TAR Palermo, sez. I, sentenza 2014-07-23, n. 201401942
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 01942/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01164/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1164 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A C, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Armando Buttitta in Palermo, viale Regina Margherita, 42;
contro
Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi, 81;
Dir. Gen. del Dip. Beni Cult. e dell'Identità Sic. dell'Ass. dei Beni Cult. e dell'Id. Siciliana Palermo;
nei confronti di
Calogero Alonge;
per l'annullamento
- quanto al ricorso principale –
del D.D.S. n. 2066 del 3 novembre 2011, emesso dal Dirigente del Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità siciliana – servizio tutela, di richiesta di pagamento somme a titolo di indennità pecuniaria risarcitoria per danno arrecato al paesaggio dalla realizzazione di opere abusive
e della nota prot. 56811 del 6 dicembre 2011 del Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità siciliana, di notifica del D.D.S. nella parte in cui non è stato individuato quale soggetto legittimato passivo il Sig. Calogero Alonge, effettivo trasgressore.
- quanto ai motivi aggiunti –
del D.D.G. n. 1187 del 28 maggio 2012 di rigetto del ricorso gerarchico;
della nota prot. 26871 del 29 maggio 2012 di notifica del D.D.G..
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2014 la dott.ssa Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori A C per il ricorrente, Lidia La Rocca per l'Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A C, premesso di aver acquistato in data 16 dicembre 2005 l’immobile sito in Agrigento via dell’Araucaria, 3/5, composto da un appezzamento di terreno e da un fabbricato ivi realizzato, impugna gli atti in epigrafe indicati, già contestati in via gerarchica, deducendo:
1) difetto di legittimazione passiva: il trasgressore che ha commesso la violazione delle norme urbanistiche è il venditore, sig. Alonge, e nello stesso contratto di compravendita le parti avevano concordato che “qualsiasi onere e/o spesa e/o pendenza economica, che non fosse stata ancora pagata, a qualunque titolo derivante dalla presentazione delle predette istanze di rilascio del nulla osta e/o di rilascio della concessione edilizia in sanatoria e dei relativi emanandi provvedimenti sarebbero stati a carico della parte venditrice, anche qualora dovessero essere richiesti in data successiva alla stipula del contratto di compravendita!;
2) prescrizione della sanzione: il DDS n. 2066 è stato emesso in data 3 novembre 2011, ma notificato solo con raccomandata spedita il 12 dicembre 2011, ricevuta giorno 28, mentre la concessione in sanatoria era stata rilasciata in data 18 novembre 2006.
Si costituiva l’Assessorato regionale, resistendo alle censure avversarie.
Con ricorso notificato il 14 novembre 2012, il ricorrente impugnava anche il rigetto del ricorso gerarchico ribadendo le doglianze già espresse col ricorso principale.
Con memoria del 25 aprile 2014 l’Avvocatura dello Stato illustrava le proprie difese.
All’udienza pubblica del 30 maggio 2014 la causa è stata chiamata e posta in decisione.
