TAR Napoli, sez. I, sentenza 2011-12-13, n. 201105793
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N. 05793/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02470/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2470 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
R P, rappresentato e difeso dagli avv. G C, F C, con domicilio eletto presso questi in Napoli, via Pietro Colletta, n. 12;
contro
U.T.G. - Prefettura di Caserta, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura di Stato, domiciliata per legge in Napoli, via Diaz, 11;
Provincia di Caserta;
per l'annullamento
- della nota n. prot. 0037493 del 29 marzo 2011, con la quale il Dirigente della Provincia di Caserta ha avviato la procedura di revoca dell’aggiudicazione provvisoria dell’appalto relativo ai lavori di “manutenzione ed ammodernamento della S.P. Marcianise - Succivo”;
- del provvedimento interdittivo antimafia ivi richiamato prot. n. 1740/12b.16/ANT/Area 1^ del 21 febbraio 2011 e di tutti gli atti connessi ivi compreso il Protocollo di Legalità;
con motivi aggiunti dell’8 luglio 2011:
- dei medesimi atti, nonché di tutti gli atti di indagine connessi e degli ulteriori atti investigativi depositati in giudizio.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura di Caserta;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2011 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento interdittivo antimafia prot. n. 1740/12b.16/ANT/Area 1^ del 21 febbraio 2011 adottato dal Prefetto di Caserta, ed il connesso atto del 29 marzo 2011 del responsabile dell’amministrazione provinciale intimata che, per effetto del decreto prefettizio, ha avviato la revoca del rapporto contrattuale relativo alla realizzazione di lavori di manutenzione ed ammodernamento della S.P. Marcianise - Succivo.
Con motivi aggiunti sono stati anche impugnati una serie di atti di indagine alla base dell’informativa prefettizia gravata.
La parte ricorrente denuncia l'illegittimità dei riferiti atti deducendo motivi di violazione di legge e di eccesso di potere (presupposto erroneo, travisamento dei fatti, sviamento di potere, violazione del giusto procedimento, motivazione errata, perplessità, contraddittorietà, illogicità, atipicità dell'atto, falsità della causa).
Resiste in giudizio l'amministrazione degli interni, che conclude per la infondatezza del ricorso.
All’udienza del 9 novembre 2011 la causa è trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Per valutare la consistenza dei motivi di doglianza prospettati con il ricorso originario ed i connessi motivi aggiunti occorre partire da alcune considerazioni preliminari in merito alla interdittiva antimafia oggetto del presente giudizio.
Alla luce di orientamenti ormai consolidati nella giurisprudenza amministrativa, è opinione comune:
- che la misura in questione, per la sua natura cautelare e preventiva, non richieda la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste;
- che dunque ciò che deve essere provato non è la intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza;
- che l’insieme degli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri;
- che l’interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali, cosicché anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva.
Muovendo da tali necessarie premesse, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame la adozione della misura interdittiva gravata appare giustificata sulla base degli elementi indiziari richiamati del provvedimento del Prefetto.
La società ricorrente denuncia innanzitutto carenza di motivazione del decreto di revoca e della presupposta misura interdittiva.
Il motivo è infondato.
Per costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il provvedimento prefettizio è legittimamente motivato, come nel caso in esame, per relationem agli atti istruttori delle forze di polizia ivi richiamati.
Quanto al provvedimento di revoca, a motivare lo stesso è sufficiente l’individuazione della presupposta informativa antimafia e del conseguente vincolo che, dal suo effetto interdittivo, discende per l’azione della stazione appaltante.
Con i restanti motivi di gravame, la ricorrente denuncia la insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento prefettizio e la carenza della relativa istruttoria.
Poiché il ricorso introduttivo è stato proposto prima ancora che la ricorrente potesse conoscere il contenuto degli atti istruttori, la cui ostensione è avvenuta soltanto in giudizio, le censure sono sviluppate e precisate nel ricorso per motivi aggiunti, dove specificamente è contestata la concludenza degli elementi raccolti a carico della società.
Vale premettere che il P è stato già destinatario di informative prefettizie (n. prot. n. 531/12b.16/ant/area 1^ del 20 marzo 2008 e prot. n. 531/12b.16/ant/area 1^ del 20 marzo 2008), nelle quali il giudizio di sussistenza di pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata viene basato dal Prefetto di Caserta sul coinvolgimento dello stesso in un procedimento penale diretto contro esponenti del clan Farina. Alla luce di questo evento si conferiva rilievo, in un’ottica di complessiva lettura delle emergenze investigative, ad ulteriori aspetti dell’attività svolta dal ricorrente, che si sostanziano nell’essere vice-presidente di un consorzio che ha partecipato ad un gara in raggruppamento con società (Betra s.r.l.) colpita da informativa antimafia e nell’esistenza di una cointeressenza societaria (quale quotista al 50%) con un soggetto (I.T.) che ha stretti rapporti di parentela (padre e fratello) con soggetti ritenuti appartenenti all’organizzazione delinquenziali preminente sul territorio (clan dei casalesi).
Con una serie di decisioni (vedi per tutte la sentenza n. 2725 del 2009), questo Tribunale ha ritenuto insufficienti gli elementi posti a base della prognosi infausta.
Corre osservare in primo luogo che non è postulabile alcuna violazione delle pronunzie giurisdizionali evocate.
Ed invero, l’annullamento della precedente informativa sfavorevole in sede giurisdizionale non è di ostacolo al riesercizio del potere amministrativo, il quale deve conformarsi all’autorità della cosa giudicata nella misura in cui gli elementi a sostegno della misura interdittiva rimangano inalterati.
