TAR Milano, sez. I, sentenza 2020-05-06, n. 202000746

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. I, sentenza 2020-05-06, n. 202000746
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202000746
Data del deposito : 6 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/05/2020

N. 00746/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01150/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1150 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Open Fiber S.p.a., già Metroweb S.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati N M, M G e T F M, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, via del Lauro 7;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A M, I M, R M, D S, A T ed E B, domiciliato in Milano, via della Guastalla, 6;

nei confronti

Consorzio Mm4 Scpa, rappresentato e difeso dagli avvocati M A e M P, con domicilio eletto in Milano, presso lo studio dell’Avv. Angelo Rota, via Borgogna, 5;

Spv Linea M4 S.p.a.;
non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) della determinazione del dirigente del Settore Infrastrutture per la Mobilità - Direzione Centrale Mobilità, Trasporti, Ambiente ed Energia del Comune di Milano, prot. PG 148365/2016 del 17 marzo 2016 e ricevuta a mezzo pec in pari data;

b) della determinazione del dirigente del Settore Infrastrutture per la Mobilità - Direzione Centrale Mobilità, Trasporti, Ambiente ed Energia del Comune di Milano, prot. PG 186699/2016 del 6 aprile 2016 e ricevuta a mezzo pec in pari data;

c) del Regolamento del Comune di Milano “per la concessione del suolo, del sottosuolo e di infrastrutture municipali per la costruzione di reti pubbliche di telecomunicazioni - Regolamento TLC”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 76 del 27 luglio 1998 e s.m.i., nella parte in cui prevede a carico degli operatori di comunicazioni elettroniche oneri diversi dal pagamento della Tosap/Cosap, e di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e/o consequenziali, antecedenti e/o successivi, ancorché non conosciuti;

atti impugnati con il ricorso principale, nonché

dell’ordinanza n. 7/2016 del direttore del Settore Infrastrutture per la Mobilità - Direzione Centrale Mobilità, Trasporti, Ambiente ed Energia del Comune di Milano, prot. PG 350077/2016 del 30 giugno 2016 e notificata, a mezzo messo comunale, in data 8 luglio 2016;

atti impugnati con i primi motivi aggiunti, nonché

dell'ordinanza n. 4/2017 del direttore del Settore Infrastrutture per la Mobilità - Direzione Centrale Mobilità, Trasporti, Ambiente ed Energia del Comune di Milano, prot. PG 21384/2017 del 16 gennaio 2017 e notificata, a mezzo messo comunale, in data 18 gennaio 2017, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e/o consequenziali, antecedenti e/o successivi, ancorché non conosciuti;

atti impugnati con i secondi motivi aggiunti, nonché

della nota del Comune di Milano del 19-20 dicembre 2018, prot. n. cup 0566356, avente ad oggetto “Diffida ad adempiere alla convenzione del suolo, sottosuolo e di infrastrutture municipali per la costruzione di reti pubbliche di telecomunicazioni, stipulata tra il Comune di Milano e Citytel Srl il 20/11/1998 – Interferenze MN31 San Damiano – Annulla e sostituisce la precedente di pari oggetto (in atti pg 478598/2018 del 31/10/2018)”, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e/o consequenziali, antecedenti e/o successivi, ancorché non conosciuti;

atti impugnati con i terzi motivi aggiunti.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti, ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e di Consorzio Mm4 Scpa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. M G nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2020 tenutasi con le modalità previste dall’art. 84 del D.L. n. 18/2020 mediante collegamenti da remoto, come specificato nel relativo verbale;

Trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 2, primo periodo, del D.L. n. 18/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente è un operatore di comunicazione elettronica, che in forza di concessione, regolata da una convenzione sottoscritta in data 20.11.1998 con il Comune di Milano (nel prosieguo “Convenzione”), ha realizzato in territorio comunale una rete in fibra ottica.

A fronte del pagamento di un canone, per l’occupazione di aree pubbliche, e per l’utilizzo delle infrastrutture municipali, la Convenzione ha riconosciuto alla società ricorrente la proprietà delle reti realizzate, rinviando, “per tutti gli aspetti non specificatamente previsti o disciplinati”, al Regolamento per la concessione del suolo, del sottosuolo, e di infrastrutture municipali per la costruzioni di reti pubbliche di telecomunicazione, approvato dal Consiglio Comunale di Milano con delibera n. 76 del 27.7.1998 (nel proseguo “Regolamento”), da considerarsi quale “parte integrante” della stessa (v. art. 22).

