TAR Roma, sez. I, sentenza 2020-02-28, n. 202002615
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Pubblicato il 28/02/2020
N. 02615/2020 REG.PROV.COLL.
N. 09399/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9399 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S B e M C L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale Regina Margherita, 1;
contro
Ministero della Giustizia e Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
della delibera del C.S.M. prot. n. p. 9319/2018 del 24.5.2018 che ha dichiarato il ricorrente – nella sua qualità di soggetto idoneo ai fini della nomina a magistrato di Cassazione a decorrere dal 5.4.1991 - non idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori;nonché di ogni altro atto di approvazione, ratifica e quant'altro e più in generale di qualunque atto presupposto e conseguente non conosciuto dal ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2020 la dott.ssa L M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorrente, magistrato in pensione a far data dal 1° agosto 2012, impugna, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura in epigrafe, con il quale non è stato considerato idoneo ad essere ulteriormente valutato per le funzioni direttive superiori.
2. Premette che il presupposto per l’adozione del provvedimento impugnato è stato acquisito all’esito di un complesso inter processuale, che aveva condotto all’annullamento di due delibere consiliari, del 9 giugno 2004 e del 7 marzo 2012. Il CSM, con la delibera del 23 marzo 2016, aveva ottemperato al giudicato amministrativo deliberando il riconoscimento della qualifica di magistrato di Cassazione in favore del ricorrente alla data del 5.4.1991. Tenuto conto del riconoscimento della qualifica, l’odierno esponente è stato valutato per le funzioni direttive superiori, non venendo tuttavia considerato idoneo a seguito dell’adozione della delibera impugnata, della quale chiede l’annullamento per il seguente motivo:
- Violazione degli artt. 1 e 16 della l. n. 831 del 1973 e della Circolare n. 1275 del 1985, come modificata dalla Circolare n. 16103 del 2003. Eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità e contraddittorietà.
Parte ricorrente fa in primo luogo presente che le condanne disciplinari citate nella parte motiva della delibera impugnata erano state considerate irrilevanti dai giudizi amministrativi aventi ad oggetto l’idoneità a magistrato di Cassazione a decorrere del 5.4.1991. Ritiene che tali precedenti non potevano essere posti a base del provvedimento anche perché non sarebbe stato chiarito il loro impatto attuale sulla personalità del magistrato e non si sarebbe tenuto conto dei contrari positivi elementi di giudizio emersi nel corso dell’istruttoria, avuto particolare riguardo al parere favorevole del 27.3.2017 reso dal Consiglio Giudiziario.
Sostiene, altresì, che i fatti oggetto delle sanzioni disciplinari erano stati, comunque, già approfonditamente vagliati dalle richiamate pronunce del giudice amministrativo e ritenuti inconsistenti o irrilevanti. In via residuale, censura nel dettaglio le argomentazioni utilizzate dal CSM per valutare tali fatti, al fine di dimostrare l’erroneità del giudizio formulato dall’organo di autogoverno.
3. Il Ministero della giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura si sono costituiti in giudizio, senza formulare difese scritte.
4. Alla camera di consiglio del 3 ottobre 2018, si è preso atto della rinuncia alla istanza cautelare presentata unitamente al gravame.
5. Alla udienza pubblica del 12 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. E’ utile qualche precisazione in punto di fatto.
3. La delibera del CSM del 9 giugno 2004 aveva riconosciuto al ricorrente la qualifica di magistrato di Cassazione a far data dal 5.4.1997, anziché a far data dal 5.4.1991, anche in ragione della perdita di tre anni di anzianità comminata in sede disciplinare. La delibera è stata annullata dalla sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS-, confermata da Cons. Stato, sez. IV, -OMISSIS-. In quest’ultima pronuncia si è, in particolare, statuito che “ La valutazione dell’idoneità alle funzioni di magistrato di cassazione rientra indiscutibilmente nell’ambito dei poteri del Consiglio superiore, che può tener conto anche di condotte estranee a quelle concernenti l’esercizio delle funzioni, purchè siano tali da incidere sul prestigio dell’ordine giudiziario, sicchè il Consiglio superiore legittimamente ha potuto valutare l’accertata partecipazione del magistrato ad una loggia massonica, ai fini della sua nomina a magistrato di cassazione ”. Osservava, tuttavia, la pronuncia che l’esponente aveva “ aderito alla massoneria ufficiale quando l’appartenenza non era ancora considerata un disvalore e l’aveva abbandonata (giugno 1993) prima che intervenisse il divieto (luglio 1993) ”. Aggiungeva, con ciò condividendo le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado, che “ Nessun elemento ulteriore di disvalore, legato alla appartenenza alla massoneria, emerge dalla fattispecie, né tantomeno in termini di imparzialità e neutralità di condotta tenuta dal magistrato nello svolgimento delle sue funzioni. Ora, in assenza di altri elementi negativi e stante il tempestivo recesso dell’appellato dalla associazione massonica prima che tale affiliazione fosse sanzionata con un preciso divieto, non può non censurarsi il diniego di idoneità del medesimo alle funzioni di cassazione basato su tale circostanza, stante il principio costituzionale della libertà di associazione, che riguarda anche i magistrati, ove tale esercizio non sia precluso da un’espressa previsione di legge o non contrasti palesemente con le responsabilità istituzionali ”.
Nella riedizione del potere a seguito dell’annullamento del provvedimento consiliare, il CSM nuovamente riconosceva, con la delibera del 7 marzo 2012, la qualifica di magistrato di Cassazione con decorrenza dal 5.4.1997: anche tale delibera è stata annullata, con la sentenza questa Sezione del 13 gennaio 2014, n. 353, confermata da Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2449, in ragione del fatto che la nuova valutazione si basava sulle medesime ragioni già poste a base della precedente delibera del 9 giugno 2004 e ritenute insufficienti dal giudice amministrativo.
