TAR Roma, sez. I, sentenza 2011-02-25, n. 201101757

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2011-02-25, n. 201101757
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201101757
Data del deposito : 25 febbraio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02090/2010 REG.RIC.

N. 01757/2011 REG.PROV.COLL.

N. 02090/2010 REG.RIC.

N. 08747/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui RICORSI RIUNITI:
- ricorso numero di registro generale 2090 del 2010, proposto da:
CONSIGLIO NAZIONALE GEOLOGI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. A L, con domicilio eletto presso l’Avv. A L in Roma, Via Boezio n. 92;

contro

- l’AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;



- ricorso numero di registro generale 8747 del 2010, proposto da:
CONSIGLIO NAZIONALE GEOLOGI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. A L, con domicilio eletto presso l’Avv. A L in Roma, Via Boezio n. 92;

contro

- l’AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento

QUANTO AL RICORSO N. 2090 DEL 2010:

- della delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottata nell’Adunanza del 22 dicembre 2010, con la quale sono stati rigettati gli impegni presentati dal Consiglio Nazionale dei Geologi nell’ambito del procedimento, avviato in data 14 maggio 2009, volto all’accertamento di eventuali violazioni dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea per effetto delle norme contenute nel codice deontologico dei geologi;

QUANTO AL RICORSO N. 8747 DEL 2010:

- della delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottata nell’Adunanza del 23 giugno 2010, con la quale è stato ritenuto che l’Ordine Nazionale dei Geologi ha posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già art. 81 del Trattato CEE), volta ad indurre gli iscritti ad uniformare i rispettivi comportamenti economici utilizzando come riferimento la tariffa professionale, ordinando di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato ed irrogando, in ragione della gravità e durata dell'infrazione, la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di euro 14.254;


Visti i ricorsi ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizi dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il Consigliere E S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

QUANTO AL RICORSO N. 2090/2010 R.G.:

Espone in fatto l’odierno ricorrente che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato, con nota del 6 febbraio 2007, un’indagine conoscitiva sul recepimento dei principi di concorrenza dei servizi professionali, nel dettaglio illustrando il contenuto delle richieste formulate dall’Autorità e dei riscontri forniti dal Consiglio, anche in sede di audizione, avuto particolare riguardo alle proposte di modifica del codice deontologico al fine dei adeguarlo alle osservazioni dell’Autorità.

Con nota del 26 maggio 2009 è stato comunicato l’avvio dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990, nei confronti del Consiglio, al fine di accertare l’esistenza di violazioni dell’art. 81, paragrafo 1) del Trattato CE.

L’istruttoria ha preso le mosse dai risultati della citata indagine conoscitiva IC34, conclusa il 15 gennaio 2009, sullo stato di recepimento dei principi di concorrenza nei servizi professionali.

Illustra, quindi, parte ricorrente, lo svolgimento dell’iter procedimentale successivo all’avvio dell’istruttoria, puntualmente illustrando le argomentazioni spese, anche nel corso della svolta audizione, a confutazione della ipotizzata sussistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, ritenuta dall’Autorità integrata dalle previsioni deontologiche che tendono ad uniformare il prezzo delle prestazioni professionali,anche in relazione all’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito in legge con legge n. 248 del 2006, che ha abrogato le disposizioni che prevedono l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime e quelle che vietano di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, imponendo l’adeguamento delle disposizioni deontologiche non conformi.

Rappresenta, ancora, parte ricorrente, di aver avanzato richiesta di revoca dell’atto di apertura del procedimento di infrazione, rigettata dall’Autorità con nota dell’11 settembre 2009 con la quale è stata data anche comunicazione dell’esito dell’indagine conoscitiva – cui parte ricorrente ha ulteriormente replicato - e di aver formalmente presentato impegni in data 16 novembre 2009, rigettati dall’Autorità con determinazione del 22 dicembre 2009, gravata con il presente ricorso giurisdizionale.

Avverso tale provvedimento, deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1) Eccezione di incostituzionalità dell’art. 2, n. 1, della legge n. 287 del 1990.

Nel richiamare parte ricorrente le disposizioni recate dalla norma epigrafata, nega che la stessa possa trovare applicazione nei confronti degli esercenti le professioni liberali intellettuali, disciplinate dagli artt. 2229 e seguenti del codice civile nel più ampio contesto regolante il lavoro autonomo, le funzioni e le prerogative di ordine deontologico attribuite per legge agli Ordini Professionali.

In particolare, non potrebbe essere qualificato come intesa il procedimento, regolato da norme di legge, volto alla approvazione delle tariffe dei geologi, ai quali non potrebbero estendersi i principi e le regole tipiche del sistema commerciale, dovendo quindi ritenersi costituzionalmente illegittimo l’art. 2 della legge n. 287 del 1990, come interpretato dall’Autorità, nella parte in cui non prevede che non possano essere considerate intese fattispecie e procedure regolate da norme di legge, vincolanti per il Consiglio Nazionale dei Geologi anche nella formulazione delle regole deontologiche, così consentendo l’abrogazione di norme e procedure legittimamente richiamate nell’art. 17 del nuovo Codice Deontologico.

2) Violazione dell’art. 1 della Costituzione. Violazione di legge. Art. 14 della legge n. 616 del 1966.

Sostiene parte ricorrente la contrarietà all’art. 1 della Costituzione della posizione dell’Autorità in ordine alla necessità che venga eliminato, dal Codice Deontologico, ogni riferimento al decoro professionale quale elemento concorrente e compositivo del compenso della prestazione, venendo in tal modo privata la prestazione lavorativa del riferimento di garanzia alla dignità ed al decoro, in violazione del principio costituzionale del fondamento lavorativo della Repubblica e della necessità di assicurare una vita degna e decorosa anche attraverso la determinazione di un compenso commisurato all’attività lavorativa.

L’assunto dell’Autorità si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 14 della legge n. 616 del 1966, laddove prevede l’irrogazione di sanzioni disciplinari in caso di violazione da parte degli iscritti all’albo dell’obbligo di comportarsi in modo conforme alla dignità ed al decoro professionale.

3) Violazione dell’art. 3, comma 1, e degli artt. 36 e 35 della Costituzione.

L’eliminazione del riferimento per il professionista geologo alla dignità ed al decoro dell’attività lavorativa svolta e dei correlati livelli compensativi violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché il diritto del lavoratore, valevole sia per il lavoro autonomo che subordinato, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa.

4) Violazione dell’art. 1 e dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 287 del 1990. Violazione dell’art. 17 della legge n. 616 del 1966. Difetto di legittimazione. Inammissibilità del provvedimento. Eccesso di potere per illogicità giuridica e tecnico-scientifica.

Sostiene parte ricorrente la propria estraneità alla tipologia soggettiva indicata dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990, che fa riferimento alla intese poste in essere da imprese, stante la differenza tra impresa commerciale e lavoro autonomo e tra Consigli ed Ordini Professionali ed associazioni di imprese, con conseguente affermata preclusione all’applicazione dei propri confronti della normativa antitrust.

Inoltre, laddove l’art. 17 del nuovo Codice Deontologico richiama il D.M. del 18 novembre 1971, farebbe riferimento al legittimo procedimento di formazione della tariffa professionale, come previsto da una specifica e vigente norma, ovvero dall’art. 17 delle legge n. 616 del 1966, che prevede che la tariffa professionale è stabilita con decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico su proposta del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Non potrebbe, quindi, ricondursi la procedura di determinazione della tariffa ad una fattispecie di accordo o pratica concordata sottoposta a sanzione, altrimenti verificandosi un’ipotesi di stravolgimento ordinamentale ed istituzionale, non essendo l’Autorità legittimata ad intervenire nei confronti del Consiglio Nazionale dei Geologi in quanto regolato da specifiche norme di legge.

Il gravato provvedimento sarebbe, inoltre, affetto da illogicità ed irrazionalità in quanto, essendo le tariffe approvate con decreti ministeriali e quindi legittimamente richiamati come riferimento per la determinazione dei compensi nel nuovo Codice Deontologico, l’Autorità avrebbe dovuto indirizzare la propria azione nei confronti dei Ministeri che hanno approvato tali decreti.

5) Violazione di legge. Art. 3 del D.Lgs. n. 30 del 2006. Tutela della concorrenza e normativa in materia di professioni intellettuali.

Nel richiamare parte ricorrente l’equiparazione contenuta nella epigrafata norma, ai fini della concorrenza, tra il lavoro autonomo e l’attività di impresa, fatto salvo quanto previsto dalla normativa per le professioni intellettuali, afferma che il perseguimento delle finalità della concorrenza deve avvenire, con riferimento a queste ultime, con l’osservanza della relativa disciplina, la quale fa espresso riferimento ai principi di dignità e decoro della professione, che quindi non possono essere espunti dalla deontologia professionale, come affermato dall’Autorità, se non incorrendo in una violazione di legge ed in una errata interpretazione della deontologia professionale, di per sé non orientata a realizzare effetti distorsivi della concorrenza.