In conseguenza dei lavori necessari alla realizzazione di una nuova linea della metropolitana di Milano, affidati alla società SPV Linea M4 S.p.a., si è reso necessario lo spostamento delle reti della ricorrente (c.d. “interferenze” con l’opera pubblica), ponendo il relativo onere economico esclusivamente ed integralmente a carico della predetta società concessionaria dei lavori.

Il Consorzio Mm4 Scpa si è costituito in giudizio solo formalmente, senza depositare documentazione o articolare scritti difensivi, diversamente dal Comune di Milano, che ha insistito per il rigetto del ricorso, in rito e nel merito.

All’udienza del 8.4.2020, avendo le parti presentato l’istanza congiunta di cui all’art. 84 c. 2 D.L. 17.3.2020 n. 18, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I.1) In via preliminare, al fine di determinare l’oggetto del giudizio, il Collegio prende atto che entrambe le parti sono concordi nel ritenere che lo stesso verta unicamente sull’individuazione del soggetto che debba sopportare i costi delle interferenze, e non invece, su chi debba eseguire i relativi lavori, essendo pacifico che a ciò debba provvedere l’istante.

Quanto poi alla concreta individuazione dell’entità dei predetti costi, e quindi, dei lavori necessari a rimuovere le interferenze, gli stessi consistono nello spostamento dei cavi di proprietà della ricorrente, dalle loro sedi, alle nuove infrastrutture municipali, come desumibile dai progetti esecutivi allegati alle ordinanze impugnate con i primi ed i secondi motivi aggiunti, in cui si pongono a carico dell’istante le operazioni di “infilaggio cavi”.

In particolare, come espressamente indicato nella nota n. 148365/2016, impugnata con il ricorso principale, mentre è ammesso “il rimborso dei costi sostenuti per le modifiche delle infrastrutture municipali” effettuate dalla ricorrente, per conto del Comune, “l’Amministrazione non è tenuta a corrispondere alcun rimborso per le spese sostenute o da sostenersi per gli spostamenti delle opere di vostra proprietà”, come detto, consistenti nel c.d. “infilaggio” dei suoi cavi all’interno dei nuovi condotti.

In conclusione, il Tribunale è pertanto chiamato a decidere se i provvedimenti impugnati, nella parte in cui hanno stabilito che la ricorrente avrebbe dovuto sopportare i costi necessari allo spostamento dei suoi cavi all’interno delle strutture municipali, siano o meno legittimi.

I.2) Alla luce del thema decidendum, come sopra delineato, il Collegio scrutinerà la legittimità del Regolamento e delle ordinanze impugnate con i primi ed i secondi motivi aggiunti, che hanno posto a carico della ricorrente i costi della rimozione delle interferenze.

L’esito del ricorso proposto con i terzi motivi aggiunti, in quanto indirizzato avverso un atto con cui il Comune di Milano ha diffidato la ricorrente ad avviare “l’esecuzione di attività di vostra competenza, necessarie alla realizzazione delle opere”, senza peraltro menzionare i relativi costi, è pertanto strettamente correlato a quelli proposti avverso il Regolamento e le ordinanze, come detto, impugnati con i primi e i secondi motivi aggiunti.

Analoghe considerazioni valgono per il ricorso principale, in quanto diretto avverso un atto mediante il quale il Comune di Milano, dopo aver formulato la distinzione evidenziata nel precedente punto I.1, tra i costi sostenuti per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, e quelli per lo spostamento delle reti private al loro interno, ha invitato la ricorrente a riformulare la propria richiesta di rimborso.

Infine, il quinto motivo, limitatamente alla parte in cui la ricorrente lamenta come “la pretesa del Comune prefigura incongruamente la sussistenza di un ritardo della società ricorrente nell'esecuzione dello spostamento della rete”, lamentando di non avere ricevuto il cronoprogramma, va dichiarato inammissibile, considerata l’estraneità della questione al reale oggetto del contendere, come sopra delineato.

