TAR Bologna, sez. II, sentenza 2024-01-22, n. 202400050
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Pubblicato il 22/01/2024
N. 00050/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00465/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 465 del 2021, proposto da
Rialto S.p.A., Pam Panorama S.p.A., Ovs S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, società rappresentate e difese dagli avvocati G R, E S e D S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G R, in Milano, via Legnano n. 16;
contro
Comune di Bologna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A T e N Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale, in Bologna, piazza Maggiore, 6;
nei confronti
Atersir - Agenzia Territoriale dell'Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti, Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
della delibera del Consiglio comunale di Bologna in data 29/3/2021, avente ad oggetto: “Approvazione di modifiche al Regolamento TARI approvato con Delibera PG n. 80301/204 e ss.mm.ii. a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni di cui al D. Lgs. 3 settembre 2020 n. 116/2020”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bologna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2023, il dott. Umberto Giovannini e uditi, per le parti, i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Le società ricorrenti – tutte operanti nel Settore della Grande Distribuzione e presenti nel Comune di Bologna con diversi punti vendita - hanno impugnato la delibera del Consiglio Comunale di Bologna in data 29/3/2021 recante l’approvazione del Nuovo Regolamento T.A.R.I. comunale. Sostengono le società ricorrenti che l’Amministrazione comunale di Bologna, con detto atto regolamentare abbia esercitato in modo inesatto il proprio potere regolamentare, sia mediante esercizio di una potestà che (almeno in parte) non le compete sia mediante introduzione di disposizioni che si pongono in contrasto con l’ordinamento europeo e il diritto dell’Unione, dal momento che esse risultano stabilire parametri e aliquote non previste da alcuna norma, in definitiva introducendo il parametro del valore fiscale all’interno della valutazione dell’interesse pubblico ad una corretta tutela dell’Ambiente. Le società ricorrenti ritengono pertanto illegittima la gravata delibera consiliare, censurando la stessa sulla base dei seguenti motivi in diritto: Incompetenza e difetto di attribuzione, con riferimento alla violazione dell’art. 117, c. 2 lett. s) Cost. per via della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’Ambiente;violazione dell’art. 7 del D. Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.).
Il Comune non è competente a regolare la materia della gestione dei rifiuti e l’ambito di applicazione del servizio comunale di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, è materia rientrante nella competenza legislativa esclusiva statale.
Il potere normativo (di legge e regolamentare) in materia ambientale è condiviso tra Stato e Regioni, con conseguente mancanza di autonomo potere normativo da parte degli altri enti territoriali, che possiedono, invece, il potere di emanare prescrizioni attuative e applicative di tali norme in base ai principi di sussidiarietà e di precauzione;prescrizioni che, però, mai possono sostanziarsi in norme incoerenti con il riferito sistema ex art. 7 del D. Lgs. n. 267 del 2000. Nel caso in esame, il Comune di Bologna non si è limitato ad adeguare la propria disciplina regolamentare alle nuove disposizioni statali, mediante il recepimento della nuova definizione di “rifiuto urbano” e della possibilità di affidare tale categoria di rifiuti ad operatore privato, con correlato diritto alla riduzione proporzionale della T.A.R.I., ma ha travalicato le proprie competenze in materia, mediante estensione – di fatto – dell’applicazione della privativa comunale, con la conseguente tassazione, oltre a quanto stabilito dal Codice dell’Ambiente e dalla L. n. 147 del 2013. Né è derivata una differenziazione locale della disciplina ambientale dei rifiuti che incide sul complessivo sistema nazionale di gestione dei rifiuti e degli imballaggi, nonché sul sistema di tassazione e sul corretto adempimento degli obblighi di recepimento delle Direttive UE n. 851/2018 e n. 852/2018. Con un secondo ordine di censure, le ricorrenti denunciano violazione degli artt. 183, 184, 221 e 226 del D. Lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 1, comma 649 della L. n. 147 del 2013 oltre che violazione dell’art. 23 della Carta Costituzionale e dell’art. 1 Preleggi.
