TAR Firenze, sez. II, sentenza 2021-11-19, n. 202101506
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Testo completo
Pubblicato il 19/11/2021
N. 01506/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00794/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in -OMISSIS-, via Pacini 37;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria
ex lege
in Firenze, via degli Arazzieri, 4;
per l'annullamento
del provvedimento prot. uscita n. -OMISSIS- del 12/04/2021, notificato in data 19/04/2021 che revoca la misura di accoglienza nei confronti del ricorrente nonché ingiunge al medesimo di versare la somma di € 1.865,00 quale rimborso dei costi sostenuti per le misure indebitamente usufruite.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2021 il dott. R G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con provvedimento del Prefetto di -OMISSIS- prot. -OMISSIS- del 12 aprile 2021 è stata disposta la revoca delle misure di accoglienza nei confronti dell’odierno ricorrente in base all’art. 23, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 142 del 2015, ovvero per accertamento della disponibilità da parte del richiedente “ di mezzi economici sufficienti ”, essendosi accertato il superamento, per i redditi conseguiti dal ricorrente nel 2020, dell'importo dell'assegno sociale. Con il medesimo provvedimento la Prefettura di -OMISSIS- ha altresì ingiunto al ricorrente la restituzione di quanto percepito indebitamente a titolo di accoglienza, per la permanenza nella struttura.
2 - Con il ricorso in esame il ricorrente insorge avverso il richiamato provvedimento, formulando nei suoi confronti le seguenti censure:
- Violazione Direttiva Europea n. 2013/33/UE, rilevandosi in particolare il mancato rispetto del principio di proporzionalità e gradualità, così come previsto dall’art. 20, paragrafo 5, della direttiva 2013/33/UE a cui il d.lgs. n. 142 del 2015 dà attuazione;
- Violazione di legge. Violazione degli artt. 13 e 23 d.lgs. 142/2015: il procedimento attivato dalla Prefettura di -OMISSIS-, diretto a revocare l’accoglienza del richiedente asilo accolto all’interno di un C.A.S. per una delle ipotesi previste dall’art. 23 d.lgs. 142/2015, è illegittimo, tale norma essendo riferita solo per ospitati negli SPRAR;
- Violazione di legge. Violazione art. 23 comma 1 lett. d) d.lgs. n. 142/15: il provvedimento impugnato si palesa illegittimo sia per la precarietà del rapporto lavorativo sia per il ristretto tempo preso in esame dalla Prefettura;
- Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Eccesso di potere per genericità ed incompletezza della motivazione.
3 – Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
4 - Con ordinanza n. -OMISSIS- del 2021 la Sezione accoglieva la domanda incidentale di sospensione, limitatamente alla disposta restituzione.
5 – Chiamata la causa alla pubblica udienza del 10 novembre 2021 e sentiti i difensori comparsi, come da verbale, la stessa veniva trattenuta dal Collegio per la decisione.
6 – Con il secondo motivo, che deve essere preliminarmente esaminato, parte ricorrente ritiene illegittima la revoca della misura di accoglienza, in quanto l’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015 (secondo il testo della norma vigente ratione temporis ) sarebbe applicabile solo agli SPRAR.
La censura è infondata.
Come già chiarito dalla Sezione, l’ambito di applicazione dell’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015 “ non può ritenersi limitato alle strutture SPRAR in virtù di quanto stabilito al suo comma primo, secondo il quale <Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture di cui all'articolo 14, dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d'accoglienza>. Tale disposto vale infatti ad individuare l'organo amministrativo competente a disporre in tal senso e non a delimitare l'ambito di applicazione della normativa. Diversamente opinando, ne risulterebbe una disparità di trattamento del tutto irragionevole tra le strutture SPRAR e quelle temporanee di cui all'articolo 11 del medesimo d.lgs. 42/2015, con evidenti riflessi sulla legittimità comunitaria e costituzionale del medesimo. Questo impone, in sede ermeneutica, di ricercare una possibile diversa interpretazione conforme alle fonti sovraordinate e in particolare al principio di ragionevolezza della legge;a tale conclusione si può ragionevolmente pervenire ritenendo che l'inciso sopra citato valga a individuare non l'ambito di applicazione dell'articolo 23, D.lgs. 142/2015, bensì l'organo amministrativo competente a disporre la revoca delle misure di accoglienza nei confronti di tutte le strutture a tal scopo deputate ” (da ultimo, sentenza n. 1058 del 10 luglio 2019).
7 – Con il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, che possono essere fatti oggetto di congiunto esame, parte ricorrente contesta la revoca impugnata in quanto contraria al diritto europeo e in contrasto anche con la corretta applicazione della normativa interna.
Le censure sono infondate.
La Sezione ha già affrontato le suddette questioni con plurime recenti sentenze (nn. da 921 a 924 del 2021), alle quali il Collegio si riporta.