In conclusione, il Collegio provvederà a scrutinare la legittimità del Regolamento, e delle ordinanze nn. 7/16 e 4/17, che vi hanno dato applicazione, con cui il Comune di Milano ha ingiunto alla ricorrente di ottemperarvi, come detto, impugnate con i primi ed i secondi motivi aggiunti.

I.3) Quanto ai vizi specificamente dedotti, il Collegio dà atto che, con un primo ordine di censure, l’istante deduce la violazione del divieto di imposizione, a carico dei gestori delle reti di comunicazione elettronica, di oneri ulteriori a quelli previsti dall’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003) e dall’art. 12 del D.Lgs.15.2.2016, n. 33 (primo motivo), come invece avrebbe avuto luogo nella fattispecie per cui è causa, ciò che violerebbe altresì gli artt. 170 e 171 del D.Lgs. 12.4.2006, n. 163 (secondo motivo), l’art. 24 Cost. (quarto motivo), ed il principio di proporzionalità (sesto motivo dei primi motivi aggiunti). In particolare, le ordinanze di diffida impugnate risulterebbero illegittime, per aver dato applicazione al Regolamento, che sarebbe invece in contrasto con le norme asseritamente violate.

In via subordinata, presupponendo invece la legittimità del Regolamento, la ricorrente articola motivi incentrati su vizi propri delle predette ordinanze, deducendo l’incompetenza del Dirigente che le ha adottate (terzo motivo), carenze formali sotto vari aspetti, oltre al loro contrasto con lo stesso Regolamento (quinto motivo).

II.1) Iniziando con lo scrutino del primo ordine di censure, proposte in via principale, preliminarmente, il Collegio ritiene determinante qualificare giuridicamente la fattispecie posta a fondamento del presente giudizio.

In primo luogo, è presente un provvedimento di concessione, avente ad oggetto l’uso di suolo pubblico, di suolo privato soggetto a servitù di pubblico passo, del sottosuolo, e delle infrastrutture municipali, per l'installazione di reti di telecomunicazioni pubbliche, rilasciato dal Comune di Milano in favore della società ricorrente. Dal punto di vista formale, detto provvedimento non ha una veste autonoma, essendo infatti “incluso” nella Convenzione, ed ivi espressamente menzionato, nell’art. 1, e nelle premesse.

A sua volta, la Convenzione, oltre a costituire il titolo della concessione, ed essendo pertanto ascrivibile agli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo, ex art. 11 L. n. 241/90, disciplina gli aspetti economici e patrimoniali correlati all’esercizio della stessa, richiamando a tal fine quanto contenuto nel Regolamento.

Mentre la Convenzione è destinata a regolare la concreta fattispecie, il Regolamento, in via generale ed astratta, definisce le norme che il Comune deve osservare nei procedimenti di rilascio di concessioni di suolo pubblico per l'installazione di reti di telecomunicazioni, dalla ricezione dell’istanza, all’esecuzione dei rapporti che si instaurano a seguito del rilascio del titolo.

II.2) Premesso quanto precede, il Collegio dà atto che la ricorrente non ha impugnato la Convenzione, né ha proposto avverso la stessa alcuna domanda, ciò che, inevitabilmente, la priva di interesse ad ottenere una pronuncia di merito.

Sia in caso di annullamento delle ordinanze di diffida, che del Regolamento, l’istante rimarrebbe infatti obbligata all’osservanza della Convenzione, e pertanto, ad accollarsi le spese per la rimozione delle interferenze.

II.2.1) Le ordinanze impugnate sono infatti unicamente motivate con riferimento al contenuto ed alla vigenza alla Convenzione, che in virtù del rinvio al Regolamento, obbliga la ricorrente ad accollarsi le spese stesse.

L’eliminazione dal mondo giuridico delle diffide ad adempiere alla Convenzione, impugnate nel presente giudizio, non determinerebbe pertanto, nella sua vigenza, alcuna utilità alla ricorrente, che rimarrebbe obbligata alla sua osservanza, avendo forza di legge tra le parti, ex artt. 1372 c.c. e 11 c. 2 L. n. 241/90, e dunque, al pagamento delle spese necessarie alla rimozione delle interferenze.

II.2.2) Parimenti, neppure dall’annullamento del Regolamento deriverebbe la caducazione automatica della Convenzione.

