TAR Roma, sez. II, sentenza breve 2015-12-10, n. 201513862

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza breve 2015-12-10, n. 201513862
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201513862
Data del deposito : 10 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 11716/2015 REG.RIC.

N. 13862/2015 REG.PROV.COLL.

N. 11716/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 11716 del 2015 proposto da G Y, in proprio ed in qualità di legale rappresentante pro tempore dell’impresa individuale “Rosa di G Y”, rappresentata e difesa dall’avvocato G D M, con domicilio eletto in Roma, via Alberico II n. 4, presso lo studio dell’avvocato S P;

contro

l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Area Monopoli, Ufficio dei Monopoli per la Lombardia, in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato con la quale è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 58116 in data 29 giugno 2015, con il quale l’Ufficio dei Monopoli per la Lombardia dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha disposto, per l’anno 2014 e successivi, la cancellazione dell’impresa individuale “Rosa di G Y” dall’elenco di cui all’art. 1, comma 533, della legge n. 266/2005, come sostituito dall’art. 1, comma 82, della legge n. 220/2010, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2015 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’Ufficio dei Monopoli per la Lombardia dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con il provvedimento impugnato ha disposto la cancellazione, per l’anno 2014 e successivi, dell’impresa individuale “Rosa di G Y” dall’elenco degli esercenti di apparecchi da intrattenimento con vincite in denaro, di cui all’art. 1, comma 533, della legge n. 266/2005, come sostituito dall’art. 1, comma 82, della legge n. 220/2010, evidenziando in motivazione che: A) in sede di richiesta di rinnovo dell’iscrizione nel predetto elenco per l’anno 2014 la ricorrente aveva dichiarato di essere in possesso dei requisiti richiesti dal decreto direttoriale del 9 settembre 2011;
B) a seguito di controlli eseguiti ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 445/2000, il Comune di Milano con nota del 5 ottobre 2014 ha comunicato che non risultava alcuna autorizzazione ai sensi dell’art. 86 del T.U.L.P.S. intestata alla ricorrente;
C) con nota del 24 aprile 2015 è stata quindi contestata alla ricorrente la natura mendace delle dichiarazioni contenute nella autocertificazione allegata in sede di richiesta di rinnovo dell’iscrizione per l’anno 2014;
D) a fronte di tale contestazione la ricorrente non ha prodotto memorie difensive.

2. La ricorrente ha quindi impugnato tale provvedimento deducendo la violazione dell’art. 1, comma 533, della legge n. 266/2005, come sostituito dall’art. 1, comma 82, della legge n. 220/2010, e dell’art. 24 del decreto legge n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, nonché la violazione del principio dell’affidamento e dei principi generali dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost. e dall’art. 1 della legge n. 241/1990, e l’eccesso di potere sotto molteplici profili. In particolare la ricorrente non contesta che al momento della presentazione della richiesta di rinnovo dell’iscrizione nel predetto elenco per l’anno 2014 ella non fosse in possesso della prescritta autorizzazione di pubblica sicurezza di cui all’art. 86 del TU.L.P.S., ma afferma che anche tale autorizzazione deve ritenersi sostituita dalla S.C.I.A. prevista per il sub ingresso in attività di somministrazione di alimenti e bevande e che ella in buona fede ha dichiarato di essere in possesso di tale autorizzazione in base alla S.C.I.A. presentata al Comune di Milano in data 7 marzo 2014 in occasione del subingresso nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande acquisita dalla signora G C. In particolare la ricorrente riferisce che: A) ella conferito ad una professionista (la ragioniera A I Z) l’incarico di porre in essere tutti gli adempimenti burocratici necessari per il subentro nell’attività;
B) la professionista ha provveduto a trasmettere al Comune di Milano la prescritta S.C.I.A.;
C) il Comune in data 24 marzo ha comunicato unicamente alla predetta professionista l’irricevibilità della S.C.I.A.;
D) la professionista ha quindi provveduto all’invio di una nuova S.C.I.A. in data 10 ottobre 2014;
E) a seguito della ricezione del provvedimento impugnato, in data 16 luglio 2015 la suddetta professionista ha inviato all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli una relazione sull’accaduto;
F) ciononostante l’Agenzia con la nota prot. n. 66970 in data 16 luglio 2015 ha ritenuto di dover confermare il provvedimento impugnato.

