TAR Firenze, sez. I, sentenza 2017-10-02, n. 201701117

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2017-10-02, n. 201701117
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201701117
Data del deposito : 2 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/10/2017

N. 01117/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00905/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA IIANA

IN NOME DEL POPOLO IIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 905 del 2016, proposto da:
F C, rappresentato e difeso dagli avvocati R T e G L M, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via Masaccio 219;

contro

Comune di Figline Valdarno e Incisa Valdarno, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via Masaccio 183;

nei confronti di

G E, non costituita in giudizio;

per l'ottemperanza

al giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Toscana, Sezione I, 23 aprile 2015, n. 662, notificata in data 28 maggio 2015 e non appellata, resa sui ricorsi R.G. nn. 1251/2011, 413/2012, 1878/2013.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Figline Valdarno e Incisa Valdarno;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2017 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente signor F C è proprietario in Figline Valdarno di un appartamento per civile abitazione posto al primo piano del fabbricato condominiale di via Verdi 1, con annesso resede di pertinenza esclusiva. Il resede, di forma triangolare, confina su un lato con il muro di contenimento della sovrastante via Torino, su un altro lato con la proprietà condominiale e sul lato rimanente con la via Verdi, nella quale sporge per l’intera sua lunghezza, restando disallineato rispetto al fronte degli edifici presenti sulla stessa via.

Secondo la prospettazione, sin da epoca assai risalente la striscia di terreno corrispondente alla sporgenza sulla via Verdi sarebbe stata destinata a parcheggio per due autovetture, delimitato da due recinzioni parallele – l’una posta al confine con la strada, l’altra ricadente all’interno della proprietà C – sovrastate da una tettoia.

Con separati ricorsi, il signor C ha chiesto a questo T.A.R.:

- ordinarsi al Comune di Figline Valdarno la restituzione del resede predetto, abusivamente occupato nel 1991 dalla rampa pedonale realizzatavi dal Comune per l’abbattimento delle barriere architettoniche, con condanna del Comune stesso al risarcimento dei danni (ricorso n. 413/2012 R.G.);

- annullarsi la deliberazione consiliare n. 2/2011, mediante la quale il Comune di Figline Valdarno aveva approvato una variante al regolamento urbanistico che inseriva nell’elenco delle strade pubbliche il tratto della via Verdi occupato dalla rampa (ricorso n. 1251/2011 R.G.);

- annullarsi la delibera di Giunta comunale n. 69/2013, recante la revoca di precedente delibera che aveva autorizzato la stipula di un atto transattivo con il signor C per definire le questioni insorte circa l’occupazione del resede, nonché aveva incaricato gli uffici comunali di provvedere all’acquisizione dell’area in questione ai sensi dell’art. 42- bis d.P.R. n. 327/2001 (ricorso n. 1878/2013 R.G.);

- annullarsi gli atti e provvedimenti mediante i quali il Comune aveva disposto l’acquisizione del terreno di proprietà C, occupato dalla rampa pedonale (motivi aggiunti nel ricorso n. 413/2012).

I ricorsi sono stati riuniti dal T.A.R. e decisi con la sentenza n. 662 del 23 aprile 2015, che, per quanto qui interessa, ha annullato il provvedimento comunale di acquisizione ex art. 42- bis d.P.R. n. 327/2001 e disposto la restituzione dell’area al ricorrente previa remissione in pristino, consistente nella demolizione della rampa ivi realizzata e nella restituzione del fondo nello status quo ante .

1.1. La sentenza n. 662/2015 è passata in giudicato. Il presente contenzioso è stato promosso dal signor C per ottenerne la corretta esecuzione, sul presupposto che essa sarebbe rimasta parzialmente inottemperata: il ricorrente assume infatti che l’amministrazione, dopo molti solleciti, si sarebbe limitata a demolire una porzione della rampa pedonale e a rimuovere solo in parte la pavimentazione in asfalto realizzata sull’area;
mentre l’obbligo conformativo di ripristinare lo stato dei luoghi imporrebbe al Comune non solo di rimuovere integralmente le opere realizzate sul fondo, ma anche di ricostruire la recinzione dei due posti auto e la tettoia, a suo tempo demoliti per fare posto alla rampa.

1.2. Si è costituito il Comune di Figline e Incisa Valdarno, sostenendo – in estrema sintesi – che il ripristino dell’area sarebbe stato eseguito, o sarebbe comunque in corso, in conformità al giudicato. La mancata ricostruzione della recinzione (e della tettoia) è ammessa dal Comune, ma giustificata con la circostanza che l’istruttoria svolta non avrebbe confermato la pregressa esistenza del manufatto, quantomeno nella posizione indicata dal signor C.

1.3. La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella camera di consiglio del 14 giugno 2017, preceduta dal deposito di documenti e memorie difensive, all’esito infruttuoso del tentativo di bonaria composizione della vertenza, sollecitato dal collegio.

