TAR Lecce, sez. I, sentenza 2013-01-28, n. 201300212

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza 2013-01-28, n. 201300212
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201300212
Data del deposito : 28 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04921/2000 REG.RIC.

N. 00212/2013 REG.PROV.COLL.

N. 04921/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4921 del 2000, proposto da:
L A, rappresentato e difeso dall'avv. A G, con domicilio eletto presso Alfieri Manno in Lecce, F. Lubello, 9/F;

contro

Ministero delle Finanze - Roma, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, Via F. Rubichi 23;

per l'annullamento

del decreto del Ministro delle finanze in data 17.08.2000, notificato a mani in data 12.10.2000, con cui lo istante è stato dichiarato decaduto dall'incarico di giudice della commissione tributaria provinciale di Brindisi, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, dipendente e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Finanze - Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2012 il dott. R M P e uditi per le parti i difensori Gianfreda Cosimo, in sostituzione dell’Avv. Gianfreda Adolfo, Tarentini Antonio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

È impugnata la nota in epigrafe, con cui il ricorrente – iscritto all’albo professionale dei dottori commercialisti – è stato dichiarato decaduto dall’incarico di giudice della commissione tributaria di Brindisi.

Avverso detta nota, il ricorrente è insorto, deducendo l’eccesso di potere dell’amministrazione, per errore sui presupposti e per travisamento dei fatti;
violazione e falsa applicazione dell’art. 8 lett. i) d. lgs. n. 545/92;
difetto di motivazione.

Nella camera di consiglio del 10.1.2001 è stata accolta la richiesta di tutela cautelare.

All’udienza del 10.10.2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, deduce il ricorrente l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, in quanto assunto sul falso presupposto che egli svolgesse attività di consulenza tributaria, come tale integrante ipotesi di incompatibilità con l’incarico di giudice tributario, ai sensi dell’art. 8 lett. i) d. lgs. n. 545/92.

1.1. L’assunto è infondato.

1.2. Dispone(va) l’art. 8 lett. i) d. lgs. n. 545/92, formulazione originaria, che l’incarico di giudice tributario è incompatibile con quello di soggetti iscritti in albi professionali, “che esercitano in qualsiasi forma l’assistenza e la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

Tale previsione normativa è stata modificata dall’art. 31 l. n. 449/97, che ha stabilito, quale causa di incompatibilità con l’ufficio di giudice tributario, la situazione di coloro: “… che esercitano in qualsiasi forma la consulenza tributaria ovvero l’assistenza e la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

1.3. Tali essendo le coordinate normative di riferimento, occorre ora accertare se, al momento dell’emanazione della delibera di decadenza dall’incarico, il ricorrente versasse o meno in situazione di incompatibilità.

1.3.1. E sul punto, emerge dalle dichiarazioni rese dall’odierno ricorrente al Consiglio di Giustizia Tributaria in data 27.10.1998 che lo stesso era depositario di scritture contabili, e inoltre, quando richiesto, forniva a professionisti pareri in materia fiscale.

Inoltre, si legge nell’impugnato provvedimento che dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa in data 18.6.1999 – dato mai smentito dal ricorrente – risulta indicata l’attività di “controllo contabile”.

1.4. Chiarito il tipo di attività concretamente svolta dal ricorrente, occorre ora accertare se la stessa integri o meno l’ipotesi di incompatibilità sopra descritta. E sul punto, osserva il Collegio che, per condivisa giurisprudenza di legittimità del Consiglio di Stato, “stante l'estrema latitudine della formula recata dall'art. 8 comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 545, sia nel testo originario che in quello novellato dalla l. 27 dicembre 1997 n. 449, qualsiasi forma di consulenza o assistenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità nel suo svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell'indipendenza del giudice, essendo siffatta verifica puntuale propria dei soli istituti della ricusazione e dell'astensione del giudice;
e ciò in quanto le cause di incompatibilità sono legate all'esigenza di evitare la compromissione della necessaria trasparenza ed imparzialità dell'operato del giudice tributario, compromissione che sarebbe inevitabile laddove egli si trovasse nella condizione di doversi pronunciare su controversie, nelle quali ha già avuto modo di indirizzare il proprio orientamento (o quello dello studio in cui opera e di cui fa parte) in occasione dello svolgimento della propria (o riferita ad altri professionisti dello stesso studio) attività di prestatore di opera professionale” (Consiglio di Stato, IV, 14.4.2010, n. 2077;
in termini confermativi, cfr. altresì C.d.S, IV, 4.5.2010, n. 2567).