Frattanto, il deducente era stato valutato ai fini del riconoscimento delle funzioni direttive superiori ed era stato dichiarato non idoneo con delibera del 4 febbraio 2009, avuto riguardo al periodo decorrente dal 5.4.1997 al 5.4.2005. L’impugnazione della delibera in questione era stata respinta con la sentenza del Tar Lazio, sez. I, 29 marzo 2010, n. -OMISSIS-, confermata in appello da Cons. di Stato, sez. IV, 10 giugno 2011, n. -OMISSIS-.
4. Da ultimo, è intervenuto il provvedimento oggetto della presente impugnativa, adottato dal CSM in quanto, pur non essendo mai stata revocata la citata delibera del 4 febbraio 2009, essa doveva considerarsi “superata” a seguito della successiva pronuncia del 23 marzo 2016, con cui l’organo di autogoverno aveva riconosciuto al ricorrente la qualifica di magistrato di Cassazione a far data dal 5.4.1991 e imposto la ricostruzione della carriera, con conseguente anticipazione della valutazione relativa al conferimento delle funzioni direttive superiori.
Dopo avere descritto i precedenti disciplinari e le tre condanne disciplinari subite, nonché riportato il contenuto del parere favorevole rilasciato dal Consiglio giudiziario di Roma e sintetizzato le osservazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento, il CSM lo ha valutato non idoneo al riconoscimento delle funzioni direttive superiori.
Nella delibera gravata, l’organo di autogoverno ha compiuto un’ampia disamina delle pregresse pronunce del giudice amministrativo e ha sottolineato la diversità dei presupposti del giudizio per il conferimento delle funzioni di legittimità rispetto a quello per il riconoscimento delle funzioni direttive superiori. Ha, quindi, ritenuto che l’affiliazione alla massoneria fino al 1993 determinava un “ appannaggio del profilo del magistrato in valutazione ” in relazione tanto al requisito della indipendenza che a quello della imparzialità. Il CSM ha anche osservato che l’ulteriore vicenda disciplinare che aveva coinvolto il ricorrente relativamente a un procedimento di malversazione “ aveva gettato a lungo discredito sulla immagine del magistrato ” e concludeva che era “ perdurante l'influenza di entrambi i precedenti disciplinari ” subìti sul prestigio, tenuto conto del riconoscimento oggetto di disamina e del periodo in valutazione.
5. Il Collegio ritiene che il CSM abbia correttamente esaminato le vicende pregresse che avevano coinvolto parte ricorrente e ritenuto, a seguito di una analisi rigorosa, che gli effetti negativi delle condotte descritte sul prestigio del magistrato si protraevano anche in relazione al periodo oggetto di valutazione, avuto riguardo alla particolarità del giudizio da esprimersi e alla necessità di calibrarlo in relazione al riconoscimento delle funzioni direttive superiori.
E’ di fondamentale importanza, in argomento, rammentare la diversità del giudizio oggetto della presente controversia rispetto a quello che attiene al riconoscimento delle funzioni di legittimità.
La valutazione dell’idoneità all’assunzioni di funzioni direttive superiori si connota, infatti, per una “spiccata autonomia”, che impone all’organo di autogoverno un estremo rigore nella verifica dei requisiti personali, morali e professionali del magistrato da valutare. Deve, sul punto, condividersi quanto espresso dalla giurisprudenza amministrativa circa la presenza, nel caso di specie, di una autonomia tra i giudizi che trova la sua piena giustificazione nelle attività demandate nel caso di conferimento delle funzioni direttive superiori, che comportano maggiore esposizione relazionale e maggiore visibilità, rispetto ad ogni altra valutazione precedente rivolta ad altri, seppur analoghi, scopi. Si è anche sottolineato come la grande importanza e delicatezza della direzione di uffici apicali richiedono “indiscussa fiducia” e “amplissimo prestigio nella collettività” (cfr. Cons. Stato n. -OMISSIS-/2011 cit.), sicché le “ombre” indiscutibilmente presenti nella carriera del ricorrente ben potevano essere considerate un “appannamento” preclusivo al riconoscimento di quella massima fiducia richiesta per il conferimento delle funzioni.
6. Deve aggiungersi che la valutazione espressa dal CSM è stata oggetto di una istruttoria compiuta, nella quale non vi è stata una pretermissione del parere favorevole rilasciato dal Consiglio giudiziario, tra l’altro integralmente riportato nella delibera. Le considerazioni ivi espresse circa la non attuale rilevanza sulla indipendenza e imparzialità del magistrato delle precedenti vicende che lo hanno coinvolto ben potevano essere non condivise, come accaduto, dall’organo di autogoverno, che se ne è discostato sulla base di una diffusa e circostanziata motivazione.
7. In definitiva, il CSM, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità riconosciutagli in materia e tenuto conto del particolare rigore valutativo che deve connotare un simile giudizio, ha ben ritenuto che gli indispensabili requisiti di prestigio e di affidabilità richiesti per il conferimento delle funzioni direttive superiori non potevano essere in alcun modo controbilanciati dalla pur positive considerazioni svolte in ordine ai profili di preparazione, capacità, laboriosità o diligenza del ricorrente.
10. Dunque, la correttezza dell’iter istruttorio e l’assenza di profili di illogicità o irragionevolezza nella decisione assunta dal CSM impongono la reiezione del ricorso.
11. La peculiarità della vicenda contenziosa e la limitata attività difensiva delle amministrazioni resistenti giustificano la compensazione delle spese di lite.