TAR Latina, sez. I, sentenza 2023-01-23, n. 202300029

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Latina, sez. I, sentenza 2023-01-23, n. 202300029
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Latina
Numero : 202300029
Data del deposito : 23 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2023

N. 00029/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00854/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 854 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, nella qualità di amministratore di sostegno della sig.ra C.P., rappresentato e difeso dall'avvocato C F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone, 28;

contro

Comune di Formia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale in Formia, piazza Municipio, 1;

per l'annullamento

- dell'Ordinanza n. XX del XX/09/2017 notificata il successivo XX/09/2017, con cui il Dirigente del Settore Urbanistica e Edilizia – Servizio Vincoli – del Comune di Formia ha rigettato l'istanza di condono edilizia acquisita agli atti comunali con prot. XX, prat. XX/95 del XX/03/1995 “e con essa la domanda di condono edilizio ai sensi della L.n. 47/1985 presentata in data XX.03.1986 prot. n. XX pratica n. XX per la porzione relativa al manufatto di cui in narrativa, in quanto trattasi di istanza non suscettibile di accoglimento ai sensi dell'art. 33, L. n. 47/85”,

- di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compresa la nota prot. n. XX del XX/03/2017 del Dirigente del Settore Urbanistica e Edilizia – Servizio Vincoli di comunicazione del preavviso di rigetto della domanda di condono acquisita con prot. n. XX del XX/03/1995.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Formia, con la relativa documentazione;

Vista l’ordinanza collegiale n. 336/2022 del 6 aprile 2022;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 15 dicembre 2022 il dott. Ivo Correale e udito per la parte ricorrente il difensore, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con rituale ricorso a questo Tribunale, il sig. -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di sostegno della sig.ra C.P., chiedeva l’annullamento dell’ordinanza in epigrafe, con la quale il Comune di Formia aveva rigettato l’istanza di condono edilizio per i manufatti ivi descritti, perché ricadenti in zona vincolata ai sensi della l. n. 1089/1939 per scopi archeologici, in zona “A” di P.R.G. vigente - che prescriveva l’inedificabilità assoluta di rispetto archeologico in cui era consentito solo il risanamento conservativo dei reperti archeologici esistenti – in fascia di rispetto del sepolcro denominato “Tomba di Cicerone”, con vincolo anche ex l. n. 1497/1939, in riferimento a richiamata c.t.u. in procedimento penale a carico dell’originario autore dell’abuso.

Il ricorrente, specificando che la sig,ra P. era coniuge del deceduto marito e proprietaria dell’appezzamento di terreno su cui erano stati realizzati due fabbricati oggetto di domanda di condono, descriveva i due immobili, ammettendone la distanza di 45 metri dal suddetto sepolcro. Precisava anche che, alla prima istanza di condono per entrambi i manufatti, era seguita la necessità di rifare la copertura di uno, ormai fatiscente, mediante la realizzazione di un tetto a due falde in “laterocemento”, per il quale era stata presentata una ulteriore domanda di condono edilizio in data XX marzo 1995. Da un sopralluogo dell’Ufficio tecnico comunale erano scaturite un’ordinanza di demolizione di tale ultimo manufatto, un procedimento penale a carico dell’autore, l’avvio del procedimento di rigetto del condono chiesto nel 1995.

In sintesi, il ricorrente lamentava quanto segue.

I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti;
violazione e falsa applicazione art. 2, l. n. 241/1990;
eccesso di potere per istruttoria carente e insufficiente;
eccesso di potere per violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della p.a.;
violazione art. 97 Cost
.”.

Il Comune aveva errato nel ritenere che, con l’istanza di condono edilizio acquisita agli atti il XX marzo 1995, si sarebbe reiterata la domanda di condono edilizio del XX marzo 1986. In realtà, con la prima, era stata chiesta la sanatoria edilizia per i due fabbricati (distinti “al sub X e X”), edificati in assenza di titolo edilizio abilitativo, mentre con la seconda, era stata richiesta la sanatoria del diverso abuso costituito dalla sostituzione della originaria copertura del fabbricato distinto al sub X con un tetto a due falde in “laterocemento”, erroneamente, peraltro, ritenuta comportante un incremento di altezza.

