TAR Roma, sez. II, sentenza 2017-04-11, n. 201704427
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 11/04/2017
N. 04427/2017 REG.PROV.COLL.
N. 06623/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6623 del 2012, proposto da:
Uniqa Protezione s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti F P e G P T, con domicilio eletto presso Studio Legale Associato Legance in Roma, Via di San Nicola Da Tolentino, 67;
contro
I (già Isvap) - Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni - rappresentato e difeso dagli avv.ti D A M Z, M B, A S e M S, con domicilio eletto presso l’Ufficio Consulenza Legale dell’Istituto in Roma, Via del Quirinale, 21;
per l'annullamento
dell’ordinanza dell’I.S.V.A.P. n. 2074/12 del 5.6.2012, di cui al prot. n. 14-12-008914, recante l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria per violazione dell'articolo 132, comma 1, del d.lgs n. 209/2005 (codice delle assicurazioni), per elusione dell'obbligo legale a contrarre nel settore r.c. auto rispetto ad alcune zone territoriali.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di I;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2017 il Cons. S M;
Uditi gli avvocati, di cui al verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La società ricorrente espone di far parte di un gruppo austriaco, che opera, tra l’altro, nel settore dei servizi assicurativi.
Rappresenta di essere specializzata nel ramo danni e di avere concentrato sin dall’inizio la sua attività nel Triveneto, area geografica nella quale è presente con un capillare rete di agenti, originariamente monomandatari.
A partire dal 2004 ha progressivamente ampliato la propria presenza sul territorio nazionale, in particolare nelle regioni del Nord-Ovest.
E’ presente, peraltro, anche nelle Regioni del Centro e del Sud Italia.
Ciononostante, la presenza di Uniqua in Italia resta marginale.
In particolare, per quanto riguarda il settore RC Auto la classifica ANIA, per l’anno 2011, la colloca solo alla trentatreesima posizione, con una quota di mercato, in termini di premi, pari allo 0,44%.
Dopo avere illustrato il quadro normativo di riferimento, descrive le vicende che hanno portato al presente contenzioso.
In data 3 novembre 2010, l’Isvap faceva pervenire una richiesta di chiarimenti e documentazione in merito ai premi di tariffa in vigore al 1° ottobre 2010, del settore I, applicati per il Profilo 1 (diciottenne di sesso maschile, assicurato per la prima volta, Bonus Malus – classe d’ingresso, massimale minimo di legge, automobile 1300 cc. benzina), nelle città di Bologna, Roma, Napoli e Bari. Tanto, avendo riscontrato premi “ significativamente elevati ”, tali da poter configurare una elusione dell’obbligo a contrarre, ai sensi dell’art. 314, comma 2, del codice delle assicurazioni.
La società faceva pervenire la documentazione e i chiarimenti richiesti.
Si apriva così una fase di interlocuzione che sfociava nell’apertura di un procedimento sanzionatorio a carico della società, alla quale veniva contestata la violazione dell’art. 132 del codice delle assicurazioni “ in relazione all’elusione dell’obbligo legale di contrarre per determinate zone territoriali ”.
Gli elementi posti a base della condotta elusiva contestata ad Uniqua erano i seguenti:
- l’introduzione da parte dell’impresa di limitazioni di natura territoriale in relazione alla rete distributiva dei prodotti RC Auto;
- l’adozione di fattori di soggettività e arbitrarietà in relazione alla tariffa del settore I, Profilo 1, in vigore al 1° ottobre 2010, che non sarebbe risultata coerente con le basi tecniche di riferimento, con premi ingiustificatamente elevati in alcune zone territoriali (in particolare, Bologna, Roma, Napoli e Bari).
Uniqua presentava tempestivamente le proprie controdeduzioni che possono essere così sintetizzate:
- la struttura organizzativa e la presenza sul territorio della società sono adeguate alle proprie modeste dimensioni;
- non esiste alcuna norma che imponga alle imprese di assicurazione di disporre di una rete di intermediari su tutto il territorio nazionale ovvero in ogni provincia dello stesso;la società ha comunque sempre garantito la stipula del contratto assicurativo a chiunque ne facesse richiesta, anche mediante invio della documentazione contrattuale a mezzo posta;
- i criteri applicati da Uniqua per la costruzione della tariffa sono pienamente coerenti con i principi derivanti dalla normativa primaria e secondaria in materia.
All’esito del procedimento, tuttavia, l’Istituto irrogava la sanzione qui impugnata.
Avverso siffatto provvedimento, con il presente ricorso, Uniqua deduce:
- Isvap ha contestato alla società l’elusione dell’obbligo legale di contrarre in relazione a determinata zone territoriali. L’illecito risulterebbe dalla combinazione della ridotta presenza di intermediari sul territorio e dalla asserita, ingiustificata sovratariffazione;
- per quanto riguarda il primo profilo, la società evidenzia che nel corso del procedimento essa aveva fatto presente che la mancanza di qualsiasi intento elusivo si sarebbe potuta facilmente evincere dalla circostanza che essa si è dotata di strumenti atti a garantire la stipula di polizze r.c. auto anche ai potenziali clienti residenti nelle province italiane in cui non è presente con proprio intermediari con mandato r.c. auto;
- Uniqua ha infatti predisposto, attraverso il proprio sito internet , un apposito sistema di preventivazione, secondo le istruzioni impartite dalla stessa Autorità di vigilanza;la società garantisce inoltre a tutti coloro che non possano fisicamente recarsi presso il più vicino punto vendita, di stipulare il contratto mediante un semplice scambio di documentazione a mezzo posta;
- tuttavia, nel provvedimento impugnato, l’amministrazione si è limitata a richiamare la generalizzata mancanza di intermediari con mandato r.c. auto in tutto il Centro Sud, laddove, peraltro, la fattispecie di elusione è stata contestata solo con riferimento a quattro province.
In altre parole, non vi è correlazione tra l’ambito territoriale in cui è stata riscontrata l’assenza di intermediari e l’ambito territoriale, assai più ridotto, interessato dai contestati livelli tariffari;
- la circostanza relativa alla possibilità di concludere contratti a mezzo posta non è stata neanche considerata dall’Istituto, laddove, invece, essa era stata puntualmente rappresentata nel corso del procedimento;peraltro, nella relazione motivata del 23 aprile 2012, con la quale il Servizio Vigilanza ha trasmesso al Servizio Sanzioni le proprie conclusioni, si ammette chiaramente che, già nel corso dell’audizione del 9.5.2011, la società aveva rappresentato le proprie tecniche operative;
- ad ogni buon conto l’Istituto non può imporre alla compagnie una particolare struttura organizzativa;
- sarebbe comunque manifestamente illogico il ragionamento svolto in quanto un possibile intento elusivo avrebbe potuto essere desunto, semmai, da ridotti volumi di affari a fronte di una presenza significativa sul territorio, e, più in generale, a fronte di una significativa dimensione economico – patrimoniale dell’impresa:
- eguali carenze istruttorie e motivazionali la società ravvisa nelle argomentazioni inerenti i profili tariffari;
- in particolare:
- eventuali differenze tra coefficienti tecnici e tariffari derivano dall’applicazioni di correttivi non presenti nelle statistiche di riferimento (ad esempio, i sinistri IBNR, ovvero denunciati in esercizi successivi a quello di avvenimento);
- relativamente ai rilievi concernenti la variabili di personalizzazione “sinistrosità pregressa”, evidenzia che la stessa, avendo carattere trasversale, non ha specifica attinenza con la fattispecie di elusione sanzionata;
- relativamente al requisito della profondità temporale della variabile suddetta, la società ha fatto presente nel corso del procedimento che le mutate regole di classificazione e redazione dell’attestato di rischio occorse nel 2008 hanno creato un “ break ” nella serie storica di sinistri rendendo inutilizzabili i dati relativi agli esercizi precedenti al 2009;
- anche i rilievi relativi alla presunta mancata considerazione degli effetti derivanti dall’introduzione della normativa in materia di indennizzo diretto sono stati confutati dalla società osservando che, avendo fatto riferimento ai soli dati aziendali relativi all’esercizio 2009, essa ne ha già tenuto conto senza necessità di alcun correttivo. Anche in questo caso il rilievo svolto non è specificamente connesso alla fattispecie di elusione tariffaria;
- peraltro, con riferimento alla province di Bologna e di Roma, la società ha dimostrato che i coefficienti tariffari praticati sono addirittura inferiori a quelli tecnici ricavati sulla base dei dati aziendali;
- rispetto a Bari, Napoli, Caserta e Reggi Calabria essa ricorda di essersi dovuta avvalere dei dati di mercato forniti dall’ANIA con riferimento alla statistica annuale r.c. auto, aggiornata al 31.12.2006.
