TAR Catania, sez. III, sentenza 2009-02-27, n. 200900436

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. III, sentenza 2009-02-27, n. 200900436
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 200900436
Data del deposito : 27 febbraio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02353/2007 REG.RIC.

N. 00436/2009 REG.SEN.

N. 02353/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 2353 del 2007, proposto da:
I G, rappresentato e difeso dall'avv. M M, con domicilio eletto presso il suo studio, a Catania, viale

XX

Settembre, 43;

contro

Comune di Catania, non costituito,

per l’esecuzione del giudicato

derivante dal decreto ingiuntivo n. 597 del 13.03.2007 emesso dal Tribunale di Catania.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10/02/2009 il dott. Dauno Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

A seguito di ricorso dell’attuale ricorrente, con il decreto sopra citato il Tribunale di Catania ha ingiunto al Comune di pagare la somma di € 57.735,75, oltre interessi di mora al tasso legale dalle singole scadenze fino al soddisfo, oltre le spese del procedimento, liquidate in complessivi € 1.498,58, Iva e Cpa e spese generali.

In mancanza di opposizione, il decreto è stato dichiarato esecutivo il 07.06.2007.

Persistendo l’inadempimento, in data 20.07.2007 il ricorrente ha notificato al Comune una diffida ad adempiere, rimasta inevasa, ai sensi dell’art. 90 del R.D. n. 642/1907. A seguito dell'ulteriore inadempienza da parte del Comune, il 25.09.2007 il ricorrente ha notificato un ricorso, depositato il 04.10.2007, al fine di ottenere la dovuta ottemperanza mediante la nomina di commissario ad acta.

Con sentenza n. 1287 dell’08.07.2008 questa Sezione ha accolto il ricorso, e per l’effetto:

ha dichiarato l’obbligo del Comune di dare esecuzione al giudicato, e di adottare i necessari atti nel termine di giorni 60 dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza, ovvero dalla sua notificazione ad opera di parte;

ha nominato, in caso di ulteriore inadempienza, il Prefetto di Catania, o Funzionario da esso delegato, quale Commissario ad acta, affinché provvedesse, entro ulteriori giorni 60 dalla scadenza del termine predetto, ad eseguire il giudicato;

ha condannato il Comune al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, liquidate in € 1.600,00, oltre IVA e CPA, nonchè al pagamento del compenso dovuto al Commissario, liquidato nella misura di € 1.300,00.

Con istanza depositata l’08.01.2009 il commissario ha chiesto una proroga del termine di 120 giorni.

Il Collegio ritiene la proroga richiesta opportuna, in relazione agli adempimenti da porre in essere ed alle oggettive difficoltà del compito da eseguire, ma con le precisazioni che seguono.

Il Collegio intende ribadire che il commissario ha il potere e dovere di non limitarsi ad attendere che il Comune incassi delle somme, e autonomamente provveda mediante i propri uffici, bensì di provvedere all’esecuzione dell’incarico anche mediante l’adozione di variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, alienazioni di beni anche mediante trattativa privata, o quant’altro necessario per l’assolvimento del mandato, anche in deroga a qualsiasi normativa.

Come precisato da Corte Cost., 15 settembre 1995 n. 435, il principio di legalità dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.), unitamente al principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), se da una lato affermano l'indipendenza dell'Amministrazione, dall'altro comportano esplicitamente l'assoggettamento dell'Amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali.

In sostanza, la Costituzione accoglie il principio in base al quale il potere dell'Amministrazione merita tutela solo sul presupposto della legittimità del suo esercizio, demandando agli organi di giustizia il potere di sindacato – pieno, ai sensi del secondo comma dell'art. 113 Cost. – sull'esistenza di tale presupposto. A ciò si aggiunga che il contenuto tipico della pronuncia giurisdizionale è proprio quello di esprimere la volontà concreta della legge o, più esattamente, la "normativa per il caso concreto" che deve essere attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.

Tutto ciò comporta innegabilmente che, una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale, la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'Amministrazione, incombe su quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa;
ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice.

Ma proprio in base al già ricordato principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell'imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa.

Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto, e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta.

Anzi, secondo la Corte, non sono configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre in cui il dovere di attuare la decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite al soggetto il cui operato è sottoposto a giudizio. Al contrario, la garanzia della competenza cede a fronte della contrapposta garanzia di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e dà contenuto concreto, in definitiva, alla garanzia della pari osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura.