2. In forza del giudicato posto in esecuzione, il Comune di Figline e Incisa Valdarno è obbligato a restituire nello status quo ante al ricorrente C la porzione di terreno già abusivamente occupata e trasformata per effetto della realizzazione di una rampa pedonale dedicata alle persone con problemi di mobilità.

Il ricorrente, con la memoria depositata in vista dell’ultima camera di consiglio, ha dato atto dell’intervenuta demolizione della rampa, nonché degli altri manufatti insistenti sulla sua proprietà, fatta eccezione per la pavimentazione bituminosa (il Comune ha anche concordato con l’ENEL lo spostamento della cabina elettrica ivi realizzata);
ed ha espresso il proprio consenso in ordine alla rideterminazione dei confini della particella in questione, fatta eseguire dal Comune, che ha altresì predisposto la bozza dell’atto di retrocessione del fondo in favore del proprietario.

La documentazione in atti dimostra cha almeno una parte delle attività esecutive sono posteriori alla proposizione del giudizio di ottemperanza. Ne discende che, per questi aspetti, la materia del contendere può dirsi cessata.

2.1. Il signor C, di contro, lamenta che il Comune non avrebbe ancora provveduto a ripristinare l’originaria destinazione urbanistica del fondo di sua proprietà, modificata dalla variante al R.U. approvata con deliberazione consiliare n. 2/2011, a sua volta annullata dalla sentenza n. 662/2015. La replica del Comune è affidata al certificato di destinazione urbanistica dal quale risulta che la particella 1335 del foglio di mappa 21 si trova inserita in zona B, sottozona B1, come auspicato dall’interessato.

Sul punto, sia sufficiente osservare che la reviviscenza della destinazione urbanistica pregressa, a seguito dell’annullamento della variante del 2011, costituisce un effetto autoesecutivo della sentenza n. 662/2015, e, come tale, si perfeziona indipendentemente dal suo formale recepimento in un atto amministrativo.

2.2. Ancora, il ricorrente sostiene che, per aversi corretta esecuzione del giudicato, la restituzione del fondo dovrebbe essere preceduta dal ripristino della tettoia, demolita per fare posto alla rampa, e della sottostante recinzione, chiusa su tre lati: quello corto, prospiciente alla via Torino, e i due lati lunghi paralleli, uno posto sul confine con la via Verdi e formato da una rete metallica sorretta da pali infissi su un cordolo di cemento, l’altro interno alla proprietà C e sorretto da pali infissi direttamente nel terreno.

L’amministrazione resistente assume che l’istruttoria da essa svolta non avrebbe confermato l’esistenza della recinzione, per come descritta dal ricorrente. La posizione del Comune è racchiusa nelle due note del 10 febbraio e del 26 ottobre 2016, le quali rinviano alla documentazione tecnica allegata alla delibera n. 265/1991, avente ad oggetto l’approvazione del progetto della rampa pedonale che sarebbe stata poi realizzata sul terreno di proprietà C. Detta documentazione confermerebbe unicamente la preesistenza della tettoia e di un muretto in cemento armato sormontato da una rete metallica sul lato interno alla proprietà, ma non anche su quello a confine con la via Verdi;
conferma se ne avrebbe dal computo metrico parimenti allegato alla deliberazione n. 265/1991, attestante la demolizione di un muretto in c.a. per quantità di materiale corrispondenti alla lunghezza del lato interno (rispetto a via Verdi, e parallelo ad essa) della recinzione.

Nella sua disamina della situazione, il Comune ha escluso di poter trarre elementi utili dalle tre dichiarazioni sostitutive di atto notorio presentate dal ricorrente e rilasciate da alcuni vicini di casa, i quali hanno riferito che, prima della realizzazione della rampa, il tratto di recinzione sostenuto da un muretto in cemento era quello posto sul confine con la via Verdi. Ad avviso del Comune, tali dichiarazioni non potrebbero che reputarsi recessive, a fronte delle risultanze documentali sopra descritte.

2.2.1. Le conclusioni cui il Comune resistente è pervenuto non possono essere condivise.

La relazione tecnica allegata alla delibera comunale n. 265/1991 riferisce dell’esistenza, sul terreno di proprietà C, di una tettoia destinata a essere demolita. La demolizione della tettoia è altresì prevista nel computo metrico estimativo dei lavori, ove compare insieme all’altra voce “demolizione a forza di muretto in c.a. compreso fondazione e sovrastante rete”.

La planimetria del progetto descrive, in corrispondenza della nuova rampa (evidenziata in rosa), un’area rettangolare, il cui lato lungo posto al confine con la via Verdi è rappresentato con una linea continua, come il lato corto che affaccia sulla stessa via. I lati rimanenti (quello lungo interno alla proprietà C e quello corto prospiciente la via Torino) sono invece rappresentati con un tratteggio ed evidenziati in giallo, il colore che distingue le strutture da demolire. In giallo è pure evidenziato il muretto che, in prosecuzione del lato lungo sulla via Verdi, giunge fino al marciapiede della via Torino, costeggiando la preesistente rampa di gradini.

