TAR Roma, sez. I, sentenza 2023-05-05, n. 202307626
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Pubblicato il 05/05/2023
N. 07626/2023 REG.PROV.COLL.
N. 07750/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7750 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato G A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- del decreto del Ministro della Giustizia reso in data 15/06/2021, notificato in data 09/07/2021, con il quale la ricorrente, Vice Procuratore Onorario in servizio presso la sede di Foggia, è stata revocata dall’incarico;
- della presupposta deliberazione CSM prot. P10864/2021 del 24/05/21, notificata in data 09/07/2021;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Csm - Consiglio Superiore della Magistratura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2023 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente ha impugnato la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 19 maggio 2021 ed il conseguente decreto del Ministro della Giustizia del 15 giugno seguente, con i quali è stata disposta la sua revoca dall'incarico di Vice Procuratore Onorario presso il Tribunale ordinario di Foggia.
L'istante ha contestato la legittimità degli atti gravati, articolando i seguenti motivi di diritto:
- Violazione e falsa applicazione art. 21 co. 3 D. Lgs n. 116/17. Irragionevolezza – arbitrarietà. Violazione e falsa applicazione art. 21 co. 1-5-6-9 D.Lgs n. 116/17. Palese irragionevolezza, arbitrarietà. Difetto di motivazione (incongrua/erronea/apparente). Omessa, carente istruttoria e travisamento dei fatti. Contraddittorietà manifesta (con delib. CSM del 14/04/2018). Violazione e falsa applicazione art. 42 sexies IV comma R.D. 30/01/41 n. 12 in riferimento alla circolare consiliare prot. P792/2016 del 19/01/2016 (giusta nota CSM del 18/07/2017 prot. n. 13573/17). Violazione artt. 21 commi 1-5-6-9 D. Lgs. 116/17 – art. 11 circolare attuativa CSM del 15/11/2017.
Sulla base di tali doglianze, ha concluso per l’annullamento degli atti gravati.
Si sono costituite le amministrazioni intimate, contestando il ricorso e chiedendone la reiezione a mezzo di ampie deduzioni difensive.
Con ordinanza n. -OMISSIS-/2022, resa alla camera di consiglio del 16 giugno 2022, il Collegio ha respinto la domanda cautelare.
La causa è stata quindi trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 25 gennaio 2023.
Il ricorso è infondato.
Il Collegio, per ragioni di ordine logico, reputa opportuno subito scrutinare i motivi di ricorso attinenti alla dedotta errata applicazione della disciplina di cui al d. lgs. 117/2017.
Secondo l’istante, al procedimento de quo doveva infatti essere applicata la precedente disciplina, come prevista dall’art. 42 sexies, 4 comma del R.D. 30/01/4.
Il motivo è infondato.
L’art. 32, co. 1, del D.Lgs. n. 116 del 2017, infatti, prevede che “sino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni dei capi da I a IX si applicano ai magistrati onorari in servizio alla medesima data per quanto non previsto dalle disposizioni del capo XI. Dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo, ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto si applicano tutte le disposizioni del medesimo decreto”. Pertanto, secondo la lettera del predetto articolo, ai magistrati già in servizio al momento dell’entrata in vigore della riforma si applica comunque la disciplina (anche procedurale) recata dal Capo VII, recante “Dei doveri del magistrato onorario, della decadenza, della dispensa e della revoca” ed anche per fatti anteriori al decreto medesimo.
Neppure può seguirsi l’assunto difensivo secondo cui, trattandosi di norme attinenti ad un procedimento di natura “disciplinare”, assistito da garanzie affini alla difesa penale, dovrebbe applicarsi la normativa precedente più favorevole.
Il procedimento di revoca ha una natura diversa rispetto alla sanzione disciplinare, in quanto è teso a verificare che il magistrato mantenga quei requisiti imprescindibili di indipendenza, prestigio e imparzialità che devono connotare la figura del giudice onorario. Non a caso, l’art. 32 del d. lgs. n. 116/2017 differenzia espressamente il procedimento disciplinare dal procedimento di revoca, proprio prevedendo che il primo resti regolato dalle disposizioni previgenti, laddove già pendente al momento dell’entrata in vigore del d.lgs.n. 116/2017 (v. articolo 32, comma 11).
Il che conferma la differenza tra i due istituti e la diversa disciplina applicabile.
E ciò, osserva il Collegio, per il logico motivo che il vaglio sulla personalità del magistrato (tipico della conferma nelle funzioni ovvero del giudizio di revoca) deve essere condotto alla luce dei criteri attualizzati e secondo il procedimento in vigore al momento del giudizio di compatibilità.
Ne deriva che al caso de quo andavano applicati i commi da 6 a 9 dell’art. 21, i quali prevedono una precisa sequenza procedimentale in base alla quale il Presidente del Tribunale comunica immediatamente al Presidente della Corte d’appello ogni circostanza di fatto rilevante ai fini della decadenza, della dispensa o della revoca del giudice onorario di pace. Il Presidente della Corte d’Appello propone alla Sezione autonoma per i magistrati onorari del Consiglio giudiziario, di cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 25 del 2006, la decadenza, la dispensa o la revoca. La Sezione autonoma, sentito l’interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio Superiore della Magistratura affinché deliberi sulla proposta di decadenza, di dispensa o di revoca.