E già Corte Cost., 11 maggio 1977 n. 75 aveva avuto occasione di affermare che il giudice amministrativo, sia che sostituisca la propria decisione all'omesso provvedimento della pubblica amministrazione, che vi era tenuta in forza del giudicato formatosi nei suoi confronti, come più spesso suole accadere quando si tratti di atto vincolato;
sia che ingiunga alla Amministrazione medesima di provvedere essa stessa, entro un termine all'uopo prefissatole e con le modalità specificate in sentenza;
sia infine che disponga la nomina di un commissario per l'ipotesi che il termine abbia a decorrere infruttuosamente, esplica sempre attività di carattere giurisdizionale ("decide pronunciando anche in merito", come si esprime l'art. 27, comma primo, del citato testo unico del 1924, riferendosi testualmente al Consiglio di Stato "in sede giurisdizionale").

Secondo la Corte, pertanto, procedendo, direttamente o indirettamente, alla nomina di un commissario, il giudice amministrativo pone in essere un'attività qualitativamente diversa da quella che lo stesso organo di controllo avrebbe istituzionalmente il potere-dovere di esplicare nell'ipotesi di omissione da parte degli enti locali di atti obbligatori per legge, tra i quali rientrano, ma senza esaurirne la specie, quelli da adottare per conformarsi ad un giudicato: potere-dovere che, comunque, preesiste alla pronuncia emessa nel giudizio di ottemperanza ed è da questa indipendente.

Ed a sua volta, l'attività del commissario, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall'Amministrazione, o in ipotesi da un commissario ad acta inviato dall'organo di controllo, ne differisce tuttavia giuridicamente, perché si fonda sull'ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità.

Da tutto ciò consegue che per il commissario ad acta, in quanto “longa manus” del giudice amministrativo, come frequentemente viene definito in giurisprudenza, valgono gli stessi poteri di quest’ultimo, con l’ulteriore conseguenza che deve essere ritenuto titolare del potere di emanare i necessari provvedimenti amministrativi anche in deroga alle norme che disciplinano la competenza alla loro emanazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 18 settembre 1991 n. 720;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 11230/2005;
Cons. St., sez. IV, 3 maggio 1986 n. 323), ed alla stessa attività sostanziale, salvi i casi in cui una norma di legge vincoli espressamente il suo operato, come nel caso del comma 5 dell’art. 159 del D.Lgs. 267/2000, ai sensi del quale (anche) “i provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell'esperimento delle procedure di cui all'articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all'articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria…”.

Anzi, per meglio dire – nel richiamare quelle pronunce che nominano un commissario “al quale sin da ora è demandato l’onere di porre in essere ogni attività idonea a dare esecuzione alla decisione” (cfr. Cons. St., sez. IV, 16 maggio 1986 n. 347) – la legittimità dell’azione commissariale idonea al fine di eseguire il giudicato deriva strettamente dal principio di legalità, in quanto garanzia della tutela, nel senso che, una volta dichiarato dal giudice “il diritto nel caso concreto”, se il conflitto con l’Amministrazione persiste, il diritto dell’Amministrazione, con competenze e procedimenti, viene messo da parte dal giudice o, più esattamente, ridotto a render ragione nei fatti a chi ragione sia stata dichiarata.

In altri termini, in sede di ottemperanza, la priorità assoluta è l’esecuzione del giudicato, che non può essere ostacolata dai normali itinera burocratici, che avrebbero dovuto essere messi in atto a tempo debito.

In base a questo tipo di considerazioni, questo Tribunale (cfr. Sezione IV, sent. n. 2003 del 4 novembre 2005, riferita proprio al Comune di Catania), ha già precisato i compiti e poteri del commissario, alla luce della vigente normativa in materia.

In virtù dell’art. 1, comma 1, lett. i), L.R. n. 48/91, di recepimento in Sicilia (con rinvio statico) anche dell’art. 54 della L. n. 142/90, il cui comma 1 dispone che “l’ordinamento della finanza locale è riservato alla legge” (dello Stato), in Sicilia trova applicazione anche l’art. 159 – inserito nella “Parte seconda – Ordinamento finanziario e contabile”, e recante “norme sulle esecuzioni nei confronti degli enti locali” – del D. Lgs.vo n. 267/2000 (Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che:

1. “Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa”.

2. “Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a:

a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi;

b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso;

c) espletamento dei servizi locali indispensabili”.

3. “Per l'operatività dei limiti all'esecuzione forzata di cui al comma 2 occorre che l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità”.

4. “Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all'attività del tesoriere”.

5. “I provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell'esperimento delle procedure di cui all'articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all'articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria prevista dall'articolo 151, comma 4, e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”.

Ma la Corte Costituzionale, con sentenza 18 giugno 2003 n. 211, ha dichiarato l'illegittimità del citato art. 159, commi 2, 3 e 4, nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell'organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell'ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso.

E poiché il comma 5 del medesimo art. 159 dispone che i provvedimenti adottati dai commissari ad acta nominati in sede di giudizio di ottemperanza devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria “e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”, è evidente che il venir meno del vincolo alla disponibilità di quelle somme deciso dalla Corte Costituzionale – nel caso in cui l’Ente abbia emesso mandati di pagamento “a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso” – non può non valere anche per i commissari ad acta, i quali devono quindi preliminarmente verificare se l’Ente abbia rispettato le rigorose procedure previste dalla legge, prima di seguire qualsiasi altra alternativa.

