TAR Catania, sez. I, sentenza 2020-06-16, n. 202001427

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2020-06-16, n. 202001427
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202001427
Data del deposito : 16 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/06/2020

N. 01427/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02197/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2197 del 2001, proposto da
Condominio “Il Suk”, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avvocato S M, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. di Catania, in Catania, Via Istituto Sacro Cuore 22, e dall’avvocato D B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Messina, Via S. G. Bosco 30;

contro

Comune di Taormina, in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall'avvocato E D L, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Fragalà in Catania, Via Orto S. Clemente 45;

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Taormina n. 37 in data 7 marzo 2001, con cui l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad alcune “piazzole” e ad una “scaletta realizzate sulla scogliera, come accertato in data 23 maggio 2008 da parte della Capitaneria di Porto di Messina”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Taormina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 maggio 2020 il dott. Daniele Burzichelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, nella sua qualità di amministratore del condominio denominato “Il SUK”, ha impugnato il provvedimento del Comune di Taormina n. 37 in data 7 marzo 2001, con il quale l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad alcune “piazzole” e ad una “scaletta realizzate sulla scogliera, come accertato in data 23 maggio 2008 da parte della Capitaneria di Porto di Messina”.

Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’ordinanza impugnata interviene a distanza di oltre trent’anni dall’epoca in cui le opere furono realizzate;
b) le norme che si assumono violate non erano vigenti al momento della realizzazione delle opere;
c) il provvedimento non è adeguatamente motivato in ordine alla persistenza dell’interesse pubblico alla rimozione di quanto realizzato;
d) la stessa Amministrazione riconosce che per le opere di cui trattasi sarebbe stata necessaria una semplice autorizzazione edilizia, di talché nella specie avrebbe dovuto essere applicata esclusivamente la sanzione pecuniaria e non l’ordine di ripristino;
e) si tratta, ad ogni buon conto, di opere pertinenziali, che non modificano in alcun modo il carico urbanistico.

Il Comune di Taormina, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando, in sintesi, quanto segue: a) l’Amministrazione ha avuto notizia dell’esistenza delle opere in questione in data 6 giugno 2000, a seguito di segnalazione da parte della Capitaneria di Porto;
b) per quanto attiene al denunciato difetto motivazione, risulta sufficiente la mera affermazione della abusività del manufatto, non essendo indispensabile la menzione del persistente interesse pubblico al ripristino della legalità violata;
c) il Comune ha fatto riferimento alla generica assenza di un idoneo titolo autorizzativo, senza alcuna ulteriore specificazione, con la conseguenza che risulta assolutamente gratuita e ingiustificata l’affermazione del ricorrente secondo cui l’Amministrazione avrebbe dichiarato che per le opere in esame sarebbe risultata sufficiente una semplice autorizzazione;
d) in ogni caso, sono soggette a concessione edilizia tutte le attività consistenti nella modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo al fine di adattarlo ad un impiego diverso, nonché quelle che producano un mutamento e un’alterazione di rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale.

Con memoria in data 1 aprile 2020 il Comune ha specificato quanto segue: a) in realtà, a differenza di quanto affermato in ricorso (in cui si fa riferimento alla realizzazione di una sola piazzola), sono state realizzate una pluralità di piattaforme, le quali si estendono per circa ottocento metri quadri di scogliera;
b) come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’ordine di demolizione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongano la rimozione dell’abuso, anche qualora esso intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’intervento;
c) per quanto attiene al rilievo che le norme violate non sarebbero state vigenti all’epoca dell’effettuazione dell’intervento, non sussiste alcuna prova in ordine all’epoca in cui le opere in questione sono state realizzate;
d) in ogni caso, gli abusi edilizi sono illeciti di carattere permanente;
e) le pertinenze, poi, devono rispondere ad un’oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale e non a soddisfare un bisogno di natura meramente soggettiva dei proprietari degli immobili;
f) in ogni caso, anche volendo ritenere che le opere in questione possano qualificarsi come pertinenze, qualunque manufatto da realizzare in zona sottoposta a vincolo è soggetto alla previa autorizzazione paesaggistica ed ambientale.

Con memoria in data 2 aprile 2020 il ricorrente ha specificato che i manufatti in questione sono di dimensioni assai modeste e che trattasi di vere proprie pertinenze urbanistiche ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lettera a), della legge n. 94/1982.

Con memoria in data 17 aprile 2020 il ricorrente ha precisato quanto segue: a) le opere in questione sono risalenti, come risulta da foto panoramiche storiche dei primi anni settanta del secolo scorso;
b) non vi è stata alcuna occupazione della scogliera e certamente non nella misura indicata dall’Amministrazione;
c) il Comune non è titolare dell’interesse alla tutela dell’ambiente e l’ordinanza impugnata non dichiara che i manufatti siano abusivi in ragione di una qualsivoglia incompatibilità con il contesto ambientale.

In data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.

A giudizio del Collegio il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa e penale (cfr., ad esempio, T.A.R. Campania, Napoli, III, n. 42/2020;
Cass. Pen., III, n. 29963/2019;
T.A.R. Lazio, I, n. 70/2014;
T.A.R. Marche, Ancona, I, n. 134/2012), gli interventi di pavimentazione di aree esterne sono soggetti a concessione edilizia allorquando determinino una trasformazione urbanistica ed edilizia tendenzialmente permanente, con alterazione significativa dell'assetto del territorio e dello stato dei luoghi.