Le parti concordano sul fatto che l’area rettangolare disegnata in planimetria coincida con quella occupata dalla tettoia poi demolita. A non essere pacifiche sono le caratteristiche della recinzione sottostante, giacché, come detto, il Comune colloca in corrispondenza del lato lungo interno alla proprietà C il tratto di rete sostenuto da un cordolo in cemento, laddove il ricorrente sostiene si trovasse sul lato opposto.

L’incertezza, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, non è superabile combinando i dati che si traggono dai documenti allegati alla delibera del 1991. La relazione tecnica e il computo metrico attestano con certezza l’esistenza della tettoia e di un muretto con fondazione e sovrastante rete, ma, quanto alla posizione di quest’ultimo, la planimetria appare scarsamente attendibile: se ci si attenesse strettamente all’impiego del colore giallo per segnalare le parti da demolire, queste risulterebbero limitate ai due lati interni alla proprietà C, ma neppure il Comune giunge ad affermare che la tettoia fosse priva di sostegno sul lato lungo posto al confine con la via Verdi. Nondimeno, nella planimetria quel lato non è evidenziato in giallo, come se non fosse interessato da demolizioni di alcun genere, ed è sufficiente tale elemento a far dubitare dell’accuratezza della rappresentazione grafica (essendo pacifico che l’intera tettoia era destinata alla demolizione, sarebbe stato lecito attendersi l’utilizzo del colore giallo per evidenziarne l’intera area rettangolare di proiezione, o, quantomeno, l’intero perimetro. L’utilizzo della linea continua, anziché tratteggiata, per rappresentare il lato di via Verdi si spiega invece, verosimilmente, con l’essere quest’ultimo posizionato sul confine della particella).

Il Comune ha dunque errato nell’affidarsi alle sole risultanze – non concludenti – di un documento impreciso, anziché integrarle attraverso gli indizi ricavabili aliunde , e, in particolare, dalle dichiarazioni sostitutive a firma di alcuni vicini, prodotte dall’interessato. Queste, in seno al procedimento amministrativo, sono pur sempre assistite dalla forza di cui all’art. 47 d.P.R. n. 445/2000, che, sebbene non ne implichi il valore di prova legale, si traduce in un apporto di elementi indiziari di conoscenza che possono e debbono essere valutati come tali dall’amministrazione procedente, in raffronto con le altre emergenze istruttorie (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 140;
id., sez. V, 27 agosto 2014. n. 4360);
e analogo valore indiziario rivestono in sede giurisdizionale, alla stregua delle scritture private provenienti da terzi, le quali possono contribuire a fondare il libero convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (per tutte, cfr. Cass., SS.UU., 29 maggio 2014, n.12065).

Nella specie, al contrario di quanto sostenuto dal Comune resistente, il contenuto delle dichiarazioni sostitutive in questione non è contraddetto dalla documentazione rinvenuta presso gli uffici, la quale non chiarisce la posizione del muretto di recinzione sottostante la tettoia. Né sul punto soccorre il calcolo eseguito dal Comune a partire dai volumi demoliti, quali risultanti dal computo metrico allegato alla delibera n. 265/1991, che è viziato in radice dall’arbitrarietà dei dati utilizzati per il suo sviluppo (le dimensioni esatte del vecchio muretto e delle sue fondazioni sono sconosciute, e il Comune le ha ricostruite a posteriori in via di mera, quanto indimostrata, congettura).

In assenza di oggettivi elementi dai quali desumere l’inattendibilità – se non il mendacio – dei soggetti che hanno sottoscritto le dichiarazioni sostitutive, deve pertanto concludersi nel senso che il muretto sorgesse in corrispondenza del lato lungo al confine con la via Verdi, ed è quella la posizione nella quale dovrà essere ricostruito in ossequio al giudicato posto in esecuzione.

Come sottolineato dal ricorrente, la collocazione del muretto lungo il confine con la via Verdi appare del resto la più verosimile e logica sul piano strettamente funzionale, consentendo allo stesso tempo di delimitare la proprietà C e di proteggere la rete di recinzione dai veicoli in transito sulla strada. Né, in sede di esecuzione del giudicato, può darsi ingresso a nuove valutazioni circa le potenziali interferenze tra il doveroso ripristino dello status quo e i rapporti tra i proprietari frontisti degli immobili posti lungo la via Verdi, questione già affrontata e risolta dalla sentenza n. 662/2015 (secondo la quale “ essendo una strada privata, la disciplina della circolazione locale deve essere rimessa agli accordi tra i privati frontisti …”).

3. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, al Comune resistente va dunque ordinato di provvedere alla restituzione della particella, come riconfinata sull’accordo delle parti, previa rimozione delle residue porzioni di manto bituminoso e rifacimento delle recinzioni e della tettoia con le caratteristiche che sono state sopra individuate.

3.1. Le spese di lite possono essere eccezionalmente compensate, stante la particolarità del caso.

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