Dopo aver infatti previsto che, in linea generale, i costi per le interferenze sono a carico dei gestori, l’art. 5 c. 8 del Regolamento, rimette alle parti la possibilità di derogare a tale regola, facendo “salva la possibilità di accordi diversi”, da cui consegue che, nella parte in cui pone a carico della ricorrente i costi per la rimozione delle interferenze, la Convenzione ha la sua fonte in un’autonoma manifestazione di volontà dei contraenti, e non nel Regolamento.

Nello stipulare la Convenzione, le parti non si sono infatti limitate ad un mero rinvio al Regolamento, manifestando invece autonomamente la propria volontà negoziale, scegliendo il regime “ordinario”, anziché avvalersi della deroga.

L’eventuale accertamento dell’illegittimità del Regolamento, ed il suo annullamento, non potrebbe conseguentemente produrre effetti automaticamente caducanti, in parte qua, sulla Convenzione.

II.2.3) Inoltre, malgrado nella presente controversia il Tribunale abbia giurisdizione esclusiva, ex art. 133, c. 1, lett. b) c.p.a., potendo il giudice rilevare d'ufficio la nullità del contratto, ciò può tuttavia concretamente avere luogo solo qualora quest’ultimo sia ricompreso nell’oggetto del giudizio, ciò che tuttavia, come detto, non ha avuto luogo nel caso di specie.

In particolare, il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto, trova applicazione quando l’attore ne chiede l’adempimento, e la nullità si ponga come ragione di rigetto della sua pretesa (Cass. Civ., Sez. III, 30.1.2012, n. 1284), o secondo l’orientamento più recente (Cass. Civ. Sez. Un., 4.9.2012, n. 14828), anche nel caso in cui abbia proposto una domanda di annullamento, risoluzione, o rescissione del contratto.

Nel caso di specie, tanto la validità che l’invalidità del contratto, sono tuttavia estranee all’oggetto del giudizio, così come introdotto dalla ricorrente, non potendo conseguentemente il giudice pronunciarsi d’ufficio sulla sua eventuale nullità.

III) In ogni caso, il ricorso è anche infondato nel merito, essendo legittimi sia il Regolamento che la Convenzione, e conseguentemente, i provvedimenti impugnati, che ne hanno dato applicazione.

III.1) In primo luogo, il Collegio intende scrutinare congiuntamente il quarto motivo, secondo cui i provvedimenti impugnati violerebbero l’art. 23 della Costituzione, imponendo prestazioni di carattere patrimoniale a carico di soggetti privati, in assenza di una previsione legislativa che lo consenta, ed il primo motivo, per il quale, nella materia di che trattasi, ciò sarebbe altresì espressamente vietato dall’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003), oltreché dell’art. 12 del D.Lgs.15.2.2016, n. 33, che ne ha fornito l'interpretazione autentica, avendo tali norme abrogato tutte le disposizioni antecedenti con esse contrastanti, e pertanto, anche il Regolamento.

Sulla base di quanto dedotto dalla ricorrente, il Collegio è dunque chiamato a decidere se sia o meno legittimo che un fornitore di reti di comunicazione elettronica sostenga i costi necessari alla modifica della loro ubicazione, in conseguenza della realizzazione di una nuova opera pubblica, e pertanto, se ciò dia o meno luogo ad un “onere finanziario, reale o contributo” a suo carico, che l’art. 93 c. 2 cit. vieta invece di istituire, e più in generale, ad una “prestazione patrimoniale imposta”, che l’art. 23 Cost. subordina a riserva di legge.

Come detto, i provvedimenti impugnati fondano la pretesa contestata sulla Convenzione, che a sua volta, rinvia al Regolamento, dovendo pertanto il Collegio pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’art. 5 c. 8 di quest’ultimo, secondo cui, “le spese sostenute dagli operatori per le proprie opere in conseguenza delle modifiche restano a loro carico”.

In base a quanto previsto nell’art. 93 cit. “Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge (primo comma). Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche” (secondo comma).

A sua volta, l’art. 12, c. 3, del D.Lgs n. 33/16, precisa che “L’articolo 93, c. 2, del D.Lgs. 1.8.2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione”.