Nel caso in esame, risulta dalla segnalazione della Capitaneria di Porto n. 014524 in data 23 maggio 2000 l’intervenuta realizzazione di “diverse piattaforme di cemento ricavate tra la scogliera”, di “una scala di accesso che permette di arrivare dal… condominio alle piattaforme” e di “un alloggiamento di cemento interrato”.

Nella nota del Comando di Polizia Municipale in data 27 febbraio 2001 si afferma, poi, che sui luoghi era stata accertata la presenza di “piazzuole e” di “una scaletta realizzate abusivamente sulla scogliera”.

Alla nota della Polizia Municipale in data 27 febbraio 2001 sono allegate due fotografie, le quali evidenziano in modo inconfutabile l’esistenza di alcune piazzuole realizzate al fine di usufruire più comodamente del mare e di una scala per poter accedere a tali piazzuole.

Ne consegue che le opere in esame, in ragione della loro obiettiva consistenza, necessitavano certamente di concessione edilizia, determinando esse una trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi tendenzialmente permanente e di significativa entità, potendo anche aggiungersi che, in quanto prospicienti il mare, esse appaiono anche in contrasto con la normativa paesaggistica ed ambientale, che ovviamente il Comune è tenuto a rispettare e far osservare, sebbene la relativa materia non sia di sua stretta competenza.

A nulla rileva, poi, che l’ordinanza impugnata sia eventualmente intervenuta a distanza di svariati anni dall’epoca in cui le opere sono state realizzate e che la stessa non sia motivata in ordine alla persistenza dell’interesse pubblico alla rimozione di quanto realizzato, poiché, come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un’opera abusiva e giammai assistita da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongano la rimozione dell'abuso e tale principio non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione a demolire intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso (e persino allorquando, oltre a ciò, il titolare attuale non sia il responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino).

Quanto al rilievo secondo cui le norme violate non erano vigenti al momento della realizzazione delle opere, appare ovvio che il relativo onere probatorio incombe sull’interessato, il quale, nella specie, si è limitato a produrre alcune cartoline risalenti agli anni settanta del secolo scorso, epoca in cui gli interventi al di fuori del centro abitato - ammesso che il luogo in esame debba qualificarsi tale - già necessitavano di un titolo edilizio per la loro realizzazione.

Deve, poi, osservarsi che l’Amministrazione non ha mai affermato che per le opere di cui trattasi sarebbe stata necessaria una semplice autorizzazione edilizia: nell’ordine di demolizione e ripristino si fa, infatti, generico riferimento alla “assenza di idoneo titolo autorizzativo”, senza alcuna distinzione di ordine tecnico fra autorizzazione e concessione edilizia (e ciò a tacere il fatto che, anche se il Comune si fosse espresso in tal senso, si sarebbe comunque dovuto ritenere che il provvedimento impugnato, per la sua natura vincolata, non avrebbe potuto avere diverso contenuto dispositivo, con conseguente applicazione dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241/1990, norma di natura procedimentale che, in quanto tale, risulta idonea a disciplinare il caso di specie).

Per quanto riguardo, poi, il rilievo secondo cui le opere in questione avrebbero natura pertinenziale, deve osservarsi che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, il vincolo funzionale che lega la cosa principale alla pertinenza non può avere un qualsiasi contenuto “ad libitum” del titolare, ma deve realizzare effettivamente un miglior sfruttamento o una maggiore utilizzazione della cosa principale di cui deve fornire un riscontro obiettivo ed attuale, per cui si ritiene necessario, ai fini della sua configurabilità, che l’utilità o il miglioramento siano oggettivamente arrecati dalla cosa accessoria a quella principale e non al proprietario di essa (sul punto, cfr. Cass. Civ., II, n. 2587/1988).

In altri termini, è necessario, oltre al requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi i beni in capo al medesimo soggetto, anche un elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarità diretta e immediata con quello principale (sul punto, cfr. Cass. civ. Sez. II, 20/05/2019, n. 13507, ove si afferma, conseguentemente, l’insussistenza del vincolo pertinenziale in relazione ai mobili e alle suppellettili), mentre nel caso di specie le piazzuole, la scala e l’alloggio che sono stati realizzati non costituiscono ornamento o cose destinate in modo durevole a servizio del condominio (art. 817, primo comma, c.c.), ma soddisfano semplicemente l’esigenza soggettiva dei proprietari e dei frequentatori degli alloggi di usufruire in modo più confortevole e gradevole del mare.

Con riferimento, infine, all’osservazione secondo cui le opere in esame costituirebbero pertinenze urbanistiche ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lettera a), del decreto legge n. 9/1982, convertito in legge n. 94/1982, il Collegio rileva in primo luogo che la censura appare tardiva, in quanto essa, non contenuta nel ricorso introduttivo, è stata sollevata solo con la memoria, mai notificata, depositata in data 2 aprile 2020.

Ad ogni buon conto, può osservarsi che la disposizione indicata fa riferimento alle “opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti” e che, per le ragioni già indicate, l’intervento di cui trattasi non può considerarsi volto alla realizzazione di una pertinenza dell’immobile principale, né, ovviamente, può considerarsi quale impianto tecnologico al suo servizio.

In conclusione, il ricorso va rigettato, mentre, tenuto conto del fatto che la causa è molto risalente nel tempo e che, in ordine ad alcuni profili della controversia, sussistevano obiettivamente alcune oscillazioni giurisprudenziali all’epoca in cui il ricorso è stato proposto, le spese di lite devono essere compensate.

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