6) Violazione di legge. Art. 9 della legge n. 112 del 1993 e art. 5 della legge n. 339 del 1990. Attribuzioni del Consiglio Nazionale dei Geologi. Eccesso di potere per omessa considerazione del carattere di ente istituzionale del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Afferma parte ricorrente come tra le attribuzioni normativamente assegnate al Consiglio Nazionale dei Geologi non figuri lo svolgimento di attività economico-commerciale tesa al conseguimento di profitto, con conseguente preclusione alla induzione a comportamenti predeterminati anticoncorrenziali o al controllo orizzontale dei prezzi.

L’Autorità non avrebbe quindi rispettato le funzioni ed i poteri del Consiglio, né avrebbe tenuto in debito conto il suo carattere istituzionale di ente pubblico non economico, come delineato dalle leggi vigenti che, come tale, non svolge attività tipiche delle associazioni di imprese, ma solo quelle regolanti le proprie funzioni e compiti istituzionali.

7) Violazione di legge. Art. 2 della legge n. 248 del 2006. Attività di impresa e attività professionale intellettuale.

Sostiene parte ricorrente l’illegittimità dell’equiparazione effettuata dall’Autorità tra attività professionale ed attività commerciale di impresa, in violazione del D.L. n. 223 del 2006 che distingue le attività libero professionali e intellettuali dall’attività di impresa.

8) Violazione dell’art. 2 della legge n. 248 del 2006. Sussistenza e legittima vigenza della tariffa professionale. Eccesso di potere per illogicità e travisamento normativo in punto di fatto.

Afferma parte ricorrente che il D.L. n. 223 del 2006 ha abrogato solo l’obbligatorietà dei minimi tariffari, ma non la tariffa in sé, richiamando in proposito la Delibera n. 5 del 27 luglio 2010 dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, nonché il parere del Consiglio di Stato del 2 luglio 2010, in base ai quali le tariffe restano in vigore quali legittimi parametri di riferimento.

9) Violazione di legge. Normativa codicistica regolativa delle professioni intellettuali. Artt. 2229, 2230, 2232, 2238 e 2061 del codice civile. Art. 53 del D.P.R. n. 917 del 1986.

Nel richiamare parte ricorrente la disciplina codicistica, che differenzia il lavoro professionale intellettuale dall’attività di impresa, denuncia la contrarietà a tali norme del gravato provvedimento laddove basato sull’erroneo presupposto del carattere di impresa commerciale del lavoro autonomo professionale e del conseguente carattere di associazione di imprese del Consiglio Nazionale dei Geologi.

10) Violazione di legge. Artt. 2233 del codice civile, commi 1 e 2. Art. 2 della legge n. 248 del 2006 (D.L. n. 223 del 2006).

Ricorda parte ricorrente come sulla base dell’art. 2233 del codice civile il compenso per la prestazione professionale debba essere commisurato sulla base della tariffa, stabilita secondo il principio di adeguatezza all’importanza dell’opera ed al decoro professionale, senza che il riferimento al decoro – previsto per legge - possa essere inteso come obbligatorietà della tariffa minima, come erroneamente ritenuto dall’Autorità, evidenziando la conformità del codice deontologico al D.L. n. 223 del 2006.

11 ) Eccesso di potere per omesso esame dei criteri di qualificazione del decoro professionale. Art. 7 del nuovo codice deontologico.

Afferma parte ricorrente la presenza, nella nuova formulazione del codice deontologico, di precisi criteri di qualificazione del decoro.

12) Mancata considerazione delle modifiche apportate al nuovo codice deontologico proposte dal Consiglio Nazionale dei Geologi. Eccesso di potere per omissione, difetto di motivazione, abuso di discrezionalità.

Contesta parte ricorrente le affermazioni dell’Autorità nella parte in cui basa il rigetto degli impegni sul mantenimento dei riferimenti nel codice deontologico alla dignità, al decoro ed alle tariffe professionali in quanto ritenuti inidonei a superare le ipotizzate violazioni della concorrenza.

13) Violazione di legge. Art. 21 della legge n. 287 del 1990. Illegittimità del procedimento. Segnalazione al Parlamento. Eccesso di potere per abuso di discrezionalità.

Sostiene parte ricorrente che, essendovi espresse previsioni di legge in materia di decoro, dignità e tariffa professionale, l’Autorità non potrebbe fare ricorso al sindacato repressivo, ma potrebbe solo esercitare il proprio potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo.

14) Violazione della normativa europea. Regolamento CEE 2137/85. Direttiva 2005/36/CE. Direttiva 2006/123/CE. Corte di Giustizia Europea.

Sulla base del quadro normativo europeo sarebbero salvaguardate le disposizioni di legge esistenti nei vari Stati in materia di professioni intellettuali e di organismi rappresentativi legittimati alla definizione dei principi deontologici ed alla vigilanza sulla loro osservanza.

L’Autorità avrebbe, quindi, violato la normativa comunitaria laddove tende a limitare la portata del Codice Deontologico adottato dal Consiglio ricorrente e si porrebbe, altresì, in contrasto con le pronunce della Corte di Giustizia favorevoli alla inderogabilità dei minimi tariffari, costituente legittima modulazione della tariffa professionale laddove vi sia comunque la presenza dell’intervento dello Stato che non rinuncia ad esercitare poteri di controllo e decisione sulla tariffa.

Chiede, quindi, parte ricorrente, la rimessione alla Corte Costituzionale della sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990, nonchè l’annullamento del gravato provvedimento.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

QUANTO AL RICORSO N. 8747/2010 R.G.:

Il Consiglio Nazionale dei Geologi, odierno ricorrente, premette in fatto una dettagliata ricostruzione delle vicende antecedenti il segmento procedimentale confluito nell’adozione del gravato provvedimento, illustrando gli elementi di rilievo concernenti l’indagine conoscitiva sui servizi professionali avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, avuto particolare riguardo alle richieste allo stesso rivolte dall’Autorità a decorrere dal 2007 in merito alle modifiche apportate al codice deontologico in relazione alle disposizioni recate dall’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006 ed ai riscontri forniti, ivi compresi gli impegni assunti al fine di adeguare il predetto codice alle indicate disposizioni.

Con nota del 26 maggio 2009 è stato comunicato l’avvio dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990, nei confronti del Consiglio, al fine di accertare l’esistenza di violazioni dell’art. 81, paragrafo 1) del Trattato CE.

L’istruttoria ha preso le mosse dai risultati dell’indagine conoscitiva IC34, conclusa il 15 gennaio 2009, sullo stato di recepimento dei principi di concorrenza nei servizi professionali.

Illustra, quindi, parte ricorrente, lo svolgimento dell’iter procedimentale successivo all’avvio dell’istruttoria, puntualmente illustrando le argomentazioni spese a confutazione della ipotizzata sussistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, ritenuta dall’Autorità integrata dalle previsioni deontologiche che tendono ad uniformare il prezzo delle prestazioni professionali,anche in relazione all’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito in legge con legge n. 248 del 2006, che ha abrogato le disposizioni che prevedono l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime e quelle che vietano di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, imponendo l’adeguamento delle disposizioni deontologiche non conformi.

Rappresenta, ancora, parte ricorrente, di aver avanzato richiesta di revoca dell’atto di apertura del procedimento di infrazione, rigettata dall’Autorità con nota dell’11 settembre 2009, e di aver formalmente presentato impegni in data 16 novembre 2009, rigettati dall’Autorità con determinazione del 22 dicembre 2009, gravata con ricorso giurisdizionale iscritto al N. 2090/2010 R.G.

Il successivo iter procedimentale si è sviluppato attraverso l’intervento di ulteriori atti aventi ad oggetto richieste di informazioni formulate dall’Autorità e riscontri forniti dal Consiglio Nazionale, nel dettaglio da questo illustrati, nonché la comunicazione delle risultanze istruttorie e relative controdeduzioni ed osservazioni di parte ricorrente.

In esito al descritto procedimento è stato adottato il gravato provvedimento conclusivo, con il quale è stata inflitta la Consiglio Nazionale dei Geologi la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 14.254 per aver posto in essere una intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 (già art. 81) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, volta ad indurre gli iscritti all’Ordine Nazionale dei Geologi ad uniformare i rispettivi comportamenti economici utilizzando come riferimento la tariffa professionale, con ordine rivolto al Consiglio di assumere misure atte a porre termine all’illecito.

Avverso tale provvedimento, deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura, in parte identici a quelli proposti avverso il provvedimento di rigetto degli impegni:

1) Eccezione di incostituzionalità dell’art. 2, n. 1, della legge n. 287 del 1990.

Nel richiamare parte ricorrente le disposizioni recate dalla norma epigrafata, nega che la stessa possa trovare applicazione nei confronti degli esercenti le professioni liberali intellettuali, disciplinate dagli artt. 2229 e seguenti del codice civile nel più ampio contesto regolante il lavoro autonomo, le funzioni e le prerogative di ordine deontologico attribuite per legge agli Ordini Professionali.

