TAR Bari, sez. II, sentenza 2013-06-28, n. 201301047

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2013-06-28, n. 201301047
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201301047
Data del deposito : 28 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02026/2010 REG.RIC.

N. 01047/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02026/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SNTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2026 del 2010, proposto da P C, rappresentato e difeso dall'avv. E T, con domicilio eletto in Bari, via Calefati, 133;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dall'avv. G T, con domicilio eletto in Bari, via Principe Amedeo, n. 334;

per l’accertamento

del danno subito dal ricorrente per le ragioni di cui in narrativa e la conseguente condanna del Comune di Bari.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2013 il dott. G A e uditi per le parti i difensori, avv. E T e avv. Pietro Contursio, su delega dell'avv. G T;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO



1. L'ingegner C è stato affidatario (insieme con altri professionisti) dell'incarico di progettazione e (poi) di direzione dei lavori per il rifacimento e l'adeguamento degli impianti elettrici del Policlinico di Bari, a partire dall'anno 1990.

Nel 1995 veniva assunto dal Comune di Bari.

In particolare, l'avvio della direzione dei lavori, con inizio delle opere, veniva disposto con la delibera dell'Azienda ospedaliera Policlinico 27 gennaio 1997 n. 30.

L'interessato, in data 26 febbraio 1997, allora, presentava una prima istanza di autorizzazione per il predetto incarico, istanza accolta con delibera della Giunta municipale 2 settembre 1997 n. 2617.

In seguito l'Azienda ospedaliera comunicava all'ingegner C, con nota datata 22 ottobre 1997 n. 7725, l'inizio dei lavori relativi all'ultimo stralcio (rete in media tensione dei residui padiglioni).

In data 22 novembre 1997, il ricorrente presentava all'Amministrazione municipale domanda di autorizzazione per lo svolgimento di tale successiva parte dell'incarico.

Con la nota 18 novembre 1998 prot. 11480-Ripartizione Personale-Settore gestione-, però, il Comune di Bari negava la proroga richiesta per dirigere i lavori presso il Policlinico.

Tale atto veniva impugnato dal dipendente con ricorso n. 427/1999.

L’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza n. 185 del 25 febbraio 1999.

Nelle more del giudizio i lavori venivano ultimati e i compensi in gran parte liquidati agli altri quattro tecnici affidatari.

Ciò nonostante, avendo l’istante evidenziato la persistenza dell’interesse anche in una prospettiva risarcitoria, la causa veniva discussa all'udienza del 19 giugno 2008 e decisa, con esito di accoglimento, con sentenza della Sezione prima 3 luglio 2008 n. 1606. Essa, non impugnata, passava in giudicato.

Con il ricorso (da valere, all’occorrenza, anche gli effetti dell’articolo 112, comma quarto, del codice del processo amministrativo) notificato al Comune il 3 dicembre 2010 e depositato il 17 dicembre 2010, l'ingegner C, essendo stato annullato l’atto pregiudizievole ed essendo passata in giudicato la sentenza, chiede il ristoro dei danni subiti che quantifica in € 672.666,12, nonché in un’ulteriore somma pari al 5% della predetta per perdita di capacità professionale.

Si è costituito il Comune di Bari, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in subordine, infondato.

In primo luogo eccepisce la tardività della domanda risarcitoria e la conseguente intervenuta decadenza ai sensi dell'art. 30 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104;
in secondo luogo, nel merito, contesta la sussistenza della colpa dell’amministrazione e, infine, sostiene l’esuberanza del quantum preteso in rapporto al concreto contenuto e agli effetti dell’atto annullato dalla sentenza n. 1606/2008.

Sulle conclusioni delle parti, sviluppate anche in memoria, la causa è stata riservata per la decisione all’udienza del 16 maggio 2013.



2.a. Innanzi tutto è da rigettare l’eccezione di tardività del ricorso e di decadenza dall’azione sollevata dal Comune in riferimento all'art. 30, terzo comma, del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 1043, per il quale il risarcimento per lesione di interessi legittimi dev’essere domandato “entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.

La domanda, di cui al ricorso notificato al Comune il 3 dicembre 2010 e depositato il 17 dicembre 2010, è stata effettivamente proposta ben oltre il termine di 120 giorni dalla conoscenza del provvedimento lesivo (la nota del 18 novembre 1998). Occorre però tener presente che la previsione decadenziale dell’art, 30 costituisce una novità assoluta del codice del processo amministrativo e, in difetto di specifiche disposizioni transitorie, non si può certo comprendere nel termine il tempo già trascorso prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.