Con riferimento al solo indicatore delle frequenza erano invece disponibili i dati relativi al terzo trimestre 2009 dai quali risulta che in queste aree vi è stato un significativo incremento della frequenza dei sinistri rispetto all’esercizio 2006, tale da ridurre sensibilmente, se non annullare, la differenza tra il coefficiente tariffario e il coefficiente tecnico;
- con riferimento alla presunta mancata stipula di polizze relative al profilo 1, nel 2009 e nel 2010, la società ha ricordato che tale profilo è ormai recessivo per effetto della l. n. 40/2007 cha introdotto il comma 4bis all’art. 134 del codice delle assicurazioni, permettendo ai soggetti rientranti in detto profilo di usufruire della classe di merito più vantaggiosa tra le classi di merito attribuite alle autovetture già assicurata all’interno del medesimo nucleo familiare. A conferma di tanto vi è il fatto che gli assicurati di questo profilo sono sostanzialmente assenti nell’intero portafoglio della società;
- quanto allo scarso numero di polizze stipulate nel 2010 con contraenti nelle zone meridionali e insulari, Uniqua ritiene di avere dimostrato concretamente l’assenza di qualsiasi intento elusivo producendo dati idonei a dimostrare come in tali zone, nonostante l’elevata sinistralità, vi sia stato comunque un incremento delle polizze nei primi sei mesi del 2010 e del 2011 e come i premi applicati dall’impresa siano comunque in linea con i trend di mercato.
Si è costituito, per resistere, l’Isvap, cui, nel corso del giudizio, è succeduto l’I.
Con memoria depositata in data 14.2.2014, ha in primo luogo analizzato la fattispecie dell’obbligo di contrarre, disciplinata dall’art. 132 del decreto legislativo n. 209/2005 e ha illustrato i passaggi essenziali della determinazione della tariffa nel ramo r.c. auto.
Ha evidenziato, altresì, che le disposizioni di cui agli artt. 35 e 132 del codice delle assicurazioni non implicano un vincolo di attestazione della tariffe sui livelli medi di mercato ma prevedono che la specificità dei rischi assunti debba essere correlata con il quadro tariffario generale, in modo da consentire all’impresa di agire in modo equilibrato per ogni zona o fascia di utenza.
Ciò che è sanzionato, quindi, è solo la pratica di condizioni tariffarie svincolate da parametri tecnico – attuariali.
La fattispecie elusiva sarebbe insuscettibile di essere consacrata in maniera rigida in una norma di rango primario, spettando alla discrezionalità tecnica dell’Autorità di vigilanza la concreta individuazioni dei comportamenti elusivi.
Con riguardo alla prima delle contestazioni mosse alla società, ha affermato che la mancanza di intermediari con mandato r.c. auto in ampie zone territoriali configura di per sé un comportamento elusivo dell’obbligo a contrarre. La società, in proposito, non avrebbe mai fatto menzione, anteriormente all’apertura del procedimento, della possibilità di concludere i contratti a mezzo posta, circostanza, che, comunque, non sarebbe stata adeguatamente pubblicizzata.
Con riferimento alla variabile zona territoriale, evidenzia che Uniqua, nel rideterminare il differenziale tra coefficienti tariffari e coefficienti tecnici, ha utilizzato una statistica ANIA non menzionata nella relazione tecnica dell’attuario incaricato, creando pertanto una inammissibile commistione di basi dati ex post , non corretta sul piano metodologico.
La costruzione tecnica risente sia delle basi prescelte che delle variabili utilizzate, in assenza di una idonea analisi preliminare delle correlazioni.
In ordine alle contestazioni relative alla variabile di personalizzazione “ sinistrosità pregressa ”, l’Istituto ribadisce che la stima dei coefficienti si è basata esclusivamente su un’unica rilevazione, priva del requisito della profondità temporale.
La variabile in questione rappresenta un correttivo “a posteriori” della personalizzazione dell’assicurato in base alla sinistrosità effettivamente osservata.
Essa è quindi necessariamente correlata all’altra variabile “a posteriori” Bonus Malus.
In tale contesto, la perdita del requisito di significatività per limitatezza dell’intervallo temporale si traduce nel mancato rispetto dei principi di mutualità assicurativa.
Anche in sede di ricorso la società non ha fornito specifiche giustificazioni in ordine alla disomogeneità delle basi tecniche utilizzate.
In replica, Uniqua ha ribadito di avere chiaramente rappresentato le proprie modalità operative, intese a sopperire alla mancanza di punti vendita in alcune zone territoriali, sia nell’audizione del 9 maggio 2011 che nella memoria difensiva del 28 luglio 2011.
In ordine a tali modalità procedimentali, nel provvedimento impugnato, non vi è rilievo alcuno.
Dopo avere ricordato che, anche in materia di discrezionalità tecnica, il sindacato del g.a. è pieno, e, comunque, esteso a tutti i presupposti dell’esercizio della potestà esercitata, la società osserva che quanto maggiore è l’indeterminatezza della fattispecie considerata dalla norma primaria, tanto maggiore deve essere l’accuratezza istruttoria e motivazionale dell’Autorità nell’applicazione del precetto.
Uniqua lamenta poi che l’approccio utilizzato dall’Istituto sia potenzialmente in grado di trasformare qualunque incongruenza tariffaria in una elusione dell’obbligo a contrarre.
Così, anche nel caso di specie, l’illogicità del provvedimento emerge dal fatto che le incongruenze riscontrate relativamente ad alcune province del sud (cui si riferisce la sanzione), sono le stesse riscontrate per alcune province del nord, rendendo così ulteriormente evanescente il nesso logico tra le risultanze istruttorie e la conclusione che l’Autorità di vigilanza ha ritenuto di trarre in termini di prova del grave illecito sanzionato.
Il ricorso è passato in decisione, una prima volta, alla pubblica udienza del 5.3.2014.
Con ordinanza n. 4716 del 6.5.2014, la Sezione ha disposto l’esecuzione di una consulenza tecnica formulando il seguente quesito:
“Letti gli atti ed esaminata la documentazione prodotta, ed acquisiti tutti gli ulteriori elementi utili, avvalendosi dei poteri istruttori attribuiti al Collegio, anche con eventuale applicazione del criterio di giudizio ex 116 c.p.c., il consulente:
1) con specifico riguardo alle classi di rischio e agli ambiti territoriali oggetto dei rilievi di ISVAP, accerti quali siano le metodologie adottate dalla società ricorrente per la costruzione delle tariffe assicurative, nonché l’adeguatezza di tali metodologie in rapporto alla comune tecnica assicurativa ed attuariale;
2) accerti, altresì, se i premi di tariffa siano coerenti rispetto alle basi tecniche di riferimento e quali siano le ragioni e/o giustificazioni di eventuali scostamenti”.
A tal fine, il Preside della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, è stato invitato a designare un docente esperto di matematica attuariale per le assicurazioni private, al fine dello svolgimento dell’incarico di consulente tecnico d’ufficio.
Successivamente, in assenza di idonei riscontri da parte del suddetto Ateneo, il Collegio si è rivolto all’Università degli Studi la Sapienza (ordinanza n. 10260 del 27.7.2015), la quale ha provveduto a designare il prof. R M.
Il consulente ha prestato il giuramento di rito in data 5.10.2015.
In data 2.12.2016, il CTU ha depositato la relazione finale, completa di allegati, nella quale, dopo aver illustrato l’attività svolta, è pervenuto alle seguenti conclusioni.
Con riferimento al primo quesito, ha evidenziato che l’attuario incaricato ha valutato “ in modo corretto ” le tariffe per quanto riguarda gli ambiti territoriali oggetto di contestazione, sottolineando altresì il fatto che la circostanza che “ ci sia, in media, più di un terzo delle altre compagnie assicuratrici che propongono tariffe più alte di quelle della Compagnia comporta in generale che le tariffe riguardanti le classi di rischio non possono essere inadeguate ”.
Relativamente al quesito n. 2, premesso che “ i dati aziendali erano insufficienti per la costruzione di tariffe affidabili ” ha evidenziato che, alla luce dei dati di mercato “ il premio di tariffa risulta coerente alle condizioni in cui la compagnia si è venuta a trovare ”.
Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza dell’8 marzo 2017.