III.2) Sul punto, il Collegio dà atto che la Corte Costituzionale, in più occasioni, ha dichiarato l’illegittimità di norme che ponevano a carico delle predette imprese determinati oneri, necessari a poter avviare l’esercizio della loro attività (nn. 450/2006, 272/2010, 47/2015), ritenendo in sostanza che ciò pregiudicasse la finalità, perseguita anche dal legislatore comunitario, di garantire a tutti gli operatori del settore un trattamento uniforme e non discriminatorio.

Nel caso di specie, l’art. 5 c. 8 del Regolamento, non prevede tuttavia alcun onere in conseguenza dell’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica, né del loro esercizio, ciò che violerebbe l’art. 93 cit., quanto invece, in relazione ad un fatto sopravvenuto, nel corso di svolgimento del rapporto, non previsto ex ante, e del tutto estraneo al provvedimento concessorio.

Lo stesso art. 88, c. 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche, stabilisce che scavi ed occupazioni del suolo pubblico da parte dei concessionari, non debbano dare luogo ad indennità, qualora gli stessi siano effettuati “al fine di installare le infrastrutture di comunicazione elettronica”, senza pertanto escludere sistematicamente che, dal rapporto contrattuale di durata sorto con il rilascio della concessione, non possano eventualmente scaturire ulteriori obbligazioni pecuniarie.

In sostanza, se è pur vero che, a seguito all’applicazione dall’art. 5 c. 8 del Regolamento impugnato, i gestori delle reti di telecomunicazione sopportano un peso economico, ciò non è tuttavia correlato al rilascio del titolo necessario ad esercitare la relativa attività, come vietato dall’art. 93, quanto invece, ad un fatto estraneo alla concessione, e scaturito nell’ambito del rapporto di durata che ne deriva.

III.3) Gli oneri dovuti per la risoluzione delle interferenze, sono pertanto diversi, quanto alla causa ed al titolo, da quelli menzionati nell’art. 93 cit.;
mentre questi ultimi sono dovuti in conseguenza del rilascio dalla concessione, e per “l’esecuzione delle opere di cui al Codice, o per l'esercizio dei servizi di comunicazione”, i secondi, in relazione ad una limitazione della responsabilità contrattuale, che ha titolo in una pattuizione negoziale.

Quanto precede, trova puntuale riscontro nell’esame degli atti oggetto del presente giudizio.

Come già evidenziato nel precedente punto II.1, gli accordi di cui all’art. 11 L. 241/1990, nel cui ambito dev’essere ricondotta la Convenzione, hanno natura complessa, comprendendo “tanto la disciplina degli aspetti amministrativi, quanto la regolamentazione dei profili patrimoniali del rapporto” (C.S., Sez. V, 13.3.2000, n. 1327), poiché “nell'atto bilaterale consensuale, convergono poteri diversi, per natura e disciplina” (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 10.6.2010, n. 2750).

Parallelamente, anche le disposizioni del Regolamento, destinate ad essere recepite nell’accordo di cui all’art. 11 L n. 241/90, quanto al loro contenuto e finalità, vanno distinte in due diverse categorie, e cioè, da una parte, quelle aventi ad oggetto il contenuto provvedimentale dell’atto, e dall’altra, quelle destinate a regolare il rapporto giuridico derivante, ed ad esso strumentale.

Le statuizioni della prima categoria, che concedono ai privati la facoltà di posare nel suolo i cavi necessari allo svolgimento dei servizi di telecomunicazione, disciplinandone le modalità, sono quelle che, in base a quanto previsto dall’art. 93 cit., non possono prevedere oneri diversi da quelli ivi menzionati.

Nell’ambito delle previsioni della seconda categoria, e nella loro autonomia negoziale, le parti sono invece libere di disciplinare il regime applicabile a talune fattispecie che possono sorgere nel corso di esecuzione del rapporto contrattuale, come ha ad esempio avuto luogo nell’art. 12, dettato in materia di “penalità”, o appunto, nell’art. 5 c. 8 per cui è causa.

In particolare, quest’ultima disposizione delinea in sostanza una limitazione di responsabilità in favore del Comune, per il caso in cui lo stesso sia impossibilitato, temporaneamente, ad adempiere alla propria obbligazione, consistente nel mettere a disposizione del concessionario l’utilizzazione del sottosuolo, a causa della realizzazione di un’opera pubblica, da cui consegue che i costi derivanti siano a carico della controparte.

