TAR Firenze, sez. III, sentenza 2024-04-11, n. 202400420
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Pubblicato il 11/04/2024
N. 00420/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01053/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1053 del 2019, proposto da
D B, rappresentata e difesa dagli avvocati E G, F M e A D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A D L in Massa, via Enrico Fermi, 3;
contro
Comune di Massa, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati F P e M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D I in Firenze, via de' Rondinelli 2;
per l'annullamento
- della Determinazione del Dirigente del Settore Pianificazione del Territorio ed Edilizia Privata del Comune di Massa n. 892 del 03/05/2019 avente a oggetto “rigetto istanza di condono n. 8938 ditta Bigarani Diana” notificata alla ricorrente in data 28/05/2019;
- della nota del Dirigente del Settore Pianificazione del Territorio ed Edilizia Privata del Comune di Massa prot. 2019/00036998 del 17/06/2019 inviata alla ricorrente tramite raccomandata e avente a oggetto “riscontro alla nota prot. 34403 del 06.06.2019”;
- ove occorra e nei limiti di interesse del ricorrente, della richiesta di integrazioni del Comune di Massa prot. n. 0039466 del 26/08/2014;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso a quelli impugnati, eventualmente anche al momento non conosciuto;
nonché per l'accertamento
dell'intervenuta formazione del silenzio assenso sulla “domanda di sanatoria” presentata dalla ricorrente ai sensi della legge 28/02/1985, n. 47 e assunta al protocollo del Comune di Massa in data 02/01/1987, al numero 152.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Massa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 la dott.ssa S D F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La ricorrente – proprietaria di un fabbricato a destinazione residenziale sito nel Comune di Massa – in data 2 gennaio 1987 ha presentato istanza di condono ex lege n. 47/1985 per la sanatoria di interventi realizzati in assenza dei necessari titoli abilitativi che hanno comportato un aumento di superfici a destinazione residenziale e non residenziale.
Rimaste inevase le istanze di integrazione documentale rivolte alla proprietaria, il Comune, con provvedimento n. 892 del 3 maggio 2019, ha dichiarato improcedibile la pratica edilizia e negato il condono.
2. La ricorrente impugna tale provvedimento, assieme al successivo diniego di riesame, chiedendone l’annullamento. La stessa chiede inoltre che sia accertato il formarsi del silenzio assenso sulla domanda di condono presentata.
Con la prima censura la stessa evidenzia che la richiesta di integrazione documentale si sarebbe dovuta notificare a mezzo messo notificatore o tramite Poste Italiane s.p.a., anziché – come avvenuto – mediante l’invio di una semplice lettera raccomandata, per di più spedita da un gestore privato del servizio postale;tale richiesta, dunque, non potrebbe giustificare la dichiarazione di improcedibilità della pratica edilizia e il conseguente diniego del condono.
Con la seconda censura la ricorrente lamenta la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono.
Con la terza censura la ricorrente sostiene che sulla domanda di condono, dopo due anni dalla sua presentazione, si sarebbe formato il silenzio assenso, essendo stata integralmente corrisposta l’oblazione dovuta, come previsto dall’art. 35 della l. n. 47/1985.
In ogni caso il Comune, anziché richiedere all’interessata la denuncia di accatastamento e negare il condono per la mancata presentazione di tale documento, avrebbe dovuto consultare direttamente l’Agenzia delle Entrate.
Il provvedimento impugnato, infine, anche in ragione del lungo lasso di tempo trascorso dalla presentazione della domanda, sarebbe carente di motivazione, non essendo state indicate altre ragioni a sostegno della dichiarazione di improcedibilità della pratica e del diniego di condono.
Con la quarta censura la ricorrente evidenzia la sussistenza di una causa di forza maggiore, idonea a giustificare la rimessione in termini per l’integrazione della documentazione, poiché la raccomandata contenente la relativa richiesta sarebbe stata ritirata dalla cognata, convivente con il fratello incaricato di gestire la pratica edilizia per suo conto;quest’ultima, tuttavia, a causa di gravi problemi di salute, non gliel’avrebbe mai consegnata. In tal senso deporrebbe anche il decorso di un lunghissimo lasso di tempo (circa 27 anni) tra la presentazione della domanda di condono e la richiesta di integrazioni e l’equo contemperamento degli opposti interessi coinvolti nella vicenda.
Con la quinta censura si precisa, infine, che la presentazione della relazione geologica in data 26 agosto 2014 da parte della richiedente il condono, contrariamente a quanto affermato dal Comune, non basterebbe a sanare l’omessa notifica della richiesta di integrazioni, né a giustificare la mancata formazione del silenzio assenso.
3. Si è costituito il Comune, eccependo preliminarmente l’irricevibilità del ricorso, che sarebbe stato notificato oltre il sessantesimo giorno dalla data di ricevimento della nota contenente il diniego di condono;sarebbe invero indimostrata la mancata ricezione del documento da parte della destinataria, a causa delle condizioni di salute della cognata.
Nel merito il Comune conferma la legittimità del provvedimento adottato.
4. All’udienza pubblica dell’8 febbraio 2024, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. L’infondatezza del ricorso esime il Collegio dall’esame dell’eccezione preliminare sollevata dal Comune.
2. Nel merito, la prima, quarta e quinta censura - che attengono alle modalità di comunicazione delle richieste di integrazione formulate dal Comune - sono infondate.
