TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2022-09-26, n. 202212206
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Pubblicato il 26/09/2022
N. 12206/2022 REG.PROV.COLL.
N. 15277/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 15277 del 2018, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- del decreto nr. -OMISSIS- in data 3 ottobre 2018 del Ministero della difesa – Direzione generale della previdenza militare e della leva – II reparto – 7^ Divisione – 1^ Sezione, notificato al ricorrente tramite posta elettronica in data 4 ottobre 2018, nella parte in cui ha ritenuto la patologia sofferta dal ricorrente (“-OMISSIS-”) non dipendente da causa di servizio, respingendo altresì la relativa domanda di equo indennizzo;
- del relativo atto di trasmissione prot. n. -OMISSIS- del 4 ottobre 2018;
- di tutti gli atti presupposti, preordinati e comunque connessi, ivi espressamente compreso il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio n. -OMISSIS- del 2018, reso nell’adunanza n. -OMISSIS- del giorno 1 giugno 2018, e del parere del medesimo Comitato n. -OMISSIS- del 2018, reso in sede di riesame nell’adunanza n. -OMISSIS- del 26 settembre 2018.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2022 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente in epigrafe, Primo Caporal Maggiore (VFB4) dell’Esercito Italiano arruolato il 6.12.2000, con atto notificato al MEF - Comitato di Verifica per le Cause di Servizio e al Ministero della Difesa in data 29.11.2018 e depositato il 21.12.2018, adiva questo T.A.R. esponendo di avere partecipato, tra il mese il 2012 ed il 2016 a due missioni internazionali di pace, rispettivamente “ISAF XIX” in Afghanistan e “FORCE COMMANDER” in Libano, con l’incarico di “Paramedico Soccorritore” nonché di “Fuciliere”, anche con mansioni di “Rallista” a bordo di automezzi semiblindati “Lince”.
Dichiara anche di essere stato impiegato in operazioni belliche con utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito.
Sostiene in ricorso che durante le missioni menzionate: si è dovuto alimentare con cibo approvvigionato in loco e l’acqua utilizzata per l’alimentazione e per l’igiene personale era del posto;ha dovuto utilizzare, poi, per la pulizia delle armi, solventi chimici contenenti benzene;ha operato in condizioni di costante pericolo per la propria incolumità, con il fisico debilitato da massicce e ravvicinate somministrazioni vaccinali.
Espone altresì che, durante la missione svolta in Afghanistan, è stato coinvolto in vari conflitti a fuoco, in particolare in un aspro conflitto avvenuto in data 12.12.2012, mentre nella missione svolta in territorio libanese “…è stato costantemente esposto ad onde elettromagnetiche, come comprovato dalla documentazione versata in atti, proprio a causa dell’attivazione costante del cosiddetto “Jammer” (disturbatore di frequenze)” (ric. pag. 3).
Afferma che ogni attività da lui svolta in teatri operativi all’estero sarebbe stata caratterizzata dalla permanenza in ambienti “fortemente contaminati da sedimenti di polveri contenenti nano-particelle di metalli pesanti causate dallo scoppio dei proiettili all’uranio impoverito” , utilizzati nei posti dove ha prestato servizio;in analoghe condizioni avrebbe operato in occasione delle esercitazioni con utilizzo di munizionamento pesante presso i poligoni militari di Foce di Reno, Monte Romano e Monte Stabbiata.
Afferma altresì che, prima di venire inviato nelle due missioni all’estero sopracitate, è stato sottoposto ad una multipla somministrazione vaccinale, in un arco temporale brevissimo, come comprovato dal libretto vaccinale, il che sarebbe avvenuto “senza il rispetto dei Protocolli Vaccinali dettati dal Ministero della Salute”, che prescrivono determinati periodi di intervallo tra l’una e l’altra somministrazione.
Nel dicembre del 2016 al ricorrente è stato diagnosticato un “-OMISSIS-”.
Per tale infermità, in data 12.4.2017 il ricorrente richiedeva all’Amministrazione di appartenenza il riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio.
Con verbale modello BL/B n. A21708739 in data 4.12.2017 la C.M.O. di Roma ascriveva la predetta infermità alla 8^ Categoria della Tabella A.