La domanda è, pertanto, tempestiva, poiché proposta non oltre 120 giorni dalla data di entrata in vigore della previsione normativa che ha introdotto il nuovo termine decadenziale (T.A.R. Liguria, Genova, Sez. II, 27 aprile 2012 n. 606). Né era decorso il periodo quinquennale di prescrizione dal passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo di annullamento dell’atto lesivo, termine che la giurisprudenza aveva individuato nel previgente regime (Adunanza Plenaria, 9 febbraio 2006 n. 2, p. 4) e che in concreto, come segnalato dalla stessa Amministrazione municipale, partiva dall'ottobre 2009 (visto che la pronuncia, pubblicata il 3 luglio 2008, non era stata notificata).

Passando al merito della controversia, per chiarezza espositiva conviene riportare la sentenza 3 luglio 2008 n. 1606, nella parte che qui interessa:

“2.b. Il ricorso é fondato.

Invero, è del tutto evidente che, a norma dell'articolo 1, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, all'epoca vigente, si sia formato il silenzio assenso” [sulla domanda di autorizzazione presentata in data 22 novembre 1997] “e che perciò, come dedotto dall'interessato, l'eventuale successivo provvedimento esplicito di rigetto” [ovvero la nota 18 novembre 1998 prot. 11480] “debba qualificarsi in termini di esercizio dell'autotutela, soggiacendo quindi alle regole tradizionalmente elaborate per tale tipo di atto, regole che, nel caso esaminato, sono state del tutto ignorate.

In proposito, le varie argomentazioni difensive sviluppate dall'Amministrazione resistente non possono essere condivise.

La circostanza che il ricorrente, dopo l'istanza del 22 novembre 1997, abbia inoltrato anche le note datate 16 settembre 1998 e 20 ottobre 1998 non può incidere sul meccanismo di formazione del silenzio-assenso legislativamente previsto come conseguente al mero decorso dal termine, costituendo al più tali lettere l'indice di un atteggiamento prudente del dipendente che, comunque, ad ogni buon conto, per evitare qualsiasi problema in futuro nell'ambiente di lavoro, sollecitava una presa di posizione esplicita dell'Amministrazione.

Ugualmente priva di pregio è l'osservazione che l'ingegner C dovesse presentare una nuova richiesta di autorizzazione per l'incarico e non solo una domanda di proroga. Invero, nell’istanza autorizzatoria prodotta dall’interessato, il relativo oggetto era precisamente delimitato e descritto, né risulta che siano disciplinate in maniera espressamente diversa le ipotesi (nuova istanza-proroga) individuate dalla difesa comunale.

Neppure è condivisibile l'interpretazione data dal Comune alla legislazione in materia che fa leva sulla nuova formulazione dell'articolo 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, determinata dall'articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80.

A prescindere dalla considerazione che il citato articolo 26 non sarebbe a stretto rigore, ratione temporis , applicabile alla fattispecie, come dianzi ricostruita (essendosi formato il silenzio-assenso trenta giorni dopo la presentazione dell'istanza del 22 novembre 1997), si deve constatare che tale norma non apporta alcuna significativa modificazione rispetto al nucleo problematico della vicenda, incidendo su aspetti che hanno solo una certa attinenza con le questioni affrontate.

In definitiva, l'invocato articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 si limita ad incidere su due punti: da un lato, chiarisce (elencandoli) i casi di attività (non gratuite) che si presumono del tutto compatibili con il rapporto di lavoro e quindi neppure assoggettate al regime autorizzatorio (esse, al contrario di quanto sostenuto dall’atto gravato, non costituiscono quindi in assoluto le uniche ipotesi di attività compatibili);
dall'altro, distingue tra incarichi conferiti da amministrazioni pubbliche e incarichi conferiti da privati, mantenendo solo per i primi il silenzio assenso, previsto dall'articolo 1, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662.

Per il resto la disciplina sostanziale riguardante l'autorizzabilità o meno di incarichi rimane legata alla "consolidata prassi applicativa della disciplina generale (risalente all'articolo 60 del D.P.R. n. 3 del 1957 e confermata anche dall'articolo 58 del D.Lgs. 29 del 1993)", come ribadito dall'articolo 6 della circolare 19 febbraio 1997, n. 3/97 ("Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 56/65: tempo parziale e disciplina delle incompatibilità") della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della funzione pubblica e gli affari regionali.

Tale atto, anch'esso richiamato dal Comune a sostegno delle proprie argomentazioni, sulla premessa che l'amministrazione "continuerà ad attenersi ai propri consolidati indirizzi...rammenta soltanto... che.. le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando:

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