I nuovi articoli 10 e 17 del Regolamento comunale si pongono in contrasto con l’art. 23 Cost e con l’art. 1 Preleggi perché essi indebitamente limitano la disciplina tributaria delle esenzioni per la produzione in via prevalente e continuativa di rifiuti speciali quali sono gli imballaggi terziari e delle agevolazioni connesse all’autonomo recupero dei rifiuti urbani (ex imballaggi secondati) che il contribuente dimostri di avere avviato a recupero mediante operatore privato.
Nella specie, l’art. 10, comma 3 bis sottopone a tassazione la quasi totalità delle superfici di vendita che producono, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali che autonomamente devono essere avviati a recupero, in luogo del previgente sistema di cui all’art. 1, comma 649 Legge n. 147 del 2013 che prevedeva la specifica, totale esenzione dalla tassazione. L’art. 10, comma 4 stabilisce invece – a priori – la tassazione dei magazzini non strumentali e funzionalmente collegati all’attività di produzione, correlando la tassazione alla mera presenza di persone sulle superfici, in luogo della verifica richiesta dalla normativa previgente, che imponeva di valutare il carattere prevalente e continuativo della produzione di rifiuti speciali sulle superfici. Il Nuovo Regolamento non solo limita il diritto alla riduzione della TARI ad un importo massimo di riduzione, in luogo della riduzione proporzionale prima prevista dall’art. 238 del D. Lgs. n. 152 del 2006, ma impone anche, in ogni caso, la corresponsione di almeno il 50% della TARI senza che tale onere sia giustificato da effettive esigenze di tutela ambientale. Nella specie, l’applicazione del Regolamento comunale impugnato comporta, in concreto, l’istituzione con Regolamento di un tributo sulle aree produttive di rifiuti speciali e di rifiuti urbani (ex imballaggi assimilati). Secondo le ricorrenti il Nuovo Regolamento comunale viola anche l’art. 1, comma 649 della L. n. 147 del 2013, anche in relazione agli artt. 221 e 226 del D. Lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 183 c. 1 lett. b-ter) e 184, commi 2 e 3 lett. e) dello stesso decreto legislativo. La Direttiva UE 2018/851 ha stabilito che i rifiuti da imballo prodotti dalla Grande Distribuzione Organizzata, non possono essere considerati rifiuti urbani, con conseguente impossibilità di assoggettare a TARI le relative superfici di svolgimento dell’attività. Gli artt. 184 e 226 del D. Lgs. n. 152 del 2006 (come modificati dal D. Lgs. n. 116 del 2020), in recepimento della Direttiva UE, hanno mantenuto la qualificazione degli imballaggi terziari come rifiuti speciali, escludendoli dal servizio comunale di smaltimento e dall’ambito di applicazione della TARI. E’ il Legislatore nazionale che definisce gli imballaggi terziari come gli imballi per il trasporto e la movimentazione di merci i cui rifiuti sono diversi per natura da quelli di provenienza domestica ed è sempre il Legislatore nazionale che sottrae tali imballi al regime di privativa comunale e che sanziona penalmente il conferimento di rifiuti speciali al circuito di raccolta e smaltimento comunale. Anche la Corte di Cassazione ha stabilito, in diverse pronunce, che gli imballaggi terziari sono sottoposti ad un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere.
Parte ricorrente introduce, inoltre, il quarto motivo di ricorso, con cui deduce violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990 e dell’art. 7 L. n. 212 del 2000, oltre che eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e di motivazione. Le società instanti ritengono illegittimo il calcolo effettuato nell’art. 6 del Regolamento comunale impugnato, è prevista una percentuale di riduzione forfetaria delle superfici di vendita e dei magazzini pari al 10% della superficie soggetta a tassazione. Con riferimento a tale percentuale indicata nel Regolamento, le ricorrenti rilevano che il Comune non ha specificato i dati istruttori e il percorso logico seguito per determinare detta percentuale di riduzione della superficie tassabile. L’atto impugnato risulta altresì irragionevole e incoerente, nella parte in cui impone la tassazione delle superfici di vendita e dei magazzini delle attività commerciali che producono esclusivamente rifiuti speciali non conferibili al servizio comunale prevedendo una percentuale di riduzione della superficie tassabile più bassa di tutte le altre previste nello stesso Regolamento.
