TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2018-04-10, n. 201803942

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2018-04-10, n. 201803942
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201803942
Data del deposito : 10 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/04/2018

N. 03942/2018 REG.PROV.COLL.

N. 09068/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9068 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A A, rappresentato e difeso dall'avvocato E M Z, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Titomanlio in Roma, via Terenzio, n.7;

contro

Ministero della giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

per l'annullamento:

- del decreto del Ministero della giustizia 24 giugno 2009, nella parte in cui non riconosce al ricorrente la ricostruzione giuridica ed economica della carriera a far tempo dal mese di settembre 1997, con eccezione del periodo intercorrente dal mese di settembre 1998 al mese di novembre 1998, avendo in questi tre mesi percepito lo stipendio a seguito della riassunzione medio tempore disposta, nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente alla corresponsione degli stipendi non percepiti a far tempo dal mese di settembre 1997, con eccezione del periodo intercorrente dal mese di settembre 1998 al mese di novembre 1998, avendo in questi tre mesi percepito lo stipendio a seguito della riassunzione medio tempore disposta, oltre interessi e rivalutazione, nonchè per l'accertamento del diritto del ricorrente al riconoscimento dell'anzianità giuridica per lo stesso periodo ai fini previdenziali ovvero, in via gradata, per l'accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento del danno da esso patito a causa della sua ritardata riassunzione in servizio, da parametrare sulla base degli stipendi non percepiti e della mancata progressione della carriera, ovvero da liquidare secondo i criteri di cui all'art. 35 del d.lgs. 80/98 come novellato dalla l. 205/00, oppure in via equitativa ( RICORSO );

- del provvedimento del Ministero della giustizia - DAP n. 44467/Fasc. del 30 gennaio 2010, con il quale si dispone la promozione del ricorrente ad agente scelto con decorrenza giuridica ed economica dal 2 luglio 2005, nonché per l’accertamento del diritto del medesimo al conseguimento della qualifica in parola a far tempo dal 2 marzo 2003 e della qualifica di assistente a far tempo dal 2 marzo 2008, con conseguente riconoscimento della decorrenza giuridica ed economica dalle rispettive date, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 443/92 ( MOTIVI AGGIUNTI ).


Visto il ricorso;

Visto l’atto di proposizione di motivi aggiunti;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il cons. A B e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente risultava vincitore del corso concorso bandito con decreto 12 novembre 1996 per l’assunzione nel ruolo degli agenti di Polizia penitenziaria, e veniva ammesso nel settembre 1997 alla frequenza del relativo corso di formazione, da cui veniva escluso dopo tre mesi con decreto 30 settembre 19997 per mancanza dei requisiti di partecipazione.

Il ricorrente impugnava il provvedimento di esclusione innanzi a questo Tribunale, che con ordinanza n. 618/1998 concedeva la misura cautelare.

Il ricorrente veniva pertanto riammesso al corso nel mese di settembre 1998, venendone nuovamente escluso per effetto dell’ordinanza n. 1893/98 del Consiglio di Stato, che riformava l’ordinanza cautelare di primo grado all’esito dell’appello proposto dall’Amministrazione.

Con sentenza n. 6603/2000 questo Tribunale accoglieva il ricorso.

Con decreto 29 settembre 2000 il ricorrente veniva indi riammesso al corso, con riserva, con decorrenza giuridica da quella data e decorrenza economica alla data di presentazione in servizio.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 2917/2009 respingeva l’appello proposto dall’Amministrazione avverso la sentenza n. 6603/2000.

In esecuzione di tale pronunzia, a scioglimento della predetta riserva, con decreto 24 giugno 2009 il Ministero della giustizia confermava la nomina del ricorrente nel ruolo degli agenti di Polizia penitenziaria, con decorrenza giuridica 29 settembre 2000 ed economica 17 ottobre 2000, data in cui l’interessato si è presentato in servizio.

Con l’atto introduttivo del presente giudizio l’interessato ha domandato, denunziandone l’illegittimità, l’annullamento del predetto decreto 24 giugno 2009, nella parte in cui non gli riconosce la ricostruzione giuridica ed economica della carriera a far tempo dal mese di settembre 1997, con eccezione del periodo intercorrente dal mese di settembre 1998 al mese di novembre 1998, avendo in questi tre mesi percepito lo stipendio a seguito della riassunzione medio tempore di cui sopra.