III.1.3) Lo stesso tenore letterale dell’art. 93 cit., espressamente, si riferisce ad oneri “imposti”, mentre quelli di cui all’art. 5 c. 8 cit., possono invece essere derogati dalle parti.

Come infatti già evidenziato nel precedente punto II.2.2, dopo aver previsto che, in linea generale, i costi per le interferenze sono a carico dei gestori, l’art. 5 c. 8 cit. fa “salva la possibilità di accordi diversi”.

Tale ultima disposizione, nel consentire che le parti possano derogare alla disciplina in essa contenuta, nel caso in cui la sua applicazione si riveli “eccessivamente onerosa”, dimostra, manifestamente, la sua mancanza di autoritatività, non potendo pertanto essere considerata quale fonte di una prestazione patrimoniale “imposta”.

III.1.4) Infine, malgrado la giurisprudenza della Corte Costituzionale abbia ricondotto all’ambito di operatività dell’art. 23 Cost. anche obbligazioni assunte contrattualmente, a fronte di monopoli fiscali o di determinazione autoritative del quantum debeatur, ritenendo che, in tali casi, non vi potesse essere un’autonoma manifestazione di volontà, come correttamente ricordato dalla ricorrente nella propria memoria finale, la fattispecie per cui è causa, non rientra in tale casistica, e ciò, per due differenti motivazioni.

In primo luogo, come detto, l’onere previsto dall’art. 5 c. 8 del Regolamento non è dovuto a titolo di corrispettivo di una prestazione resa in regime di monopolio, come avviene invece nel caso del canone per l’occupazione di suolo pubblico, quanto invece, in relazione alle conseguenze derivanti da una limitazione della responsabilità contrattuale della controparte, che in virtù di una specifica pattuizione negoziale, non risponde delle conseguenze derivanti dal suo inadempimento.

Inoltre, e ciò è risolutivo, non può ritenersi che una previsione regolamentare introduca una prestazioni patrimoniale “imposta” laddove come ha avuto luogo nel caso di specie, consenta alle parti di derogarvi, qualora la sua applicazione possa dare luogo a conseguenze eccessivamente onerose a carico dell’obbligato.

IV) Con il secondo motivo, l’istante deduce la violazione, da parte dei provvedimenti impugnati, degli artt. 170 e 171 del D.Lgs. n. 163/2006, applicabile rationae temporis, i quali sancirebbero il principio secondo cui i costi per la risoluzione delle interferenze sono sempre a carico dell’opera pubblica.

Come già ritenuto dal Tribunale in fattispecie analoghe a quella per cui è causa (Sez. IV, 12.6.2018 n. 1482, 14.11.2019 n. 2408), il motivo è infondato.

Se infatti è pur vero che, in base a quanto disposto dall’art. 171 c. 5 cit., le attività di collaborazione alla risoluzione delle interferenze sono compiute a spese del soggetto aggiudicatore, ciò tuttavia vale “salve le diverse previsioni di convenzioni vigenti tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore”, che nel caso di specie, come detto, sono infatti contenute nella Convenzione.

Come detto, lo stesso Regolamento, pur prevedendo che di norma le spese per interferenze debbano essere poste a carico del gestore, non ha tuttavia escluso la possibilità che le parti prevedano diversamente, ciò che non viola pertanto il Codice dei Contratti Pubblici, ponendosi al contrario in linea con il medesimo, nella misura in cui valorizza l’autonomia negoziale delle parti.

Analogamente, anche le deliberazioni del CIPE sull’opera pubblica di cui è causa, ammettono che la questione delle interferenze possa essere risolta mediante accordi fra ente gestore ed aggiudicatore, facendo così salva l’autonomia delle parti.

La deliberazione CIPE del 6.11.2009, alla prescrizione n. 57, prevede infatti che le interferenze con gli impianti siano regolamentate mediante una “apposita e specifica convenzione” con l’aggiudicatore, che dovrà disciplinare tempi e “costi” dei lavori, così come la successiva deliberazione n. 66/2013, alla prescrizione n. 114, contiene una disposizione dal contenuto analogo.