In particolare, non potrebbe essere qualificato come intesa il procedimento, regolato da norme di legge, volto alla approvazione delle tariffe dei geologi, ai quali non potrebbero estendersi i principi e le regole tipiche del sistema commerciale, dovendo quindi ritenersi costituzionalmente illegittimo l’art. 2 della legge n. 287 del 1990, come interpretato dall’Autorità, nella parte in cui non prevede che non possano essere considerate intese fattispecie e procedure regolate da norme di legge, vincolanti per il Consiglio Nazionale dei Geologi anche nella formulazione delle regole deontologiche, così consentendo l’abrogazione di norme e procedure legittimamente richiamate nell’art. 17 del nuovo Codice Deontologico.

2) Violazione dell’art. 1 della Costituzione. Violazione di legge. Art. 14 della legge n. 616 del 1966.

Sostiene parte ricorrente la contrarietà all’art. 1 della Costituzione della posizione dell’Autorità in ordine alla necessità che venga eliminato, dal Codice Deontologico, ogni riferimento al decoro professionale quale elemento concorrente e compositivo del compenso della prestazione, venendo in tal modo privata la prestazione lavorativa del riferimento di garanzia alla dignità ed al decoro, in violazione del principio costituzionale del fondamento lavorativo della Repubblica e della necessità di assicurare una vita degna e decorosa anche attraverso la determinazione di un compenso commisurato all’attività lavorativa.

L’assunto dell’Autorità si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 14 della legge n. 616 del 1966, laddove prevede l’irrogazione di sanzioni disciplinari in caso di violazione da parte degli iscritti all’albo dell’obbligo di comportarsi in modo conforme alla dignità ed al decoro professionale.

3) Violazione dell’art. 3, comma 1, e degli artt. 36 e 35 della Costituzione.

L’eliminazione del riferimento per il professionista geologo alla dignità ed al decoro dell’attività lavorativa svolta e dei correlati livelli compensativi violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché il diritto del lavoratore, valevole sia per il lavoro autonomo che subordinato, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa.

4) Violazione di legge. Art. 21 della legge n. 287 del 1990. Illegittimità del procedimento. Segnalazione al Parlamento. Eccesso di potere per abuso di discrezionalità.

Sostiene parte ricorrente che, essendovi espresse previsioni di legge in materia di decoro, dignità e tariffa professionale, l’Autorità non potrebbe fare ricorso al sindacato repressivo, ma potrebbe solo esercitare il proprio potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo.

5) Equiparazione tra attività di impresa commerciale ed attività professionale. Plurime violazioni di legge. Eccesso di potere per intrinseca illogicità ordinamentale.

Contesta parte ricorrente l’equiparazione, effettuata dall’Autorità, tra l’impresa commerciale ed il lavoro autonomo intellettuale e professionale e la conseguente assimilazione del Consiglio Nazionale ad una associazione di imprese, riportandosi agli elementi strutturali che contraddistinguono l’impresa commerciale, configurabile solo in presenza di un’attività economica organizzata ai fini della produzione e costituita da vari fattori di produzione, che invece mancano nel lavoro autonomo professionale ed intellettuale, incentrato sulla personalità del professionista e che prescinde dalla compresenza o meno di fattori economici della produzione.

Anche a voler ricondurre l’attività professionale ad attività economica, occorre distinguere, secondo parte ricorrente, tra attività economica svolta in forma di impresa ed attività economica svolta in forma professionale dal lavoratore autonomo professionista intellettuale, con conseguente applicazione di differenziati regimi giuridici come delineati dalle norme codicistiche.

Potendo, pertanto, un’intesa restrittiva della concorrenza intercorrere solo tra imprese, la stessa non sarebbe ipotizzabile nei confronti del Consiglio Nazionale dei Geologi, stante il mancato svolgimento da parte di questi di attività economico-commerciale volta esclusivamente al profitto ed alla dinamica del mercato e stante la mancanza di un’organizzazione in forma di impresa con annesso fatturato, estranee alla natura giuridica degli ordini Professionali.

Né le finalità di tutela della concorrenza perseguite dall’Autorità potrebbero incidere sulla struttura del lavoro professionale intellettuale, avente fisionomia e natura diverse dall’impresa commerciale essendo sottoposto a una diversa regolazione legislativa e codicistica o potrebbero incidere sugli Ordini Professionali, oggetto di specifica disciplina legislativa che non prevede alcuna loro equiparazione alle associazioni di imprese.

Sostiene, quindi, parte ricorrente, che la disciplina di tutela della concorrenza professionale deve essere coordinata con il complesso normativo di legge regolante le professioni intellettuali, potendo tale tutela essere perseguita e realizzata solo in coerenza ed in coordinamento con la natura giuridica dell'attività professionale e dei Consigli Professionali, nonchè con le specifiche norme di legge attinenti le professioni e con i rispettivi contenuti deontologici.

Si riporta, in proposito, parte ricorrente, all'art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 30 del 2006, il quale reca l’equiparazione, ai fini concorrenziali, dell’attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo all'attività di impresa, fatto salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali, le quali, dunque, conservano piena autonomia anche sotto il profilo della regolazione deontologica.

6) Violazione dell’art. 1 e dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 287 del 1990. Violazione dell’art. 17 della legge n. 616 del 1966. Difetto di legittimazione. Inammissibilità del provvedimento. Eccesso di potere per illogicità giuridica e tecnico-scientifica.

Sostiene parte ricorrente la propria estraneità alla tipologia soggettiva indicata dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990, che fa riferimento alla intese poste in essere da imprese, stante la differenza tra impresa commerciale e lavoro autonomo e tra Consigli ed Ordini Professionali ed associazioni di imprese, con conseguente affermata preclusione all’applicazione dei propri confronti della normativa antitrust.

Inoltre, laddove l’art. 17 del nuovo Codice Deontologico richiama il D.M. del 18 novembre 1971, farebbe riferimento al legittimo procedimento di formazione della tariffa professionale, come previsto da una specifica e vigente norma, ovvero dall’art. 17 delle legge n. 616 del 1966, che prevede che la tariffa professionale è stabilita con decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico su proposta del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Non potrebbe, quindi, ricondursi la procedura di determinazione della tariffa ad una fattispecie di accordo o pratica concordata sottoposta a sanzione, altrimenti verificandosi un’ipotesi di stravolgimento ordinamentale ed istituzionale, non essendo l’Autorità legittimata ad intervenire nei confronti del Consiglio Nazionale dei Geologi in quanto regolato da specifiche norme di legge.

Il gravato provvedimento sarebbe, inoltre, affetto da illogicità ed irrazionalità in quanto, essendo le tariffe approvate con decreti ministeriali e quindi legittimamente richiamati come riferimento per la determinazione dei compensi nel nuovo Codice Deontologico, l’Autorità avrebbe dovuto indirizzare la propria azione nei confronti dei Ministeri che hanno approvato tali decreti.

Precisa, ancora, parte ricorrente, i criteri che concorrono a determinare la parcella, richiamando la Determinazione dell’Autorità sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture n. 5 del 27 luglio 2010 a sostegno delle legittimità del riferimento alla tariffa professionale.

7) Violazione di legge. Art. 3 del D.Lgs. n. 30 del 2006. Tutela della concorrenza e normativa in materia di professioni intellettuali.

Nel richiamare parte ricorrente l’equiparazione contenuta nella epigrafata norma, ai fini della concorrenza, tra il lavoro autonomo e l’attività di impresa, fatto salvo quanto previsto dalla normativa per le professioni intellettuali, afferma che il perseguimento delle finalità della concorrenza deve avvenire, con riferimento a queste ultime, con l’osservanza della relativa disciplina, la quale fa espresso riferimento ai principi di dignità e decoro della professione, che quindi non possono essere espunti dalla deontologia professionale, come affermato dall’Autorità, se non incorrendo in una violazione di legge ed in una errata interpretazione della deontologia professionale, di per sé non orientata a realizzare effetti distorsivi della concorrenza.

8) Violazione di legge. Art. 9 della legge n. 112 del 1993 e art. 5 della legge n. 339 del 1990. Attribuzioni del Consiglio Nazionale dei Geologi. Eccesso di potere per omessa considerazione del carattere di ente istituzionale del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Afferma parte ricorrente come tra le attribuzioni normativamente assegnate al Consiglio Nazionale dei Geologi non figuri lo svolgimento di attività economico-commerciale tesa al conseguimento di profitto, con conseguente preclusione alla induzione a comportamenti predeterminati anticoncorrenziali o al controllo orizzontale dei prezzi.

L’Autorità non avrebbe quindi rispettato le funzioni ed i poteri del Consiglio, né avrebbe tenuto in debito conto il suo carattere istituzionale di ente pubblico non economico, come delineato dalle leggi vigenti che, come tale, non svolge attività tipiche delle associazioni di imprese, ma solo quelle regolanti le proprie funzioni e compiti istituzionali.

9) Violazione di legge. Art. 2 della legge n. 248 del 2006. Attività di impresa e attività professionale intellettuale.