Il ricorrente ha altresì domandato l'accertamento del suo diritto alla corresponsione degli stipendi non percepiti a far tempo dal mese di settembre 1997 (sempre con eccezione del periodo intercorrente dal mese di settembre 1998 al mese di novembre 1998), oltre interessi e rivalutazione, e al riconoscimento dell'anzianità giuridica per lo stesso periodo ai fini previdenziali.

Infine, in via gradata, il ricorrente ha domandato l'accertamento del suo diritto al risarcimento del danno subito a causa della ritardata riassunzione in servizio, da liquidare o sulla base degli stipendi non percepiti e della mancata progressione della carriera, o secondo i criteri di cui all'art. 35 del d.lgs. 80/98 come novellato dalla l. 205/00, ovvero ancora in via equitativa.

A sostegno dell’azione il ricorrente ha dedotto le censure di violazione della sentenza del Tar Lazio n. 6603/2000 e della sentenza del Consiglio di Stato n. 2917/2009, nonché di violazione del principio della restitutio in integrum .

Per il ricorrente, il provvedimento sarebbe illegittimo avendo omesso di riconoscere sotto il profilo giuridico ed economico il lasso di tempo durante il quale non ha potuto percepire stipendi e maturare anzianità di servizio esclusivamente a causa dell’illegittimo provvedimento di esclusione e del pervicace comportamento dell’Amministrazione, che avendo fatto libero esercizio del diritto di gravame, sarebbe chiamata a rispondere ex post e con effetti retroattivi, quanto meno dalla data di proposizione del ricorso, per il periodo in cui l’efficacia del provvedimento poi dichiarato illegittimo ha espletato i suoi effetti.

Quanto alla subordinata domanda di risarcimento del danno per equivalente, il ricorrente evidenzia che la responsabilità dell’Amministrazione è stata accertata in tutti e due i gradi del giudizio amministrativo.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione, concludendo per il rigetto del ricorso, di cui ha illustrato l’infondatezza.

Con ordinanza 4 dicembre 2009, n. 5676, la domanda cautelare formulata in ricorso è stata respinta.

Nel prosieguo, il ricorrente ha domandato con mezzi aggiunti l’annullamento del provvedimento del Ministero della giustizia - DAP n. 44467 del 30 gennaio 2010, che, in sede di ricostruzione della carriera, ha disposto la sua promozione ad agente scelto con decorrenza giuridica ed economica dal 2 luglio 2005, e l’accertamento del suo diritto al conseguimento della qualifica in parola a far tempo dal 2 marzo 2003 e della qualifica di assistente a far tempo dal 2 marzo 2008, con conseguente riconoscimento della decorrenza giuridica ed economica dalle rispettive date.

Queste le censure.

1) Violazione dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 443/92, di eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e difetto di istruttoria e di motivazione, di illegittimità derivata.

Alla retrodatazione dell’anzianità di servizio rivendicata con l’atto introduttivo del giudizio conseguirebbe anche la retrodatazione della nomina ad agente scelto, decorsi i cinque anni di legge.

Il provvedimento sarebbe poi comunque illegittimo, non essendo stato valutato ai fini della nomina ad agente scelto il pregresso servizio prestato dal ricorrente nella Marina Militare dal 20 ottobre 1989 al 31 ottobre 1994, da computarsi per la metà, con la conseguenza che, in ogni caso, tale avanzamento scatterebbe dopo due anni e mezzo (marzo 2003) e non dopo un quinquennio.

Con l’ulteriore conseguenza della spettanza al ricorrente, dopo un ulteriore quinquennio, dell’avanzamento ad assistente, dal marzo 2008.

2) Violazione della sentenza del Tar Lazio n. 6603/2000 e della sentenza del Consiglio di Stato n. 2917/2009 - Violazione del principio della restitutio in integrum – Illegittimità derivata.

Il provvedimento sarebbe affetto in via derivata dai vizi già denunziati con il ricorso.

Il ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive.

La controversia è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 febbraio 2018.

DIRITTO

1. Il ricorrente, con l’atto introduttivo del giudizio, ha gravato il decreto 24 giugno 2009 del Ministero della giustizia, che sciogliendo la riserva di cui era corredato il precedente provvedimento del 29 settembre 2000, ha confermato la nomina del ricorrente nel ruolo degli agenti di Polizia penitenziaria, con decorrenza giuridica 29 settembre 2000 ed economica 17 ottobre 2000.