La società ricorrente ha evidenziato, in primo luogo, la sovrapponibilità delle fattispecie in esame ad altri contenziosi già definiti dalla Sezione con esito favorevole per le imprese assicuratrici coinvolte nell’indagine avviata dall’Autorità di Vigilanza nel 2010 (ad esempio sentenze della Sezione II n. 11621, 11623, 11624, 11625, 11633 e 11634 del 13.10.2015, nonché n. 11991 del 20 ottobre 2015;sentenza della Sezione I^, n. 1924 del 10 febbraio 2016).
Anche nel caso in esame, il CTU ha confermato la correttezza sul piano tecnico del processo determinativo delle tariffe seguito da Uniqua.
Dal punto di vista soggettivo, la società ha poi sottolineato che, come rilevato dalla Sezione, l’Autorità ancora oggi, non ha compiutamente definito il quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazione devono calcolare i loro premi, con la conseguenza che non esiste un paradigma legale idoneo a rilevare con sicurezza una condotta di tipo colposo, mentre il comportamento doloso non può essere desunto dalla mera “sovratariffazione”, presupponendo invece la carenza di qualunque giustificazione tecnica nella costruzione tariffaria praticata dall’impresa.
Ha altresì rimarcato che la normativa di settore non fissa un livello di tolleranza dello scostamento tra coefficienti tecnici e commerciali, con la conseguenza che è rimessa alla professionalità dell’operatore, in funzione delle specifiche caratteristiche della realtà assicurativa di riferimento, e della politica commerciale della compagnia, la definizione dei limiti entro cui la tariffa commerciale possa essere difforme da quella prodotta dai puri coefficienti tecnici.
L’IVASS, dal canto suo, ha sviluppato le seguenti argomentazioni.
In primo luogo, l’Istituto ritiene che il comportamento descritto dal CTU, ovvero quello di un’impresa che inizia col praticare “prezzi bassi” per poi aumentarli l’anno dopo, non disponendo di un database affidabile, sia inadeguato “in rapporto alla comune tecnica assicurativa ed attuariale”.
Relativamente ai rilievi del CTP I – il quale ha fatto osservare come sia scorretto utilizzare congiuntamente le variabili “Bonus/Malus” e “sinistrosità pregressa” – il CTU si è dichiarato d’accordo, salvo poi concludere che, ciononostante, le tariffe non risultano “ particolarmente alte ”.
Lo stesso approccio è stato utilizzato dal CTU per quanto riguarda le deduzioni IVASS in ordine alla variabile di personalizzazione “ massimale di copertura ”.
Relativamente alla tabella di raffronto tra le statistiche ANIA e i coefficienti adottati dalla Compagnia per le province oggetto di sanzione, l’Istituto stigmatizza il fatto che, nella relazione del CTU, non si individui alcuna giustificazione della tariffazione “punitiva” prescelta dalla compagnia, salvo esplicitare il fatto che, comunque, il premio praticato è risultato inferiore “ ai premi medi di oltre il 40% ” della altre compagnie.
L’Istituto ha infine argomentato che l’art. 35 del codice delle assicurazioni, nel disporre che le compagnie facciano riferimento ad una esperienza almeno quinquennale, precluderebbe loro la possibilità di aggiustamenti di tariffa conseguenti, come avvenuto nella fattispecie (e come avallato dal CTU), a uno o due anni di risultati negativi.
Uniqua ha replicato che:
- la legge ammette espressamente la possibilità, ove le basi tecniche non siano disponibili, di fare ricorso alle rilevazioni statistiche di mercato (art. 35 d.lgs. n. 209/2005);è pertanto corretto l’approccio del CTU che ha svolto una propria indagine di mercato arrivando alla conclusione che l’incremento tariffario contestato dall’Autorità è giustificato dall’originario posizionamento della Compagnia nella fascia tariffaria più bassa;
- quanto all’applicazione delle variabili “Bonus Malus” e “sinistrosità pregressa” l’IVASS omette di considerare che le classi Bonus Malus non sono omogenee. L’introduzione della variabile “sinistrosità pregressa” consente perciò di rispettare uno dei principi fondamentali della tariffazione, ovvero l’omogeneità dei rischi all’interno della medesima classe;
- la variabile “massimale di copertura” non ha mai formato oggetto di rilievi nel corso del procedimento;comunque l’utilizzo di modelli matematici è del tutto comune nella prassi attuariale;
- l’affermazione secondo cui, sul piano commerciale, le imprese non potrebbero effettuare aggiustamenti conseguenti a uno o due anni di risultati negativi è priva di logica imprenditoriale nonché contraria alla tutela degli assicurati, quale codificata a livello europeo.
Il ricorso, infine, è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell’8 marzo 2017.
2. Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso l’ordinanza-ingiunzione, meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi, con cui l’ISVAP – cui nelle more del giudizio è succeduto l’IVASS – ha irrogato alla società ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 314, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, quantificata nella misura di euro 1.000.000,00, per aver realizzato una fattispecie di elusione dell’obbligo legale a contrarre tramite l’utilizzo della leva tariffaria rispetto a determinate categorie di assicurati e zone territoriali, oggetto di specifico atto di contestazione in base al quale è stato avviato il relativo procedimento sanzionatorio.
Antecedente fattuale di tale procedimento – da coniugarsi con il rilievo che le tariffe assicurative, nell’attuale regime di libertà tariffaria e di libera concorrenza nel settore assicurativo, non sono sottoposte ad alcun controllo preventivo da parte dell’Autorità – è l’avvio, da parte dell’ISVAP, di una indagine statistica riferita all’assicurazione della responsabilità civile veicoli al fine di conoscere l’andamento delle tariffe e dei sinistri del ramo, in base ai cui esiti, a seguito di interlocuzioni istruttorie, sono stato formulati atti di contestazione nei confronti di alcune imprese assicurative, tra cui la società ricorrente.
Nel caso in esame, la riscontrata violazione si riferisce alle seguenti categorie di assicurati e zone territoriali: premio di tariffa del settore I, applicato per il profilo 1 (diciottenne di sesso maschile, assicurato per la prima volta, Bonus Malus, massimale minimo di legge, automobile 1300 cc benzina, in classe di ingresso), relativamente alle zone di Bologna 3.568 euro, Roma 3.851 euro, Napoli 5.123 euro e Bari 3.710 euro.
2.1. La fattispecie all’esame del Collegio appare del tutto sovrapponibile a numerose altre che hanno formato oggetto di sentenze emesse da questo Tribunale tra il 2015 e 2016 (cfr., in particolare, le sentenze della Sezione prima nn.1944/2016, 1924/2016, 1921/2016, 1919/2016 e della Sezione II nn.11991/2015, 11634/2015, 11633/2015, 11625/2015, 11624/2015, 11623/2015, 11621/2015, 11620/2015).
Dalla conclusioni ivi raggiunte non vi è motivo di discostarsi in quanto l’approccio adottato dall’Istituto resistente appare, anche nel caso in esame, affetto dai medesimi vizi.
Al riguardo, valga quanto segue.
3. Ai fini di una migliore comprensione del contesto nel quale si inserisce il provvedimento impugnato, è opportuno svolgere alcune considerazioni preliminari sui seguenti temi:
A) la previsione dell’obbligo a contrarre, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2009 in C-518/06;
B) il quadro normativo in materia di determinazione delle tariffe da parte delle compagnie di assicurazioni;
C) le fattispecie sanzionatorie poste a presidio di tale obbligo, con particolare riferimento alla condotta di elusione dell’obbligo;
D) le modalità ed i limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti e, in particolare, sul potere sanzionatorio dell’ISVAP previsto dall’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005.
3.1. L’art. 132 del codice delle assicurazioni dispone, al comma 1, che «Le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare, secondo le condizioni di polizza e le tariffe che hanno l’obbligo di stabilire preventivamente per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, le proposte per l’assicurazione obbligatoria che sono loro presentate, fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa».
L’art. 132 prevede i seguenti obblighi:
A) prestabilire tariffe non soggette ad alcuna approvazione preventiva da parte dell’Organismo di vigilanza, ma con riguardo a tutte le tipologie di rischi astrattamente soggetti all’obbligo di assicurazione (c.d. principio della esaustività) e in conformità alla disciplina del settore (posta dagli articoli 34 e 35 del codice delle assicurazioni e dalle relative norme di attuazione);
B) accettare le singole proposte di assicurazione in base alle predette tariffe prestabilite.
In definitiva le compagnie autorizzate ad operare nel ramo delle assicurazioni relativo alla responsabilità per la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in forza della predetta disposizione, non possono esimersi dall’evadere le richieste provenienti dalla clientela, qualora esse siano munite dei requisiti di legge.