Era stata richiesta, quindi, la sanatoria edilizia di due distinti abusi, ancorché relativi al medesimo fabbricato, eseguiti in periodi diversi, per ciascuno dei quali il Comune di Formia avrebbe dovuto svolgere una specifica e autonoma istruttoria, con conseguente erroneità dei presupposti.

II. Violazione e falsa applicazione art. 10 bis l.n. 241/1990 e ss.mm.ii.;
eccesso di potere per violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a.;
violazione art. 97 Cost.
”.

Incoerentemente con la comunicazione di avvio, che si riferiva alla domanda del 1995, il Comune aveva equivocato nell’identificare l’oggetto della domanda di condono, pronunciandosi anche su quella del 1986, ritenendo che si era dato luogo a una costruzione “ex novo”, in mancanza del prescritto contradditorio procedimentale su di essa. Il Comune avrebbe dovuto limitarsi invece ad adottare il provvedimento finale solo sulla domanda di condono del 1995, come preannunciato ex art. 10 bis l. n. 241/1990.

III. Violazione e falsa applicazione art. 3, l. n. 241/1990;
eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria;
eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifesta
”.

Il Comune, a sostegno del diniego e della dedotta inedificabilità assoluta, richiamava l’applicazione dell’art. 33 l. n. 47/1985, senza indicare, però, il riferimento al comma 1 o al comma 2 di tale articolo. Contraddittorietà era individuata tra il riferimento alla c.t.u. penale, in cui si richiamava il comma 2 e le leggi nn. 1089/1939 e 1497/1939, senza indicare però i decreti appositivi del vincolo, e tra il richiamo al fatto che gli abusi ricadevano in zona “A” di P.R.G. in cui era consentito soltanto il restauro conservativo dei reperti archeologici esistenti.

IV. violazione e falsa applicazione artt. 32 e 33, l. n. 47/1985;
eccesso di potere per falsità ed erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, per travisamento dei fatti;
eccesso di potere per istruttoria carente e insufficiente;
eccesso di potere per illogicità e irrazionalità manifesta
”.

Nel merito, parte ricorrente escludeva che l’area su cui sorgevano gli immobili ricadeva sotto un vincolo ex l. n. 1089/1939, come da relativo decreto ministeriale acquisito, che non imponeva alcun vincolo di rispetto su tale area.

Erano invece ammesse le circostanze per cui esisteva un vincolo ex l. n. 1497/1939, la zona ricadeva in “A” del P.R.G., di interesse archeologico sottoposto a vincolo paesistico ai sensi del d.l. n. 312/1985 conv. in l.n. 431/1985 in forza del P.T.P. n. 14 Ponza-Gaeta-Cassino, approvato con la l.r. Lazio n. 24/1998, in area archeologica tutelata per legge ai sensi dell’art. 142, comma 1, d.lgs. n. 42/2004 dal P.T.P.R. adottato con Del. G.R. Lazio n. 556 del 25/07/2007 e 1025 del 21/12/2007.

Osservava il ricorrente che il vincolo di inedificabilità assoluto a tutela degli interessi archeologici era stato impresso per la prima volta solo con il P.R.G. approvato nel 1980 e, dunque, successivamente alla commissione del “primo” abuso, avvenuto nell’anno 1965, come agevolmente riscontrabile da molteplici elementi probatori richiamati, per cui non poteva richiamarsi l’applicazione del divieto stabilito dall’art. 33, comma 1, l. n. 47/1985 e il fabbricato era suscettibile di sanatoria edilizia, previo ovviamente parere di compatibilità con il vincolo archeologico e paesaggistico, giusto quanto prescrive l’art. 32, l. n. 47/1985.

V. Violazione e falsa applicazione artt. 32 e 33, l. n. 47/1985, art. 39, l. n. 724/1994;
eccesso di potere per falsità ed erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, per travisamento dei fatti;
eccesso di potere per istruttoria carente e insufficiente;
eccesso di potere per illogicità e irrazionalità manifesta
”.