Ulteriore rilievo consiste nella ritenuta illegittimità dell’art. 10, c. 4 del Regolamento comunale, nella parte in cui estende la tassazione TARI a tutti i magazzini, escludendola, di fatto, unicamente per i magazzini collegati direttamente con l’attività produttiva, e includendovi, invece, anche la superficie dei magazzini destinati allo stoccaggio dei prodotti finiti e dei semilavorati o di ogni area in cui vi sia presenza di persone fisiche. L’art. 1, c. 649 della L. n. 147 del 2013 non prevede la tassazione dei magazzini, ancorché destinati allo stoccaggio di prodotti finiti, ben potendo l’operatore chiederne l’esenzione, previa dimostrazione della natura e tipologia dei rifiuti speciali ivi prodotti. Detta norma esclude inoltre dalla tassazione TARI anche i locali in cui vi sia presenza di persone, purché, parimenti, se ne dimostri l’utilizzo con formazione di rifiuti speciali. Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 238 del D. Lgs. n. 152 del 2006, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e violazione del principio di proporzionalità riguardo alla riduzione della tariffa per avvio a recupero.
Il criterio individuato dall’art. 17, c. 4 del Regolamento comunale per la riduzione della TARI per le utenze non domestiche che dimostrino di avere avviato a recupero determinate quantità di rifiuti urbani, risulta illegittimo, secondo parte ricorrente, in quanto viola l’art. 238, c. 10, del D. Lgs. n. 152 del 2006, che prevede, al riguardo, l’esclusione dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità di rifiuti conferiti. Pertanto, nel caso in esame, la misura della riduzione per l’avvio a recupero stabilita dal Comune di Bologna nel Regolamento TARI non risulta in alcun modo giustificata, con conseguente arbitrarietà e non proporzionalità della disposizione regolamentare, viziata anche da carenza di adeguata istruttoria e motivazione.
La stessa disposizione regolamentare (art. 17, comma 4) è pure viziata per violazione del principio di proporzionalità, laddove essa prevede che i contribuenti che affidano i propri rifiuti urbani ad un Operatore privato siano in ogni caso soggetti a TARI nella misura di almeno il 50% della tariffa intera. La norma viola la vigente disciplina statale che in alcun caso prevede limiti alla riduzione della tariffa per TARI. Il minimo tariffario (50%) da corrispondere in ogni caso è stata determinata in modo arbitrario dal Comune, in palese difetto di istruttoria e di motivazione.
L’ottavo motivo di ricorso rileva ulteriore violazione dell’art. 238 del D. Lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, c. 649 L. n. 147 del 2013 e dell’art. 191 TFUE e del principio “chi inquina paga”.
Risultano illegittime le norme del Regolamento comunale che assoggettano a tassazione superfici produttive di rifiuti speciali per le quali i contribuenti già sopportano l’onere dello smaltimento autonomo e che prevedono in modo inammissibile forti riduzioni delle agevolazioni tariffarie, risolvendosi dette disposizioni, in un’inammissibile duplicazione dell’impose a fronte di un solo servizio. Con il nono motivo, la società ricorrente rileva violazione della Direttiva 2008/98/CE come modificata dall’art. 1 Direttiva 2018/851/UE anche in relazione all’art. 117 Cost.. Il Regolamento comunale viola la citata Direttiva nelle parti di essa palesemente dirette a rafforzare la tutela dell’ambiente e della salute umana tramite l’introduzione di misure volte a favorire il riutilizzo degli imballaggi e il riciclaggio dei rifiuti di imballaggio. Tra tali misure vi è anche l’introduzione di una nuova definizione di “rifiuti urbani” che esclude i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali dall’ambito di applicazione della nozione di “rifiuti urbani”, La nuova normativa di cui all’art. 183, c. 1 lett. b-ter del D. Lgs. n. 152 del 2006 opera quindi in violazione della disciplina europea e in danno del confronto concorrenziale, dato che l’eliminazione del criterio di assimilazione ha, quale effetto, un’estensione significativa del servizio pubblico comunale con danno per le imprese private che producono rifiuti e che rischiano l’aggravamento sia del regime fiscale sia del costo dei servizi, con conseguente richiesta della ricorrente al giudice amministrativo adito di disapplicare la norma interna per contrasto con quella europea. In caso di ritenuta impossibilità di disapplicare dette nuove norme interne, la ricorrente chiede che il TAR ponga la questione interpretativa della normativa europea in questione dinanzi alla Corte di Giustizia U.E., con particolare riferimento all’interpretazione da attribuire ai “consideranda” n. 6 e n. 10 della Direttiva 2018/851/UE e agli artt. 1, 9 e 10 della Direttiva 2008/98/CE.