Si tratta di un’evidente intromissione dell’ordinamento nella libertà negoziale degli imprenditori del settore - generalmente ritenuta compatibile con l’art. 41 Cost. - che si inquadra nel genus degli obblighi a contrarre di matrice legale, dei quali l’ordinamento italiano offre molteplici esempi (si pensi all’art. 2597 cod. civ., che impone all’imprenditore che operi in condizioni di monopolio legale di “contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa”, oppure all’art. 1679, cod. civ., che impone a chi eserciti servizi di linea per il trasporto di persone o cose sulla base di concessione amministrativa di “accettare le richieste di trasporto compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa”).
La disposizione era già contenuta nell’abrogata legge n. 990/1969, provvedimento di fondamentale importanza non solo per l’introduzione dell’obbligatorietà dell’assicurazione per la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ma anche per la previsione (all’art. 11) dell’obbligo a contrarre. Risulta, quindi, agevole individuare la ratio dell’obbligo a contrarre posto in capo alle compagnie di assicurazioni dall’art. 11 della legge n. 990/1969, trattandosi del contraltare dell’obbligo di assicurarsi posto in capo ai proprietari dei veicoli a motore, con l’evidente finalità di garantire a chiunque la possibilità di rinvenire sul mercato un’impresa disposta a stipulare una polizza r.c. auto e di evitare il rischio che le compagnie possano rifiutarsi di contrattare con particolari categorie di soggetti a rischio (ad es. i neopatentati).
Tale obbligo è stato introdotto a tutela del consumatore: infatti, se l’obbligo a contrarre fosse previsto solo a carico degli assicurandi e non anche a carico delle compagnie di assicurazioni, il soggetto obbligato ad assicurare la propria responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore o natanti potrebbe trovarsi nella concreta impossibilità di adempiere a siffatto obbligo in ragione del possibile rifiuto di tutte le compagnie di assumere il rischio, per la maggiore sinistrosità di questa o quella area territoriale o per la statistica incidenza di frodi.
Nonostante le aspre critiche nel tempo rivolte all’art. 11 della legge n. 990/1969, l’obbligo a contrarre è stato confermato sia in sede di approvazione del decreto legislativo n. 175/1995, sia in sede di emanazione del codice delle assicurazioni, il cui art. 132 ha precisato che le compagnie non possono limitarsi, nel predisporre la propria offerta, a proporre la copertura di alcune soltanto tra le varie categorie di rischio, in modo da evitare che, restringendo l’ampiezza della possibilità di scelta dei prodotti, di fatto si possa aggirare l’imposizione dell’obbligo.
Le critiche alla disposizione - connesse agli oneri per le imprese derivanti dall’obbligo a contrarre, che si rifletterebbero negativamente sul costo dei premi - sono state recepite dalla Commissione Europea, che ha dapprima avviato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano e poi ha adito la Corte di Giustizia contestando l’incompatibilità dell’obbligo a contrarre con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE e con gli articoli 6, 29 e 39 della direttiva 92/49, perché esso avrebbe danneggiato le imprese di assicurazione aventi sede legale negli altri Stati membri, intenzionate a stabilirsi o prestare servizi in Italia.
La Corte di Giustizia nella citata sentenza del 28 aprile 2009 ha vagliato attentamente la questione, articolando il proprio ragionamento su due passaggi essenziali:
A) dapprima ha verificato l’esistenza del denunciato contrasto con gli articoli 43 e 49 del Trattato, pervenendo alla conclusione che l’obbligo a contrarre «costituisce un’ingerenza sostanziale nella libertà di contrarre», non solo in quanto condiziona il libero accesso al mercato di imprese che si trovano costrette a soddisfare ogni richiesta della clientela, ma anche perché coprire ogni tipologia di rischio determina la sopportazione di costi aggiuntivi, spesso notevoli, che incidono sulla pianificazione delle strategie aziendali, sicché le imprese italiane si trovano ad essere avvantaggiate sia in quanto l’ingresso nel mercato di imprese straniere è reso meno attraente, sia in virtù del fatto che le compagnie che comunque decidessero di accedervi troverebbero maggiori difficoltà nello svolgere immediatamente una concorrenza efficace nei confronti delle imprese italiane;
B) nel secondo passaggio, anche sulla scorta degli argomenti forniti dalla Repubblica italiana, ha giudicato l’ingerenza statale nell’autonomia negoziale delle imprese compatibile con i principi fondamentali del diritto comunitario in quanto proporzionata e sorretta da un’adeguata giustificazione.
In particolare, per quanto interessa in questa sede, giova evidenziare che, quanto all’addebito relativo alla violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato, la Repubblica italiana ha riferito in giudizio che «nell’area meridionale del proprio territorio sussistono circostanze difficili che esigono misure correttrici da parte della pubblica autorità affinché l’assicurazione responsabilità civile auto possa essere offerta a condizioni accettabili tanto per i contraenti quanto per le imprese di assicurazioni» (punto 87).
La Corte è quindi pervenuta alle seguenti conclusioni: «correttamente la Repubblica italiana ha ritenuto opportuno imporre a tutte le imprese operanti sul proprio territorio un obbligo di contrarre nei confronti di tutti i proprietari di autoveicoli residenti in Italia, al fine di evitare che tali imprese si ritirino dalla parte meridionale del territorio italiano e privino in tal modo i proprietari di autoveicoli ivi residenti della possibilità di concludere l’assicurazione, peraltro obbligatoria, di responsabilità civile auto» (punto 89).
Inoltre, «Dall’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/69 e dall’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni private emerge d’altronde che, adottando tale misura, la Repubblica italiana non ha vietato alle imprese di assicurazione di applicare tariffe differenziate in funzione di statistiche storiche del costo medio del rischio nell’ambito di categorie di assicurati definite in maniera sufficientemente ampia» (punto 90). «In particolare, è pacifico che l’obbligo di contrarre non impedisca alle imprese di assicurazioni di calcolare una tariffa più elevata per un contraente residente in una zona caratterizzata da un numero rilevante di sinistri rispetto ad un contraente residente in una zona a rischio meno elevato» (punto 91).
Quanto all’addebito relativo alla violazione del principio di libertà tariffaria sancito degli articoli 6, 29 e 39 della direttiva 92/49, conseguente alla fissazione di criteri da rispettare nel calcolo dei premi e alla previsione di un controllo a posteriori di tali premi, la contestazione mossa dalla Commissione è stata determinata dal fatto che, secondo quanto riferito dalla stessa Repubblica italiana, «i criteri fissati per il calcolo dei premi sarebbero diretti a garantire il rispetto dell’obbligo di contrarre» (punto 95);
La Repubblica italiana ha riferito in giudizio che le disposizioni della legge n. 990/1969 «perseguono il solo obiettivo di contenere il fenomeno consistente nel fatto che talune imprese di assicurazioni, calcolando una tariffa esorbitante, scoraggiano gli utenti dal sottoscrivere una polizza assicurativa presso di esse. Tali principi corrisponderebbero alle ordinarie regole tecniche di costruzione delle tariffe e ai principi attuariali seguiti dalle imprese di assicurazioni» (punto 97), e che le predette disposizioni «non obbligano affatto le imprese di assicurazioni a praticare prezzi simili alla media del mercato o a non discostarsi in maniera significativa dalle tariffe applicate negli ultimi cinque anni». Infatti «le imprese determinano le loro tariffe sulla base dello sviluppo registrato in passato e hanno il diritto di aumentare, anche in misura significativa, il livello dei premi assicurativi a fronte di un’evoluzione negativa in termini di sinistri» (punto 98).
Secondo la Repubblica italiana, «l’ISVAP interviene unicamente nei confronti delle imprese che applicano premi di assicurazione privi di ogni giustificazione tecnica plausibile, che riflettono abusi tariffari veri e propri e condotte discriminatorie tra gli assicurati».
Nei casi in cui l’ISVAP interviene «non si tratta di tariffe semplicemente elevate, bensì di vere abnormità tariffarie palesemente dirette a negare una copertura assicurativa. In tal senso, a taluni utenti sarebbero stati richiesti premi annui di oltre 7.000 euro» (punto 99).