1.5. Orbene, alla luce di tale condiviso orientamento giurisprudenziale, è evidente che l’attività svolta dal ricorrente lo rende senz’altro inidoneo a ricoprire l’incarico di giudice tributario, versando egli in situazione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 8 lett. i) d. lgs. n. 545/92, sia ante, sia post modifica di cui alla l. n. 449/97.

1.6. Alla luce di tali considerazioni, il relativo motivo di gravame è infondato, e deve pertanto essere disatteso.

2. Con l’ulteriore motivo di gravame, deduce il ricorrente la violazione delle previsioni di cui all’art. 8 d. lgs. n. 545/92, nonché 3 e 4 Cost, per non avere l’amministrazione fatto precedere il provvedimento di decadenza dalla concessione di un congruo termine per rimuovere la causa di accertata incompatibilità.

Il motivo è fondato.

2.1.L’art. 12 del d.lgs. n.545 del 1992 stabilisce che : “1.Decadono dall'incarico i componenti delle commissioni tributarie i quali:

b) incorrono in uno dei motivi di incompatibilità previsti dall'art. 8;

2. La decadenza è dichiarata con decreto del Ministro delle finanze previa deliberazione del consiglio di presidenza”.

L’ordinanza di questo Tribunale 10.1.2001 ha accordato al ricorrente la tutela cautelare in quanto ha ritenuto che: “appare fondata unicamente la censura con la quale il ricorrente si duole della mancata concessione di un termine per rimuovere la causa di incompatibilità”.

La motivazione che sorregge un provvedimento cautelare consegue ad una prima delibazione dell’affare e può,anzi deve , essere corretta ove in sede di definizione del grado di giudizio non venga ritenuta valida,anche se la correzione privi della potestas iudicandi il magistrato con effetti ex tunc e perciò comporti l’inesistenza delle pronunce adottate con la partecipazione di quel giudice (sulla connessione della potestas iudicandi all’appartenenza del magistrato all’ordine giudiziario e quindi sull’inesistenza dell’atto decisorio causata dal difetto di giurisdizione per irregolare costituzione dell’organo giudicante vedi Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 1998 n.4403 ).

Ciò premesso, si deve osservare che l’art. 12 citato non disciplina il procedimento a seguito del quale è dichiarata la decadenza,limitandosi ad individuare le autorità che concorrono alla dichiarazione.

L’esclusione di ogni e qualsiasi dubbio sulla imparzialità del giudice e quindi la necessità che alla sussistenza di una ipotesi di incompatibilità consegua la decadenza del giudice che in quell’ipotesi versa non esclude,però, l’applicazione di un istituto di carattere generale,contemplato dall’art. 63 del d.P.R. n.3 del 1957, corpo normativo che regola il pubblico impiego non contrattualizzato e che è richiamato dall’art. 16,secondo comma, del R.D. n.12/1941 (Ordinamento giudiziario).

L’istituto della diffida,a cessare dalla situazione di incompatibilità entro quindici giorni dalla comunicazione della stessa,trova la sua ragion d’essere : a) nella opportunità ( ritenuta dal legislatore ) della formulazione, da parte dell’amministrazione,di una valutazione in concreto in ordine alla situazione di incompatibilità;
b) di conseguenza, nella concessione di un termine entro il quale deve cessare la situazione di incompatibilità

Tali giustificazioni hanno ragion d’essere nei confronti sia del pubblico impiegato che del magistrato,atteso che l’uno e l’altro sono al servizio della legge;
la validità delle stesse non è certamente esclusa dalla ipotetica maggiore conoscenza della norma da parte del magistrato,dato che la funzione della diffida risiede nella valutazione dell’amministrazione in ordine all’esistenza della situazione di incompatibilità, valutazione che svolge la stessa funzione nei confronti dell’impiegato e del magistrato.

Valutazione che appare tanto più opportuna in una situazione normativa contraddistinta da numerosi interventi del legislatore ( art. 8,lett. i), del d.lgs. n.545 del 1992, art. 31 della legge n.449 del 1997, art. 84, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342 e successivamente art. 39, comma 2, lettera c), numero 2), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ) e quindi dalla necessità di precisare il comando normativo.

Né si può ritenere che la diffida sia surrogata dall’inizio del procedimento volto alla dichiarazione della decadenza, sia per l’ontologica differenza fra i due momenti del procedimento,sia perché l’ottemperanza alla diffida esclude la dichiarazione della decadenza,mentre la cessazione dalla situazione di incompatibilità dopo l’inizio del procedimento, proprio perché questo è finalizzato alla dichiarazione della decadenza determinata dalla situazione antecedente all’inizio del procedimento stesso,non ha il medesimo effetto.

2.2. All’assenza di una fase necessaria del procedimento consegue la fondatezza del motivo e l’accoglimento del gravame.

3. Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite.

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