Si è costituito nel presente giudizio il Comune di Bologna, che, in via pregiudiziale, in rito, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse., poiché le ricorrenti, nonostante abbiano impugnato, con il presente gravame, le modifiche del Regolamento comunale in applicazione delle quali sono stati emessi gli avvisi di pagamento TARI per le annualità successive 2021, 2022 e 2023, hanno tuttavia provveduto ad effettuare i relativi versamenti senza nulla contestare e senza presentare riserva di ripetizione in caso di esito favorevole del presente ricorso. Ritiene la civica amministrazione bolognese, che tale fatto riveli il comportamento acquiescente delle ricorrenti avverso le disposizioni regolamentari impugnate.
Nel merito, il Comune ritiene infondati tutti i motivi di ricorso, con conseguente richiesta di reiezione dello stesso. Con ordinanza collegiale n. 386 del 21/6/2023, questa Sezione ha accolto l’opposizione delle ricorrenti Pam Panorama s.p.a., OVS s.p.a al decreto Presidenziale decisorio n. 38 del 20/3/2023, con il quale è stata dichiarata la rinuncia al ricorso di tutte le società ricorrenti.
Con detta ordinanza collegiale è stato annullato il citato decreto decisorio, dando atto, in esso, che “l’improcedibilità del ricorso per intervenuta rinuncia…” riguarda la sola ricorrente Rialto s.p.a.,, con regolare prosecuzione del giudizio, invece, per le altre due ricorrenti PAM Panorama s.p.a. e OVS s.p.a.
Alla pubblica udienza del 23 novembre 2023, la causa è stata chiamata ed essa, quindi, è stata trattenuta per la decisione come da verbale.
In primo luogo, il Tribunale deve dare atto della rinuncia al giudizio da parte della ricorrente Rialto s.p.a., giusta nota in tal senso depositata dalla suddetta società in data 16/3/2023, previa notifica dell’atto al Comune di Bologna).
Sempre in via preliminare, va respinta l’eccezione del Comune di inammissibilità del ricorso per asserita acquiescenza delle ricorrenti PAM Panorama s.p.a. di seguito: PAM) e OVS s.p.a. (di seguito: OVS) alle modifiche regolamentari comunali impugnate, in ragione dell’accertato pagamento dei relativi avvisi concernenti la TARI per le annualità 2021, 2022 e 2023. Tale pagamento non comporta, infatti, acquiescenza delle ricorrenti-contribuenti alle nuove norme regolamentari comunali impugnate, che prevedono una nuova disciplina di applicazione della TARI;nuove norme la cui legittimità è stata contestata sotto più profili dalle ricorrenti mediante la presentazione del ricorso in esame.