Riguardo al diniego opposto per la domanda del 1995, il ricorrente osservava che l’intervento di rifacimento del solaio di copertura mediante la realizzazione di un tetto a due falde era riconducibile ad un intervento di manutenzione straordinaria o tutt’al più di risanamento conservativo, ma non di ampliamento con incremento della volumetria, come ritenuto dal Comune di Formia che rinviava alla ordinanza sindacale n. XX del 1995 per identificare le opere abusive oggetto dell’istanza di condono. In realtà, il preteso incremento di volume dipendeva da un innalzamento della struttura al colmo e alla falda del tetto di appena cm 50/60 e tale maggiore altezza interna, invero, si era resa

necessaria per assicurare la stabilità del nuovo tetto a due falde in “laterocemento”, in sostituzione della precedente copertura in pali di legno e traversine con soprastante copertura in “eternit”, materiale, quest’ultimo, in quanto tale, da sostituire comunque per ragioni di igiene e salubrità, fermo restando che il parere dell’Autorità preposta all’applicazione del vincolo non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte, ex art. 39 l. n. 724/1994.

Si costituiva in giudizio il Comune di Formia per resistere al ricorso, depositando documentazione.

In prossimità della trattazione di merito del 23 febbraio 2022, parte ricorrente depositava una memoria in cui riassumeva le sue tesi.

Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione disponeva a carico del Comune di depositare una relazione di chiarimenti, corredata da documentazione, centrata sulla sussistenza di eventuali procedimenti di autorizzazione paesaggistica e relativi provvedimenti, nonché sulla conformazione del P.R.G. e relativi vincoli di inedificabilità interessanti l’area catastale di proprietà del soggetto rappresentato dal ricorrente, con riferimento all’epoca di costituzione di detti vincoli in rapporto all’epoca di costruzione dei manufatti oggetto della domanda di sanatoria.

In prossimità della nuova udienza del 19 ottobre 2022, parte ricorrente depositava una nuova memoria in cui si riportava a quanto illustrato in precedenza, ma, su istanza di parte, in quanto il Comune di Formia ottemperava all’ordine istruttorio in data 17 ottobre 2022, era disposto il rinvio dell’udienza in questione.

Parte ricorrente depositava un’ulteriore memoria in cui insisteva nelle sue tesi e, alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

Vi è da osservare che nell’ordinanza n. XX/1995, recante sospensione dei lavori e demolizione, l’oggetto era indicato nella riscontrata esecuzione “ex novo” di una muratura perimetrale in blocchi di cemento poggiata su porzioni di muratura di “…un preesistente manufatto (oggetto di istanza di sanatoria ai sensi della legge 47/85 e del quale oggi restano solo alcuni tratti di tramezzature interne)…la nuova costruzione è coperta da solaio di copertura a due falde in latero-cemento, realizzato di recente…”. Tale ordinanza definiva, dunque, il perimetro delle opere riscontrate e non risulta impugnata o annullata, ponendo in evidenza come il precedente manufatto era ormai quasi sostituito da quello nuovo, la cui copertura era solo una parte.

La circostanza è confermata da sopralluogo di tecnici comunali del 21 dicembre 1994, refertato il giorno successivo, in cui si attesta che risultava una domanda di sanatoria pendente relativa a manufatto costituito da “murature perimetrale in blocchi di cemento e vecchio tetto precario in fogli di eternit e assi in legno”, per il quale vi era stata domanda di sostituzione in data 11 marzo 1994. All’atto del sopralluogo, però, risultava la realizzazione abusiva di una “…costruzione ex novo, edificata con muratura perimetrale in blocchi di cemento poggiata su porzioni delle vecchie e precedenti murature e con n. 3 pilastri interni centrali in c.a. La nuova costruzione, di pari dimensioni di ml 9,10 x 7,20 circa, è coperta da solaio di copertura a due falde in latero-cemento, realizzata il giorno precedente, come dichiarato dall’interessato;
si riscontra un aumento di volume rispetto al manufatto preesistente, dovuta alle maggiori altezze interne, pari a ml. 3,10 circa al colmo e ml. 2,50 circa ai laterali esto e ovest…” Era ribadito che l’opera ricadeva in zona vincolata ex l. n. 1497/1939 e posta nella fascia di rispetto della zona archeologica denominata “Tomba di Cicerone” e, quindi, posta sotto sequestro.