Il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (di seguito CVCS), pronunciandosi con il parere nr. -OMISSIS-/2018, reso nell’adunanza n. -OMISSIS- del 1.06.2018, riteneva che l’infermità sofferta dal ricorrente non potesse riconoscersi come dipendente da causa di servizio in quanto “nei precedenti di servizio dell’interessato, non risultano fattori potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica. Pertanto, è da escludere ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo, altresì nel caso di specie, precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in senso metaplastico. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.
Con nota n. M_D/GPREV/REG2018/0079017 in data 19.06.2018, l’Amministrazione chiedeva al CVCS il riesame del predetto parere n. -OMISSIS-/2018 dell’1.06.2018.
Con il nuovo parere nr. -OMISSIS-/2018 reso nell’adunanza n. -OMISSIS- del 26.09.2018 il Comitato confermava il precedente avviso negativo “in quanto nelle osservazioni presentate dall’interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso”.
Per quanto precede, il Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, II reparto – 7^ Divisione – 1^ Sezione, adottava il Decreto nr.-OMISSIS- del 3.10.2018 (notificato al ricorrente tramite posta elettronica in data 4.10.2018) che, in conformità al doppio parere espresso dal CVCS, dichiarava la patologia sofferta dal ricorrente (“-OMISSIS-”) NON dipendente da causa di servizio e, di conseguenza, respingeva la domanda di equo indennizzo.
I motivi di impugnazione proposti dal ricorrente sono così rubricati: “Illegittimità per violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990: carenza e/o apoditticità della motivazione.
Eccesso di potere per erronea interpretazione della situazione di fatto, errore sul presupposto, irragionevolezza, insufficienza, illogicità, incongruità, incoerenza ed apoditticità della motivazione.
Eccesso di potere per erronea interpretazione e/o valutazione della situazione di fatto, difetto d’istruttoria, errore sui presupposti, illogicità, incongruità, inattendibilità, insufficienza, abnormità ed apoditticità della motivazione, manifesta ingiustizia, sviamento. Illegittimità per violazione dei D.P.R. n.-OMISSIS-e del relativo rischio tipizzato.
Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, contraddittorietà, incongruità, errore sui presupposti, manifesta ingiustizia.”
Le argomentazioni impugnatorie possono essere riassunte nei seguenti punti:
- la motivazione del provvedimento di diniego e dei pareri ad esso presupposti è apodittica e generica in quanto non considera i fattori di rischio effettivi che hanno accompagnato i servizi svolti dal ricorrente nelle due menzionate missioni all’estero (Libano e Afghanistan);
- nonostante i vertici militari fossero a conoscenza dell’uso di proiettili e bombe all’uranio impoverito nelle zone di guerra e, in particolare, in Afghanistan durante la missione “Enduring freedom” (trattasi di munizioni idonee a produrre malattie oncologiche nei confronti di coloro che sono esposti agli effetti delle loro esplosioni), i soldati italiani - impiegati in tali scenari fortemente inquinati da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti - non hanno ricevuto alcuna informativa sui rischi per la loro salute e sulle cautele che avrebbero dovuto assumere per ridurre tali rischi;
- in particolare, il ricorrente ha dovuto affrontare i rischi sanitari connessi alle seguenti attività di servizio: percorrere strade non asfaltate sia a piedi che a bordo di automezzi militari scoperti e privi di sistemi di filtraggio dell’aria (con rischio di inalazione di nano-polveri di metalli pesanti, disperse nell’ambiente a causa dei bombardamenti), sprovvisto di misure di protezione idonee quali mascherine, tute, guanti;utilizzare solventi chimici senza che l'Amministrazione lo rendesse edotto circa gli esiti nefasti del loro uso e lo dotasse di adeguate protezioni, né di locali predisposti a tal scopo;utilizzare come alloggi “strutture di fortuna, oppure già oggetto di massicci bombardamenti”;bere e utilizzare per l’igiene personale l’acqua del posto, fortemente inquinata;
- l’esposizione alle sostanze tossiche sarebbe avvenuta mentre il ricorrente era in una condizione connotata da ridotte difese immunitarie, a causa delle massicce vaccinazioni e del continuo stress psicofisico derivante dalle attività prestate in situazioni di continuo pericolo di attacchi armati;
- il nesso di causalità fra la permanenza nell’ambiente del servizio prestato (inquinato dalla diffusione, anche a grande distanza dal luogo dell’esplosione, di particelle di metalli pesanti) e l’insorgenza della patologia sarebbe ampiamente dimostrato dalle indagini e dagli studi, svolti da organismi internazionali e fatti propri dal Governo degli Stati Uniti d’America, dall’O.N.U. e dalla NATO, i cui risultati fin dal 1992 sono in possesso dello Stato Italiano;
