della circostanza che le fattispecie di reato per le quali è stata emessa la sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. erano già previste quale causa di incandidabilità dalla disciplina previgente;
- come chiarito, infatti, dalla consolidata giurisprudenza del Giudice d’Appello (cfr., ex multis, Cons. St.n. 3067/2018;id. n. 2943 del 2019, cit.), in relazione alla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna con pena patteggiata per uno dei reati che già all’epoca erano preclusivi della candidatura, trova applicazione l’art. 16 del D. Lgs. n. 235 del 2012, ai sensi del cui comma 1 è prevista l’incandidabilità alle elezioni, se già rinvenibile nella disciplina previgente, da ciò conseguendo che può essere candidato in un'elezione solo chi ha patteggiato una condanna penale prima dell'entrata in vigore della normativa sui requisiti morali per l'accesso alle cariche amministrative e politiche, e ciò in base alla ricostruzione del quadro normativo stratificatosi nel tempo;
- e, infatti, la normativa precedente, individuata nell’art. 15 della legge n. 55 del 1990, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, prevedeva già, al comma 1 bis, l’equiparazione, agli effetti della disciplina ivi prevista, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, contemplando quale causa di incandidabilità anche i reati che vengono in rilievo nel caso che ne occupa;
- inoltre, il comma 3, del citato art. 1 della legge n. 475 del 1999 – la cui vigenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 267 del 2000 che ha abrogato la legge n. 375 del 1999 ad eccezione proprio dell'art. 1, comma 3 - al fine di regolare gli effetti temporali della predetta equiparazione, ha espressamente previsto che “ la disposizione del comma 1-bis dell’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dal comma 2 del presente articolo, si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge ” (1 gennaio 2000);
- né va trascurato che l’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – poi abrogato con il D.Lgs. n. 235 del 2012 – prevede anch’esso la incandidabilità nei casi di condanne per i reati in argomento, emergendo quindi una continuità normativa nella previsione della incandidabilità per siffatta tipologia di reati perseguiti con sentenze di patteggiamento;
- alla luce delle considerazioni sin qui esposte, assume, quindi, carattere dirimente la circostanza che, nella fattispecie in esame, viene in rilievo una condanna ex art. 444 c.p.p. adottata nel 2003, ovvero allorquando era già operante l'equiparazione delle sentenze di patteggiamento a quelle di condanna sulla base della previsione di cui all’art. 15 della legge n. 55 del 1990, poi modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, che prevedeva l’equiparazione, ai fini della incandidabilità, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, tenuto conto degli effetti intertemporali regolati dal comma 3 dell’art. 1 della legge n. 475 del 1999, sopra citato, e della norma di cui all’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000;
- a fronte della valenza ostativa della sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. non può essere riconnesso alcun rilievo, dunque, alla circostanza che in occasione delle competizioni elettorali del 2013 la candidatura del ricorrente sia stata ritenuta ammissibile dalla precedente Commissione elettorale;
- pertanto, il ricorrente è stato legittimamente escluso dalla competizione, trattandosi di incandidabilità già prevista nella precedente disciplina e non avendo parte ricorrente ottenuto la riabilitazione, cui non può essere assimilata, quale causa di cessazione della situazione di incandidabilità, l’intervenuta estinzione del reato e di ogni effetto penale di cui alla condanna ex art. 444 c.p.p., ostandovi il tenore letterale dell’art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012;
- come rilevato dal Giudice d’Appello, inoltre, “ la norma recata dall’art. 15 comma 3, del d.lgs. 235/2012 non presenta neppure profili di incostituzionalità, fondandosi sulla previsione recata dall’art. 54 Cost., né appare eccessivamente gravosa per la parte interessata, tenuto conto che il destinatario della sentenza di patteggiamento (come già rilevato) può ottenere la declaratoria di riabilitazione anche dopo il decorso del termine quinquennale di estinzione del reato, facendo così venire meno la condizione di incandidabilità ” [in termini, Cons. St., n. 2943 del 2019, cit., nella quale viene anche evidenziato che: « La questione relativa alla differenza del regime relativo alle incandidabilità previsto per i deputati, senatori e membri del Parlamento Europeo (oltre che gli incarichi di Governo) è stata, peraltro, già esaminata dalla Corte Costituzionale ritenendola infondata (cfr. Corte Cost. n. 407/92;Corte Cost. 16/12/2016, n. 276 proprio con riferimento alla legge in questione) »];
- le considerazioni sopra illustrate conducono, conseguentemente, al rigetto integrale del ricorso;
- le spese di lite – compensate con le parti intimate non costituite – seguono, per quanto concerne i rapporti con la Prefettura– U.T.G. di Roma, la soccombenza e vengono liquidate in favore di quest’ultima nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto della sussistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato sulle questioni trattate, oltre che della circostanza che neppure in udienza i difensori di parte ricorrente hanno controdedotto in relazione alle argomentazioni illustrate dalla Difesa erariale sulla base della relazione già prodotta in atti .