TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2022-10-06, n. 202212736

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2022-10-06, n. 202212736
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202212736
Data del deposito : 6 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/10/2022

N. 12736/2022 REG.PROV.COLL.

N. 09533/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9533 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato I H, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Otranto, 23;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento del provvedimento con cui sono state revocate le misure di accoglienza del ricorrente presso la struttura “-OMISSIS-, gestita dalla cooperativa sociale -OMISSIS- (centro per richiedenti asilo);


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Viterbo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 il dott. L F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’odierno ricorrente ha adito il T.a.r. per il Lazio per contestare il provvedimento con il quale la prefettura ha revocato le misure di accoglienza del ricorrente presso la struttura “-OMISSIS-, gestita dalla cooperativa sociale -OMISSIS-;

In vista della camera di consiglio, la parte ricorrente ha formulato richiesta di cessazione della materia del contendere, evidenziando, in particolare, che:

- con ordinanza cautelare-OMISSIS- questo Tribunale respingeva l’istanza cautelare;

- che avverso tale ordinanza veniva proposto appello davanti al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza di accoglimento interinale della sospensiva del provvedimento impugnato n. -OMISSIS-, ordinava alla Prefettura di Viterbo di “depositare entro il termine di giorni trenta chiarimenti in ordine alla condotta dell’appellante ed al regolamento adottato da parte del Centro di accoglienza presso il quale si trovava”;

- che in data 24/05/18 la Prefettura di Viterbo, nella persona del Vice Prefetto Dott. -OMISSIS-, comunicava di aver disposto la riammissione dell’appellante presso la suddetta struttura, riammissione materialmente avvenuta presso tale centro il giorno 25/05/2018.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene che debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Nell’assetto normativo precedente all’entrata in vigore del codice del processo, l’art. 23 comma 7 l. Tar, stabiliva che la cessata materia del contendere era una conseguenza dell’annullamento d’ufficio, ovvero della riforma del provvedimento impugnato in modo conforme all’istanza del ricorrente. Secondo l’art. 26 comma 6 l. Tar, si trattava tuttavia di una pronuncia di rito, disposta con decreto del giudice ed assimilata alle ipotesi di rinuncia, estinzione e perenzione.

L’attuale disciplina è contenuta nell’art. 34 del codice del processo, il quale ha eliminato ogni riferimento alla natura degli atti idonei a determinare una cessazione della materia del contendere, sul presupposto che essi non siano rappresentati solo da provvedimenti unilaterali di riesame, ma anche da accordi stragiudiziali tra le parti.

Al contempo si è distinta la cessazione della materia del contendere dalle altre ipotesi che giustificavano una pronuncia di rito ai sensi dell’art. 26 comma 6 l. Tar, ora disciplinate dall’art. 35 comma 2 c.p.a.

L’art. 34, la cui rubrica reca «sentenze di merito», dispone, infatti, che «qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere (comma 5).

L’art. 35, la cui rubrica reca «pronunce di rito», dispone che il ricorso è dichiarato «improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione» (comma 1, lett. c.).

Un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha già avuto modo di affermare che la differente natura tra le sentenze in esame discende dal diverso accertamento sotteso alla loro adozione, in quanto: i) «la cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere il bene della vita agognato, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo»;
i) «l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta, invece, riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l’ottenimento - per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente» (Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2224).

Pertanto, la cessazione della materia del contendere presuppone il pieno soddisfacimento dell’interesse fatto valere in giudizio. La sopravvenuta carenza di interesse presuppone la mancanza di interesse alla decisione perché, tra l’altro: i) il ricorrente non ha impugnato un atto presupposto o collegato da cui derivano effetti sfavorevoli;
ii) il provvedimento impugnato si basa su più ragioni indipendenti e sono state censurate soltanto alcune di esse;
iii) sopravviene un atto che rende sostanzialmente inutile l’eventuale annullamento dell’atto impugnato.

La diversità tra le due tipologie di sentenze rileva anche ai fini della definizione del perimetro del giudicato. La sentenza che dichiara la cessata materia del contendere, in quanto pronuncia di merito, è «idonea al giudicato sostanziale, accertando in maniera incontrovertibile l’attuazione di un assetto sostanziale di interessi favorevole al ricorrente, sopravvenuto in pendenza del giudizio, interamente satisfattivo della pretesa azionata in sede giurisdizionale, come tale non più revocabile in dubbio» (Cons. Stato, sez. VI, n. 2224 del 2021, cit.).

Alla luce dei principi di diritto in precedenza evidenziati, il collegio ritiene che il ricorrente abbia ottenuto tutte le utilità alle quali poteva aspirare, nei limiti della sua domanda, ragione per la quale s’impone nel caso di specie una pronuncia di cessata materia del contendere.

Le spese possono essere compensate tra le parti, alla luce della peculiarità sottese alla presente controversia.

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