Occorre preliminarmente evidenziare che l’art. 14 del d.lgs. n. 142 del 2015 stabilisce, al comma 3, che: “ Al fine di accedere alle misure di accoglienza di cui al presente decreto, il richiedente, al momento della presentazione della domanda, dichiara di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. La valutazione dell'insufficienza dei mezzi di sussistenza di cui al comma 1 è effettuata dalla prefettura - Ufficio territoriale del Governo con riferimento all'importo annuo dell'assegno sociale ”. Inoltre l’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015 prevede: “ 1. Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture di cui agli articoli 9 e 11, dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d'accoglienza in caso di: …..d) accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti ”. Dalle suddette disposizioni emerge che: presupposto per accedere alle misure di accoglienza è l’essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza;la valutazione dell'insufficienza dei mezzi di sussistenza è effettuata con riferimento all'importo annuo dell'assegno sociale;in caso di accertamento della disponibilità di mezzi economici sufficienti è disposta la revoca delle misure d'accoglienza. In altri termini le misure di accoglienza di cui al d.lgs. n. 142 del 2015 non conseguono automaticamente alla domanda di protezione internazionale, ma presuppongono che il richiedente sia privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari. Inoltre, anche in caso di ricorso giurisdizionale avverso il diniego di protezione internazionale, l’esser “ privo di mezzi sufficienti ” da parte del ricorrente è comunque condizione per usufruire delle misure di accoglienza (art. 14, comma 4, II periodo, del d.lgs. n. 142 del 2015) per il tempo in cui, essendo sospesi gli effetti del diniego della protezione internazionale stante il ricorso giurisdizionale pendente (art. 35 bis, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008), il ricorrente medesimo è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale.
Tali norme interne non sembrano contrastare con quelle della direttiva 2013/33/UE, che all’art. 20, rubricato “ Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza ”, individua l’ipotesi dell’occultamento delle risorse finanziarie fra i comportamenti sanzionabili con la riduzione o la revoca delle condizioni di accoglienza. Invero - premesso che nel caso di specie non si è trattato di sanzionare alcun comportamento scorretto, essendo pacifico che il percepimento del reddito da lavoro fosse stato dichiarato - la possibilità per gli Stati di membri di condizionare la concessione delle misure di accoglienza alla permanenza dello stato di bisogno, si ricava dall’art. 17, par. 3, della direttiva, dove si prevede espressamente che: “ Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento .”. E se tale requisito dell’indigenza è richiesto per accedere al sistema di accoglienza, logica vuole che lo stesso debba sussistere per tutto il tempo di godimento dei relativi benefici.
D’altro canto, come si evince dal complesso della direttiva citata “ recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ”, uno degli obiettivi delle norme europee sull’accoglienza (ripreso dalle norme nazionali, v. art. 22 del d.lgs. n. 142 del 2015) è rappresentato dall’agevolazione all’accesso al mercato del lavoro da parte dei richiedenti la protezione internazionale, occorrendo però per altro verso e al contempo contrastare le possibilità di abuso del sistema di accoglienza, dovendo le relative, limitate, risorse andare a beneficio dei richiedenti che versano in situazioni più radicali di povertà e di mancanza di strumenti d’integrazione. Nel difficile equilibrio fra tali esigenze occorre dunque assicurare ai richiedenti di poter beneficiare delle condizioni materiali di accoglienza finché l’integrazione lavorativa e la situazione di autosufficienza economica non abbiano raggiunto un certo grado di stabilità.
Osserva inoltre il Collegio che anche la possibilità di richiedere un contributo ai costi delle condizioni materiali di accoglienza nel caso di accertata disponibilità di sufficienti risorse, è rimessa alla discrezionalità legislativa degli Stati membri, come emerge dal par. 4 del medesimo art. 17, secondo cui: “ Gli Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo ”;ed è chiaro che si tratta di una soluzione che non esclude la possibilità di prevedere la revoca delle condizioni di accoglienza (in presenza dei suddetti, medesimi, presupposti) in via alternativa o anche cumulativa, come previsto dal nostro diritto interno al comma 6 dell’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015, secondo il quale: “ Nell’ipotesi di revoca, disposta ai sensi del comma 1, lett. d), il richiedente è tenuto a rimborsare i costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito ”.
Nel caso di specie è pacifico, perché non contestato dal ricorrente, che egli abbia superato nel 2020 il livello reddituale previsto dalla normativa, dal che è conseguito la legittima adozione da parte dell’amministrazione del provvedimento di revoca. Non vi è spazio per le doglianze di difetto di istruttoria e motivazione, non essendo contestato che il livello reddituale previsto dalla norma sia nel caso di specie superato. Né rileva la precarietà dell’impiego conseguito, una volta che il tetto reddituale annuale sia stato superato.
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto, con compensazione delle spese di giudizio, data il recente formarsi dell’orientamento giurisprudenziale qui applicato.