3. L’Amministrazione intimata con memoria in data 29 ottobre 2015 ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. Alla camera di consiglio del 4 novembre 2015, fissata per la trattazione della domanda cautelare, le parti sono state avvisate della possibile definizione del presente giudizio con sentenza emessa ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.. Quindi il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso in esame, ancor prima che infondato, risulta inammissibile in ragione della mancata impugnazione della nota prot. n. 66970 in data 16 luglio 2015, con la quale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha confermato il provvedimento impugnato. Si deve infatti rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667), per stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) ovvero di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi;
in particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione;
ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione. Ciò posto il Collegio ritiene che la suddetta nota prot. n. 66970 in data 16 luglio 2015 non possa essere qualificata come un atto meramente confermativo, perché costituisce il provvedimento conclusivo di un vero e proprio procedimento di riesame stimolato dalla ricorrente;
infatti dalla motivazione di tale nota si evince che l’Amministrazione ha proceduto all’esame dei documenti integrativi ricevuti in data 13 luglio 2015 e, all’esito di tale esame, ha ritenuto di dovere confermare la determinazione già adottata in quanto la ricorrente alla data dell’autocertificazione (28 marzo 2014) non era in possesso dell’autorizzazione di cui all’art. 86 del T.U.L.P.S..

2. Inoltre il Collegio ritiene che non osti alla declaratoria di inammissibilità del ricorso il fatto che nell’epigrafe del ricorso sia impugnato anche «ogni ulteriore diverso atto ... conseguente e/o comunque connesso». Si deve infatti rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6012), sebbene nel processo amministrativo l’individuazione degli atti impugnati debba essere operata non già con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all’effettiva volontà del ricorrente, quale è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte - sicché è possibile ritenere che sono oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscono senz’altro oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell’atto di ricorso - il generico richiamo, nell’epigrafe del ricorso, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l’impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure;
ciò perché solo l’inequivoca indicazione del petitum dell’azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa.

3. In via subordinata il Collegio osserva che il ricorso in esame risulta comunque manifestamente infondato. Infatti la suesposta censura, incentrata sulla violazione del principio dell’affidamento, muove dal presupposto (dato per scontato) che anche l’autorizzazione del Questore di cui agli articoli 86 e 88 del T.U.L.P.S. è sostituita dalla S.C.I.A. prevista per le attività di somministrazione di alimenti e bevande. Infatti l’art. 19 della legge n. 241/1990, nel disporre che “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato”, esclude espressamente dall’ambito applicativo di tale disposizione gli atti rilasciati dall’amministrazione preposte alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, “ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco”. Inoltre il Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 4593 in data 1° ottobre 2015 (invocata dalla ricorrente stessa) ha chiarito quanto segue: «l’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi VLT è sottoposta ad un duplice vaglio da parte dell’amministrazione, atteso che per poter essere legittimamente esercitata deve essere preceduta dall’autorizzazione del Questore ex art. 88 T.U.L.P.S. e dalla relativa S.C.I.A. Una simile disciplina è conforme ai principi dell’Unione europea, come chiarito dalla Corte di Giustizia con la pronuncia del 12 settembre 2013, secondo la quale “ Gli artt. 43 e 49 del Trattato C.E. non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d'azzardo l'obbligo di ottenere un'autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione ”. Si tratti di titoli che evidentemente sono preordinati al soddisfacimento di interessi diversi. Infatti, mentre l’autorizzazione di polizia mira al contrasto dei fenomeni di criminalità legati al mondo delle scommesse, la S.C.I.A. consente di verificare il rispetto di quegli altri interessi che devono essere tutelati nell’esercizio dell’attività commerciale in questione, tra i quali spicca quello della tutela del consumatore rispetto alla cd. ludopatia».

8. Le spese del presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte ricorrente.

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