TAR Napoli, sez. V, sentenza breve 2021-09-21, n. 202105939

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza breve 2021-09-21, n. 202105939
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202105939
Data del deposito : 21 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/09/2021

N. 05939/2021 REG.PROV.COLL.

N. 03055/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 3055 del 2021, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati S A, Candida D'Agostino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Candida D'Agostino in Napoli, via Mariano D'Ayala 6;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento,

PREVIA SOSPENSIONE:

1) del decreto notificato in data 13.05.2021 emesso dalla Questura di Napoli, Commissariato di P.S. Castellammare di Stabia, Squadra di Polizia Amministrativa, Settore Contenzioso con il quale si revocava la licenza di porto di fucile uso caccia al ricorrente “tenuto conto che dal comportamento posto in essere dalla S.V. si ravvisano elementi fattuali che denotano senza dubbio una condotta materiale sintomatica della mancanza di affidabilità nel corretto uso del titolo”;

2) della comunicazione di avvio di procedimento volto alla revoca della licenza di porto di fucile uso caccia nr. 209578-P del 12.10.2020, notificata al ricorrente in data 21.10.2020;

3) dell'annotazione redatta a seguito di controllo effettuato in data 17.09.2020;

4) di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenziali comunque lesivi degli interessi del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 settembre 2021 la dott.ssa Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Il ricorrente agisce in giudizio per l'annullamento del provvedimento in epigrafe indicato, con cui la Questura di Napoli ha disposto nei suoi confronti la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, motivandola alla stregua del rilevato deferimento all’A.G. per detenzione illegale di munizioni calibro 7.65, per aver consentito la promiscuità delle armi con altro soggetto (titolare del solo porto di fucile limitato alle armi lunghe), per la violazione della prescrizione imposta in sede di rinnovo del porto di fucile di obbligo di custodia delle armi in apposito armadio blindato stanti pregressi dissidi familiari e, in definitiva, per l’emergenza di “elementi fattuali che denotano senza dubbio una condotta materiale sintomatica della mancanza di affidabilità nel corretto uso del titolo”.

Il gravame si fonda su un duplice ordine di censure così rubricate:

a) Erroneità e illogicità della motivazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 43 del testo Unico delle Leggi di P.S. approvato con regio decreto del 18 giugno 1931 n. 773 - Falsità dei presupposti – Difetto di istruttoria – Arbitrarietà manifesta – Illogica valutazione degli elementi di fatto – eccesso di potere per errore essenziale e travisamento dei fatti – Illegittimità manifesta – Violazione art. 97 della Costituzione: gli elementi fattuali valorizzati dall’Amministrazione procedente non sarebbero affatto indicativi di inaffidabilità, in ragione di quanto accertato in sede penale relativamente al fatto di detenzione “promiscua” delle munizioni, imputabile esclusivamente al padre del ricorrente che se ne è assunta la responsabilità, e della occasionalità dell’unico episodio di litigio familiare, risalente al 2015 e concluso con la messa alla prova del ricorrente, positivamente conclusa;
ne risulterebbe il cattivo uso della discrezionalità riservata all’amministrazione nel rilascio di titoli abilitativi all’uso delle armi;

b) Violazione degli artt. 11 e 43 del testo Unico delle leggi di P.S. approvato con regio decreto del 18 giugno 1931, n. 773 – Violazione del principio di trasparenza e dei canoni di buon andamento ed imparzialità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, per difetto di motivazione, di istruttoria, per ingiustizia manifesta: l’Amministrazione avrebbe erroneamente valutato i pregressi occorsi (dissidi familiari e messa alla prova), in ragione del loro definitivo superamento per effetto di archiviazione e di positivo esito della messa alla prova, attestato dal parroco della Parrocchia cui era stato affidato;
del resto la stessa Amministrazione aveva ritenuto irrilevante nel passato la circostanza autorizzando l’uso delle armi;
la Questura non avrebbe pertanto ben motivato sulla inaffidabilità del ricorrente, automaticamente desumendola da fatti per il passato ritenuti non influenti;
né avrebbe considerato adeguatamente la professione svolta dal ricorrente (cacciatore/tiratore nelle gare sportive da caccia) al fine di una più compiuta e approfondita istruttoria.

L’amministrazione dell'Interno si è costituita in giudizio, resistendo al gravame, stante la sua infondatezza, e depositando memoria difensiva, cui replicava, con memoria, parte ricorrente.

Alla camera di consiglio del 14 settembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione, previo avviso di una sua possibile definizione in forma semplificata.

2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio, l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti.

3.- Il ricorso è infondato.

3.1.- Ai fini dello scrutinio di entrambe le articolate censure, da esaminarsi congiuntamente in ragione dell’evidente correlazione che le avvince, è opportuno muovere dall'esame della motivazione posta a fondamento del provvedimento impugnato.

