TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-04-27, n. 202301398
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Pubblicato il 27/04/2023
N. 01398/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01036/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1036 del 2020, proposto da
U P, rappresentato e difeso dall'avvocato B B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 40;
contro
Comune di Leni, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato C R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Messina, via A. Martino, n. 96;
per l'accertamento
- dell'avvenuta formazione del silenzio assenso sull'istanza datata 2 dicembre 2019, inoltrata via pec in data 5 dicembre 2019, volta ad ottenere l'autorizzazione per la delimitazione delle aree di proprietà dell'Arch. Plisi;
- dell'inesistenza, ad oggi, di una qualsivoglia servitù pubblica di passaggio sulle predette aree di proprietà dell'arch. U P;
nonché per l'annullamento
- della determinazione del Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Leni n. 37/20 del 24 marzo 2020, notificata in data 26 marzo 2020, avente ad oggetto il diniego espresso sull'istanza presentata nell'interesse dell'Arch. Plisi;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ed in particolare, per quanto occorrer possa, della nota prot. n. 303 del 22 gennaio 2020, avente ad oggetto la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Leni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2023 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente esponeva di essere proprietario di alcune aree situate nel Comune di Leni (catastalmente identificate al fg. 8, mapp. 151, 452 e 453) attraversate, come dedotto dallo stesso Comune, da un sentiero comunale (mulattiera), denominato “Filo Danice” il quale, ancorché ritenuto dallo stesso Comune a servizio delle aree circostanti, secondo il ricorrente, sarebbe stato, in realtà, inutilizzato da tempo immemore.
Aggiungeva il ricorrente di aver di recente provveduto all’integrale recupero e ristrutturazione dei predetti immobili (sia dei fabbricati che delle aree esterne) per la cui piena fruibilità e protezione aveva presentato allo stesso Comune, in data 5 dicembre 2019, istanza di apertura del procedimento amministrativo volto all’accertamento dell’estinzione, ove fosse mai stata legittimamente costituita, della servitù di passaggio relativa al sentiero “Filo Danice”.
Inoltrata l’istanza, e decorso più di un mese, ritenendo formatosi il silenzio assenso sulla richiesta di autorizzazione a delimitare l’area, in data 13 gennaio 2020 aveva chiesto delucidazioni al Comune.
In data 22 gennaio 2020 il Comune aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, che lo stesso ricorrente aveva contrastato, in data 31 gennaio 2020, a mezzo di rituali osservazioni.
Infine, con la determinazione n. 37/20 del 24 marzo 2020 il Comune di Leni aveva respinto la predetta istanza reiterando le motivazioni già proposte nella comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della stessa.
Il ricorrente si rivolgeva, pertanto, a questo Tribunale, ritenendo trattarsi di controversia relativa all’applicazione dell’art. 20 della legge n. 241/1990, per la quale sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera a-bis) del d.lgs. n. 104/2010.
Sottolineava, infatti, nel primo motivo e nel terzo motivo di ricorso, che l’istanza avrebbe dovuto ritenersi accolta in forza dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso ai sensi del predetto articolo 20.
Evidenziava, nel secondo motivo di ricorso, che l’area sarebbe stata integralmente privata e, pertanto, non sarebbe stato possibile definirne la natura demaniale.
Sarebbe altresì mancato un provvedimento di costituzione di una eventuale servitù di passaggio pubblica idonea a legittimare il sentiero “Filo Danice”, e non sarebbe stata configurabile una sua formazione per “ dicatio ad patriam ”, che avrebbe richiesto una prova della protrazione ultraventennale dell’uso pubblico.
In ogni caso, la servitù sarebbe risultata pacificamente prescritta in ragione dell’evidente stato di abbandono in cui sarebbe versato da decenni il sentiero, privo di alcuna manutenzione e non fruibile. Ribadiva, in tal senso, come il mancato utilizzo continuativo di una servitù determina, evidentemente, la prescrizione del relativo diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1073 c.c..
La presenza dell’indicazione del sentiero sulle mappe catastali sarebbe stata irrilevante, trattandosi di documenti di natura tecnica, preordinati all’assolvimento di funzioni tributarie.
Inoltre, la nota gravata sarebbe stata priva di adeguata motivazione, non avendo preso in considerazione le controdeduzioni presentate avverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Si costituiva in giudizio il Comune di Leni, il quale metteva in discussione tutti gli assunti del ricorrente.
Evidenziava, in particolare, che le opere realizzate sul medesimo fondo dal ricorrente erano state oggetto di un’ordinanza di demolizione non impugnata ed eccepiva il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, rilevando che la richiesta di sdemanializzazione avrebbe potuto condurre al trasferimento della proprietà in capo all’utilizzatore solo a seguito della pronuncia che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, sulla base di un accertamento estraneo alla cognizione del giudice amministrativo, che non avrebbe potuto procedervi neanche in via incidentale.
