TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-07-26, n. 202312661

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-07-26, n. 202312661
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202312661
Data del deposito : 26 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2023

N. 12661/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02285/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2285 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Questura Roma, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Questura della Provincia di Roma, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del decreto del Questore di Roma emesso in data 30.11.2018 di revoca del permesso di soggiorno UE Soggiornanti a lungo termine;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 9 giugno 2023 il dott. A S A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento, in epigrafe indicato, di revoca del permesso di soggiorno CU per soggiornanti di lungo periodo, a seguito di sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva sostituito alla pena detentiva irrogata in primo grado, per un reato di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/90, la misura dell’espulsione dal territorio nazionale.

Di qui il decreto del Prefetto di Roma di espulsione e quello del Questore della Capitale di revoca, gravato in questa sede.

Avverso tale provvedimento deduce la violazione di legge e l’eccesso di potere, atteso che nella specie non sussisterebbero le condizioni, richieste dall’art. 9, comma 4, T.U. delle leggi sull’immigrazione per far luogo all’impugnata revoca.

Ciò varrebbe, in particolare, con riguardo alla mancata indagine sull’attualità e l’effettività del giudizio di pericolosità formulato nei confronti del ricorrente.

Il provvedimento impugnato sarebbe viepiù illegittimo mancando della traduzione che avrebbe consentito all’interessato di avere contezza del contenuto di esso.

In ogni caso, una volta revocato il permesso di soggiorno UE di lungo periodo, l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere al rilascio di un permesso di soggiorno “ordinario”.

Si sono costituite le Amministrazioni intimate, le quali hanno controdedotto ai motivi di doglianza. Parte ricorrente ha prodotto memoria conclusionale, nella quale ribadisce quanto esposto nell’atto introduttivo del giudizio.

All’udienza del 9 giugno 2023 il ricorso è stato posto in decisione.

Il ricorso è fondato.

Nella specie, in particolare, risulta condivisibile quanto affermato dall’esponente in ordine al difetto di motivazione che vizia il provvedimento impugnato.

Occorre partire dal disposto dell’art. 9, comma 4, del T.U. immigrazione, il quale recita:

“Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell'appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.”

E’ evidente, dal testo di legge riportato, che si impone un’attenta e ponderata indicazione, da parte dell’Autorità, dell’esistenza delle condizioni che impediscono il rilascio del permesso di soggiorno anzidetto: se ciò vale per il rilascio, ancor di più si manifesta necessario per la revoca di quello di cui gode lo straniero. Ne deriva che il contrarius actus deve dare conto dell’avvenuta ponderazione discrezionale, da parte dell’amministrazione, di tutti gli elementi ostativi indicati dall’art. 9, comma 4, innanzi citato e, quindi, dell’effettiva valutazione di pericolosità del soggetto, che deve essere contestualizzata, tenendo cioè conto della particolare situazione in cui specificamente il medesimo versa.

Quanto detto assume valore ancora maggiore alla stregua delle conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 88/23, che, anche per il permesso biennale (ora triennale) normale, in caso di revoca, richiede la ponderazione discrezionale degli elementi indicati nella sentenza stessa nel caso di spaccio lieve (73 comma 5).

Nella specie, il provvedimento impugnato fa riferimento, puro e semplice, alla condanna inflitta all’attuale ricorrente, aggiungendo che l’ipotesi delittuosa (relativa alla detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti) “implica spesso contatti profondi con le organizzazioni criminali”, il che comporta, a giudizio dell’Amministrazione, la dimostrazione del “mancato inserimento nel contesto sociale del richiedente e al contempo indica un comportamento che è messo in evidenza, anche ai fini della qualificazione del soggetto come persona socialmente pericolosa”.

Appare evidente, dai due incisi riportati, che si è di fronte ad una motivazione del tutto stereotipata, priva di espressa menzione dei particolari profili di interesse del richiedente: del resto, l’avverbio “spesso”, riferito ai presunti possibili contatti con la criminalità organizzata, costituisce la palese dimostrazione della mancata ponderazione della specifica posizione di cui godeva il ricorrente, quale soggiornante in forza di un titolo di lungo periodo.

Il ricorso va pertanto accolto.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

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