- l’innegabile cancerogenicità delle nano particelle di metalli pesanti sarebbe dimostrata da numerosi studi scientifici che comprovano come sia la World Heatlh Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità) che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) abbiano ritenuto che le polveri ambientali di dimensioni uguali o inferiori a 2,5 micron, a cui sarebbe stato costantemente esposto il ricorrente, siano da considerare cancerogeni di classe I (51), vale a dire “ cancerogeni certi”;
- il reperto biologico relativo ad un tessuto ammalato del ricorrente è stato sottoposto ad “indagine nanodiagnostica di microscopia elettronica a scansione e microanalisi a raggi x”, svolta dal Dott. S M dei Laboratori della “Nanodiagnostics” e mostra la presenza di nanoparticelle sospette (Rapporto n. 30/2017);la conclusione a cui perviene il professionista è la seguente: “….Indipendentemente dalla biocompatibilità chimica, si tratta in ogni caso di corpi estranei che hanno invaso il corpo umano e inevitabilmente sono patogene, dal momento che un accumulo può indurre una reazione biologica che esita in patologie di origine flogistica caratteristiche dei corpi estranei. Le particelle di dimensione ridotta possono essere state incamerate da cellule ed avere interagito direttamente con il DNA danneggiandolo” (cfr. doc. 5 ric.);
- il CVCS ha escluso, ma senza alcuna spiegazione, qualsiasi legame eziologico tra la patologia sofferta dal ricorrente ed il servizio prestato da quest’ultimo nella missione in territorio afghano.
Si è costituito, per resistere al ricorso, il Ministero della Difesa che ha successivamente depositato (in data 17.2.2022) una relazione sulla vicenda di causa corredata da documenti, a ciò sollecitata dallo Sezione con l’ordinanza n. 8925 del 2021.
Con la medesima ordinanza è stata disposta una verificazione, ai sensi degli artt. 19 e 66 cod. proc. amm., volta ad accertare la sussistenza del nesso causale tra il servizio effettivamente svolto dal ricorrente e la patologia sofferta.
E’ stata incaricata del predetto incombente la Direzione Centrale di Sanità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, che, dopo avere eseguito gli accertamenti del caso e avere esaminato la copiosa documentazione in atti, nella relazione depositata in data 4.3.2022 è pervenuta alla conclusione che, nella specie, il linfoma di Hodgkin non può essere correlato alla esposizione all’uranio impoverito.
In vista dell’udienza di merito, il ricorrente ha prodotto note di replica volte principalmente a confutare gli argomenti svolti e le conclusioni formulate dell’organismo verificatore.
Quindi, alla pubblica udienza del 13 luglio 2022, dopo la discussione orale, la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione.
DIRITTO
La domanda interessata dal provvedimento in epigrafe impugnato è volta, come detto, al conseguimento dell’indennità prevista dalla disciplina sull’equo indennizzo la quale, come recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, “per sua natura richiede la dimostrazione del nesso di causalità con i compiti di servizio.” (Cons. Stato, sez. II, 16 febbraio 2022, n. 1159).
Secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato, il giudizio medico legale afferente alle domande di equo indennizzo si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, “sono sottratti al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo salvi i casi in cui si ravvisi un’irragionevolezza manifesta o un palese travisamento dei fatti, ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale” (cfr. Cons. Stato n. 1159 del 2022 cit. che, a sua volta, richiama Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 885). Quindi, se è vero che il Comitato di Verifica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che gli compete, non opera alcuna comparazione tra interesse pubblico primario e secondario, il sindacato del giudice amministrativo in tale ambito è di tipo “intrinseco”, ma limitato ad ipotesi di mancata valutazione di circostanze di fatto ovvero ad irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti tali da rendere il giudizio espresso non soltanto “opinabile” ma, in termini più radicali, “inattendibile”.
Con quest’ultimo termine si intende una valutazione pretesamente tecnico-scientifica che si pone in realtà al di fuori dell’ambito di opinabilità ammesso nel settore tecnico o disciplinare di riferimento. Viceversa, ove si riveli soltanto “opinabile” (senza essere palesemente “inattendibile” ) il diverso apprezzamento suggerito dalla parte mediante il tecnico di sua fiducia, se accolto dal Giudicante, finirebbe per affiancarsi a quello altrettanto opinabile dell’Amministrazione, sostituendolo in modo inammissibile ed invadendo l’ambito delle attribuzioni riservate alla medesima.