Nel caso invece in cui tali procedure non siano state rispettate, e non siano disponibili altre somme, ne consegue che, sebbene come “extrema ratio”, potranno essere utilizzate, al fine dell’esecuzione del giudicato, anche quelle destinate al pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso, ed all’espletamento dei servizi locali indispensabili (vedi anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 5 maggio 2007 n. 768, secondo cui le prescrizioni di cui all’art. 119, comma 6, cost. – che non consentono ai comuni, alle province ed alle regioni di ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento maturate dopo l’8 novembre 2001 – non si applicano ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza).

Una conclusione diversa contrasterebbe sia con il principio di effettività delle pronunce giurisdizionali, che con i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., potendo l’Amministrazione precostituirsi un comodo sistema per non pagare i propri debiti, ed impedire l’esecuzione in proprio danno delle pronunce passate in giudicato, anche mediante il tipico intervento sostitutivo realizzabile con la nomina di commissari ad acta.

Pertanto, il commissario ad acta sopra individuato dovrà attenersi ai principi enunciati, se del caso richiedendo gli opportuni chiarimenti al giudice dell'ottemperanza, che risulta investito, in materia, di un penetrante sindacato di merito (cfr. art. 27 R.D. n. 1054/1924).

E d’altra parte, anche Cons. St., Ad. Pl., 30 luglio 2008 n. 9, ha precisato che:

- Ove…l'amministrazione non si conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza oppure non constati le conseguenze giuridiche che da essa discendono, ovvero ancora nel caso di successiva sua inerzia, l'interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza, nel quale il giudice amministrativo – nell'esercizio della sua giurisdizione di merito – ben può sindacare in modo pieno e completo (e satisfattivo per il ricorrente) l'attività posta in essere dall'amministrazione o anche il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure (direttamente o per il tramite di un commissario) necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo;

- "In tal modo, il giudice amministrativo può realizzare il contenuto conformativo della sentenza, di per sé riferibile alla fase pubblicistica successiva all'annullamento ed emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito attraverso il giudizio di legittimità e reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l'amministrazione non avesse adottato l'atto di aggiudicazione illegittimo: ciò perché la funzione del giudice dell'ottemperanza è proprio quella di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto nascente dal giudicato, nell'esercizio della potestà di riformare l'atto illegittimo o sostituirlo, espressamente conferitagli dall'art. 26 della legge n. 1034 del 1971".

Pertanto, i provvedimenti di liquidazione, ed i conseguenti mandati di pagamento, dovranno trovare esecuzione con priorità rispetto a tutti gli altri provvedimenti del Comune. Una volta emessi i provvedimenti di liquidazione, il commissario potrà emettere anche i mandati di pagamento, e trasmetterli direttamente all’istituto tesoriere, presso il quale avrà nel frattempo depositato la propria firma. Una volta espletate tutte le operazioni – a conclusione delle quali, nel caso non sia stato già emesso dagli uffici competenti, potrà emettere egli stesso anche il provvedimento di liquidazione e il mandato relativo alle proprie competenze – invierà a questa Sezione una dettagliata relazione sugli adempimenti realizzati e sull’assolvimento del mandato ricevuto.

Il Collegio ritiene inoltre opportuno precisare che:

l’Istituto tesoriere non può rifiutarsi di far depositare al commissario la propria firma;

nel caso di mancanza di liquidità (cassa), l’Istituto tesoriere dovrà trattenere i mandati di pagamento, e provvedere al pagamento con priorità via via che dovessero pervenire incassi a favore del Comune, fino al totale soddisfo;

dal punto di vista degli obblighi gravanti sull’Istituto tesoriere, agli effetti penali il servizio di tesoreria gestito da un’azienda di credito è da considerare pubblico (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 12 aprile 1991), e i soggetti che gestiscono il servizio sono da ritenere a tutti gli effetti incaricati di pubblico servizio (anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 328 c.p. – “rifiuto di atti d’ufficio. Omissione”), con la conseguenza che essi sono tenuti a consentire al commissario ad acta – nominato dal TAR per l’ottemperanza ad una sentenza rimasta ineseguita proprio dall’Ente per conto del quale il servizio viene svolto – di svolgere tempestivamente il proprio compito, senza frapporre inerzia o ostacoli di sorta;

nei casi più gravi di mancato adempimento da parte dell’Amministrazione, come da parte dell’Istituto tesoriere, all’obbligo di rendere possibile l’attività del commissario, il giudice amministrativo potrà disporre l’intervento della forza pubblica (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, n. 2399/1995.

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