Sostiene parte ricorrente l’illegittimità dell’equiparazione effettuata dall’Autorità tra attività professionale ed attività commerciale di impresa, in violazione del D.L. n. 223 del 2006 che distingue le attività libero professionali e intellettuali dall’attività di impresa.

10) Violazione dell’art. 2 della legge n. 248 del 2006. Sussistenza e legittima vigenza della tariffa professionale. Eccesso di potere per illogicità e travisamento normativo in punto di fatto.

Afferma parte ricorrente che il D.L. n. 223 del 2006 ha abrogato solo l’obbligatorietà dei minimi tariffari, ma non la tariffa in sé, richiamando in proposito la Delibera n. 5 del 27 luglio 2010 dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, nonché il parere del Consiglio di Stato del 2 luglio 2010, in base ai quali le tariffe restano in vigore quali legittimi parametri di riferimento.

11) Violazione di legge. Normativa codicistica regolativa delle professioni intellettuali. Artt. 2229, 2230, 2232, 2238 e 2061 del codice civile. Art. 53 del D.P.R. n. 917 del 1986.

Nel richiamare parte ricorrente la disciplina codicistica, che differenzia il lavoro professionale intellettuale dall’attività di impresa, denuncia la contrarietà a tali norme del gravato provvedimento laddove basato sull’erroneo presupposto del carattere di impresa commerciale del lavoro autonomo professionale e del conseguente carattere di associazione di imprese del Consiglio Nazionale dei Geologi.

12) Violazione di legge. Artt. 2233 del codice civile, commi 1 e 2. Art. 2 della legge n. 248 del 2006.

Ricorda parte ricorrente come sulla base dell’art. 2233 del codice civile – che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità, non potrebbe trovare applicazione solo nell’ambito dei rapporti privatistici - il compenso per la prestazione professionale debba essere commisurato sulla base della tariffa, stabilita secondo il principio di adeguatezza all’importanza dell’opera ed al decoro professionale, senza che il riferimento al decoro – previsto per legge - possa essere inteso come obbligatorietà della tariffa minima, come erroneamente ritenuto dall’Autorità.

Sostiene, altresì, parte ricorrente, che gli elementi integranti il decoro professionale, che trova protezione giuridica, indicati all’art. 7 del nuovo Codice Deontologico, rappresentano un costo cui parametrare il compenso.

13) Violazione della normativa europea. Regolamento CEE 2137/85. Direttiva 2005/36/CE. Direttiva 2006/123/CE. Corte di Giustizia Europea.

Sulla base del quadro normativo europeo sarebbero salvaguardate le disposizioni di legge esistenti nei vari Stati in materia di professioni intellettuali e di organismi rappresentativi legittimati alla definizione dei principi deontologici ed alla vigilanza sulla loro osservanza.

L’Autorità avrebbe, quindi, violato la normativa comunitaria laddove tende a limitare la portata del Codice Deontologico adottato dal Consiglio ricorrente e si porrebbe, altresì, in contrasto con le pronunce della Corte di Giustizia favorevoli alla inderogabilità dei minimi tariffari, costituente legittima modulazione della tariffa professionale laddove vi sia comunque la presenza dell’intervento dello Stato che non rinuncia ad esercitare poteri di controllo e decisione sulla tariffa.

14) Eccesso di potere per illegittima ritenuta supremazia del diritto antitrust.

Afferma parte ricorrente l’insussistenza, nell’ordinamento italiano, di una supremazia della legge n. 287 del 1990 sulle leggi regolanti le professioni e gli Ordini Professionali.

15) Eccesso di potere per omesso esame dei criteri di qualificazione del decoro professionale. Art. 7 del Codice Deontologico.

Avrebbe errato, secondo parte ricorrente, l’Autorità, laddove rileva la mancanza di criteri che qualifichino il decoro professionale, posto che tali criteri sono puntualmente indicati nell’art. 7 del nuovo Codice Deontologico.

16) Mancata considerazione delle modifiche al nuovo Codice Deontologico proposte dal Consiglio Nazionale dei Geologi. Eccesso di potere per irrazionalità, omissione, difetto di motivazione. Abuso di discrezionalità.

L’Autorità, secondo parte ricorrente, non avrebbe adeguatamente valutato l’insieme delle modifiche apportate al Codice Deontologico e della sua portata complessiva,

17) Eccesso di potere per travisamento ermeneutico. Art. 14 della legge n. 616 del 1966.

Sarebbe in contrasto con l’epigrafata norma l’interpretazione dell’Autorità che esclude che i requisiti di dignità e decoro possano riguardare aspetti economici dell’attività professionale.

18) Eccesso di potere per travisamento in punto di diritto e di fatto. Potere disciplinare.

Contesta parte ricorrente l’affermazione, contenuta nel gravato provvedimento, secondo cui al Consiglio Nazionale dei Geologi è attribuito l’esercizio del potere disciplinare, al quale spetta invece il potere di decidere unicamente sui ricorsi avverso i provvedimenti disciplinari deliberati dagli Organi Regionali.

19) Eccesso di potere per travisamento in punto di diritto e di fatto. Sindacabilità delle tariffe.

Nega parte ricorrente di aver affermato, come invece riferito nel gravato provvedimento, che le tariffe proposte dagli ordini professionali non sarebbero sindacabili ai sensi del diritto antitrust.

20) Eccesso di potere per travisamento in punto di fatto e di diritto. Sospensione del procedimento amministrativo.

Nega parte ricorrente di aver richiesto la sospensione del procedimento per attendere la decisione del giudice amministrativo in merito al ricorso proposto avverso il provvedimento di rigetto degli impegni.

21) Illegittimità della sanzione. Violazione dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 223 del 2006. Nullità delle disposizioni deontologiche. Eccesso di potere per straripamento.

L’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006 prevede la nullità delle disposizioni deontologiche eventualmente con esso contrastanti, senza conferire alcun potere sanzionatorio all'Autorità, la quale potrebbe unicamente dichiarare la nullità delle norme deontologiche ritenute contrastanti con il citato D.L.

22) Eccesso di potere per omessa considerazione dell’obbligatorietà del versamento contributivo.

L’Autorità non avrebbe considerato la natura obbligatoria del versamento contributivo, non connesso a finalità di lucro.

23) Eccesso di potere per iniquità manifesta. Prelievo su contributo personale degli iscritti.

Su ogni iscritto all’Ordine grava un obbligo di legge di versamento del contributo, con conseguente assenza di alcuna volontà anticoncorrenziale in capo al professionista contribuente.

24) Violazione normativa comunitaria. Art. 23 Regolamento CE 17/2003. Eccesso di potere per errata e deviata interpretazione della normativa.

Manca, secondo parte ricorrente, lo svolgimento di attività intenzionale o negligente tesa alla ripartizione o al dominio del mercato, né il Consiglio potrebbe essere considerato un’associazione di imprese, svolgendo esso funzioni istituzionali, essendo illegittimo il riferimento ai relativi dati di bilancio, costituito dai contributi versati per legge, ai fini della determinazione della sanzione.

25) Eccesso di potere per illogicità ed irrazionalità manifesta della ritenuta gravità dell’infrazione. Contraddittorietà intrinseca.

Contesta parte ricorrente il giudizio di gravità dell’intesa, ricordando che i requisiti di dignità e decoro sono previsti dalla legge ed affermando la permanente vigenza della tariffa professionale quale legittimo e qualificato elemento di riferimento per la quantificazione dei compensi, negando la sussistenza del presupposto soggettivo legittimante l’applicazione della sanzione per essere il Consiglio dell’Ordine Professionale vincolato all’osservanza delle leggi nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali anche con riferimento alla formulazione delle regole deontologiche. Il giudizio di gravità sarebbe, inoltre, contraddetto dall’esiguità della sanzione applicata, pari all’1,1% del totale delle entrate di bilancio del 2008.

26) Eccesso di potere per travisamento in punto di fatto. Osservanza del D.L. n. 223 del 2006. Modifiche proposte ed ampiezza del contraddittorio.

Afferma parte ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità, il Codice Deontologico contiene disposizioni inerenti l’osservanza del D.L. n. 223 del 2006 e di essersi adoperata per addivenire ad una soluzione conciliativa nell’ambito di un costruttivo rapporto istituzionale.

Chiede, quindi, parte ricorrente, la rimessione alla Corte Costituzionale della sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990, nonchè l’annullamento del gravato provvedimento.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 9 febbraio 2011, le cause sono state chiamate e, sentiti i difensori delle parti, trattenute per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

In via preliminare, stante l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva, il Collegio dispone la riunione dei ricorsi N. 2090/2010 R.G. e N. 8747/2010 R.G.