Nel caso di specie, rispetto ai precedenti presupposti la Prefettura ha indicato nuove risultanze, potenzialmente suscettibili di una riconsiderazione complessiva della posizione della impresa ricorrente. Vale sul punto osservare che il giudizioso di contiguità mafiosa rappresenta una sintesi di tutti gli elementi emersi a carico del prevenuto, onde la sopravvenienza di notizie e investigazioni ulteriori è in grado fornire una chiave di lettura diversa anche in relazione ad elementi già scrutinati in sede giurisdizionale, visto che gli elementi devono essere intesi, non già in senso atomistico, ma valutati nel loro insieme, ossia come quadro indiziario sintomatico di un atteggiamento complessivo dell’operato della società sospetta.
In tale contesto, quindi, deve escludersi qualsiasi intento elusivo del giudicato, da parte dell’amministrazione, perché questa, in seguito all’annullamento dell’originaria informativa, era certamente titolare del potere di svolgere un nuovo procedimento valutativo, correlato alla acquisizione di ulteriori elementi istruttori.
Il rinnovo del procedimento, semmai, costituiva proprio uno degli effetti conformativi della pronuncia di annullamento, ferma restando la eventuale sindacabilità della nuova determinazione, anche alla luce dei vincoli derivanti dal giudicato (C.d.S., sent. n. 5014 del 2011).
Pertanto occorre valutare se i nuovi elementi addotti a sostegno dell’informativa interdittiva, considerati in uno con i precedenti elementi, possano supportare il giudizio di permeabilità criminale della cooperativa.
L’attuale giudizio di pericolosità mafiosa, oltre a riprendere gli elementi già scrutinati in sede giurisdizionali, prende le mosse dalla nota dei Carabinieri di Caserta del 25 settembre 2010 che evidenzia un ulteriore episodio (oggetto di procedimento penale sfociato in un’ordinanza di custodia carceraria) in cui il P è accusato di aver pagato un’ulteriore tangente agli esponenti del medesimo clan, nell’ambito dell’esecuzione di lavori in sub-appalto nel Comune di Santa Maria a Vico.
Tale episodio è stato ripreso nella relazione stilata in data 16 febbraio 2011 dal Nucleo Investigativo Interforze della Provincia di Caserta, istituito presso la locale Stazione Unica Appaltante, unitamente alla circostanza che il P è stato incriminato e sottoposto alla misura custodiale (ordinanza n. 53 del 21.1.2011 del G.i.p. presso il Tribunale di Napoli) per una serie di false fatturazioni in favore della società Beton Campania s.r.l., produttrice di calcestruzzo.
In relazione a quest’ultima circostanza è evidente che il reato contestato, pur se astrattamente scevro da implicazioni mafiose, si inserisce in un contesto ambientale ed imprenditoriale assai significativo, sia in relazione alla tipologia di fornitura (calcestruzzo), sia per la peculiare posizione della Beton Campania rispetto alle organizzazioni malavitose insistenti sul territorio.
Quanto all’aggiornamento della posizione del P, a fronte dell’evocato sviluppo del procedimento penale, gli organi della Prefettura hanno formulato una precisa ed attuale valutazione della pericolosità del soggetto. Sul punto va rimarcato che il giudizio prefettizio in ordine all' attualità della compromissione dei beni tutelati dalla normativa antimafia, che esclude la sufficienza del richiamo a meri addebiti remoti, non implica necessariamente l'emergere di nuovi e distinti fatti storicamente accertati, essendo sufficiente che si traduca, come nella specie, in una rinnovata valutazione della complessa situazione che, in ragione della specificità degli eventi evidenziati, dimostri la persistenza del condizionamento. A tale conclusione non osta il disconoscimento, in sede penale, dell’aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203 del 1991 (agevolazione della criminalità organizzata), la quale postula la prova di un legame ben più significativo del soggetto incriminato con il clan egemone sul territorio, ma non esclude la sussistenza di una mera contiguità e vicinanza (nel senso del condizionamento delle strategie aziendali) a tali gruppi criminali. Parimenti irrilevante deve ritenersi, ai fini del giudizio prognostico censurato, la decisione della Commissione Tributaria di Caserta, che non ha ritenuto sufficiente la presunzione derivante dagli accertamenti incrociati svolti dalla Guardia di Finanza, poiché esso si basa sulla inattendibilità ai fini fiscali della presunzione di inesistenza della fatture, secondo un parametro proprio della legislazione di tale settore.
In conclusione i due nuovi elementi hanno ragionevolmente condotto ad una nuova e complessa valutazione di persistente permeabilità dell’impresa nei confronti di ingerenze della malavita organizzata.
Rammentando che la funzione affidata all’informativa del Prefetto non si esplica sul piano dell’accertamento di responsabilità penali e non implica, pertanto, altro che un giudizio prognostico sul pericolo di permeabilità dell’impresa ad interessi criminali, occorre, in conclusione, osservare che il ruolo legato ad ambienti criminosi di P - emergente dall’indagine penale – rende non irragionevole la conclusione che egli possa, quanto meno, convivere professionalmente con la presenza nelle sue attività di quegli interessi che, oltre che combattere, occorre bandire dall’accesso a risorse pubbliche.
Tali considerazioni, unitamente alle risultanze della documentazione agli atti di causa, conducono al rigetto di tutte le censure, con compensazione delle spese di lite attesa la delicatezza delle questioni trattate.