La Corte è quindi pervenuta alle seguenti conclusioni: la regola posta dall’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/1969 e dall’art. 35, comma 1, del codice delle assicurazioni, che «obbligano le imprese che forniscono l’assicurazione responsabilità civile auto a calcolare in modo distinto i premi puri e i ricarichi conformemente alle loro basi tecniche, sufficientemente ampie e risalenti ad almeno cinque anni» (punto 102), non è incompatibile con il principio della libertà tariffaria, sia perché tale regola «non ha istituito un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe» (punto 103) e «non impone alle imprese di assicurazioni di orientare le loro tariffe in base alla media del mercato. Al contrario, l’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/69 e l’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni private prevedono che le imprese di assicurazioni calcolino le loro tariffe secondo le proprie basi tecniche, precisando che, laddove tali basi non siano disponibili, le imprese di assicurazioni possono far ricorso a rilievi statistici del mercato» (punto 104), sia perché la direttiva 92/49 non vieta agli Stati membri la possibilità di fissare «un quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazioni devono calcolare i loro premi» (punto 105).
4. Venendo poi al quadro normativo relativo alla costruzione delle tariffe da parte delle compagnie di assicurazioni, viene in primo luogo in rilievo l’art. 34 del codice delle assicurazioni, il quale (per quanto d’interesse in questa sede) dispone al comma 1, che «L’impresa di assicurazione autorizzata all’esercizio dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile dei veicoli a motore e dei natanti incarica un attuario per la verifica preventiva delle tariffe [...] anche al fine di agevolare l’esercizio dei poteri di vigilanza da parte dell’ISVAP» e al comma 3, che «L’attuario incaricato è preposto alla verifica delle basi tecniche, delle metodologie statistiche, delle ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate ed alla valutazione della coerenza dei premi di tariffa con i parametri di riferimento adottati. [...]».
L’art. 35, comma 1, del codice delle assicurazioni dispone poi che «Nella formazione delle tariffe l’impresa calcola distintamente i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi. Ove tali basi non siano disponibili, l’impresa può fare ricorso a rilevazioni statistiche di mercato».
Le funzioni dell’attuario incaricato sono specificate nel Decreto del Ministero dello sviluppo economico n. 99 del 28 aprile 2008, adottato ai sensi dell’art. 34, comma 4, del codice delle assicurazioni.
In particolare l’art. 13 di tale Decreto, dispone, al comma 1, che «Nell’ambito dei controlli sulle tariffe dell’assicurazione obbligatoria dei rami responsabilità civile veicoli a motore e natanti l’attuario incaricato, per ogni tariffa o modifica tariffaria adottata dall’impresa: a) verifica preventivamente, ai sensi dell’articolo 34, comma 3, del Codice, le basi tecniche e procede, nel caso di utilizzo di basi tecniche aziendali, al controllo della corretta presa in carico, da parte dell’impresa di assicurazione, dei rischi assicurati e dei sinistri;b) verifica le metodologie statistiche, le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate ai fini della determinazione del fabbisogno tariffario e di ogni ulteriore elemento considerato nell’ambito della definizione della tariffa;c) valuta la coerenza dei premi di tariffa con le basi tecniche adottate dalle imprese di assicurazione, siano esse costituite da dati aziendali o da rilevazioni statistiche di mercato;d) verifica che le tariffe siano costruite per settori di tariffazione ovvero per classi o gruppi di rischi sufficientemente numerosi ed omogenei, tali da garantire la significatività delle rilevazioni statistiche, con particolare riferimento alla frequenza e al costo medio dei sinistri. Il rispetto del principio di coerenza di cui alla lettera c) è verificato con riferimento alle singole classi di tariffazione».
In base al comma 2, «Le verifiche svolte ai sensi del comma 1 sono riportate in una relazione tecnica sulla tariffa, redatta in conformità alle disposizioni di cui all’articolo 14, nella quale l’attuario incaricato riporta anche il proprio giudizio sulla tariffa».
Inoltre, «L’attuario incaricato informa tempestivamente l’ISVAP di un eventuale giudizio negativo sulla tariffa nonché, ove ne sia venuto a conoscenza, dell’adozione da parte dell’impresa di assicurazione di una tariffa che non è stata sottoposta alle verifiche di cui al presente articolo» (comma 3).
Le disposizioni dell’art. 13 del D.M. n. 99/2008 sono ulteriormente specificate nel Regolamento ISVAP n. 16 del 4 marzo 2008. In particolare l’art. 49 di tale Regolamento dispone, al comma 1, che «L’attuario incaricato, per ogni tariffa o modifica tariffaria adottata dall’impresa nell’ambito dei rami di responsabilità civile veicoli e natanti, redige la relazione tecnica sulla tariffa, prevista dal regolamento del Ministero dello sviluppo economico, di cui agli articoli 31 e 34 del decreto».
Il comma 2 della medesima disposizione stabilisce altresì che «La relazione tecnica sulla tariffa di cui al comma 1 è redatta e sottoscritta dall’attuario incaricato in conformità allo schema di cui all’allegato 2 del presente regolamento e riporta l’esito delle valutazioni operate dall’attuario incaricato ai sensi delle disposizioni previste dal regolamento del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 1».
Infine, «L’attuario incaricato esprime nella relazione tecnica il proprio giudizio sulla tariffa» (comma 3).
L’allegato 2 al Regolamento ISVAP n. 16/2008 (recante lo schema di relazione tecnica dell’attuario incaricato) al punto 3 (rubricato “Procedimenti eseguiti dalla società per il calcolo dei premi di tariffa”) precisa che «L’attuario incaricato descrive le metodologie, i criteri e le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate dalla società per la determinazione del fabbisogno tariffario, e quindi del premio medio di tariffa. In funzione della metodologia adottata per il calcolo dei premi di tariffa, l’attuario incaricato illustra le fasi di elaborazione sotto richiamate.
a) Premio medio di tariffa Sono descritte le singole fasi di determinazione del fabbisogno medio puro (frequenza dei sinistri, costo medio e premio puro finale) con indicazione degli eventuali margini di sicurezza applicati. Sono illustrate e motivate le ipotesi finanziarie e statistiche impiegate per la determinazione dei fattori correttivi di frequenza e costo medio, con particolare riferimento alla stima dell’onere futuro della generazione di sinistri afferente la tariffa (costi medi per antidurata, cadenza di eliminazione dei sinistri, tassi di crescita dei costi, etc). È data evidenza del contributo al Fondo di garanzia per le vittime della strada, dei caricamenti di tariffa con indicazione dei singoli elementi assunti (oneri di acquisizione, gestione e incasso) e del modello adottato ai fini della relativa imputazione al premio medio di tariffa. Laddove sia prevista l’applicazione di meccanismi di flessibilità tariffaria, sono descritte le analisi condotte ai fini della relativa quantificazione, anche in coerenza con le comunicazioni che l’impresa intende impartire alle reti di vendita nel rispetto della normativa vigente. Sono descritte le modalità con le quali la flessibilità viene inclusa nel fabbisogno di tariffa.
b) Variabili di personalizzazione. Sono descritti, con riferimento ai fattori di personalizzazione del rischio, i seguenti passaggi metodologici, articolati in ognuna delle singole fasi che li caratterizzano: criteri e metodologie di selezione delle variabili di personalizzazione a priori impiegate nella costruzione dei premi;tecniche e procedimenti utilizzati per la determinazione delle classi di rischio per ciascuna variabile di personalizzazione;metodi e procedimenti adottati per la determinazione dei coefficienti tecnici di personalizzazione relativi a ciascuna variabile tariffaria. Laddove nel processo di personalizzazione siano impiegate variabili che per loro natura presentano caratteristiche di innovazione, l’attuario incaricato descrive gli elementi, statisticamente determinati o determinabili, che hanno consentito all’impresa di individuare i diversi gradi di correlazione al rischio.
c) Formula tariffaria. E' descritta la formula tariffaria applicata (es. bonus-malus, franchigia, no claims discount, pejus, fissa, etc.) e il procedimento impiegato ai fini della determinazione dei relativi coefficienti.
In particolare, laddove previsto, è illustrato il numero delle classi di merito, la classe di ingresso dei contratti, le regole evolutive tra le classi nonché i coefficienti di maggiorazione e/o sconto di premio. Sono inoltre descritte le eventuali modalità di determinazione delle regole evolutive caratterizzanti la formula adottata.
Nel caso la formula tariffaria preveda il movimento degli assicurati tra classi di merito in dipendenza del numero di sinistri osservati, sono inoltre illustrate le analisi effettuate dall'impresa ai fini della valutazione degli effetti nel tempo sui premi di tariffa, dovuti all'applicazione congiunta di coefficienti e regole evolutive.
d) Premi di tariffa. Sono riportate dall'attuario incaricato, qualora sussistano differenze significative tra i coefficienti di personalizzazione risultanti dalle analisi tecniche e quelli realmente applicati
in tariffa, le motivazioni addotte dall'impresa ai fini dell'applicazione di questi ultimi.