La stessa c.t.u. nel processo penale confermava che sulla zona gravava sia il vincolo ex l. n. 1497/1939 che quello ex l. n. 1089/1939 di valore archeologico. Lo stesso Consulente confermava che l’11 marzo 1994 l’interessato aveva chiesto l’autorizzazione per la sostituzione del tetto, non concessa per l’assenza del prescritto “nulla osta” per il succitato vincolo delle competenti autorità.

Era poi rilevato, sì, che le mura portanti non erano state appoggiate su quelle vecchie e che l’edificio preesistente era stato modificato solo nell’altezza, ma anche che risultavano realizzati “ex novo” tre pilastri in c.a. oltre al solaio di copertura in “laterocemento”. La zona era anche “a rischio sismico” e il Consulente concludeva per la sussumibilità dell’abuso nell’alveo del comma 2 dell’art. 33 l. n. 724/94.

Ebbene, sulla base di tali presupposti, il Collegio rileva che il provvedimento impugnato appare esente dalla censura di cui al primo motivo, in quanto la motivazione del diniego, legata al richiamo a vincolo di inedificabilità assoluta, si lega a entrambi i manufatti su cui era chiesta la sanatoria, senza che fosse necessario alcun supplemento di istruttoria su quella del 1986.

Inoltre – osserva il Collegio – se pure la tesi di parte ricorrente fosse condivisibile e il provvedimento impugnato avrebbe dovuto esplicitamente pronunciarsi anche sulla “prima” domanda di condono, ciò non si rifletterebbe sulla legittimità del diniego sulla seconda, ma, semmai, configurerebbe un provvedimento a contenuto parziale, non escluso dall’ordinamento per il generale principio di conservazione degli atti amministrativi (TAR Veneto, Ve, Sez. II, 29.10.19, n. 1164).

Quanto ora indicato si riflette anche sull’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

La sussistenza dei plurimi vincoli era ben nota a parte ricorrente, anche in virtù del richiamato processo penale, e se pur nella comunicazione di partecipazione procedimentale fosse stata inglobata anche la “prima” domanda, l’esito del diniego non sarebbe potuto essere diverso, ai sensi dell’art. 21 octies l. n. 241/1990.

In sostanza, il provvedimento di diniego di condono edilizio costituisce un provvedimento vincolato, così ché l'omessa comunicazione del preavviso di diniego non esplica, in base al principio di cui all' art. 21 octies della l. n. 241/1990, effetti vizianti, ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti aventi un contenuto diverso, come nel caso di specie per quanto sarà in prosieguo chiarito (v. TAR Campania, NA, Sez. VIII, 4.1.21, n. 31;
Sez. VII, 6.10.20, n. 4281;
TAR Puglia, LE, Sez. III, 2.1.18, n. 1).

Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, basato su formali richiami a normativa che sarebbero assenti.

I riferimenti contenuti nel diniego di condono impugnato all'ineludibile strumentazione di piano e al vincolo paesaggistico preesistente integrano giustificazione del tutto sufficiente rispetto al contenuto dispositivo dell'atto. In particolare, nel provvedimento impugnato, è richiamato l’art. 33 cit., i cui commi 1 e 2 prevedono l’incondonabilità in presenza di vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici (comma 1), nonché in presenza di edifici ed immobili assoggettati alla tutela della L. 1 giugno 1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima, come nel caso di specie.

Sussistendo entrambi i vincoli sull’area in questione, oltre a quello di P.R.G., non si vede come la motivazione dovesse essere più dettagliata nel richiamo a tale norma, peraltro invocata, nel comma 2, anche nella suddetta c.t.u. penale, che ben potrebbe assumersi come parametro “per relationem” sul punto.

Che sussistessero i vincoli in questione lo accerta anche la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Frosinone, Latina e Rieti nella nota del 19 novembre 2018 indirizzata al ricorrente presso il suo tecnico di fiducia, ove è evidenziato che sull’area ricade un vincolo paesaggistico ex art. 134, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42/2004 e confinante con l’area archeologica “Tomba di Cicerone” ex l. n. 364/190 e n. 1089/1939. In tale nota era dato parere favorevole solo per una rete di recinzione metallica con paletti di sostegno in ferro, in aderenza al muretto esistente e non per altro, richiamando comunque la necessità di parere paesaggistico ex art. 146 d.lgs. cit.