DIRITTO
I. Infondato è il primo motivo di ricorso.
Premesso che lo stesso ricorrente aveva trasmesso alla Soprintendenza una dichiarazione datata 24 gennaio 2006, impegnandosi a pagare la sanzione pecuniaria per cui è giudizio, sulla questione della legittimazione passiva è sufficiente richiamare la motivazione di una recente decisione del CGA, che il Collegio condivide, secondo cui: “ … in materia di illeciti edilizi, la legislazione dispone nel senso di attribuire la responsabilità per la violazione della conformazione urbanistica e/o paesaggistica di un dato territorio non solo al proprietario dell'area sulla quale si è consumato l'illecito paesaggistico, ma anche al "possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi", così come si esprime l'art. 167, 1° cpv., del D.Lgs. n. 42/2004, per indicare coloro che possono essere tenuti alla rimessione in pristino delle opere abusivamente realizzate, ovvero (v comma 5°) coloro che sono tenuti al pagamento della indennità paesaggistica, nei casi previsti dalla stessa disciplina. Si opera così una scelta la cui ratio , a ben vedere, consiste nell'addossare il costo per la reintegrazione del complesso dei valori urbanistici e/o paesaggistici, indebitamente distrutti o dei quali si è indebitamente appropriato mediante la realizzazione dell'opera abusiva, a colui che dell'opera abusiva trae effettivo ed attuale godimento, quale che sia il titolo che sostiene siffatta situazione soggettiva. Lo stesso principio di effettività, per quelle che sono le ragioni che lo giustificano, deve allora valere per qualificare l'interesse e la legittimazione ad agire: nel senso che, così come deve essere ritenuto responsabile per l'abuso colui che a qualsiasi titolo manifesta e/o esercita il godimento su un certo bene, allo stesso modo, in ossequio alla regola di giustizia distributiva "commoda et eius incommoda", a questo stesso soggetto deve essere riconosciuto il potere di agire in giudizio per impedire che l'altrui iniziativa illecita o abusiva possa arrecare pregiudizio all'interesse che esso trae dal tipo di godimento dei valori urbanistici e/o paesaggistici attribuiti da una certa conformazione del territorio nel quale ricade il bene del quale effettivamente dispone ” (Sent. 29 luglio 2013, n. 677).
La sanzione è stata, dunque, correttamente indirizzata al Cutaia, attuale proprietario.
II. Quanto al secondo motivo, col quale il ricorrente deduce la prescrizione della sanzione inflitta, diversi sono i profili che è necessario esaminare.
a) Circa l’applicabilità dei termini di prescrizione quinquennale alla sanzione ex art. 167 cit.. si può richiamare il consolidato orientamento della Sezione, che in più occasioni ha statuito (tra le altre, vd. sent. n. 1098 del 13 maggio 2013) che: “Per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’art. 167 del d. lgs. n. 42/2004 (già art. 15 l. n. 1497/1939, divenuto poi art. 164 d. lgs. n. 490/1999) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che, come tale, prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 28 luglio 2006, n. 4690;3 aprile 2003, n. 1729;sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405;12 novembre 2002, nr. 6279). È dunque pacifica l'applicabilità anche a tale sanzione del principio contenuto nell’art. 28 della l. n. 689/1981, secondo cui “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”;disposizione, quest'ultima, applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 l. n. 689/1981);e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria”.
b) Con riguardo poi alla decorrenza della prescrizione, si è già precisato, anche nella pronuncia richiamata, che “occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni (v. Consiglio di Stato, 12 marzo 2009, n. 1464). Va, altresì, rilevato che, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, co. 1, cod. pen.);pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica, urbanistica ed edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 citato inizia a decorrere soltanto dalla cessazione della permanenza”.
c) In ordine poi all’identificazione del dies a quo , dando comunque atto del diverso “orientamento assunto dal Giudice siciliano di Appello, secondo il quale la permanenza cessa o con l’eliminazione dell’opera abusiva;o, in alternativa, con il pagamento della sanzione pecuniaria (v. C.g.a. in sede giurisd., 13 settembre 2011, n. 554)”, si è ritenuto “che il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni (edilizia e paesaggistica), evocato nel menzionato precedente, deve essere inteso nel senso che l’intervenuta sanatoria dell’abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che la stessa non abbia alcuna incidenza sulla permanenza della violazione. Diversamente, la sanzione pecuniaria sarebbe sostanzialmente imprescrittibile, con potenziale contrasto con fondamentali principi di matrice penalistica, per cui la nozione di illecito a carattere permanente, ovvero con effetti permanenti, postula necessariamente, pena il configurarsi di una sorta di non ammissibile responsabilità oggettiva, che il responsabile dell’illecito conservi la possibilità di far cessare la permanenza dell’illecito stesso, ovvero di rimuoverne gli effetti (v. Consiglio di Stato, n. 1464/2009 cit.;in senso conforme: T.a.r. Sicilia, sez. I, 23 ottobre 2012, n. 2098;20 aprile 2012, n. 884;sez. II, 26 luglio 2012, n. 1663). Non appare, peraltro, superfluo rilevare che la concessione in sanatoria estingue anche il reato derivante dalla violazione del vincolo, ex art. 32 della l. n. 47/1985;con conseguente individuazione del dies a quo nel momento in cui viene eliminata la violazione con l’emissione degli atti di sanatoria” (ancora sent. n. 1098/13, cit.).