L’istanza presentata dal ricorrente non sarebbe rientrata nelle previsioni legislative per la formazione del silenzio assenso. In ogni caso, la stradella avrebbe fatto parte del demanio comunale, come riportato nella mappa catastale.
Il provvedimento emanato sarebbe stato adeguatamente motivato.
In conclusione chiedeva il rigetto del ricorso.
All’udienza di smaltimento del 23 febbraio 2023, udita la discussione delle parti, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
Ciò premesso, il ricorso deve ritenersi inammissibile.
Non è configurabile, anzitutto, in relazione alla richiesta presentata dal ricorrente, l’istituto del silenzio-assenso, ex art. 20 della l. 241/90, al quale quest’ultimo fa, invece, riferimento.
Ed invero, la norma predetta fa riferimento alle istanze con cui il cittadino chieda all’Amministrazione il riconoscimento e l’acquisizione di “un bene della vita”, mentre, nel caso in esame, la richiesta del ricorrente era finalizzata al mero accertamento negativo della natura (asseritamente non demaniale) di una porzione di terreno posta all’interno del fondo di sua proprietà.
E’ certo, infatti, che il citato articolo 20 faccia riferimento ai provvedimenti che producono un ampliamento della sfera giuridica del richiedente, mentre, nel caso in esame, l’istanza non era finalizzata ad ottenere un bene dall’Amministrazione, bensì solamente una dichiarazione sullo statuto reale del fondo di sua proprietà.
Se, infatti, la ratio dell’art. 20 della legge 241/90 è indubbiamente quella di accelerare la dinamica dell’attività amministrativa, consentendo ai privati di soddisfare le proprie pretese, quando siano oggettivamente fondate, anche in assenza di un provvedimento espresso dell’autorità amministrativa, emerge chiaramente come una tale esigenza non sussista nel caso in esame, nel quale la natura reale dei diritti in questione non è incisa dall'attività dell’Amministrazione “interpellata”, trattandosi della richiesta di un mero accertamento di un fatto oggettivamente operante, riguardante la natura ed il regime proprietario di un’area.
E’ evidente, infatti, che tali situazioni abbiano una rilevanza oggettiva su cui l’attività amministrativa richiesta con l’istanza, di natura meramente dichiarativa, non può certamente incidere.
Ne consegue che l’intervenuto decorso dei termini per il riscontro alla medesima istanza non può certamente immutare la condizione oggettiva del bene interessato, con la conseguenza che non sussistono neanche i presupposti e le condizioni per l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso, presupponente, in definitiva, che la posizione giuridica fatta valere abbia la consistenza dell’interesse legittimo e non, come nel caso di specie, del diritto soggettivo.
Il ricorso, già sotto tale profilo, deve, dunque ritenersi inammissibile.
Ma inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, è il ricorso anche in relazione agli ulteriori motivi di ricorso, con cui il ricorrente ha, in sostanza, preteso dal Tribunale l’accertamento incidentale del regime proprietario attuale e della natura dei terreni in questione e, in particolare della dedotta intervenuta prescrizione della servitù pubblica sussistente sul proprio fondo.
La domanda presuppone, evidentemente, l’esatta individuazione del tipo di diritti reali sussistenti sul fondo in relazione al tracciato del sentiero in questione;impingendo, dunque, su questione attinente all’accertamento di situazioni giuridiche tipicamente di diritto soggettivo, in relazione alle quali non emerge alcun rilevante episodio di esercizio del potere, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.
Il principio è indiscusso, essendo stato chiarito che “ la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o riguardante l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione, e ciò anche ove la domanda abbia formalmente ad oggetto l'annullamento dei provvedimenti di classificazione della strada, atteso che il "petitum" sostanziale, non essendo diretto a sindacare un provvedimento autoritativo della P.A., ha, in realtà, natura di accertamento petitorio ” (Cass. civ., Sez. Unite, sentenza 23/12/2016).
Per completezza, alla luce di quanto appena esposto e della sostanziale adeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato dal ricorrente, deve ritenersi, comunque, privo di fondamento, ove mai il ricorso fosse stato ritenuto ammissibile, anche l’ultimo dei motivi di ricorso.
Come ribadito anche di recente “ la partecipazione al procedimento è garantita attraverso la comunicazione dei motivi ostativi e l'esame delle controdeduzioni dell'interessato senza che gravi sull'amministrazione alcun obbligo di singola e specifica confutazione delle osservazioni;ove il preavviso di rigetto non sia stato pretermesso, nessun obbligo di specifica confutazione delle analitiche deduzioni dell'interessato grava sull'Amministrazione, anche in virtù del principio per cui non può essere aggravato un procedimento cadenzato dal rispetto di tappe ben precise da obblighi ulteriori oltre quelli minimi necessari ad assicurare al privato anticipatamente la conoscenza delle ragioni poste a fondamento del provvedimento finale e di poter interloquire in contraddittorio e collaborare all'istruttoria ” (Consiglio di Stato , sez. III , 07/01/2022 , n. 45).
In conclusione, per le motivazioni appena esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza in giudizio.