Quanto al primo dei due ricorsi riuniti, viene proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) ha rigettato gli impegni presentati da parte ricorrente nell’ambito del procedimento volto ad accertare, nei confronti del Consiglio Nazionale dei Geologi, eventuali violazioni dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ritenendo tali impegni inidonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, come indicati nella comunicazione di avvio del procedimento, ravvisando l’Autorità la permanenza, anche a fronte degli impegni presentati, dell’idoneità dell’autoregolamentazione deontologica adottata dal Consiglio ad uniformare i comportamenti economici dei geologi in merito alla determinazione dei compensi per le prestazioni professionali

Le censure sollevate con tale ricorso coincidono con quelle articolate nell’ambito del ricorso iscritto al N. 8747/2010 R.G., con il quale è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – anch’esso meglio individuato in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a conclusione dell’istruttoria svolta nell’ambito del procedimento I713, avviato il 14 maggio 2009, ai sensi dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nei confronti dell’Ordine nazionale dei geologi, ha ravvisato la sussistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, ai sensi del citato art. 101(già art. 81 del Trattato CE), volta ad indurre gli iscritti all’Ordine ad uniformare i rispettivi comportamenti economici utilizzando come riferimento la tariffa professionale, ordinando all’Ordine di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato ed irrogando, in ragione della gravità e durata dell’infrazione, una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 14.254.

Stante la ricordata identità dei motivi di censura articolati avverso il provvedimento di rigetto degli impegni presentati da parte ricorrente con quelli rivolti avverso il provvedimento sanzionatorio finale di riscontro della sussistenza di un’intesa anticoncorrenziale per effetto delle norme recate dal nuovo codice deontologico adottato dal Consiglio dell’Ordine dei Geologi, ritiene il Collegio di poter far confluire la disamina delle prime nell’ambito della trattazione delle seconde, anche in considerazione della sovrapponibilità delle motivazioni sottese al provvedimento di rigetto degli impegni con quelle riportate nel provvedimento sanzionatorio, fatte salve le considerazioni che si andranno ad illustrare con riferimento alle peculiarità dei presupposti che connotano la fase procedimentale inerente la disamina degli impegni presentati dalla parte interessata dal procedimento, il cui eventuale accoglimento comporta l’arresto procedimentale evitando la comminazione di sanzioni.

Fatte tali premesse di ordine metodologico, osserva il Collegio, con riferimento al ricorso N. 8747/2010 R.G., che l’impianto ricorsuale si compone, innanzitutto – analogamente all’azione proposta avverso il provvedimento di rigetto degli impegni - di censure volte a contestare, sotto vari profili, la riconducibilità della fattispecie alla tipologia soggettiva tipica delle intese restrittive della concorrenza, negando parte ricorrente la stessa possibilità di configurare un’ipotesi di intesa con riferimento ad un Ordine Professionale il quale agisce, anche nella formulazione delle regole deontologiche, nell’ambito di funzioni e prerogative stabilite dalla legge e ai soli fini istituzionali.

Alla affermata estraneità della fattispecie sanzionata al paradigma dell’intesa anticoncorrenziale, affianca parte ricorrente la negazione della possibilità di fare ricorso al potere sanzionatorio da parte dell’Autorità stante la mancanza dei relativi presupposti, nell’assunto che verrebbe in rilievo un procedimento interamente regolato dalla legge ed alla stessa pienamente conforme. Procede, quindi, parte ricorrente alla puntuale confutazione delle valutazioni espresse dall’Autorità e poste a fondamento della gravata determinazione, ivi comprese quelle inerenti la quantificazione della sanzione, negando anche con riferimento alla irrogazione della stessa la sussistenza del relativo potere in capo all’Autorità.

Così, in estrema sintesi, delineata l’architettura della controversia che qui occupa, la delibazione in ordine alle numerose censure ricorsuali sollevate può trovare più agevole illustrazione se preceduta da una breve descrizione degli elementi in base ai quali l’Autorità ha ritenuto la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda che qui occupa e più compiutamente definire la portata delle censure che alla stessa afferiscono.

In tale direzione, va precisato che l’intesa sanzionata con il gravato provvedimento è stata ravvisata con riferimento alla disciplina deontologica adottata dal Consiglio Nazionale dei Geologi, applicabile agli appartenenti al relativo Ordine, relativa alla determinazione del compenso dei geologi, come dettata dagli artt. 17, 18 e 19 del Codice Deontologico nella versione risultante nel testo emendato, da ultimo, in data 26 marzo 2010, mediante modifiche apportate al fine di adeguare le relative disposizioni all’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito in legge con legge n. 248 del 2006, che ha abrogato l’obbligatorietà delle tariffe minime e fisse.

In particolare, l’Autorità ha ritenuto che le norme del Codice Deontologico relative alla determinazione del compenso per i geologi induca gli stessi a non assumere condotte autonome nell’individuazione dei prezzi delle proprie prestazioni professionali, spingendoli ad uniformare i propri comportamenti economici mediante l’applicazione della tariffa professionale, così determinando una restrizione della concorrenza in violazione dell’art. 101 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea.

Rinviando al prosieguo della trattazione la più compiuta illustrazione del contenuto delle norme deontologiche ritenute restrittive della concorrenza, e seguendo, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate, l’ordine suggerito dalla proposizione delle stesse, viene in rilievo, innanzitutto, l’eccezione, sollevata da parte ricorrente – in entrambi i ricorsi - di incostituzionalità dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990, nell’interpretazione effettuata dall’Autorità, nella parte in cui non prevede che non possono essere considerate intese fattispecie e procedure regolate da norme di legge, così asseritamente alterandosi il sistema di legge di approvazione della tariffa professionale e lo stesso sistema di formazione delle leggi, in denunciata violazione degli artt. 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76 e 77 della Costituzione.

La questione trova agevole delibazione, in senso sfavorevole al ricorrente, alla luce della considerazione che risultano oggetto di sanzione, in quanto ritenute integrare un’intesa restrittiva della concorrenza, autonome determinazioni adottate dal Consiglio Nazionale dei Geologi in sede di adozione delle regole deontologiche, nella parte in cui recano indicazioni sulla determinazione del compenso per le prestazioni professionali degli iscritti all’Ordine, le quali, anche alla luce di quanto si andrà più avanti ad illustrare, non costituiscono una automatica e mera trasposizione in sede deontologica di vincolanti norme di legge che – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – ne determinerebbero il relativo contenuto.

Cade, quindi, in un errore di prospettiva parte ricorrente laddove afferma che non potrebbe qualificarsi come intesa il procedimento, regolato da norme di legge, volto alla approvazione delle tariffe dei geologi, non venendo in rilievo, né essendo sanzionato – nella fattispecie in esame – tale procedimento normativo, bensì le regole deontologiche liberamente adottate dal Consiglio al fine (non raggiunto) di adeguarle alle disposizioni liberalizzatrici dettate dall’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, cha ha abolito l’obbligatorietà delle tariffe minime e fisse, che sono state sottoposte a verifica e sanzionate nella parte in cui, oltre a porsi in contrasto con le disposizioni di cui al citato art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, introducono una ingiustificata restrizione della concorrenza tra i professionisti nella determinazione del compenso.

In una diversa e più generale prospettiva, deve inoltre osservarsi che la questione inerente l’applicabilità della normativa antitrust, dettata dalla legge n. 287 del 1990, deve essere riguardata e decisa in coerente coordinamento con il quadro normativo generale, il quale, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, non conduce a ritenere la prevalenza della disciplina dettata con riferimento alle professioni intellettuali e professionali, anche a livello codicistico, rispetto alla disciplina antitrust, la quale, nel recepire la disciplina comunitaria, trova applicazione trasversale a tutti i settori di relativa rilevanza.

Sotto il profilo sistematico, va altresì evidenziato che il D.L. n. 223 del 2006, temporalmente successivo rispetto al quadro normativo richiamato da parte ricorrente a sostegno dei propri assunti, indirizza le professioni verso una liberalizzazione ispirata al principio di concorrenza, rispetto al quale le precedenti normative mantengono vigore solo nei limiti di compatibilità, sulla base degli ordinari criteri ermeneutici delineati in materia di successione delle leggi nel tempo.

Non risulta, quindi, ipotizzabile la denunciata modifica unilaterale ed arbitraria del sistema normativo di approvazione della tariffa e di formazione delle leggi per effetto dell’intervenuta applicazione della normativa antitrust all’approvazione del codice deontologico, non incidendo il contestato procedimento sanzionatorio su norme di legge, ma su regole deontologiche adottate da un Ordine professionale in ritenuta violazione dei principi di liberalizzazione e di libera concorrenza.

Si risolverebbe, inoltre, in una elusione della normativa antitrust e della disciplina comunitaria l’adesione alla tesi sostenuta da parte ricorrente, secondo cui l’ambito giuridico della fattispecie di intesa non potrebbe essere esteso agli esercenti le professioni liberali intellettuali, i quali sfuggirebbero, asseritamente, all’applicazione delle regole tipiche del sistema commerciale stante la diversa disciplina dettata dal codice civile e considerate le prerogative di tipo deontologico attribuite per legge agli ordini professionali, dovendo in proposito rilevarsi come anche le professioni formano oggetto di un processo di modernizzazione e liberalizzazione a livello comunitario e nazionale – con riferimento a quest’ultimo, in particolare con il D.L. n. 223 del 2006 – al fine di consentire anche con riferimento a tale settore l’espansione delle regole concorrenziali, relegando le restrizioni consentite ad ambiti sempre più circoscritti, nei soli limiti imposti dai principi di necessità e di proporzione.