Si tratta di un procedimento che garantisce, per altro, un pieno contraddittorio con l’interessato, il quale può compiutamente svolgere le proprie difese. Nel caso de quo, l’istante ha ricevuto dal Consiglio giudiziario competente la comunicazione rituale della proposta di revoca dell’incarico avanzata dal Procuratore generale presso la Corte di Appello ed è stata sentita dal Consiglio giudiziario, presentando anche osservazioni il 19 settembre 2018.
Tanto premesso sul piano della disciplina applicabile, il Collegio reputa infondate anche le contestazioni sul contenuto della delibera.
Come già sinteticamente esposto nell'ordinanza di rigetto della domanda cautelare, il CSM si è determinato nel senso della revoca dell'incarico, valorizzando i fatti storici emergenti dai procedimenti penali menzionati in atti, come riportati nella proposta del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Bari, richiamata nel corpo della motivazione dell’atto.
Nella spendita del proprio potere discrezionale, l'Organo di autogoverno, in disparte le implicazioni penali delle condotte e a prescindere dagli esiti dei relativi procedimenti (archiviazione e/o prescrizione), ha ritenuto che le condotte poste in essere dalla ricorrente denotassero comunque un’indole “disinvolta” e non in linea con il rigore comportamentale che deve caratterizzare chi svolge funzioni giurisdizionali.
Osserva il Collegio come il CSM debba essere necessariamente munito di tale potere di valutazione della figura del magistrato onorario che aspiri ad esercitare le funzioni delicate in questione, per mezzo di giudizi che sono soggetti al solo sindacato estrinseco di ragionevolezza del giudice amministrativo. E’ infatti naturale che l’Organo debba vigilare sull’adeguatezza del soggetto, onde verificare la conservazione, in capo al giudice onorario, degli imprescindibili requisiti di alta moralità.
Nel caso di specie, il Procuratore della Repubblica di Foggia, con nota del 14 febbraio del 2018 indirizzata al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Bari, in relazione al procedimento penale a carico dell'istante, aveva evidenziato che risultavano comunque accertati taluni comportamenti censurabili tenuti dalla ricorrente, che pregiudicavano il prestigio delle funzioni a lei attribuite. Per tale motivo, trasmetteva gli atti al Procuratore Generale per le determinazioni di cui all'articolo 21 del d.lgs. 116/2017. Questi dava impulso al procedimento di revoca della ricorrente, all’esito delle indagini descritte in atti, disposte a carico dell'esponente dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, per i reati previsti e puniti dagli articoli 416, 611, 640 c.p. e 12 del d.lgs. 286/1990. Tali fatti inerivano ad una contestata associazione per delinquere, composta da cittadini extracomunitari, da titolari di aziende agricole e dalla ricorrente medesima, che istruiva pratiche per il rilascio dei nulla osta all'ingresso in Italia, a redigere contratti di lavoro simulati, nonché ad indicare falsamente la disponibilità di alloggi per gli extracomunitari beneficiari dei contratti. Il procedimento penale era stato archiviato in data 28 novembre 2017 per intervenuta prescrizione dei reati di truffa e minaccia e, per i reati di cui agli articoli 416 cp e 12 del d.lgs. 286/1998, perché gli elementi acquisiti non erano giudicati idonei a sostenere l'accusa nel processo.
Ciò nondimeno, il Procuratore Generale aveva rilevato che dalle dette indagini era comunque emersa la prova storica di taluni fatti particolarmente significativi.
Nello specifico era emerso che la ricorrente aveva inoltrato richieste di nulla osta all'ingresso in Italia per motivi di lavoro di un numero di extracomunitari di gran lunga eccedente le effettive possibilità di occupazione. Inoltre, molte delle richieste recavano firme disconosciute dagli imprenditori sottoscrittori dei contratti. Si aggiunga che la stessa ricorrente aveva indicato nelle varie pratiche talune disponibilità alloggiative che erano riconducibili sempre alle medesime abitazioni, tra cui una casa di proprietà dei propri genitori e altri immobili, i cui proprietari si erano dichiarati del tutto ignari di essere stati indicati quali potenziali ospitanti.
Di conseguenza, il Procuratore Generale aveva imputato alla ricorrente il compimento di condotte inopportune, non in linea con l'alto profilo che deve connotare la figura del magistrato onorario.
La delibera ha dato conto di tutto quanto sopra esposto, concludendo, con ragionamento non illogico, per la revoca dell’incarico svolto dall'istante.
Il provvedimento impugnato risulta sorretto da una motivazione del tutto conforme alla normativa primaria di cui all'articolo 21, comma 5, del d.lgs. 116/2017, il quale prevede che è altresì disposta la revoca “…quando il magistrato onorario tenga in ufficio o fuori una condotta tale da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli”.
Da ultimo, si rileva che alcun effetto viziante può ravvisarsi nel mero errore materiale contenuto nel decreto del Ministro della Giustizia, laddove si fa riferimento al comma 3, invece che al comma 5, dell'articolo 21 del riferito d.lgs. n. 116/2017. Si tratta di un evidente lapsus calami e, inoltre, il DM richiama la delibera del CSM del 19 maggio precedente, quale provvedimento presupposto (ove è correttamente indicato il referente normativo), con la conseguenza che alcun dubbio può esservi circa la base normativa che ha condotto alla revoca dell'istante.
Alla luce delle superiori considerazioni, tutte le doglianze esposte in ricorso sono infondate, con riveniente rigetto della domanda annullatoria.
Le spese seguono la soccombenza come da liquidazione in dispositivo.