Nel merito, il Collegio deve innanzitutto rilevare l’infondatezza del primo motivo di ricorso, con cui si denuncia l’incompetenza del Comune in materia di gestione dei rifiuti e di applicabilità del servizio comunale di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani;attribuzioni che parte ricorrente ritiene siano di esclusiva competenza statale. Tale argomentazione risulta infatti chiaramente smentita dall’enunciato dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446 del 1997 che stabilisce “Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti…”. Pertanto, nei limiti sopra individuati – che nella specie non risultano in alcun modo oltrepassati – risulta legittimo l’operato del Comune che ha disciplinato il tributo TARI con proprio Regolamento senza peraltro interferire nell’ambito di attribuzioni statali in materia di “definizione e individuazione: delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi, dell’aliquota del tributo. Anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto, stante l’accertata legittimità degli artt. 10 e 17 del Regolamento comunale, espressamente e direttamente contestata dalle società ricorrenti. Nello specifico, queste ultime sostengono che le citate disposizioni del Regolamento comunale violerebbero sia l’art. 23 della Carta Costituzionale, sia l’art. 1 delle Preleggi, in quanto dette norme prevedono una disciplina che, in concreto, limita il regime tributario delle esenzioni dalla TARI, con particolare riferimento a quelle relative alla produzione, in via prevalente e continuativa, di rifiuti speciali (nello specifico: derivante da imballaggi terziari) e delle agevolazioni connesse all’attività del contribuente di avvio a recupero dei rifiuti urbani (derivanti da imballaggi secondari). Al riguardo, il Collegio osserva che sono condivisibili le considerazioni svolte dalla civica amministrazione resistente sia riguardo all’ampio ambito di applicazione della TARI previsto espressamente dall’art. 1, comma 641 della L. n. 147 del 2013, secondo cui “Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti suscettibili di produrre rifiuti urbani”, sia riguardo alla circostanza che, fissati dalla legge statale i casi eccezionali di esclusione dalla TARI per i contribuenti non inclusi nelle utenze domestiche (casi in cui, le superfici oggetto di attività: non possono oggettivamente produrre rifiuti ex art. 1, c. 641, L. n. 147 del 2013;consistono in aree scoperte non operative ex art. 1, c. 641 seconda parte L. n. 147 del 2013;consistono in aree ove si formano, in via continuativa e prevalente rifiuti speciali ex art. 1, c. 649 L. n. 147 del 2013), spetta al contribuente dimostrare l’esistenza dei presupposti per beneficiare della detassazione degli imballaggi terziari derivanti dall’attività di produzione di rifiuti speciali.
Nel caso in esame, pertanto, le ricorrenti non hanno mai dato prova al Comune circa l’esistenza dei presupposti di legge per ottenere la riduzione della superficie tassabile al fine del pagamento della TARI, con conseguente inconsistenza del suddetto rilievo. Ai sensi di quanto dispone l’art. 10, c. 5 del Regolamento, detta dimostrazione deve essere data dal contribuente mediante apposita dichiarazione che deve a sua volta essere oggettivamente riscontrabile sulla base di elementi oggettivi direttamente rilevabili o sula base di allegazione di idonea documentazione.
In concreto, il contribuente che intende beneficiare di detassazione ai fini TARI di parte delle superfici di vendita ha l’onere di dimostrare l’entità effettiva di tali superfici in cui vengono prodotti solo rifiuti speciali, quali sono quelli derivanti da imballaggi terziari, e non rifiuti urbani o assimilati, nei quali risultano inclusi, invece, gli imballaggi primari e gli imballaggi secondari.
Nel caso in esame, l’attività di entrambe le ricorrenti consiste nella grande distribuzione operata attraverso supermercati, con la conseguenza che, all’evidenza, – nelle corsie di vendita di strutture commerciali, l’attività ivi esercitata generi – in massima parte – la produzione di imballaggi primari (involucri contenenti la merce esposta negli scaffali) e di imballaggi secondari (involucri contenenti più imballaggi primari), piuttosto che – come sostiene parte ricorrente - imballaggi terziari, vale a dire i dispositivi che sono utilizzati per la movimentazione della merce, che devono essere necessariamente destinati al riutilizzo e in nessun caso allo smaltimento.