Quindi “ alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale in subiecta materia, va ribadito che le valutazioni del Comitato di Verifica per le cause di servizio di cui al d.P.R. 29 ottobre 2001‚ n. 461 …sono insindacabili se adeguatamente motivate e, soprattutto, se coerenti con le circostanze di fatto emerse nel corso del procedimento. Tra l’altro, anche l’esame della documentazione eventualmente prodotta dall’interessato rientra nell’alveo dell’esercizio di un potere di discrezionalità tecnica attribuito alla pubblica Amministrazione, con la conseguenza che il giudice potrà esercitare il proprio sindacato solo in caso di macroscopiche illegittimità, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione procedente” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 23 aprile 2019, n. 2593).
Venendo al caso di specie, come sopra esposto, il CVCS aveva già escluso di poter formulare un giudizio di dipendenza della patologia dell’interessato da causa di servizio e l’Amministrazione della Difesa, preso atto di ciò, con nota n. M_D/GPREV/REG2018/0079017 in data 19.06.2018, aveva richiesto al medesimo Comitato di esprimersi nuovamente.
Pronunciandosi mediante parere nr. -OMISSIS-/2018 reso nell’adunanza n. -OMISSIS- del 26.09.2018, il Comitato confermava, come visto, il proprio avviso negativo, avendo ritenuto che “per l’infermità: LINFOMA DI HODGKIN TRATTATO CHIRURGICAMENTE CON CHEMIO IMMUNOTERAPIA IN ATTUALE REMISSIONE MALATTIA si conferma il precedente parere negativo, in quanto nelle osservazioni presentate dall'interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.
Nel primo giudizio negativo (parere n. -OMISSIS-2018 reso all’adunanza n. -OMISSIS- del 1.6.2018), il CVCS si era, peraltro, così testualmente espresso: “nei precedenti di servizio dell'interessato, non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica. Pertanto è da escludere ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo, altresì, nel caso di specie, precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in senso metaplastico. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti...”.
L’istruttoria documentale induce questo Collegio a ritenere corrette e, comunque, non manifestamente irragionevoli né errate in punto di fatto le conclusioni del Comitato.
Quanto ai precedenti di servizio e alla sussistenza di una effettiva e duratura esposizione ai fattori di rischio oncologico riferiti dal ricorrente, con riguardo alle due missioni all’estero alle quali ha partecipato, la relazione ministeriale prodotta dall’Amministrazione in data 17.2.2022 (adempimento di ordinanza collegiale istruttoria) ha riferito che:
- il ricorrente ha partecipato all’operazione ISAF XIX, in Afghanistan, dal 3.09.2012 al 22.03.2012 (quindi per una durata di poco più di sei mesi) e, successivamente, all’operazione DAMAN XXV dal 2.03.2016 al 20.09.2016 (durata di ulteriori sei mesi) in Libano;trattasi pertanto, di missioni circoscritte e avvenute a notevole distanza di tempo l’una dall’altra;
- l’Amministrazione afferma che nel corso dei due periodi indicati il militare “non ha partecipato ad alcuno scontro a fuoco”;
- ciò sembra confermato dalla documentazione matricolare (Allegato 6 alla rel. Min.) e dai rapporti informativi (Allegato 7) relativi al servizio svolto dal ricorrente, “dai quali risulta che il militare, durante la permanenza nel teatro operativo estero, non ha mai partecipato ad alcuno scontro armato, non è stato mai esposto a munizionamento ad uranio impoverito, a sostanze tossiche e a nanoparticolati provenienti da esplosioni belliche”;
- con riguardo al teatro operativo dell’Afghanistan, dalle risultanze del Centro Alti Studi Applicazioni Militari (CISAM) (Allegato 8 Rel. Min.) e dai risultati delle verifiche radiometriche di matrici ambientali (terreno e acqua) eseguite nel periodo 2011-2014 (periodo, dunque, significativo, rientrando in esso i sei mesi del ricorrente in Afghanistan) è emerso che le misure e le analisi effettuate per la ricerca dell’U.I., consentono di escludere la presenza di radionuclidi in concentrazioni superiori a quelle normalmente riscontrate nel fondo ambientale;per il medesimo territorio, nelle verifiche ambientali condotte dallo United Nations Environmental Programs (UNEP) non vi è alcun riferimento all’U.I. (si veda in proposito: unep.org/publications).