A sostegno dell’azione il ricorrente espone, in fatto, di essere risultato vincitore del corso concorso bandito con decreto 12 novembre 1996 per l’assunzione nel ruolo degli agenti di Polizia penitenziaria, e di essere stato ammesso nel settembre 1997 alla frequenza del relativo corso di formazione, da cui veniva escluso dopo tre mesi con decreto 30 settembre 1997 per mancanza dei requisiti di partecipazione, che egli ha impugnato innanzi a questo Tribunale, che con ordinanza n. 618/1998 ha concesso la richiesta misura cautelare.

Il ricorrente è stato pertanto riammesso al corso nel mese di settembre 1998, venendone nuovamente escluso per effetto dell’ordinanza n. 1893/98 del Consiglio di Stato, che ha riformato l’ordinanza cautelare di primo grado all’esito dell’appello proposto dall’Amministrazione.

Nel prosieguo, con sentenza n. 6603/2000 questo Tribunale ha accolto nel merito il ricorso, e, per l’effetto, con decreto 29 settembre 2000, il ricorrente è stato riammesso al corso, con riserva, con decorrenza giuridica da quella data e decorrenza economica alla data di presentazione in servizio (17 ottobre 2000).

Il Consiglio di Stato, infine, con sentenza n. 2917/2009, ha respinto l’appello proposto dall’Amministrazione avverso la sentenza n. 6603/2000.

Da qui il gravato provvedimento di nomina, a scioglimento della riserva, del 24 giugno 2009.

2. Secondo il ricorrente, tale provvedimento 24 giugno 2009 avrebbe dovuto ricostruire la sua carriera, sia sotto il profilo giuridico che sotto quello economico, a far tempo dal mese di settembre 1997 (data della sua illegittima esclusione dal corso), con eccezione del periodo intercorrente dal mese di settembre 1998 al mese di novembre 1998, in cui ha percepito lo stipendio a seguito della riassunzione medio tempore di cui sopra, in dipendenza della misura cautelare concessa da questo Tribunale, poi annullata dal Consiglio di Stato.

3. La pretesa è infondata.

Il Collegio non ravvisa in primo luogo la ventilata violazione, a opera del gravato provvedimento, delle citate sentenze del giudice amministrativo.

La sentenza n. 6603/2000 di questo Tribunale si è infatti limitata ad annullare il decreto del Ministero di grazia e giustizia 30 settembre 1997, che aveva escluso il ricorrente dall’arruolamento nel Corpo di polizia penitenziaria, senza dettare alcuna ulteriore prescrizione in merito alle modalità di reintegrazione della posizione giuridica dell’interessato.

Altrettanto è a dirsi per la sentenza n. 2917/2009 del Consiglio di Stato, che ha respinto l’appello proposto dall’Amministrazione avverso la sentenza di primo grado.

Il bene della vita assicurato al ricorrente dalle statuizioni giudiziali, tenuto conto degli elementi di cui sopra, e, quindi, dell’afferenza del contenzioso alla esclusiva fase provvedimentale relativa all’esclusione del ricorrente dal corso di formazione, oggetto di annullamento giudiziale, è, pertanto, l’ammissione dell’interessato al corso e, indi, al servizio, utilità che risulta assicurata dal provvedimento gravato, il quale, una volta formatosi il giudicato, ottemperando alle suindicate decisioni, ha confermato la reintegra disposta con riserva dopo la favorevole statuizione di primo grado.

Né risulta utilmente invocabile il principio della restitutio in integrum .

Correttamente, infatti, la difesa erariale rileva che la giurisprudenza amministrativa, tradizionalmente, distingue tra illegittima interruzione di un rapporto di impiego in atto e illegittima mancata costituzione ex novo del rapporto di impiego (fattispecie qui ricorrente), e riconosce solo nel primo caso una piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente (C. Stato, VI, n. 546/1969;
n. 2967/2000;
n. 49/2001;
V, n. 2286/2001), e ciò in particolare affermando che la restitutio in integrum , agli effetti economici e giuridici, spetta al pubblico dipendente nel caso di sentenza che abbia accertato l'illegittima interruzione del rapporto di lavoro già in corso e non anche nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto stesso (C. Stato, VI, n. 2584/2006).

Ne consegue che la restitutio in integrum , cioè l'integrale ricostruzione degli effetti economici della posizione del pubblico dipendente, è ammessa nei soli casi in cui vi sia stata un'illegittima interruzione o sospensione di un rapporto già costituito e non laddove vi sia stata una mancata o tardiva immissione in ruolo, e ciò in dipendenza della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e dell'attività di servizio, il che impedisce il parallelismo tra interruzione del rapporto già in atto e che doveva altrimenti proseguire, rispetto ad un rapporto non ancora costituito e mai svolto (C. Stato, A.P., n. 10/1991;
IV, n. 1607/2017;
III, n. 955/2017;
n. 616/2018).