E' inoltre descritto il procedimento di calcolo del premio di riferimento determinato sulla base dei coefficienti di tariffa, avendo cura di illustrare il modello (moltiplicativo, additivo, etc.) adottato per la determinazione dei premi che l'impresa intende applicare».
5. Passando alle fattispecie sanzionatorie poste a presidio dell’obbligo a contrarre, l’art. 314 del codice delle assicurazioni dispone, al comma 1, che «Il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre di cui all’articolo 132, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro millecinquecento ad euro quattromilacinquecento» e, al comma 2, che «La violazione o l’elusione dell’obbligo a contrarre di cui all’articolo 132, comma 1, che sia attuata con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro un milione ad euro cinquemilioni».
Trattasi di una delle disposizioni più controverse del codice delle assicurazioni, sia in ragione dello scarso livello di tipizzazione della fattispecie, con particolare riferimento alle condotte elusive, sia in ragione dei problemi connessi alla possibilità di applicare l’art. 3 della legge n. 689/1981 interpretato nel senso che dolo e colpa rappresentano criteri di imputazione soggettiva alternativamente sufficienti per configurare l’illecito e nel senso che l’elemento soggettivo è in re ipsa, ossia dimostrato attraverso la prova del fatto.
5.1. Soffermando l’attenzione sulla norma sanzionatoria dell’art. 314, comma 2, del codice delle assicurazioni relativa alla più grave ipotesi (oggetto della presente controversia) di violazione o elusione dell’obbligo a contrarre attuata “con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati”, il Collegio osserva innanzi tutto che non destano particolari problemi interpretativi né la condotta consistente nella “violazione” dell’obbligo a contrarre, nella quale rientrano, ad esempio, i casi di rifiuto sistematico di contrarre, né la condotta consistente nella “elusione” dell’obbligo a contrarre attuata attraverso ripetuti comportamenti (azioni od omissioni) della compagnia o di suoi incaricati tesi a aggirare sistematicamente l’obbligo di accettazione delle richieste, disincentivando gli utenti a proseguire nell’intento di concludere il contratto.
Ben diverse considerazioni valgono invece per la condotta elusiva attuata mediante la c.d. leva tariffaria.
A tal riguardo giova rammentare che nell’ordinamento italiano il primo riferimento all’elusione dell’obbligo di contrarre da parte delle imprese compare nell’art. 12-quater della legge n. 990/1969, introdotto con l’art. 4 della legge n. 57/2001 proprio con l’intento di limitare la libertà tariffaria delle imprese.
Tuttavia non è passato molto tempo prima che il legislatore si avvedesse che, per rendere tale disposizione concretamente applicabile, occorreva precisare le condizioni in base alle quali una certa tariffa potesse essere ritenuta tale da disincentivare un’intera categoria di soggetti.
Infatti il legislatore è nuovamente intervenuto con la disposizione dell’art. 25 della legge n. 273/2002, inserendo nell’art. 11 della legge n. 990/1969 (come modificato dal decreto legislativo n. 175/1995), il nuovo comma 1-bis, il quale prevedeva che, ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui al comma 1 (ossia dell’obbligo di contrarre) «nella formazione delle tariffe le imprese calcolano distintamente i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi», in modo da ancorare la fattispecie tipica dell’illecito alla utilizzazione di un procedimento di tariffazione contrastante con un’espressa disposizione normativa (quella dell’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/1969), ma mantenendo nel contempo ferma la libertà delle imprese nella determinazione degli elementi e dei fattori discriminanti da utilizzare nella costruzione delle tariffe.
Tale punto d’arrivo dell’evoluzione normativa - basato su considerazioni evidentemente riferibili anche al quadro normativo risultante dal combinato disposto dell’art. 314, comma 2, del codice delle assicurazioni con l’articolo 132, comma 1, e l’art. 35, comma 1, del medesimo codice - ha trovato, come si è visto, l’autorevole avallo della Corte di Giustizia, nella già richiamata sentenza del 28 aprile 2009, dalla quale è possibile evincere che la configurazione della fattispecie della elusione dell’obbligo a contrarre attuata mediante la leva tariffaria, sul piano oggettivo, richiede all’Organismo di vigilanza di dimostrare che l’impianto tariffario dell’impresa manchi, anche in parte, di una giustificazione tecnica plausibile.
Inoltre - fermo restando il problema di stabilire a quali condizioni una tariffa possa ritenersi elevata - comunque la presenza di «tariffe semplicemente elevate» non è sufficiente, di per sé, per configurare l’elusione dell’obbligo a contrarre attuata, essendo come detto necessario che l’Organismo di vigilanza dimostri che il modello statistico-attuariale utilizzato per la costruzione della tariffa non è congruamente giustificato.
Grava in particolare su di esso l’onere di dimostrare, in conformità alla miglior scienza statistica e attuariale, che le tariffe praticate risultano non solo costruite senza aver calcolato i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi (o con le rilevazioni statistiche di mercato, nei limiti in cui l’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni ne consente l’utilizzo), ma che esse siano anche «palesemente dirette a negare una copertura assicurativa».
Tale prova passa necessariamente attraverso una puntuale analisi delle metodologie, dei criteri e delle ipotesi tecniche e finanziarie, concretamente utilizzate dall’impresa e descritte nella relazione dell’attuario incaricato, per la determinazione del fabbisogno tariffario, del premio medio di tariffa e delle variabili di personalizzazione.
In tale ottica, se da un lato appare sufficientemente condivisibile quanto affermato dalla difesa dell’Autorità, secondo cui una definizione stringente di rango primario del comportamento elusivo, in definitiva, avrebbe avuto il risultato di rendere del tutto inefficace ed in definitiva inutile la norma, tuttavia proprio il deficit di tipicità della fattispecie delineata dall’art. 314, comma 2, comporta che essa debba individuare con il massimo rigore scientifico e con inappuntabile procedimento logico - razionale, l’esistenza di un abuso tariffario.
6. Passando poi al criterio di imputazione soggettiva dell’illecito, l’Autorità ha ricondotto anche l’elusione dell’obbligo sotto l’egida dell’art. 3 della legge n. 689/1981 - secondo il quale «Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa».
In verità, nella materia in esame, è stato posto in luce dalla dottrina che l’utilizzo del termine “eludere” (che evoca il concetto di frode alla legge) costituisce indice della natura ontologicamente dolosa dell’illecito, nel senso che la prova dell’esistenza della fattispecie tipica richiede che l’Organismo di vigilanza dimostri che le scelte operate dall’impresa nella costruzione delle tariffe erano scientemente preordinate a perseguire un obiettivo vietato.
Diversamente opinando – è stato osservato - si perverrebbe a conseguenze paradossali, perché si dovrebbe ritenere configurata la fattispecie tipica anche nel caso in cui per una mera negligenza nella gestione dei sistemi informatici della compagnia venissero pubblicate tariffe palesemente abnormi.
Inoltre, a ben vedere, di quanto precede risulta consapevole anche l’amministrazione resistente, che, nel provvedimento impugnato, in alcuni passaggi, accanto all’asserito riscontro oggettivo della difformità della condotta del soggetto vigilato attraverso la predisposizione di tariffe tecnicamente incongrue rispetto alle basi attuariali, evidenzia ad esempio che « nel merito delle sovratariffazioni, le differenze tra coefficienti tecnici e commerciali rivelano una volontà di aggravio della tariffa in determinate zone territoriali » – pag. 5, par. 5).
Ad ogni buon conto, anche a volere accedere alla ricostruzione proposta dalla difesa dell’Istituto, e che quindi la norma sanzionatoria individui una fattispecie di violazione incentrata sulla mera condotta, per cui graverà sul trasgressore l’onere di provare di avere agito in assenza di colpevolezza, va ricordato che la colpa consiste in “negligenza o imprudenza o imperizia” ovvero nella violazione di “leggi, regolamenti, ordini o discipline” (così l’art. 43 c.p.).
Nel caso di specie, si rileva che, in disparte le disposizioni di attuazione degli artt. 34 e 35 del CAP, sopra riportate, l’Autorità non ha compiutamente definito «il quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazioni devono calcolare i loro premi».
In particolare, non sono mai stati forniti alle imprese sicuri indici di riferimento per la valutazione di eventuali anomalie tariffarie, così lasciando ad esse ampia discrezionalità nella scelta delle metodologie tecnico attuariali utilizzabili nella costruzione delle tariffe.