L'Amministrazione ha motivato l’adottata misura in ragione delle risultanze istruttorie che danno atto del rilevato deferimento del ricorrente all’A.G. per detenzione illegale di munizioni calibro 7.65, per aver consentito la promiscuità delle armi con altro soggetto (titolare del solo porto di fucile limitato alle armi lunghe), della violazione della specifica prescrizione, imposta in sede di rinnovo del porto di fucile, di obbligo di custodia delle armi in apposito armadio blindato stanti pregressi dissidi familiari e, in definitiva, per l’emergenza di “elementi fattuali che denotano senza dubbio una condotta materiale sintomatica della mancanza di affidabilità nel corretto uso del titolo”.

Incontestate le sopra descritte vicende fattuali, le contestazioni di parte ricorrente si appuntano sulla loro rilevanza e significatività ai fini della valutazione di “inaffidabilità” cui è pervenuta l’Amministrazione.

3.2.- Va anzitutto rammentato che l’art. 11 del T.U.L.P.S., comma 3, riconosce all’Autorità di P.S. il potere di revoca delle autorizzazioni già rilasciate quando nella persona autorizzata vengono a mancare le condizioni alle quali sono subordinate ovvero quando “sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione”.

Ne deriva che il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi, che può essere rimosso, per effetto di autorizzazione, soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il “buon uso” delle armi stesse”;
proprio “dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso”, dal che deve desumersi “un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, pur nell’ambito di un bilanciamento, da condursi entro il limite della non manifesta irragionevolezza tra l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica”, beni, questi ultimi, “che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi” (cfr. Corte costituzionale, n. 440 del 16 dicembre 1993;
ma anche sentenza n. 24 del 1981;
Cons. di Stat, III, n. 4403/2019, ex pluris).

D’altronde, il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi neppure implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle armi risultando sufficiente, a tal scopo, che il soggetto non offra affidamento, sulla base di una valutazione, anche solo prognostica, di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto esaminate dall’Autorità amministrativa competente (cfr.: C.d.S., III, 11 giugno 2018 n. 3502).

Al riguardo, va pure ricordato che compito dell'Amministrazione, da esercitare con ampia discrezionalità, è quello di prevenire i delitti, ma anche i sinistri involontari, che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili.

3.3.- Orbene, nella presente fattispecie, la resistente amministrazione, ad avviso del collegio, ha correttamente fondato il giudizio di inaffidabilità argomentando anzitutto sulla base della riscontrata situazione di promiscuità nella detenzione di armi e sulla violazione di una specifica prescrizione posta in sede di pregressa autorizzazione (detenzione in armadio blindato).

Tali circostanze fattuali, non contestate nella loro oggettività (ma solo nella loro “imputabilità” soggettiva), specie tenuto conto dell'ampia discrezionalità riservata all'Amministrazione in subiecta materia , sindacabile in sede di giurisdizione generale di legittimità solo nelle ipotesi di macroscopica irrazionalità o evidente travisamento di fatti, ben fondano, non irragionevolmente, il giudizio di inaffidabilità, essendo irrilevante a tal fine l’esito del giudizio penale (che ha escluso la colpevolezza del ricorrente, imputando la condotta al padre di questi, che peraltro risulta soggetto ultra ottantenne, colpito da svariati malori fisici e confinato a risiedere al piano superiore in autonoma e separata abitazione), che, a ben vedere, ha appunto confermato la circostanza fattuale dell’uso promiscuo dell’armadio blindato nel quale il ricorrente avrebbe dovuto detenere armi e munizioni e cui invece aveva evidentemente accesso altro soggetto che vi avrebbe allocato, a sua volta, e all’insaputa del ricorrente, munizioni (nello specifico n. 55 proiettili calibro 7,65 parabellum, illegalmente detenuti ed anzi “rinvenuti” in luogo, data e circostanze ignoti, secondo le dichiarazioni rese dal genitore, che discolpano il ricorrente).

Ciò che rileva, come correttamente evidenzia la difesa di parte resistente, non è tuttavia l’imputabilità della condotta (detentiva), ma il comportamento negligente, a monte, del ricorrente, che ha consentito l’accesso all’armadio blindato ad altro soggetto in violazione di specifiche prescrizioni, così esponendo a sicuro pericolo il controllo nell’uso delle armi, capillarmente assicurato dal regime autorizzatorio e fondato sull’affidabilità individuale dei soggetti autorizzati.

La diligente custodia delle armi, finalizzata a impedirne l’uso da parte di terzi, costituisce, giova ricordare, obbligo specifico dei soggetti titolati al loro uso normativamente imposto dall’art. 20 L. 110/1975, la cui violazione ben può autonomamente giustificare un giudizio di inaffidabilità degli stessi (cfr., per fattispecie similari,

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