Secondo la vigente disciplina nazionale in materia: D. Lgs. n. 116 del 2020, i soli imballaggi terziari sono qualificati come rifiuti speciali, poiché solo tali imballaggi devono essere trattati e avviati per il recupero da chi li produce;al di fuori, quindi, del servizio comunale di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. Gli imballaggi primari e quelli secondari sono considerati, invece, alla stregua dei rifiuti urbani (con conseguente assoggettamento a tale servizio) anche per utenze “non domestiche”, quali sono, indubbiamente, anche i supermercati e le grandi strutture di vendita.
A norma dell’art. 6, c. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999 rientrano, infatti, tra le c.d. “utenze non domestiche”: “…le attività commerciali, industriali, professionali e produttive in genere…”, con conseguente oggettiva inclusione, in tale categoria di utenze, di quelle esercitanti attività commerciale in medie grandi strutture di vendita quali soni i supermercati.
Per quanto riguarda più specificamente gli “imballaggi terziari”, la nuova disciplina, pur assimilandoli ai rifiuti speciali, non li esclude tot court dall’imposizione TARI, prevedendo l’esclusione dal tributo solo riguardo alle superfici che, per struttura e destinazione, producono solo tale tipologia di rifiuti speciali, con dimostrazione di tale effettiva produzione che è posta a carico del contribuente che chiede la relativa esenzione o riduzione della TARI. Il Tribunale rileva, inoltre, che non sono condivisibili le argomentazioni svolte dalle ricorrenti con il terzo motivo, con cui si denuncia l’illegittimità dell’art. 10, comma 3 bis del Regolamento comunale, per contrasto con la normativa eurocomunitaria, nella parte in cui sono assoggettate a tassazione TARI sia le superfici di vendita sia quelle utilizzate quali magazzini, anche se produttive di rifiuti speciali da imballaggi terziari che il contribuente deve avviare a recupero mediante ditte private specializzate, ancorché esse beneficino, secondo la vigente normativa regolamentare, di una riduzione forfetaria del 10% della superficie tassabile. Su tale questione, si deve osservare che la Direttiva UE richiamata da parte ricorrente (Dir. 2018/851/UE), dispone specificamente affinché gli Stati membri prevedano che “…i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici, non rientrino nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani…”. La Direttiva è pertanto chiara nel limitare l’inclusione nei rifiuti urbani dei soli rifiuti prodotti da attività commerciali (e industriali) che non sono assimilabili a quelli domestici. Trattasi, pertanto, di definizione che in alcun modo è in contrasto (e quindi risulta violata) da quanto prevedono sia la nuova normativa nazionale sia il Regolamento comunale impugnato, quale nuova disciplina settoriale che oggettivamente ha comportato una significativa estensione della categoria “rifiuto urbano”, non direttamente correlata al soggetto che lo produce.
Il quarto motivo di ricorso è infondato. Con esso le ricorrenti deducono l’illegittimità dell’art. 10, comma 3 bis del gravato Regolamento comunale TARI per asserita violazione dell’art. 1, comma 649 della L. n. 147 del 2013 anche in relazione agli artt. 221 e 226 del D. Lgs. n. 152 del 2006.
A dire delle ricorrenti la suddetta norma regolamentare illegittimamente avrebbe assoggettato a tassazione TARI le superfici di vendita e i magazzini, dato che tali aree sono invece produttive di rifiuti da imballaggio terziari che il contribuente deve avviare a recupero e non smaltire tramite il servizio comunale. Il Collegio ritiene che riguardo a quest’ultima questione, sia sufficiente richiamare le considerazioni appena svolte in sede di esame del secondo motivo di ricorso, riferite all’accertata assimilabilità degli imballaggi prodotti nelle aree destinate alla vendita e ai magazzini della Grande Distribuzione Organizzata agli imballaggi primari e secondari, piuttosto che agli imballaggi terziari, i quali, in quanto oggettivamente riutilizzabili, sono ex lege esclusi dal servizio di smaltimento dei rifiuti comunale, dovendo essi essere necessariamente soggetti a procedura di riutilizzo da parte del soggetto che li produce. Di conseguenza, non risulta illegittima la norma regolamentare che – nell’oggettiva impossibilità di individuare, all’interno di un supermercato, un’area utilizzata esclusivamente per la produzione di imballaggi terziari, e tenuto conto di quanto detto riguardo alla netta differenziazione esistente tra imballaggi primari e secondari da una parte e imballaggi terziari dall’altra, prevede una riduzione della tassazione TARI del 10% riguardo alla superficie complessiva imponibile. Si deve infatti tenere conto che tale riduzione forfetaria è applicabile solo nel caso in cui il contribuente non dimostri, mediante apposita dichiarazione, sia l’esistenza di una superficie effettivamente utilizzata per produrre imballaggi terziari, sia che tale rifiuto speciale sia stato correttamente avviato a smaltimento.