Le considerazioni sopra illustrate, che danno conto dell’infondatezza delle esaminate censure, suggeriscono di utilizzarne la valenza al fine di delibare la diversa doglianza, qualificata da parte ricorrente come eccezione avente carattere di pregiudizialità, di cui al quarto motivo descritto in parte narrativa, con cui viene denunciata l’intervenuta violazione dell’art. 21 della legge n. 287 del 1990, per avere l’Autorità fatto ricorso al sindacato repressivo, laddove avrebbe potuto unicamente esercitare il proprio potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo stante l’esistenza di espresse previsioni di legge in materia di decoro, dignità e tariffa professionale.

Posto che, come dianzi accennato, il sindacato esercitato dall’Autorità non è rivolto a norme di legge e a precetti normativi – come tali suscettibili solo di segnalazione da parte dell’Autorità - ma alla regolamentazione deontologica risultante dalle decisioni assunte dal Consiglio dell’Ordine, risultano pienamente rispettati gli ambiti di legittimo intervento dell’Autorità in ordine all’attivazione dei propri poteri istruttori, che hanno poi condotto all’adozione del gravato provvedimento.

Né, a diversamente ritenere, può valere la circostanza, invocata da parte ricorrente, che le norme deontologiche sanzionate farebbero riferimento ai criteri, quali la dignità e il decoro, espressamente previsti dal codice civile per le professioni, dovendo in proposito ribadirsi che dal quadro normativo di riferimento disciplinante le professioni, in generale, e la professione di geologo, in particolare, non discende un vincolo, quanto alle regole deontologiche in materia di determinazione del compenso, che ne renda il relativo contenuto necessariamente vincolato – segnatamente nella portata di cui al nuovo Codice Deontologico - essendo rimessa al Consiglio la potestà di modulare tali regole al fine di garantire il rispetto del principio di libera concorrenza, come tradotto in ambito nazionale dal citato D.L. n. 223 del 2006.

Non può, dunque, ritenersi che l'Autorità, censurando le regole deontologiche, abbia esorbitato dall'ambito dei suoi poteri, non essendo oggetto di sanzione il risultato di un procedimento normativo di approvazione delle tariffe o atti normativi e generali che determinino distorsioni della concorrenza, in relazione ai quali, in base all'art. 21 della legge n. 287 del 1990, l’Autorità è titolare di un mero potere di segnalazione al Parlamento e al Governo di situazioni distorsive della concorrenza e del mercato, derivanti da norme di legge, di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale.

Giova, difatti, evidenziare che l’illecito sanzionato è riferito alla disciplina deontologica che, attraverso le disposizioni che si andranno più diffusamente in prosieguo ad esaminare, tende ad introdurre l’obbligatorietà delle tariffe per i geologi per effetto del – solo – generico e formale rinvio al complesso normativo di cui al D.L. n. 223 del 2006, del richiamo esplicito alle tariffe qualificate come legittimo elemento di riferimento nella determinazione dei compensi e del previsto obbligo di rispettare il decoro e la dignità nella determinazione del compenso, previsto anche mediante il rinvio all’art. 2233 del codice civile.

Risulta, quindi, recessiva, rispetto alla valenza da attribuirsi al complesso delle disposizioni deontologiche sanzionate, la circostanza che le tariffe richiamate dal nuovo Codice Deontologico siano state approvate con D.M. 18 novembre 1971 e con D.M. 4 aprile 2001, non indirizzandosi il potere sanzionatorio esercitato avverso tali determinazioni normative, ma avverso la introdotta obbligatorietà delle tariffe previste dai citati decreti, veicolata dalla complessiva valenza da attribuirsi alle norme deontologiche adottate dal Consiglio, in violazione delle regole concorrenziali e delle stesse disposizioni di cui all’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006 che ha abolito l’obbligatorietà delle tariffe minime e fisse.

Al fine di dare un più compiuto inquadramento sistematico alle considerazioni sin qui illustrate, giova richiamare il complesso processo di riforma e di modernizzazione delle regole disciplinanti il settore dei servizi professionali avviato a livello europeo e recepito nell’ordinamento nazionale.

In tale direzione, deve ricordarsi l’orientamento comunitario, rivolto al perseguimento degli obiettivi della libertà di stabilimento e della libertà di circolazione dei professionisti attraverso il reciproco riconoscimento, il quale, successivamente al vertice di Lisbona del marzo 2000, si è tradotto nell’adozione di una linea di intervento nei servizi professionali nell’ambito della politica per la concorrenza, nella considerazione della rilevanza delle professioni liberali ai fini del miglioramento della competitività, anche in funzione del loro peso economico.

Il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 ha, quindi, adottato un programma di riforme economiche mirante a trasformare l'economia dell’Unione Europea in un’economia basata sulla competizione e sulla concorrenza, nel cui ambito i servizi professionali hanno un ruolo importante da svolgere ai fini del miglioramento della competitività dell’economia europea, anche in considerazione della loro rilevanza immediata per i consumatori.

L’inderogabilità delle regole della concorrenza in tale settore è stata affermata anche con atto di indirizzo politico dal Parlamento europeo, con la risoluzione del 16 dicembre 2003, pur non disconoscendosi l’importanza delle associazioni professionali, dei loro codici deontologici e quindi di una regolamentazione adeguata a garantire l’etica professionale, la qualità dei servizi e l’interesse pubblico.

Con la Comunicazione n. 2004/83 del 9 febbraio 2004, recante la «Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali», che ha assunto una valenza generale di politica comunitaria rivolta a tutto il settore dei servizi professionali, la Commissione Europea ha formalmente richiesto ai governi nazionali, alle autorità di concorrenza, agli ordini professionali e ai tribunali nazionali di intervenire per eliminare quelle restrizioni che impediscono al sistema economico e agli utenti di beneficiare dei vantaggi della concorrenza, chiedendo di valutare quali regole esistenti - a livello sia di norme di legge che di codici di autoregolamentazione adottati dagli organismi professionali - siano ancora necessarie per l’interesse generale e siano proporzionate e giustificate.

In particolare, in tale Comunicazione, sono state descritte le numerose fattispecie di restrizioni, molte delle quali non vengono ritenute giustificate dal perseguimento di un interesse generale, che costituiscono un potenziale disincentivo alla ricerca del miglior rapporto qualità-prezzi da parte dei professionisti e alla libera scelta da parte dei consumatori. Le limitazioni individuate fanno riferimento alla fissazione di prezzi minimi per le prestazioni professionali, al divieto di pubblicizzare i servizi offerti, ai parametri numerici per l’accesso alla professione, al divieto di svolgere pratiche multidisciplinari, come quello di istituire una società tra professionisti o di esercitare la professione nella forma societaria.

La Commissione Europea, nel riconoscere la sussistenza di ragioni che rendono necessario un certo grado di regolamentazione dei servizi professionali - quali l’asimmetria dell’informazione tra clienti e prestatori di servizi, dovuta al fatto che una caratteristica essenziale dei prestatori dei servizi professionali è il livello elevato di conoscenze tecniche di cui dispongono e di cui i consumatori possono essere privi;
le esternalità, in quanto i servizi in questione possono avere un impatto su terzi;
la produzione di beni pubblici, nel caso di taluni servizi professionali che presentano un valore per la società in generale – per cui talune regolamentazioni restrittive servono a mantenere la qualità dei servizi professionali e a proteggere i consumatori da comportamenti scorretti, tuttavia impone il ricorso a meccanismi concorrenziali in sostituzione delle tradizionali regole restrittive adottate nei singoli Stati.

A tale proposito, sotto il profilo del diritto comunitario della concorrenza, la Commissione opera una precisa distinzione tra la responsabilità potenziale degli organismi professionali e quella degli Stati membri.

La distinzione tra regolazione statale e regolazione professionale adottata dai relativi Ordini, consente, quindi, di meglio delineare gli ambiti di azione riservati all’Autorità avuto riguardo al potere sanzionatorio ed al potere di segnalazione, dovendo e potendo il primo rivolgersi alle restrizioni introdotte dagli organismi professionali, ed il secondo alla regolazione statale, nella comune ottica del perseguimento delle finalità concorrenziali e dell’applicazione delle regole comunitarie della concorrenza attraverso la rimozione o la riforma nell’ordinamento statale delle restrizioni non giustificate o non proporzionale – in applicazione del test di proporzionalità, in base al quale le restrizioni devono essere oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale e costituire il meccanismo meno restrittivo per raggiungere tale obiettivo - in quanto non necessarie per l’interesse generale.

Sempre nell’ottica di un approccio di tipo sistematico, occorre ricordare il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale, accolto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984 della Corte Costituzionale, che afferma il principio fondamentale, ispirato alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, secondo cui i due ordinamenti, comunitario e statale, sono "distinti e al tempo stesso coordinati" e le norme del primo vengono, in forza dell'art. 11 della Costituzione, a ricevere diretta applicazione in quest'ultimo, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti statali. L'effetto di tale diretta applicazione - ha puntualizzato la Corte - non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest'ultima da parte del giudice nazionale al caso di specie oggetto della sua cognizione, che, pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario.