In assenza di un paradigma legale che consenta di rilevare con sicurezza, una condotta di tipo colposo, rimane la possibilità di evidenziare la sussistenza di un comportamento doloso, attraverso l’individuazione di indici sintomatici della volontà dell’impresa di sottrarsi all’obbligo a contrarre.
In tale evenienza, il dolo può essere provato (o, viceversa, può essere escluso), attraverso la verifica della sussistenza di circostanze esteriori quali:
- il fatto che, in un determinato arco temporale, all’offerta non segua la stipula di alcun contratto o segua la stipula di un numero assolutamente irrisorio di contratti, se paragonato con quanto avvenuto in passato;
- il fatto che l’aumento tariffarlo non sia limitato a specifiche posizioni di rischio, ma coinvolga la maggior parte dei rischi non graditi;
- il fatto che le categorie di rischio incriminate siano particolarmente significative sia rispetto all’offerta della compagnia, sia rispetto alla stessa domanda di assicurazione.
L’elemento di convergenza tra le tesi sin qui esposte, peraltro, è rappresentato proprio dalla carenza di giustificazione tecnica della costruzione tariffaria pratica dall’impresa.
In tale ipotesi, infatti, l’unica spiegazione delle tariffe rimane l’intento di eludere l’obbligo di contrarre e il dolo è, sostanzialmente, “in re ipsa”.
7. Anche il tema delle discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti e quello delle modalità e dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti che costituiscono espressione di tale forma di discrezionalità assume peculiare rilievo ai fini della decisione sulla presente controversia.
Al riguardo, a fronte dell’elevata libertà che il suesposto quadro normativo di riferimento garantisce alle imprese nella costruzione delle tariffe, appaiono senz’altro condivisibili le considerazioni svolte dall’amministrazione resistente per dimostrare che, nonostante la più volte citata della sentenza della Corte di Giustizia, l’esercizio del potere sanzionatorio insito nella disposizione dell’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005 presuppone tuttora un’attività di controllo delle tariffe connotata da un elevato tasso di discrezionalità tecnica.
Infatti l’Organismo di vigilanza - anche attraverso la verifica dell’attività svolta dall’attuario incaricato (attività che, secondo la disposizione dell’art. 34, comma 1, del codice delle assicurazioni è finalizzata anche ad “agevolare l’esercizio dei poteri di vigilanza da parte dell’ISVAP”), ricapitolata nella relazione di cui all’art. 13 del D.M. n. 99/2008 - deve in concreto accertare se le metodologie, i criteri e le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate dall’impresa per la determinazione del fabbisogno tariffario, del premio medio di tariffa e delle variabili di personalizzazione non eccedano i suddetti limiti sostanziali.
Pure condivisibili appaiono alcune delle considerazioni svolte dall’amministrazione resistente in merito al sindacato giurisdizionale sui provvedimenti che costituiscono espressione del potere sanzionatorio di cui all’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005.
A tale riguardo, appaiono significative le conclusioni alle quali sono pervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2013 del 20 gennaio 2014 (con riferimento ad una controversia di cui era parte l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) che appare opportuno riportare integralmente riportate: «È stato già ripetutamente affermato, anche da queste sezioni unite, che i provvedimenti dell’Autorità Garante sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza (Sez. Un n. 8882 del 2005 e n. 7063 del 2008). A questo insegnamento va data continuità, ma qualche ulteriore precisazione può essere opportuna, anche in ragione di una certa quale ambiguità insita nella suaccennata distinzione tra controllo di legittimità “debole” e “forte”: una distinzione che, in via di principio, si potrebbe esser tentati di rifiutare ove si abbia a che fare con la tutela di diritto soggettivi, la quale, alla luce degli artt. 24 e 101 Cost., mal si presta ad una simile graduazione d’intensità. Occorre ben chiarire, allora, che la non estensione al merito del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Garante implica, certo, che il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, restandone esclusa ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto. La pienezza della tutela giurisdizionale necessariamente comporta che anche le eventuali contestazioni in punto di fatto debbano esser risolte dal giudice, quando da tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento amministrativo che ha inciso su posizioni di diritto soggettivo. Né osta a tale conclusione il divieto per il giudice di sindacare l’esercizio della discrezionalità amministrativa: perché di questa è dato parlare solo quando si tratta di attività dell’amministrazione che comportino margini di scelta nell’apprezzamento dell’interesse pubblico, cui quell’attività deve tendere, e del modo in cui esso è destinato a contemperarsi con eventuali interessi contrastanti. In situazioni come quella in esame, viceversa, all’Autorità Garante è affidato un compito di accertamento e di applicazione della legge: un compito che ha connotati di neutralità e di oggettività ed in cui la discrezionalità amministrativa, come sopra intesa, di regola non gioca alcun ruolo. Può accadere, invece, che giochi un ruolo importante la c.d. discrezionalità tecnica (da intendersi nei termini che appresso si diranno), giacché la legge che l’Autorità Garante è chiamata ad applicare fa talvolta riferimento a nozioni - quale, ad esempio, quella di mercato rilevante - che non trovano nella legge stessa una definizione in tutto e per tutto puntuale: di modo che la loro individuazione in concreto richiede un tipo di valutazione di carattere tecnico, che, tanto nei suoi presupposti generali quanto nella sua specifica applicazione ai singoli casi, può talora presentare margini di opinabilità. È su questo punto che occorre allora interrogarsi: se le valutazioni tecniche operate dall’Autorità Garante, al fine di conferire concreto significato e di dare attuazione al precetto legale, possano e debbano esser sindacate da parte del giudice amministrativo, in presenza di un’impugnazione sollevata dalla parte interessata, pur quando presentino un inevitabile margine di opinabilità. In via di principio risulta difficile dare a tale domanda una risposta totalmente negativa. L’esercizio della discrezionalità tecnica, non essendo espressione di un potere di supremazia della pubblica amministrazione, non è di per sé solo idoneo a determinare l’affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati. Non può perciò sostenersi che chi lamenti la lesione del proprio diritto, a causa del cattivo esercizio della discrezionalità tecnica, non possa chiederne l’accertamento al giudice, il quale non potrà quindi esimersi dal verificare se le regole della buona tecnica sono state o meno violate dall’amministrazione. Ne fornisce evidente conferma il fatto stesso che il giudice amministrativo disponga oggi di ampi mezzi istruttori, ivi compreso lo strumento della consulenza tecnica. Anche in settori diversi da quello che viene ora in esame questa corte, d’altronde, ha già avuto modo di precisare che le valutazioni tecniche, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo (Sez. Un. n. 10065 del 2011 e n. 14893 del 2010). Ma questo non esaurisce certo il problema. Sarebbe davvero ingenuo supporre che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, offra sempre risposte univoche. È vero invece - e lo si è già accennato - che sovente esso conduce ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità. In situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell’apprezzamento operato dall’amministrazione impedisce d’individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell’apprezzamento illegittimo. Con l’ovvio corollario che compete comunque al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l’adeguatezza della motivazione con cui l’amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità dell’apprezzamento da essa compiuto. Se quanto appena detto è vero, in via generale, ancor più lo è nel caso particolare del sindacato sui provvedimenti delle cosiddette autorità amministrative indipendenti [...] trattandosi di autorità cui proprio in ragione della loro specifica competenza tecnica, oltre che del carattere oggettivo e neutrale delle loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore compiti di vigilanza ed accertamento nei settori di rispettiva competenza (compiti da esplicare attraverso procedimenti amministrativi connotati da particolari garanzie per i controinteressati). È fuori discussione che anche gli atti di tali autorità siano soggetti al sindacato giurisdizionale, ed è agevole comprendere la ragione per la quale, nel caso degli atti dell’Autorità Garante, il legislatore abbia fatto ricorso alla giurisdizione esclusiva, così da unificare la tutela dei diritti e degli interessi legittimi che non sempre sarebbe stato altrimenti agevole distinguere. Ma ipotizzare che, con riguardo a valutazioni tecniche aventi un significativo margine di opinabilità - valutazioni proprio per operare le quali il legislatore ha stimato necessario dar vita ad un organismo al tempo stesso indipendente e dotato di specifiche competenze professionali - il sindacato giurisdizionale possa spingersi sino a preferire una soluzione diversa da quella plausibilmente prescelta dall’Autorità Garante significherebbe misconoscere la ragione stessa per la quale questa è stata istituita».