Nell’ulteriore deliberazione CIPE n. 10/2017, al punto n. 13 delle prescrizioni, è espressamente stabilito che le interferenze con gli impianti devono essere oggetto di specifica regolamentazione, tramite apposita convenzione, facendo salve le convezioni già in essere fra il soggetto aggiudicatore e l’ente interferente. Lo stesso punto 13 della deliberazione CIPE richiama inoltre l’art. 171, c. 5 ultimo periodo, cit., che come detto, fa salve le convenzioni già in essere.

V) Con il sesto motivo dei primi motivi aggiunti, la ricorrente deduce la violazione del principio di proporzionalità, perché il Comune di Milano, dopo aver ribadito che i costi derivanti dalla rimozione delle interferenze, sarebbero stati allocati a suo carico, ha aggiunto che, in caso di inadempimento, avrebbe proceduto con la revoca della concessione.

Come già evidenziato nel precedente punto I.2, il Collegio ribadisce che i provvedimenti impugnati, adottati successivamente alla stipula della Convenzione, sono motivati con riferimento al suo contenuto, ed a quello del Regolamento, a cui hanno in sostanza dato applicazione, essendo pertanto vincolati.

Una volta appurata la legittimità del Regolamento, e la mancata contestazione della Convenzione, il motivo di ricorso non può pertanto che essere rigettato, considerata altresì l’estraneità al thema decidendum, come individuato nel punto I.1 della presente sentenza, dell’eventuale revoca della concessione.

VI) Anche le censure sollevate in via subordinata, avverso le ordinanze applicative del Regolamento, vanno respinte.

VI.1) Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto il vizio di incompetenza, che è tuttavia insussistente, come già ritenuto nelle sentenze nn. 1482/18 e 2408/19 cit., non rientrando i provvedimenti impugnati tra gli atti di autotutela possessoria, quanto invece, tra quelli gestionali, ricompresi nell’ambito delle attribuzioni della struttura dirigenziale, e non di quelle dell’organo elettivo, giusto quanto disposto dall’articolo 107 D.Lgs. n. 267/2000.

Peraltro, la ripartizione dei compiti all’interno della struttura burocratica, non dà luogo ad una questione di competenza, da cui consegue che, anche qualora l’adozione delle ordinanze impugnate fosse riconducibile alle attribuzioni di un ufficio diverso da quello che ha agito, così come sostiene la ricorrente, i provvedimenti sarebbero ugualmente imputabili al Comune di Milano, ovverosia, all’Autorità titolare del potere in concreto esercitato (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, n. 1381/2017).

VI.2) Venendo al quinto motivo, sotto un primo profilo, la ricorrente deduce la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, ciò che non ha tuttavia rilievo, considerato che le ordinanze impugnate sono state precedute da un’ampia corrispondenza con il Comune di Milano, versata in atti, inviata in data 17.3.2016, 7.4.2016, 22.12.2016 e 20.12.2018, ed avente ad oggetto la problematica delle interferenze, talché la partecipazione procedimentale dell’interessata è stata comunque garantita.

VI.3) Sotto altro aspetto, “anche a voler seguire la tesi del Comune, che il regolamento in esame sia ancora in vigore”, la ricorrente lamenta come l’Amministrazione avrebbe “applicato la previsione sbagliata”, considerato che, a suo dire, l’art. 5 c. 8, richiamato nei provvedimenti impugnati, disciplina “i casi in cui l'amministrazione chieda lo spostamento di reti di tlc che sono state posate ed inserite all'interno di infrastrutture municipali, e cioè, di cavidotti, cunicoli, gallerie e altre strutture che sono di proprietà comunale”, laddove invece, nessuna delle reti oggetto di interferenza con l’opera pubblica, sarebbe stata ubicata all'interno delle citate infrastrutture.

VI.3.1) Osserva sul punto il Collegio che, in base a quanto previsto dall’art. 5 c. 8 cit, “le spese sostenute dagli operatori per le proprie opere in conseguenza delle modifiche restano a loro carico”, come ha effettivamente avuto luogo nel caso di specie, in cui, per consentire la realizzazione della nuova linea della metropolitana, sono state apportate “modifiche” alle infrastrutture comunali, che in precedenza non raggiungevano aree interessate, ciò che ha reso necessario, da parte della ricorrente, lo spostamento delle “proprie opere”, e cioè delle reti, al loro interno.