In ogni caso, poi, il diritto alla retrodatazione della nomina per effetto di giudicato non involve nel diritto alle retribuzioni arretrate, atteso che la fictio juris della retrodatazione non può mai far considerare come avvenuta la prestazione del servizio, cui l'ordinamento ricollega il diritto alla retribuzione (C. Stato, IV, n. 58/1987;
A. P., n. 10/1991;
VI, n. 3669/2001).

Di talchè, comunque, in caso di costituzione del rapporto di pubblico impiego che si verifichi a seguito di annullamento giurisdizionale dell'atto di esclusione dell'interessato dalla procedura concorsuale, gli effetti economici decorrono dalla data di effettivo inizio delle prestazioni lavorative da parte del dipendente.

In altre parole, l’obbligo di retribuzione della prestazione lavorativa sorge solo con il perfezionamento degli atti costitutivi del rapporto di impiego e in presenza, in base al principio di sinallagmaticità, dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa (C. Stato, VI, n. 4908/2005).

4. Escluso, alla luce di tutto quanto sopra, che possa pervenirsi all’annullamento in parte qua del decreto 24 giugno 2009, che non risulta in contrasto né con l’esito della controversia che ha contrapposto il ricorrente al Ministero della giustizia, né con i principi della restitutio in integrum , va esaminata la domanda, pure contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, di risarcimento del danno subito dal ricorrente a causa della sua ritardata riassunzione in servizio, da liquidare sulla base degli stipendi non percepiti e della mancata progressione della carriera, ovvero secondo i criteri di cui all'art. 35 del d.lgs. 80/98 come novellato dalla l. 205/00, ovvero ancora in via equitativa.

A sostegno della domanda, il ricorrente evidenzia, quanto al profilo della colpa, che la responsabilità dell’Amministrazione è stata accertata in tutti e due i gradi del giudizio amministrativo.

Osserva il Collegio che, per giurisprudenza amministrativa ormai consolidata (per tutte, C. Stato, VI, n. 2306/2007;
IV, n. 1347/2016), nel giudizio diretto a ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno che derivi da un provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi a invocare l'illegittimità di carattere sostanziale dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento.

Ciò posto, il Collegio reputa sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile, conformemente alla prospettazione dell’Amministrazione resistente.

Come emerge dalle sue sentenze di cui sopra, il provvedimento di esclusione subito dal ricorrente nel 1997 è stato motivato con la mancanza dei requisiti di moralità e di condotta di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, richiamato dalla l. 53/89, essendo emerso dalle informazioni assunte dall’Amministrazione che il padre era stato arrestato per reati inerenti stupefacenti, che alla madre erano imputabili numerosi precedenti penali, e che la sorella risultava coniugata con un pluripregiudicato appartenente a un clan camorristico.

Al riguardo, si osserva che l'art. 26 della l. n. 53 del 1989 prevedeva per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e delle altre Forze di polizia indicate dall'art. 16 della legge n. 121 del 1981 - tra cui il Corpo degli agenti di custodia, divenuto poi Corpo di polizia penitenziaria - il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione al concorso per l'accesso alla magistratura ordinaria dall'art. 124 del r.d. n. 12 del 1941, che, all'ultimo comma, disponeva l'esclusione di coloro che non risultassero, per le informazioni assunte, di moralità e condotta incensurabili e appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa.

Questo sistema normativo è stato espressamente confermato, nell'ambito della disciplina del pubblico impiego, dall'art. 41, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (poi trasfuso nell'art. 36, comma 6, del decreto dagli artt. 22 e 43 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), che ha stabilito che “ai fini delle assunzioni presso (...) le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia si applica il disposto di cui all'art. 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53”.

L'art. 26 in parola, nonché, in via consequenziale, l'art. 124 del r.d. n. 12 del 1941 (poi abrogato dal d.lgs. 160/2006), sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, con sentenza del Giudice delle leggi n. 108 del 1994, nella parte in cui prescrivevano, ai fini dell'accesso ai ruoli, il requisito dell'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa.