- con riguardo alla missione in Libano, a cui il ricorrente ha partecipato nel 2014, il contributo militare dello Stato italiano è stato avviato dopo il “cessate il fuoco” del 14 agosto 2006;pertanto, quando il ricorrente è stato inserito nella missione DAMAN XXV, erano pertanto decorsi oltre 10 anni dal “cessate il fuoco”.
Non si configura quindi, stando a quanto riferito e, almeno in parte, documentato dall’Amministrazione (e non confutato, invero, dal ricorrente) una costante partecipazione attiva del ricorrente ad operazioni belliche ad alto rischio di esposizione a microparticelle di metalli pesanti (rischio che appare, soprattutto per la missione in Libano, alquanto remoto).
Non vengono, d’altra parte, allegate dal ricorrente precise circostanze di tempo e di luogo (siti, situazioni, percorsi coperti) da cui si possa evincere, anche in termini soltanto probabilistici, un aumento del rischio ordinario derivante dalla esposizione a fattori inquinanti.
Il nesso di causalità, in ogni caso, è stato escluso dal Collegio Verificatore che, nella sua dettagliata relazione (dep. 4.3.2022), all’esito di una attenta disamina di tutta la documentazione in atti e raccolti i dati anamnestici, è pervenuto alle seguenti, articolate, conclusioni:
- “molto raramente è possibile capire il motivo per cui il LH colpisce certi pazienti e non altri;la ricerca, tuttavia, dimostra che determinati fattori di rischio fanno aumentare l'eventualità di ammalarsi di questo tumore. Secondo la letteratura scientifica accreditata costituiscono fattori di rischio per il LH: l'infezione da virus di Epstein-Barr (EBV) responsabile della mononucleosi, l'infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV), l'indebolimento del sistema immunitario e la familiarità (i familiari di un paziente con LH, soprattutto i fratelli e le sorelle, possono correre un rischio maggiore di ammalarsi);l'infezione batterica, ad esempio l'helicobacter pylori, può essere causa del linfoma tipo MALT che interessa le mucose a livello della stomaco”;
- ad avviso del Verificatore, poi, dall’esame della letteratura scientifica, , è emerso uno stretto legame tra l'infezione virale da EBV e l'insorgenza del LH. L'EBV è un virus potenzialmente oncogenico, all'oncogenicità del virus si associano altri fattori predisponenti, tra cui quelli di natura ambientale e quelli genetici. Il virus da solo non è capace di determinare l'insorgenza di neoplasia, ma contribuisce in maniera significativa attraverso l'attivazione di due meccanismi: la stimolazione della proliferazione cellullare da ascrivere all'attivazione anomala di oncogeni oppure all'inibizione della funzione degli oncosoppressori.
- “quanto precedentemente espresso porta ad una prima importante considerazione: la patologia sviluppata dal sig. ..., il linfoma di Hodgkin, è verosimilmente riconducibile ad infezioni virali o batteriche o a disfunzioni del sistema immunitario.”.
Quanto agli effetti dei proiettili all’uranio impoverito il Verificatore osserva che “ durante l'impatto i proiettili all’uranio impoverito (DU) formano un particolato che si disperde e contamina l'ambiente. Il rischio maggiore si verifica in caso di terreno secco e polveroso e in condizioni meteorologiche (per es. venti) che favoriscono la risospensione della polvere al DU.”
Ha osservato il Verificatore (relazione di verificazione, pag. 5) che il Centro Interforze Studi Applicazioni Militari (CISAM) ha compiuto nel periodo 2011-2014 numerose verifiche radiometriche su campioni di matrici ambientali (terreno ed acqua) provenienti da diversi territori afghani interessati, prelevati in varie località della regione da personale specializzato CBRN (chimico, biologico, radiologico e nucleare);le misure e le analisi effettuate per la ricerca di radioisotopi dell 'U.I. e di altri radionuclidi hanno consentito di escludere la presenza di radionuclidi in concentrazioni superiori a quelle normalmente riscontrate nel fondo ambientale, segnalando che non vi è alcun riferimento al rischio U.I. nelle indagini ambientali condotte in Afghanistan dall'UNEP.
In proposito, si citano gli studi reperibili al link http://www.unep.org/publications.
A similari conclusioni è giunto altro studio, citato nella relazione (pag. 6), secondo cui non sarebbe stata accertata alcuna contaminazione da U.I. nel territorio dell'Afghanistan e del Libano.