In base a quanto previsto nel successivo art. 6 c. 1, l’uso del suolo pubblico da parte dei concessionari, è infatti consentito solo “qualora non vi siano strutture municipali utilizzabili”, che nel caso di specie, pur effettivamente assenti ab origine, sono state realizzate, a cura e spese del Comune, per consentire il passaggio della nuova metropolitana, ciò che, a tutti gli effetti, ha dato luogo ad una loro “modifica”, e conseguentemente, all’applicazione dell’art. 5 c. 8 cit.

Contrariamente a quanto paventato dalla ricorrente, quest’ultima norma subordina la sua applicazione ad un fatto successivo alla posa delle reti, e pertanto, alla “modifica” dell’infrastruttura comunale, e non invece al luogo in cui le reti stesse sono state collocate, ponendo quindi a carico dei concessionari le spese, sia nel caso in cui i cavi si trovassero ab origine all’interno di condotti di proprietà comunale, che laddove fossero collocati in condotti realizzati dai privati.

VI.3.2) Oltreché l’interpretazione letterale, anche quella sistematica, derivante dalla lettura complessiva del Regolamento, comporta l’infondatezza della censura.

Il successivo art. 6 del Regolamento, intitolato “uso del suolo pubblico senza uso di infrastrutture municipali”, pur non riproducendo letteralmente la disposizione dettata dall’art. 5 c. 8 cit., contiene infatti una previsione analoga, statuendo che “ogni eventuale costo”, derivante da operazioni connesse alle infrastrutture di tlc, “è a carico dell’operatore”. Malgrado in detta disposizione sia probabilmente presente un refuso di battitura, prevedendosi, letteralmente, che “ogni eventuale costo connesso alla posa, operazione, manutenzione e rinnovo di infrastrutture TLC è a carico dell’operatore”, il suo tenore pare tuttavia inequivoco nell’indicare che i costi derivanti da tutte le “operazioni” successive alla posa dei cavi, nel cui ambito vanno ricondotte anche quelle per cui è causa, siano a carico dei concessionari.

Inoltre, sia i cavi posati all’interno delle infrastrutture municipali, che quelli collocati nei condotti della società ricorrente, attraversano entrambi il suolo pubblico, dovendo conseguentemente essere sottoposti, in caso di necessità del loro spostamento, al medesimo regime, risultando pertanto irragionevole un’interpretazione del Regolamento che offra soluzioni diverse per le due fattispecie.

Da ultimo, l’art. 10, intitolato “disposizioni finali”, al c. 4, prevede che, a fronte di modifiche della sede stradale, l’operatore debba “effettuare prontamente” i lavori necessari, a sue spese, risultando pertanto irragionevole, anche sotto tale profilo, ritenere che i costi derivanti dalla rimozione delle interferenze con un’opera pubblica debbano essere sopportati da soggetti diversi, a seconda che la stessa si trovi in superficie, o sia interrata.

VI.3.3) Infine, il Collegio evidenzia che le ordinanze impugnate hanno espressamente richiamato anche il Regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 1 del 21.2.2000, ed in particolare, l’art. 8, dettato in materia di occupazioni con condutture, cavi ed impianti in genere, il cui comma 2 assegna al Comune la facoltà di trasferire “i manufatti che occupano lo spazio pubblico, ed i relativi costi sono a carico del concessionario”.

Il Regolamento n. 1/2000 cit., a cui ha peraltro rinviato, per relationem, anche l’art. 18 della Convenzione, non è stato tuttavia impugnato, dovendo pertanto essere applicato alla fattispecie oggetto del presente giudizio, sulla base del quale, le spese necessarie allo spostamento dei cavi della ricorrente, vanno poste a carico della stessa.

Conseguentemente, anche ritenendo che, come dedotto dall’istante, il Comune abbia errato nel ritenere applicabile alla fattispecie per cui è causa l’art. 5 c. 8 cit., il motivo risulterebbe comunque infondato, essendo le ordinanze impugnate autonomamente motivate, anche, con riferimento ad un Regolamento che, come detto, non è stato neppure impugnato.

In conclusione, il ricorso principale, e quelli proposti con motivi aggiunti, vanno respinti.

Quanto alle spese, sussistono giusti motivi per compensare le stesse tra le parti.

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