Tuttavia, successivamente a tale pronuncia, l'art. 6, comma 2, del d.lgs. 17 novembre 1997, n. 398, ha sostituito il terzo comma (divenuto settimo comma a seguito delle modifiche introdotte dallo stesso art. 6, comma 1) del citato art. 124, la cui nuova formulazione richiedeva, oltre alla condotta incensurabile del candidato, l'insussistenza di rapporti di parentela, negli indicato limiti, con persone condannate per taluno dei delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p..

Infine, la Corte costituzionale, con sentenza n. 391 del 13-28 luglio 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della appena detta disposizione, nella parte in cui ha previsto la mancata ammissione al concorso dei candidati i cui parenti, in linea retta entro il primo grado ed in linea collaterale entro il secondo, hanno riportato condanne per taluno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p..

Quanto sin qui riferito attesta che, all’atto della esclusione del ricorrente, nel settembre 1997, e negli anni immediatamente successivi, fino alla predetta pronunzia del giudice delle leggi del 2000, il quadro normativo afferente la problematica investita dalla causa di esclusione del ricorrente, ancorchè già interessata da una sentenza del Giudice delle leggi del 1994, non poteva dirsi compiutamente delineata - come testimoniato, in ultima analisi, proprio dall’ordinanza cautelare di appello n. 1893/1998 - essendo oggetto di un processo in divenire in sede legislativa, i cui termini, ancorchè insuscettibili in definitiva di legittimare l’operato dell’Amministrazione (tant’è che la controversia si è risolta a favore del ricorrente in entrambi i gradi del giudizio di merito), risultano quantomeno idonei a giustificare la posizione assunta dall’Amministrazione stessa in ordine al convincimento della sussistenza di possibili influenze negative sulla formazione del candidato, che ha permeato non solo il provvedimento esclusivo, ma anche le difese svolte in sede giudiziale, che, vieppiù, come visto, seppur per un breve periodo, hanno trovato una eco favorevole.

Ne consegue che l’operato dell’Amministrazione può ritenersi scusabile ai fini della odierna valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, quale presupposto del risarcimento del danno ex art. 20143 c.c..

Manca, pertanto, uno degli elementi necessari per riconoscere al ricorrente il richiesto diritto al risarcimento.

5. Per tutto quanto precede, l’atto introduttivo del giudizio va respinto sia quanto alla domanda demolitoria che quanto alla domanda risarcitoria.

6. Si passa alla disamina dei mezzi aggiunti, con cui il ricorrente ha avversato il provvedimento del Ministero della giustizia - DAP n. 44467 del 30 gennaio 2010, che, in sede di ricostruzione della carriera, ha disposto la sua promozione ad agente scelto con decorrenza giuridica ed economica dal 2 luglio 2005.

Al riguardo, va escluso che il predetto decreto possa ritenersi affetto in via derivata dai vizi denunziati con il ricorso, risultati come sopra insussistenti, con la conseguenza di far escludere l’obbligo dell’Amministrazione di retrodatare la nomina ad agente scelto, quale conseguenza della retrodatazione della prima nomina.

Risulta, invece, fondata la censura con cui il ricorrente sostiene che il sopravvenuto provvedimento del 30 gennaio 2010 sarebbe in ogni caso illegittimo, per mancata valutazione ai fini della nomina ad agente scelto del pregresso servizio prestato dal ricorrente nella Marina Militare dal 20 ottobre 1989 al 31 ottobre 1994, da computarsi per la metà, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 443/92, secondo cui “ il servizio prestato in ferma volontaria o in rafferma della forza armata di provenienza è utile, per la metà e per non oltre tre anni, ai fini dell'avanzamento nel Corpo di polizia penitenziaria ”.

Invero, l’Amministrazione non ha offerto alcun elemento idoneo, né nel provvedimento gravato con i motivi aggiunti nè nella presente sede, a dare contezza della mancata applicazione alla fattispecie della predetta disposizione, e ciò nonostante la posizione assunta dalla Direzione della Casa circondariale di Bologna nella nota 14 ottobre 2009, n. 2493 (in atti), trasmessa all’interessato quale comunicazione di avvio del procedimento, che, nel trasmettere al DAP la pratica relativa all’avanzamento del ricorrente, segnalava l’applicazione della norma di cui sopra, avendo il medesimo “prestato servizi nelle FF.AA., come si evince dall’unita copia del foglio matricolare rilasciata dal competente Distretto Militare”.

7. Alle rassegnate conclusioni consegue l’accoglimento parziale dei motivi aggiunti, e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento del Ministero della giustizia - DAP n. 44467 del 30 gennaio 2010, nella parte in cui non riconosce al ricorrente l’applicazione della diposizione di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. 443/92.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.

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