Ritiene il Collegio che la incontestata realizzazione di un nuovo volume in zona vincolata, unitamente alla descrizione dell'abuso ed all'indicazione dei vincoli, rendevano la motivazione del provvedimento impugnato perfettamente comprensibile dall'interessato;
pertanto, il richiamo alle risultanze dell'istruttoria formulato nel provvedimento impugnato costituisce idonea e sufficiente motivazione, in quanto esso non è affermazione isolata, ma si accompagna alla descrizione dell'abuso, così palesando in modo chiaro ed intellegibile la ragione del diniego, imperniato sulla presenza dei vincoli richiamati nell'area e dall'esistenza della norma ostativa al condono.

La suddetta Soprintendenza, poi, in nota del 28 marzo 2017 indirizzata al difensore del ricorrente e all’Avvocatura dello Stato precisava l’esistenza di tre vincoli che riguardavano il monumento “Tomba di Cicerone”, che risultava vincolata anche la part. XX del Foglio XX della parte interessata e ricordava tutti gli obblighi di legge ex d.lgs. n. 42/2004, ferme restando le disposizioni gravanti sulla zona a tutela del monumento adottate nei P.R.G., P.T.P. e P.T.P.R.

Non si rinviene alcuna contraddittorietà tra il richiamo all’esistenza dei vincoli e quello all’applicazione del P.R.G., in quanto quest’ultimo comunque consentiva il solo risanamento conservativo, da escludersi per incrementi di altezza in zona vincolata.

In sostanza, il contenuto del diniego, nel caso di specie, era desumibile dall’intero contesto della motivazione del provvedimento impugnato e parte ricorrente è stata, infatti, in grado di recepirlo pienamente, proponendo il presente ricorso e i cinque motivi che lo contraddistinguono.

Infondato è anche il quarto motivo.

In primo luogo si osserva che nella stessa domanda del 1986 l’interessato indicava che l’area era sottoposta a vincolo “04”, corrispondente, secondo le istruzioni allegate al modulo, a vincolo di natura archeologica.

In secondo luogo, se il vincolo di interesse archeologico era stato introdotto dal P.R.G. del 1980, si applica il consolidato principio giurisprudenziale della “doppia conformità”, nel senso che si configura come legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria e la c.d. “doppia conformità” costituisce, perciò, un requisito dal quale non può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie (per tutte: TAR Lombardia, MI, Sez. II, 8.1.19, n. 31).

E’ irrilevante, quindi, che i manufatti siano stati realizzati prima dell’apposizione del vincolo nel 1980, in quanto al momento dell’esame della domanda di condono tale vincolo sussisteva.

Nell’ultima memoria, poi, parte ricorrente stessa afferma che “…la nuova costruzione era costituita dall’innalzamento di appena 50 cm, che si era reso necessario per realizzare il cordolo di sostegno della nuova copertura con tetto a due falde”, con ciò confermando una nuova realizzazione in zona vincolata, con innalzamento di muro e del complessivo tetto oggetto di rifacimento, non definibile quale intervento di risanamento conservativo, unico ammesso dal vincolo di P.R.G., fermo restando che non risulta presente un parere di compatibilità con il vincolo archeologico e paesaggistico, ai sensi dell’art. 32, della l. n. 47/1985, dato che il parere favorevole rilasciato dalla Soprintendenza competente si riferiva solo a una recinzione in rete e paletti metallici e richiamava la necessità dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. n. 42/2004.

La nuova realizzazione di innalzamento di cordolo di sostegno integrava un aumento di altezza, sia pure di circa 50 cm, richiedeva comunque il parere delle Autorità a tutela dei vincoli, nel caso assente, ai sensi dell’art. 39, comma 7, l. n. 724/1994, con conseguente infondatezza anche del quinto motivo di ricorso.

Alla luce di quanto dedotto, pertanto, il ricorso non può trovare accoglimento.

La peculiarità della fattispecie e l’assenza di attività difensiva da parte del Comune, basata solo su allegata documentazione, consente di compensare eccezionalmente le spese di lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi