TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-09-09, n. 201032199

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-09-09, n. 201032199
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201032199
Data del deposito : 9 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09327/2009 REG.RIC.

N. 32199/2010 REG.SEN.

N. 09327/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 9327 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
N M, rappresentata e difesa dall'avv. M M, con domicilio eletto presso Studio Paolo Paciotti Valeriani Federica in Roma, via Germanico, 72;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del verbale del 29.1.2009, nella parte in cui viene considerato “non idoneo” l’elaborato di diritto amministrativo;

- di tutti gli atti conseguenziali e comunque connessi, ivi compresi, se necessario, l’elenco degli ammessi agli orali.


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 14 luglio 2010 la d.ssa S M;

Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Espone la ricorrente di aver preso parte, nei giorni 19, 20 e 21 novembre 2008, alla prove scritte del concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario, indetto con decreto del Ministro della Giustizia in data 27 febbraio 2008.

La ricorrente, in esito alla correzione degli elaborati, riportava il giudizio di “non idoneo” nella prova di diritto amministrativo.

Deduce:

1) Violazione di legge:artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.. Illegittimità costituzionale art. 1, comma 5, d.lgs. n. 160/2006.

L’avversato giudizio di non idoneità non è supportato da motivazione alcuna, ulteriormente osservandosi come i preordinati criteri di valutazione avessero carattere assolutamente generico.

Parte ricorrente ritiene altresì che le disposizioni del d.lgs. n. 160/2006, che consentono l’espressione di un giudizio di non idoneità non confortato da specifico apparato motivazionale, si pongano in contrasto con gli artt. 97 e 113 della Costituzione, ulteriormente sottolineando come, in altri ambiti del pubblico impiego, sia espressamente previsto e disciplinato siffatto obbligo di motivazione.

2) Violazione artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.;
art. 3 l. n. 241/90.

3) Eccesso di potere, contraddittorietà, illogicità della motivazione.

Rileva, ancora, come la traccia del tema di diritto amministrativo (“I contratti di servizio della P.A. e riparto di giurisdizione”) fosse del tutto generica e si prestasse a variegate interpretazioni: per l’effetto assumendosi che le modalità con le quali i candidati hanno affrontato la problematica abbiano indotto, in sede di correzione degli elaborati, un approccio significativamente difforme da parte della Commissione, con riveniente disparità di trattamento.

Ribadisce quindi che l’avversato giudizio di non idoneità non si rivela supportato da motivazione alcuna;
ulteriormente osservando come i preordinati criteri di valutazione avessero carattere assolutamente generico.

Si costituiva, per resistere, l’amministrazione intimata, depositando memoria.

La ricorrente ha quindi proposto motivi aggiunti, in particolare sviluppando la censura di disparità di trattamento, all’esito dell’accoglimento dell’istanza di accesso da parte del Ministero della Giustizia, accesso accordato il 18.2.2010.

Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono stati assunti in decisione alla pubblica udienza del 14 luglio 2010.

2. Il ricorso principale è infondato, mentre i motivi aggiunti sono irricevibili, per le ragioni che vengono di seguito precisate.

2.1. È in primo luogo infondata la censura relativa al difetto di motivazione che inficerebbe il giudizio di non idoneità, la cui formulazione non consentirebbe di ricostruire l’ iter logico seguito dalla Commissione.

2.1.1 Costituisce ormai principio consolidato quello secondo cui le valutazioni espresse da una Commissione di concorso nelle prove scritte e orali dei candidati costituiscono espressione di un’ampia discrezionalità tecnica;
e, come tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate, “ictu oculi” da eccesso di potere, sub specie delle figure sintomatiche dell’arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità e travisamento dei fatti.

La giurisprudenza ha pure avuto modo di evidenziare che il voto numerico (ovvero, come nel caso in esame, il conclusivo giudizio) costituisce espressione sintetica, ma esaustiva, della valutazione della Commissione, soddisfacendo adeguatamente l’onere della motivazione previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, e, più in generale, dei principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

Una disposizione come quella contenuta nell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160 (recante “Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150”), il quale prevede che:

- “sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta”

- e che “agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo”, non viola le ricordate disposizioni in tema di motivazione del giudizio di inidoneità.

Invero, il meccanismo delineato dalla predetta normativa, non costituisce il frutto di una mera attività materiale dell’Amministrazione, ma è espressione di una valutazione, positiva o negativa dell’elaborato: mentre, nel primo caso, alla valutazione positiva segue l’attribuzione di un punteggio, nel secondo caso viene espresso un giudizio di inidoneità che implica, senza alcuna possibilità di dubbio, il mancato raggiungimento della sufficienza.

In altri termini, il giudizio di inidoneità contiene in sé, implicitamente e manifestamente, una valutazione di insufficienza della prova concorsuale che del tutto inutilmente dovrebbe essere ulteriormente esplicitato.

Un difetto di motivazione di tale giudizio di inidoneità potrebbe apprezzarsi solo ove il candidato offrisse elementi idonei a supportare l’arbitrarietà o l’irragionevolezza del giudizio, quantomeno relativamente ai criteri predeterminati dalla Commissione, elementi tutti che, nel caso di specie, non ricorrono.

Agli elaborati è stato dunque dato un giudizio di inidoneità che appare sufficiente ad esprimere correttamente la valutazione effettuata dalla Commissione, non essendovi neanche l’onere di indicare un voto.

2.1.2 Va dunque confermato, sulla base di quanto dianzi esposto, l’orientamento ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa – consolidato al punto da costituire “diritto vivente” e giudicato conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa dalla Corte Costituzionale (sentenza 30 gennaio 2009 n. 20) – secondo cui nelle procedure concorsuali, ove la valutazione del merito del candidato esprime un giudizio strettamente valutativo del grado di preparazione e di idoneità culturale (e non una ponderazione fra una pluralità di interessi in gioco ai fini dell’adozione di una statuizione provvedi mentale), il voto numerico è di per sé idoneo a identificare il livello di sufficienza o di insufficienza della prova sostenuta, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2009 n. 2880 e 11 luglio 2008 n. 3480;
C.G.A.R.S., 7 ottobre 2008 n. 837).

Proprio la sopra citata pronunzia del giudice delle leggi – quantunque riferita all’esame di abilitazione alla professione forense – reca univoche indicazioni che inducono il Collegio a disattendere, in quanto infondate, le questioni di legittimità costituzionale dalla parte ricorrente sollevate con riguardo al fondamento normativo che consente, nel concorso per l’accesso in magistratura, l’espressione del giudizio mediante coefficienti numerici e, nel caso di prove insufficienti, mediante indicazione di “non idoneità”.

La Corte infatti:

- pur nel rammentare di aver “in plurime decisioni, … escluso che la tesi dell'insussistenza, nell'ordinamento vigente, di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità costituisse una interpretazione obbligata e univoca della normativa vigente (ordinanze n. 466 del 2000, n. 233 del 2001, n. 419 del 2005 e, da ultimo, n. 28 del 2006)”;

- ha tuttavia rilevato che “nella più recente evoluzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, tale tesi si è ormai consolidata, privando la tesi minoritaria, ancora adottata in alcune isolate pronunce, di ogni concreta possibilità di definitiva affermazione giurisprudenziale”;

- conclusivamente prendendo atto “della circostanza che la soluzione interpretativa offerta in giurisprudenza costituisce ormai un vero e proprio «diritto vivente»”.

Per quanto possa occorrere, relativamente alla discriminazione che, a dire della ricorrente, sarebbe stata operata dal legislatore rispetto ad altri concorsi del pubblico impiego, è agevole osservare che essi riguardano l’accesso a carriere e funzioni diverse da quella in esame.

Pertanto, la rilevata diversità del procedimento di valutazione, con peculiare riguardo alle modalità di esternazione del giudizio, deriva da scelte che il legislatore pare avere assunto nel legittimo esercizio della sua discrezionalità, non essendovi pertanto luogo a sollevare la questione di costituzionalità nei termini prospettati.

3. Sotto altro profilo, neppure può ritenersi che la Commissione di concorso sia venuta meno all’obbligo di predeterminare i criteri di valutazione degli elaborati.

Nella seduta del 2 dicembre 2008, essa aveva infatti stabilito di considerare idoneo il singolo elaborato che:

a) presenti una forma italiana corretta sotto il profilo lessicale, sintattico e grammaticale, e riveli adeguata padronanza della terminologia giuridica, unita a capacità di sintesi. In particolare, la chiarezza va valutata in relazione alla linearità del periodo ed alla comprensibilità del contenuti nonché alla precisione del linguaggio comune e giuridico”;

b) “offra una pertinente ed esauriente trattazione del tema, dimostrando adeguata conoscenza dell’istituto cui direttamente esso si riferisce, dei principi fondamentali della materia, della giurisprudenza e della dottrina, nonché un’adeguata capacità di inquadramento dogmatico e sistematico”;

c) riveli la capacità del candidato di procedere all’analisi delle specifiche questioni a lui sottoposte e di proporne una soluzione logicamente argomentata in coerenza con gli istituti e i principi della materia”.

I criteri generali di valutazione, contenendo indicazioni di massima sulle caratteristiche che l'elaborato deve possedere per poter essere considerato idoneo, appaiono funzionali alla finalità per la quale la Commissione li ha previsti.

Al riguardo, la Sezione ha più volte ribadito che i criteri di valutazione delle prove scritte in cui si articola il concorso per uditore giudiziario non necessitano di particolare illustrazione essendo sostanzialmente in re ipsa, a differenza che in altre ipotesi di procedimenti concorsuali, come ad esempio nelle gare pubbliche di appalto aggiudicate con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l'intensità della discrezionalità tecnica dell'amministrazione è espressa anche dalla variabilità degli elementi da valutare, con la conseguente esigenza di individuare ed esplicitare gli elementi stessi (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, sez. I, 3 luglio 2007 n. 5941).

4. Va, altresì, esclusa la concludenza delle argomentazioni con le quali parte ricorrente ha sostenuto che la affermata “genericità” della traccia di diritto amministrativo abbia potuto condurre ad esiti di valutazione del tutto dissimili (sì da indurre una pretesa violazione del principio di omogeneità del metro valutativo), in quanto tali asserzioni non recano alcun, ancorché minimo, idoneo fondamento dimostrativo.

In particolare, relativamente alla censura di disparità di trattamento, non appare inutile ricordare che, secondo quanto rilevato da questa stessa Sezione, il riferimento a singoli elementi estrapolati dalle prove di altri candidati, non è sufficiente ad indurre un vizio di valutazione, sia in quanto la valutazione di un elaborato concorsuale è il frutto di una disamina che deve essere effettuata avendo riguardo all’intero contenuto della prova, sia perché siffatta censura potrebbe refluire, in realtà, in un vizio di illegittimità della valutazione dell’altro candidato posto a raffronto (cfr. TAR Lazio, sez. I, sentenze n. 3145 del 26 marzo 2009 e 4487 del 4 maggio 2009)

5. La riscontrata infondatezza delle esaminate censure impone di disporre la reiezione del ricorso principale. I motivi aggiunti, invece, devono essere dichiarati irricevibili. E’ la ricorrente stessa, infatti, ad affermare che la documentazione sulla scorta delle quale sono state formulate le relative doglianze, è stata ostesa dal Ministero della Giustizia sin dal 18.2.2010.

I motivi aggiunti risultano invece notificati solo in data 3.6.2010 e quindi ben oltre il termine di decadenza per la proposizione di ulteriori doglianze rispetto all’impianto del ricorso principale.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

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