Nel caso di specie, le ricorrenti non risultano avere operato al fine di ottenere l’esenzione da TARI dei rifiuti speciali prodotti in specifiche aree dei loro immobili oggetto di specifica dichiarazione quali derivanti dalla produzione di imballaggi terziari regolarmente avviati a smaltimento, con conseguente legittimità della riduzione forfetaria delle superfici di vendita applicata dal Comune di Bologna in base al Regolamento TARI.
Risulta inconferente, oltre che infondato, il quinto motivo di ricorso, dato che la disposizione regolamentare ritenuta illegittima dalle ricorrenti: art. 10, comma 4 Regolamento comunale TARI, in quanto concernente specificamente le attività produttive, non si applica alle attività commerciali quale è certamente quella esercitata dalle ricorrenti che gestiscono supermercati.
Non sono nemmeno condivisibili le argomentazioni rassegnate dalle ricorrenti con il sesto ed il settimo motivo di ricorso, rilevanti l’illegittimità dell’art. 17, comma 4 del Regolamento in quanto la modesta decurtazione dell’imposta TARI ivi prevista, sarebbe ingiustificata e sarebbe comunque non conforme al principio di proporzionalità sancito dall’art. 238 c. 10 del D. Lgs. n. 152 del 2006.
Sul punto, il Collegio ritiene che la fissazione del limite massimo di superficie esclusa da tassazione (pari al 50% della superficie complessiva), come prevede l’art. 17, c. 4 del Regolamento, non sia sproporzionata e tanto meno irragionevole, dovendosi tenere nella dovuta considerazione le finalità sottese all’istituzione della TARI (contribuire al sostenimento dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti da parte del Comune), alla luce di quanto già si è accertato in relazione all’estensione della definizione dei rifiuti inclusi nella categoria “rifiuti urbani”, con conseguente aumento dei costi afferenti il servizio di raccolta e smaltimento di tale tipologia di rifiuti gestito dai Comuni. Al riguardo occorre osservare che, in ogni caso, la suddetta normativa regolamentare ha espressamente previsto la possibilità di cumulare tale sconto sulla superficie tassabile all’ulteriore e già esaminata decurtazione del 10% della superficie imponibile.
La censura contenuta nell’ottavo motivo di ricorso è palesemente infondata, poiché, per quanto finora si è accertato, non sussiste, a carico delle imprese della grande distribuzione commerciale, alcuna duplicazione di tassazione relativamente ai rifiuti da esse prodotti e riguardo alla stessa base imponibile.
Anche l’ultimo motivo di ricorso si palesa del tutto infondato, poiché – come ut supra accertato – non vi è stata alcuna violazione della normativa settoriale eurounitaria da parte della disciplina nazionale di cui il Regolamento comunale ha fatto legittima applicazione, con conseguente mancanza dei necessari presupposti ex lege previsti sia per disapplicare detta normativa interna sia per interpellare la Corte di Giustizia riguardo a questione di interpretazione di una norma contenuta in una Direttiva UE .
Sulla base delle suesposte ragioni, il ricorso, riguardo alle ricorrenti PAM Panorama s.p.a. e OVS s.p.a. è respinto.
Le spese seguono la soccombenza ed esse sono liquidate come da dispositivo.