Delibata, quindi, alla luce delle considerazioni sopra illustrate, l’infondatezza delle esaminate censure, ragioni di coerenza espositiva e di logica sistematica suggeriscono di indirizzare la disamina – disattendendo l’ordine di relativa proposizione - alle doglianze volte a contestare la stessa possibilità per l’Autorità di esercitare il sindacato repressivo confluito nell’adozione del gravato provvedimento, attraverso l’affermata mancanza dei presupposti sia di ordine oggettivo che soggettivo che consentono di ravvisare un’ipotesi di intesa anticoncorrenziale.

La portata delle doglianze al riguardo articolate trova migliore possibilità di comprensione alla luce della precisazione, in punto di ricognizione del contenuto del gravato provvedimento, che l’Autorità ha ritenuto l’applicabilità della disciplina della concorrenza al Consiglio Nazionale dei Geologici nella considerazione che lo stesso, associando operatori economici qualificabili come imprese - in quanto offrono sul mercato in modo indipendente e stabile i propri servizi professionali - costituisce, a sua volta, un’associazione di imprese.

La natura di impresa dei professionisti, in particolare, è stata desunta dal fatto che i geologi prestano stabilmente, a titolo oneroso e in forma indipendente, i propri servizi professionali, svolgendo quindi attività economica ai sensi dei principi antitrust e potendo essere qualificati come imprese ai fini dell’applicazione delle disposizioni dettate in materia di concorrenza.

A sua volta, il codice deontologico dei geologi, in quanto adottato da un ente rappresentativo di imprese attive nella fornitura di servizi professionali in materia di geologia, è stato dall’Autorità considerato alla stregua di una deliberazione di un’associazione di imprese, suscettibile di essere sindacata ai sensi del diritto antitrust.

Avverso tale criterio di imputazione di una fattispecie di illecito anticoncorrenziale ad un Ordine professionale, per il tramite della equiparazione, effettuata dall’Autorità, tra impresa e lavoro autonomo intellettuale e professionale, e la conseguente assimilazione dell’Ordine Nazionale dei Geologi cui la condotta è riferita – pur essendo stato il codice deontologico deliberato dal Consiglio Nazionale dei Geologi - ad una associazione di imprese, invoca parte ricorrente le differenze strutturali, previste anche dalla normativa del codice civile, tra impresa commerciale, configurabile solo in presenza di un’attività economica organizzata ai fini della produzione e costituita da vari fattori di produzione, e lavoro autonomo professionale ed intellettuale, incentrato sulla personalità del professionista e che prescinde dalla compresenza o meno di fattori economici della produzione, al fine di affermare come un’intesa restrittiva della concorrenza possa configurarsi solo con riguardo alle imprese, preclusa essendo la sua riferibilità al Consiglio Nazionale dei Geologi il quale non svolge attività economico-commerciale volta esclusivamente al profitto ed al quale è peraltro estranea un’organizzazione in forma di impresa con annesso fatturato, avendo carattere istituzionale di ente pubblico non economico che svolge funzioni e prerogative istituzionali assegnategli dalla legge.

Le doglianze di parte ricorrente, come sopra sinteticamente riferite, trovano le ragioni della loro infondatezza alla luce dei principi comunitari che sanciscono l’applicazione della disciplina antitrust sia ai professionisti che agli enti di tipo associativo, anche ad appartenenza obbligatoria – quali gli ordini professionali del nostro ordinamento - che li rappresentano.

Giova, in proposito, richiamare, quanto alla giurisprudenza comunitaria, le pronunce rese dalla Corte di giustizia, e segnatamente, tra le più significative, le decisioni 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione/Italia;
12 settembre 2000, cause riunite da 180/98 a 184/98, P ed altri;
19 febbraio 2002, causa C-35/99, Procedimento penale a carico di Manuele Arduino;
19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters e altri v. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten;
5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla-Macrino, volte alla verifica di ipotesi di restrizioni alla concorrenza ed alla libera prestazione dei servizi per effetto della determinazione di tariffe stabilite da ordini professionali.

Inoltre, al pari della nozione di intesa o accordo, anche la nozione di impresa è estremamente ampia, riferendosi a qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di suo funzionamento (caso K H e F E v. Macrotron GmbH 23 aprile 1991, causa C-41/90), potendo essere considerate imprese anche le associazioni e le persone fisiche, ivi compresi i professionisti (caso P) che, se un tempo si riteneva non svolgessero attività commerciale, sono ora considerati impresa ai fini del diritto comunitario.

Se la nozione di impresa non è espressamente definita dal Trattato CE, secondo la Commissione Europea e la Corte di Giustizia il termine impresa deve essere inteso nella sua più ampia accezione, ricomprendendovi ogni entità impegnata in attività economiche, industriali e commerciali, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di funzionamento, con la conseguenza che ogni persona fisica o giuridica che partecipa ad un’attività economica è qualificabile come impresa, ivi compresi privati e liberi professionisti.

Nella citata sentenza Wouters, la Corte di Giustizia ha affermato che gli avvocati (olandesi) rientrano nella nozione di impresa, riconoscendo l’Ordine degli Avvocati come un’associazione di imprese ai fini del diritto comunitario, affermando la riconducibilità dei comportamenti delle organizzazioni professionali all’ambito di applicazione dell’art. 85, n. 1, del Trattato, dovendo essere considerate associazioni d’imprese.

La disamina della casistica trattata dalla Corte di Giustizia consente di delineare un preciso criterio di orientamento ai fini della individuazione della sussistenza di un’impresa, basato su di un’analisi funzionale del soggetto, dipendendo il carattere di impresa dalle funzioni concretamente esercitate, con la conseguenza che un medesimo soggetto potrà essere qualificato come impresa laddove eserciti determinate funzioni e non esserlo quando eserciti funzioni diverse.

La Corte di Giustizia ha adottato il medesimo criterio funzionale applicato alla nozione di impresa per definire l’associazione di imprese, considerando tali anche gli ordini professionali (caso P, caso Wouters), indifferente essendo, ai fini dell’applicazione della normativa antitrust, la forma giuridica, la mancanza di fini di lucro e l’eventuale riconoscimento di uno status pubblicistico.

La nozione di impresa, ai fini dell’applicazione della normativa antitrust, va quindi ricavata utilizzando i principi espressi in sede comunitaria, ivi compresi i criteri funzionali per la definizione della nozione di impresa, e ai quali l’Autorità è tenuta ad uniformarsi in virtù del disposto di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 287 del 1990, il quale prevede che “L'interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”.

Ciò, peraltro, coerentemente con il quadro ricostruttivo generale, in base al quale sussistono nell’ordinamento italiano diverse nozioni di impresa in funzione degli specifici assetti normativi regolativi – in base ai quali vengono delineate le nozioni di impresa commerciale, civilistica, tributaria, comunitaria - e degli interessi cui si intende dare sistemazione.

Ulteriore criterio ermeneutico che deve guidare nell’individuazione del contenuto della nozione di impresa, ai fini dell’applicazione della normativa dettata dalla legge n. 287 del 1990 – recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato – è la sussistenza di una sostanziale identità tra le previsioni di cui agli artt. 2 e 3 di tale legge e le disposizioni recate dagli art. 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che trovano puntuale elemento di raccordo nella citata previsione dettata dall’art. 1, comma 4, della legge n. 287 del 1990.

Ne consegue che, laddove l’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990, dispone che “sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari” deve farsi riferimento, per la nozione di impresa, a quella delineata dal diritto dell’Unione Europea, riferita a tutti i soggetti che svolgono attività economica e, quindi, attivi in un determinato mercato.

Sul punto, si è già peraltro pronunciata la Sezione (ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, I, 11 marzo 2005, n. 1809;
17 maggio 2006 n. 3543), affermando che la nozione di impresa ai fini antitrust può essere integrata anche da enti che, secondo gli altri rami del diritto, non configurerebbero delle imprese dal punto di vista giuridico-formale, essendo la nozione di impresa cui occorre fare riferimento per l'applicazione della legge n. 287 del 1990 quella risultante dal diritto comunitario, che si riferisce a tutti i soggetti che svolgano un'attività economica e, quindi, siano attivi su un determinato mercato, dovendo per l’effetto essere quindi considerati imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza anche gli esercenti le professioni intellettuali, dal momento che la loro attività consiste nell'offerta sul mercato dietro corrispettivo di prestazioni suscettibili di valutazione economica

Un analogo orientamento è stato di recente espresso dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, secondo cui, nell'ambito del diritto della concorrenza, con il termine impresa si designa qualsiasi ente che eserciti un'attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, e costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nel fornire prestazioni suscettibili di valutazione economica su un determinato mercato (Corte Giustizia CE, 10 gennaio 2006, n. 222).