7.1. A tale precedente, sia consentito aggiungere quanto statuito dal Consiglio di Stato, ormai diversi anni fa, ma con motivazione ancora pienamente valida, secondo cui «la discrezionalità tecnica ricorre quando la p.a., per provvedere su un determinato oggetto, deve applicare una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta e tale discrezionalità, qualora si sia manifestata attraverso apprezzamenti tecnici, è sindacabile in sede giurisdizionale in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell' "iter" logico seguito dall'autorità amministrativa, ma alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo» (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 601 del 9.4.1999).
Scriveva il Consiglio «L'applicazione di una norma tecnica può comportare valutazione di fatti suscettibili di vario apprezzamento, quando la norma tecnica contenga dei concetti indeterminati o comunque richieda apprezzamenti opinabili.
Ma una cosa è l'opinabilità, altra cosa è l'opportunità.
La questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma - soltanto perché opinabile - in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito».
Pertanto, «è ragionevole l'esistenza di una "riserva di amministrazione" in ordine al merito amministrativo, elemento specializzante della funzione amministrativa» ma «non anche in ordine all'apprezzamento dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo, elemento attinente ai requisiti di legittimità e di cui è ragionevole, invece, la sindacabilità giurisdizionale».
In sostanza, non è l'opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell'amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice «ma la loro inattendibilità per l'insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo».
In tale quadro, l’esperibilità della consulenza tecnica è strumentale al più completo accertamento del fatto (cfr. ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4505, nonché Cass. civ., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 2013 cit.),
8. Ciò posto, nel caso di specie, il Collegio ritiene fondati i motivi di ricorso incentrati sul difetto di motivazione e di istruttoria.
In particolare, il ragionamento svolto dall’IVASS per pervenire, dai rilievi concernenti gli errori metodologici relativi alla costruzione dei premi tecnici e/o di quelli commerciali, all’accertamento della fattispecie di elusione, presenta evidenti vizi di natura logica.
Al riguardo, valga quanto segue.
8.1. In primo luogo, non risulta che l’Istituto abbia effettuato una valutazione concreta dell’entità degli effetti distorsivi che esso ritiene essere derivati dagli errori metodologici e/o di scelta delle variabili di personalizzazione imputati all’impresa ricorrente.
Relativamente alla scelta della metodologia e alla sua applicazione, il CTU nominato dal Collegio ha affermato di non avere nulla “ a eccepire sui contenuti tecnici attuariali che a mio parere […] sono stati rispettati, in considerazione dei dati a disposizione della Compagnia ” nonché dei dati ottenuti dal consulente stesso attraverso lo studio autonomamente elaborato e allegato alla propria relazione.
Va poi considerato che, secondo quanto emerso nei contenziosi già citati, un procedimento di valutazione statistica, anche nell’ipotesi in cui includa alcune scelte non condivisibili tecnicamente, può rimanere comunque valido e produrre risultati attendibili, con la conseguenza che, anche nel caso di specie, l’Autorità, al fine di supportare le argomentazioni contenute nell’atto di contestazione e nel provvedimento sanzionatorio, avrebbe dovuto quantomeno fornire una valutazione numerica degli errori a suo dire commessi dall’impresa.
Non appare quindi condivisibile l’approccio dell’Istituto, secondo cui uno o più errori metodologici rendono inaffidabile il procedimento di costruzione della tariffa e costituiscono indice ex se di un comportamento elusivo.
Proprio nell’ottica “oggettiva” del concetto di elusione, sposata dall’Autorità, era infatti necessario che la stessa evidenziasse la gravità di tali errori e la loro incidenza sull’impianto tecnico della tariffa.
In assenza di tale ponderazione, il carattere “ingiustificato” della tariffa praticata rimane infatti un concetto del tutto indeterminato.
L’altro tassello del ragionamento svolto dall’IVASS è poi rappresentato dalla circostanza che l’impresa abbia scelto di disapplicare i premi tecnici mediante tariffe commerciali « oltremodo penalizzanti ».
Il CTU ha però spiegato che tale scostamento è dovuto al fatto che, in assenza di sufficienti dati aziendali, l’attuario incaricato si è inizialmente attenuto, nelle nuove zone territoriali, a tariffe molto basse.
Anche a tale argomentazione la difesa dell’Autorità contrappone che non è «metodologicamente corretto» utilizzare ex post una base di dati che non ha costituito elemento di analisi di valutazione della tariffa.
Non spiega però, come, da siffatto apprezzamento, possa pervenirsi alla configurazione di una fattispecie elusiva.
E’ rimasto poi incontestato che sia prassi comune di tutte le imprese operanti sul mercato nazionale quella di modificare, per ragioni commerciali, i premi derivanti dalle evidenze tecniche (prassi, peraltro, a cui fa riferimento la stessa normativa regolamentare in precedenza riportata).
E’ tuttavia evidente che scelte di natura commerciale non sono apprezzabili in base a criteri matematico – attuariali laddove non siano stati fissati, a priori , criteri quantitativi di valutazione.
L’impresa ricorrente ha così buon giuoco nel dedurre che la contestata decisione di aumento rimane in linea con le condizioni di mercato in cui si è trovata ad operare e che le differenze tra premi tecnici e commerciali non sono comunque tali da rendere implausibile l’impianto tariffario per le zone territoriali oggetto di contestazione.
In definitiva, in assenza di criteri predeterminati per valutare gli scostamenti tra coefficienti tecnici e commerciali, incombeva all’IVASS dimostrare, in maniera analitica e puntuale, che le valutazioni di natura commerciale effettuate dall’impresa non avessero in realtà alcuna giustificazione razionale dal punto di vista economico e fossero state quindi utilizzate esclusivamente per finalità elusive.
8.2. In tale quadro, scolorano poi i rilievi di IVASS concernenti la rete distributiva di Uniqua e l’assenza di intermediari con mandato r.c. auto nelle province delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
La valenza “indiziaria” della perpetrata elusione che l’Autorità pretende di attribuire a tale assetto aziendale è infatti incrinata - da un lato - dal fatto che non vi è piena sovrapponibilità tra le zone territoriali per cui è stato configurato l’illecito elusivo (ovvero le province di Roma, Bologna, Bari e Napoli) e quelle in cui Uniqua non ha punti vendita - dall’altro - dalla circostanza che l’Autorità ha completamente omesso di analizzare il sistema di conclusione dei contratti descritto dalla società nella memoria difensiva del 28 luglio 2011 e quindi di verificare la sua idoneità a soddisfare, pur in assenza di punti vendita fisici, l’obbligo legale di contrarre con chiunque ne faccia richiesta.
9. Il provvedimento impugnato si rivela infine carente anche nella parte in cui ritiene di individuare un adeguato elemento di prova dell’intento elusivo nella circostanza che, per il profilo in contestazione, non è stato stipulato alcun contratto sul territorio nazionale.
In particolare, l’Autorità non ha tenuto in considerazione alcuna la circostanza che la tariffa prevista per la categoria denominata Tipo 1 riguarda, oggi, una quota di mercato del tutto marginale.
E’ rimasto infatti incontestato che, per effetto della c.d. legge Bersani, la maggior parte degli assicurati diciottenni si sia spostata verso classi di merito più vantaggiose, potendo usufruire, ai sensi dell’art. 134, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 209/2005, del trattamento tariffario e della classe di merito del genitore e/o del familiare convivente.
Per tale ragione, il mero dato numerico dei contratti stipulati (o meno) con i diciottenni in classe d’ingresso, non può essere considerato sintomatico della finalità elusiva, rappresentando un elemento ambiguo, tale da potere essere utilizzato anche per sostenere la tesi contraria a quella propugnata dall’Autorità, ovvero che le imprese non hanno in realtà alcun interesse ad eludere l’obbligo a contrarre nei confronti di soggetti che rappresentano, dal punto di vista economico, una quota assolutamente marginale del mercato.
10. Stante quanto precede, sebbene il provvedimento impugnato evidenzi dei potenziali indici di anomalia nella procedura seguita dalla società ricorrente nella costruzione delle tariffe, tuttavia, le carenze di natura istruttoria e motivazionale innanzi evidenziate non consentono di ritenere raggiunta la prova della sussistenza di una condotta elusiva, né che essa sia imputabile alla società ricorrente a titolo colposo ovvero doloso.
Pertanto, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.
La novità e complessità delle questioni trattate giustificano la composizione integrale, tra l’IVASS e la società ricorrente, delle spese del presente giudizio, ivi comprese quelle relative alla CTU, che saranno liquidate con separato provvedimento