A quanto sopra richiamato deve oggi aggiungersi che il giudice d’appello, con recente decisione n. 123 del 13 marzo 2014, confermando la sentenza di questa Sezione n. 564/12, ha modificato il proprio indirizzo, ritenendo preferibile l’orientamento secondo il quale il termine deve ritenersi coincidente con l’atto che fa cessare nel tempo la illiceità del comportamento edilizio osservato e cioè con “quello della intervenuta concessione edilizia in sanatoria, la quale appunto rimuove ogni ragione di incompatibilità dell’opera con gli assetti urbanistici e territoriali e fa venir meno dunque la permanente illiceità che l’accompagnava dall’atto della sua realizzazione”, concludendo “che appare conforme ad una più attenta ricostruzione della disciplina giuridica da adottare assumere quale dies a quo per la prescrizione della sanzione qui in discussione il momento della intervenuta concessione edilizia, ne discende che, per effetto della disposizione generale di cui all’art. 28 della già richiamata legge n. 689/1981, la sanzione in oggetto deve ritenersi prescrivibile nel termine di 5 anni”.
III. Ciò precisato si pone il problema se sia sufficiente che nel termine di cinque anni decorrente dalla concessione edilizia in sanatoria (ossia dall’8 novembre 2006) intervenga l’adozione del provvedimento col quale si ingiunge il pagamento della sanzione – che nel caso di specie sarebbe effettivamente avvenuta nel termine di cinque anni – o se invece occorre tener conto del termine della sua spedizione o ricezione – nel qual caso la pretesa si sarebbe prescritta.
È da preferire la seconda opzione.
L’art. 2934 c.c. stabilisce che “Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”.
Ritiene il Collegio – aderendo sul punto all’insegnamento della Cassazione – che per il provvedimento d'irrogazione della sanzione pecuniaria e d'intimazione del pagamento della relativa somma non sia sufficiente a far ritenere esercitato il diritto la mera formazione e sottoscrizione, ma sia necessario che esso sia notificato o comunque portato a conoscenza del debitore, manifestando così la volontà del creditore di conseguire l'adempimento (vd. Cass. civ., I, 23 novembre 2004, n. 22111).
Ancora più in generale, sebbene di norma per gli atti amministrativi non operi il disposto dell'art. 1334 c.c., valendo, invece, il principio opposto, secondo cui l'esercizio unilaterale del potere produce gli effetti innovativi della precedente situazione giuridica senza bisogno di comunicazione al destinatario, è vero però che la conoscenza dell'atto da parte del destinatario assume rilievo se la legge dispone espressamente in senso diverso o la recettizietà sia sicuramente desumibile dal tipo di atto (cfr. Cass. civ., sez. lav.,13 giugno 2003, n. 9485 e giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie si tratta di atto restrittivo della sfera giuridica del suo destinatario, per il quale vale il disposto dell’art. 21 bis l.n. 241/90, secondo il quale “Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata”.
Poiché l’atto è stato notificato e conosciuto dal suo destinatario il 28 dicembre 2011, quando ormai si era determinata l'estinzione per prescrizione, il ricorso, sotto questo profilo, è fondato e va accolto.
La peculiarità della vicenda merita l’integrale compensazione delle spese della lite.