Per quanto attiene all'esposizione all’uranio impoverito nei poligoni militari nazionali, il Verificatore ha fatto invece riferimento alla Commissione parlamentare d'inchiesta in materia che al riguardo cosi concludeva : “Gli studi e le indagini scientifiche realizzate sino ad oggi non hanno rilevato la presenza sul territorio, nelle aree interessate da attività esercitativa, addestrativa e sperimentale o nei pressi di esse, di contaminazione da urania impoverito, come residuo di manufatti ad uso militare, né sono state reperite tracce di esso nelle numerose analisi effettuate anche con strumentazioni sofisticate sui tessuti patologici di militari affetti da tumori o da altre malattie invalidanti”.
Infine, con riferimento al ravvisato rischio espositivo all'UI cui sarebbe stato esposto il ricorrente nei poligoni nazionali frequentati, occorre rappresentare che la specifica Commissione parlamentare d'inchiesta giungeva alle seguenti conclusioni: “[...] le Forze Armate italiane non hanno mai impiegato munizionamento al 'uranio impoverito sia in attività addestrative, per lo svolgimento delle quali è assicurato il pieno rispetto delle normative vigenti, sia fuori dai confini nazionali. L’utilizzo del munizionamento all’uranio impoverito - ha inoltre precisato il Ministro - non è consentito nei poligoni in uso alle Forze Armate italiane e anche i paesi alleati o amici che utilizzano tali installazioni sono vincolati all’osservanza dei regolamenti d'uso, in cui sono elencati sia la tipologia di armamento che il munizionamento impiegabile. Non è risultato dalle indagini della Commissione che tali munizionamenti siano stati utilizzati presso i poligoni di tiro insediati sul territorio nazionale [...] ".
Per quanto concerne, invece, il riferimento alle vaccinazioni da parte del ricorrente, il Verificatore rappresenta che i vaccini, per loro natura, stimolano e rafforzano le difese immunitarie e non le indeboliscono. Al riguardo, in particolare “non è emersa alcuna evidenza scientifica, in bibliografia medica, che possa riconoscere la sussistenza di un nesso causale fra le vaccinazioni e il rischio di LH. Al contrario, esistono invece evidenze scientifiche delle finalità preventive in ambito oncologico correlate all’utilizzo di alcune vaccinazioni. La letteratura scientifica di settore non rileva correlazioni tra vaccinazione ed oncogenesi. Inoltre, dall' esame della copia del libretto presentato dal sig. Scarpa in sede di verificazione si evince che trattasi di vaccini validati ed approvati dal Ministero della Salute, per i quali è stata dimostrata l'insussistenza di correlazione tra somministrazione e insorgenza di malattia a genesi oncogena.”.
Alla luce di tali plurimi elementi di valutazione la Commissione incaricata della Verificazione è quindi pervenuta alle seguenti conclusioni nel caso in esame:
“Si ritiene che nel caso in questione si possa pervenire alle seguenti conclusioni.
Nel valutare un rapporto di causalità, l'obiettivo non deve essere quello di mettere in evidenza una generica potenzialità cancerogena di determinate sostanze, ma deve invece essere quello di valutare se specifiche sostanze riconosciute cancerogene, cui un soggetto è stato esposto in maniera adeguata, abbiano potuto di fatto realmente determinare uno specifico tumore in quel soggetto.
Il linfoma di Hodgkin non può essere correlato nel caso in esame all'esposizione all'uranio impoverito, viste le rilevazioni di organismi nazionali ed internazionali sull'inquinamento da uranio impoverito nell'ambito delle missioni internazionali effettuate dal sig. [omissis], e non vi è prova che il sig. [omissis] sia stato esposto a tale elemento, sia all'estero che in patria.
Non è possibile correlare il LH con le vaccinazioni effettuate.
Sembra del tutto verosimile che il LH possa essere correlato all'infezione da EBV.”.
Per tutto quanto precede, ad avviso del Collegio, deve escludersi la fondatezza delle censure svolte dal ricorrente nel senso che deve escludersi la sussistenza di vizi logici, di travisamento dei fatti, di carenza istruttoria e di difetto di motivazione nelle valutazioni espresse dal CVCS e nel conforme provvedimento dell’Amministrazione.
Il ricorso, pertanto, è da respingere mentre può disporsi la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti in causa considerata la particolare natura della controversia.