In primo luogo, infatti, le richieste di integrazione della domanda di condono non dovevano essere notificate nel rispetto di formalità speciali, come quelle previste per gli atti processuali. Gli atti recettizi della pubblica amministrazione – come la richiesta di integrazione documentale di cui oggi si discute – possono essere comunicati con ogni mezzo idoneo a portarli nella sfera di normale conoscibilità del destinatario, salvo diversa ed espressa previsione di legge.
Per quanto qui interessa, non è dato rinvenire una norma che imponga il rispetto di specifiche formalità per la notifica delle richieste di integrazione di una pratica di condono.
In particolare, l’art. 39, comma 4 della l. n. 724/1994 richiamato dal ricorrente - applicabile anche alle domande di condono presentate ai sensi della l. n. 47/1985 per le quali non sia maturato il silenzio assenso, in forza dell’art. 49, comma 7 della l. n. 449/1997 - si limita a prevedere che “la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal comune comporta l’improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione”. Il fatto che la richiesta di integrazioni debba essere “notificata” non implica il rispetto di specifiche modalità di comunicazione, ma soltanto che la stessa sia portata a conoscenza dell’interessato.
Peraltro, la disposizione appena citata è entrata in vigore nel 1997 e non era perciò applicabile alle prime due richieste di integrazione inoltrate dal Comune, risalenti al 1989 e al 1991 (cfr. docc. 2 e 3 del Comune).
Nel caso di specie, le innumerevoli richieste di integrazione formulate dal Comune a partire dal 1989 sono state trasmesse all’indirizzo di residenza del fratello, incaricato di gestire la pratica per conto della ricorrente, a mezzo del servizio postale, con raccomandata ricevuta dalla cognata.
Tanto basta a far presumere la conoscenza di tali atti da parte della ricorrente stessa.
In secondo luogo, nel caso di specie non è stata dimostrata la presenza di circostanze eccezionali che possano avere impedito l’effettiva conoscenza delle richieste di integrazione da parte della proprietaria del bene e che possano perciò giustificare la sua rimessione in termini. In particolare, non può dirsi provato il precario stato di salute della cognata all’epoca di ricezione degli atti, poiché il certificato medico prodotto è stato rilasciato nel 2014 e fa riferimento a condizioni verificatesi a partire dal 2013, in epoca successiva all’invio delle prime richieste di integrazione.
Infine, il fatto che nel 2014 sia stata prodotta una relazione geologica a supporto della domanda di condono costituisce elemento indiziario ulteriore che conferma la conoscenza delle richieste di integrazione formulate nel corso del tempo dall’Amministrazione.
2.1. E’ infondata anche la seconda censura, con la quale è stata dedotta la violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990 per mancato invio del preavviso di rigetto.
L’Amministrazione, infatti, ha inviato alla ricorrente innumerevoli richieste di integrazione, già dal 1989 (cfr. docc. da 2 a 7 del Comune). Attraverso tali atti la richiedente il condono è stata resa edotta della grave carenza documentale dell’istanza di condono e preavvertita del fatto che, in caso di mancata ottemperanza, si sarebbe proceduto alla archiviazione della pratica.
Va anzi notato che il Comune ha atteso anni e, in una evidente ottica di favor verso la richiedente il condono, anziché archiviare immediatamente la pratica, ha sollecitato più volte le integrazioni. Solo dopo molti anni, rilevata l’inerzia persistente dell’interessata, ha concluso il procedimento.
2.2. Infine, è infondata anche la terza censura.
Nel caso di specie, infatti, non si è formato il silenzio assenso sulla domanda di condono dopo due anni dalla sua presentazione, proprio per la radicale incompletezza della pratica, desumibile dalle richieste di integrazione e alla quale – vanamente – il Comune ha tentato di ovviare, per anni.
Come ribadito da recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, affinché possa formarsi il silenzio assenso sulle istanze di condono edilizio il termine di 24 mesi decorre dalla presentazione della domanda, purché la stessa risulti completa in ogni sua parte, non essendo peraltro l'Amministrazione tenuta a chiedere l'integrazione della documentazione incompleta nel predetto termine biennale (cfr. di recente Consiglio di Stato, sez. IV, 23 febbraio 2023, n. 1826;Id., sez. II, 18 febbraio 2021, n. 1474).
Inoltre, laddove venga assegnato il termine per l'integrazione documentale di una pratica di condono, lo stesso riveste carattere tassativo (salvi i casi di impossibilità non imputabile), sicché l'inottemperanza a tale richiesta determina la legittima chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 luglio 2019, n. 4769). Tali indicazioni appaiono del tutto coerenti col carattere eccezionale del condono (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 gennaio 2022, n. 308).
D’altra parte, la stessa disposizione invocata dalla parte ricorrente legittima l’archiviazione della pratica di condono per mancata integrazione documentale. Difatti, con la modifica introdotta all'art. 39 comma 4 della l. n. 724/1994 dall'art. 2, comma 37 della l. n. 662/1996 –applicabile anche alle istanze di condono ex lege n. 47/1985, per quei segmenti del procedimento di condono non ancora perfezionatisi alla data della sua entrata in vigore – il legislatore ha espressamente sancito che la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dall'espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione.
Tutto ciò considerato, il provvedimento di archiviazione, stante il suo carattere vincolato, non necessitava di una più puntuale e specifica motivazione.
3. In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.
4. Le spese seguono la soccombenza.