Quanto alle associazioni di imprese, richiamato quanto sopra illustrato, va ulteriormente precisato che è indifferente lo svolgimento da parte delle stesse di attività di impresa o di attività latu sensu economica, essendo sufficiente che operino quali enti esponenziali e rappresentativi di interessi comuni di imprese che operano sul mercato, potendo avere la relativa attività come scopo o effetto di alterare la concorrenza nel mercato quando è rivolta all’interesse comune delle imprese associate, tramite, in particolare, l’elaborazione di interventi che possano limitare la libertà di concorrenza nel mercato di riferimento.

Gli assunti di parte ricorrente, invocati al fine di sostenere che gli Ordini professionali non possono essere considerati imprese e sarebbero, quindi, sottratti all’applicazione della normativa di tutela della concorrenza, trovano quindi smentita alla luce dell’orientamento espresso in sede comunitaria, recepito dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio – Roma – Sez. I, 27 marzo 1996 n. 476;
28 gennaio 2000, n. 466;
2001 n. 5486;
11 marzo 2005 n. 1809;
Cons. Stato – Sez. IV, 16 marzo 2004, n. 1344;
Sez. VI – 9 marzo 2007 n. 1099), in base al quale l’attività degli ordini professionali, in quanto volta a regolare ed orientare l’attività degli iscritti nell’offerta delle proprie prestazioni professionali, incide sugli aspetti economici della medesima, e può avere effetti restrittivi per la libera concorrenza, assumendo rilevanza ai fini dell’applicazione della disciplina antitrust, ricadendo nell’ambito di operatività delle norme del Trattato nella veste di associazioni di imprese.

Ciò in ragione dell’indubbia e ragionevolmente rinvenibile influenza esercitata dagli ordini professionali sui comportamenti, anche a contenuto economico, degli associati, in quanto esercitata da soggetti titolari di rilevanti poteri di rappresentanza istituzionale della categoria e di gestione, anche sotto il profilo disciplinare, avuto riguardo all’applicazione e all’osservanza delle norme deontologiche.

Deve, pertanto, ritenersi legittimo l’intervento dell'Autorità, nella sua funzione di garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, nei confronti dei Consigli Nazionali degli Ordini Professionali, nella specie dei geologi, costituendo orientamento generalmente condiviso che la nozione di impresa cui occorre fare riferimento per l'applicazione della legge n. 287 del 1990 è quella risultante dal diritto comunitario, riferita a tutti i soggetti che svolgono una attività economica e che, quindi, siano attivi su un determinato mercato, senza che, con tale orientamento, si intenda assimilare, ad ogni effetto, alle imprese commerciali altre attività che, come l'esercizio delle professioni intellettuali, siano caratterizzate da profili concettuali diversi, e che per tale ragione sono soggette a discipline privatistiche e pubblicistiche loro proprie. Si tratta del riconoscimento che il diritto comunitario, a partire dall'art. 85 del Trattato (ora 101 del TFUE) della Comunità Europea, nelle applicazioni effettuate in sede amministrativa dalla Commissione e in sede giurisdizionale dalla Corte di Giustizia, diritto espressamente richiamato per la materia in esame dall'art. 1, coma 4, della legge n. 287 del 1990, intende garantire al valore giuridico della libera concorrenza in tutti gli ambiti nei quali si realizzi la prestazione di beni o servizi dietro corresponsione di un corrispettivo in regime di libero mercato, in una prospettiva, di impianto eminentemente funzionale, sulla cui base risulta logico considerare gli esercenti delle professioni intellettuali quali imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, in quanto la loro attività consiste nella offerta sul mercato di prestazioni suscettibili di valutazione economica e di acquisto delle stesse dietro corrispettivo.

Né l'obiezione secondo cui i Consigli Nazionali degli ordini professionali non potrebbero farsi rientrare nella nozione di associazioni di imprese, in ragione della natura pubblicistica delle funzioni ad essi affidate dalla legge (tutela del decoro e dell'indipendenza della professione, poteri di vigilanza, poteri disciplinari), risulta idonea ad escludere la competenza dell'Autorità a valutarne i comportamenti lesivi della libera concorrenza eventualmente posti in essere dai Consigli medesimi.

Il dato rilevante in proposito, infatti, non va individuato nella possibilità di qualificare come attività economiche tutte le funzioni esplicate dai Consigli Nazionali, poiché a tale stregua, in presenza di compiti come la vigilanza sulla legalità dell'esercizio della professione, o il potere disciplinare, la tesi negativa sarebbe da condividere. Assume, invece, significato decisivo la circostanza che gli ordini professionali sono comunque enti pubblici associativi, espressione, degli esercenti una determinata professione, nei cui confronti l'ente svolge poteri autoritativi sia di vigilanza che di tutela delle ragioni economiche, cosicché non può escludersi che attraverso le deliberazioni dei Consigli possano realizzarsi forme di coordinamento delle condotte dei singoli professionisti suscettibili di assumere valenza anticoncorrenziale nel mercato considerato.

Perché tale evenienza sia, almeno astrattamente, configurabile - e la circostanza è di per sé sufficiente a radicare il potere di istruttoria dell'Autorità - non è necessario che, accanto al dato strutturale offerto dalla natura associativa, sia presente un dato funzionale, rappresentato dal fatto che l'ente abbia quale unico scopo il lucro o la tutela degli interessi economici della categoria. Risulta invece determinante che l'ente, in ragione della posizione che riveste nei confronti degli iscritti, sia nella condizione di orientarne i comportamenti per quanto attiene agli aspetti economici dell'attività professionale, anche eventualmente con effetti nocivi per la libera concorrenza.

Né le finalità pubblicistiche perseguite dagli ordini professionali valgono a sottrarli alla disciplina antitrust, stante l'espressa previsione di applicabilità della normativa di tutela della concorrenza anche alle imprese pubbliche (art. 8, comma l, della legge n. 287 del 1990), ricadendo tali ordini nell'area affidata alla cura dell'Autorità Garante in ragione della loro natura – indifferentemente privata o pubblica - di enti esponenziali di imprese, e quindi della loro capacità di influenza sullo specifico mercato.

Traendo le conclusioni da quanto sinora illustrato, può quindi affermarsi che nell’ambito della nozione di stampo eminentemente funzionale della nozione di impresa cui occorre fare riferimento per l’applicazione della legge n. 287 del 1990 - risultante dal diritto comunitario e riferita a tutti i soggetti che svolgono un’attività economica, come tali attivi su un determinato mercato – anche gli esercenti le professioni intellettuali devono essere considerati imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, dal momento che la loro attività consiste nell’offerta sul mercato dietro corrispettivo di prestazioni suscettibili di valutazione economica, mentre i relativi ordini professionali devono essere ritenuti associazioni di imprese, direttamente contemplate dall’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990 tra i soggetti destinatari dei divieti, da tale legge previsti, di accordi o pratiche restrittive della concorrenza.

Inoltre, sulla base dei principi dell'ordinamento comunitario, che in materia di disciplina della concorrenza costituiscono criteri di interpretazione delle norme contenute nella legge n. 287 del 1990, deve escludersi che possa assumere rilevanza la diversità di natura, pubblicistica o privata, non solo delle imprese (il che è espressamente statuito dall'art. 8 della legge), ma anche di ogni altro organismo in grado di influire sul comportamento delle medesime.

Ancora, costituendo gli ordini professionali degli enti pubblici associativi, espressione degli esercenti una determinata professione, nei confronti dei quali svolgono sia poteri autoritativi di vigilanza che compiti di tutela delle ragioni economiche, non può escludersi che attraverso le deliberazioni dei primi possano realizzarsi forme di coordinamento delle condotte dei singoli professionisti suscettibili di assumere valenza anticoncorrenziale, non potendo pertanto essi essere considerati estranei alla nozione di associazioni di imprese in ragione della natura pubblicistica delle funzioni loro affidate (tutela del decoro e dell’indipendenza della professione, poteri di vigilanza, poteri disciplinari), rivestendo rilievo determinante che l’ente, in ragione della posizione rivestita nei confronti degli iscritti, sia nella condizione di orientarne i comportamenti in ordine agli aspetti economici dell’attività professionale, irrilevante essendo che l’ente abbia quale proprio unico scopo la tutela degli interessi economici della categoria.

Ne discende che, in ragione del dato sostanziale dell'attitudine delle determinazioni dell'ente esponenziale ad orientare il comportamento degli appartenenti alla categoria, anche il comportamento del Consiglio nazionale di un ordine professionale può assumere rilievo ai fini dell’applicazione della legge n. 287, allorchè lo stesso ponga in essere comportamenti che risultino idonei a orientare il comportamento economico dei professionisti di riferimento.

I principi sopra illustrati sono ribaditi nella citata Comunicazione della Commissione Europea del 9 febbraio 2004 sulla concorrenza nei servizi professionali, la quale richiama la nozione di impresa come riferita a qualsiasi entità che eserciti un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (caso Hofner), mentre costituisce un'attività economica qualsiasi attività consistente nell'offrire beni o servizi su un mercato determinato (caso Commissione

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