TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2019-06-21, n. 201903441

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2019-06-21, n. 201903441
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201903441
Data del deposito : 21 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/06/2019

N. 03441/2019 REG.PROV.COLL.

N. 03392/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3392 del 2017, proposto da
E A, rappresentato e difeso dall'avvocato C C, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via C.Rosaroll n. 70;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliata ex lege in Napoli, via Armando Diaz, 11;

per l'annullamento

a) del decreto del Ministero n. 4085/17 del 16/5/ 2017 (dipartimento di P.S/ Direzione centrale per le Risorse Umane / Servizio Trattamento di Pensione e Previdenza/ Div II) a firma del Direttore di detta divisione, decreto notificato in data 16/06/2017:

b) degli atti connessi allo stesso in preordinati e conseguenziali, tra cui la delibera assunta dal Ministero dell’Economia e Finanze/ Comitato di Verifica per le cause di servizio, delibera con la quale si esprime parere negativo in rapporto ad una patologia riscontrata, esistente e correlata, secondo il ricorrente al servizio e a causa dello stesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2019 il dott. Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Premette in fatto il ricorrente che il Ministero dell’Interno, con i provvedimenti descritti in epigrafe ha rigettato l’istanza presentata dallo stesso in data 23/03/2011 con la quale ha richiesto il riconoscimento dell’infermità derivante da una patologia contratta a causa del servizio svolto.

In particolare lo stesso dichiara di prestare servizio presso la Sezione Polstrada dal 7/03/2011 e di svolgere nella qualità di “gregario” servizi di vigilanza stradale consistenti in rilevo di incidenti stradali, scorta a carichi eccezionali e controllo della viabilità con turnazione di ore 24, nelle condizioni climatiche ed ambientali più avverse e talvolta protraendo gli orari di lavoro previsti.

Egli sostiene che a causa delle condizioni di lavoro cui è costretto e dello stress derivante, abbia contratto una gastrite cronica.

Al fine di ottenere il riconoscimento di tale infermità, il ricorrente si è sottoposto a tutti gli accertamenti richiesti dal D.P.R 29 /10/ 2001 al cui esito è stata diagnosticata dalla Commissione Medica Ospedaliera di Caserta facente parte del Dipartimento Militare di Medicina Legale la suddetta patologia.

Il referto con la relativa documentazione sono stati trasmessi al Comitato di Verfica al fine di accertarne la dipendenza da causa di servizio. Il Comitato ha reso parere negativo sostenendo che si tratta di una patologia che si manifesta in soggetti costituzionalmente predisposti per una specifica labilità dell’equilibrio neurovegetativo, e non derivante da fattori legati al tipo di attività svolta.

Tanto premesso, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dei principi generali di diritto in tema di riconoscimento di causa di servizio, dell’art 97 Cost., del principio di ragionevolezza nonché il vizio di eccesso di potere per infondatezza, illogicità e manifesta ingiustizia. Nello specifico la motivazione resa dal Comitato di Verifica nel proprio parere, è ad avviso del ricorrente, apodittica ed illogica.

Il Comitato si limita a dichiarare che la gastrite cronica contratta dallo stesso non derivi da cause di servizio trattandosi di una patologia che sorge in soggetti costituzionalmente predisposti per una particolare labilità dell’equilibrio neurovegetativo senza specificare la fonte clinica e gli accertamenti che hanno indotto l’Autorità a giungere a tali conclusioni.

Si è costituita l’Amministrazione intimata.

Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.

Occorre evidenziare innanzitutto la genericità delle ragioni e degli elementi addotti dal ricorrente a sostegno della dipendenza della propria infermità dall’attività di lavoro svolta.

In particolare lo stesso da sì atto degli orari, delle condizioni di lavoro cui è esposto, ma le stesse sono connesse al tipo di attività svolta, non eccedono in altre parole l’ordinario rischio connesso al lavoro di vigilanza stradale e non sono quindi considerabili come apprezzabili ai fini del riconoscimento dell’infermità.

Ed, invero, è innegabile come l’esposizione a situazioni di disagio e a potenziali fonti di stress sia una condizione connessa alla tipica prestazione lavorativa di un funzionario di polizia, non sufficiente, da sola, a giocare un ruolo determinante nella patologia lamentata. Ne consegue che, nella nozione di causa di servizio, ovvero concausa efficiente e determinante, possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (TAR Roma, sez. I, 02/05/2018, n.4762).

Inoltre se pur l’infermità addotta dalla parte attorea sia insorta durante il servizio, ciò non costituendo di per sé una prova sufficiente a giustificare la dipendenza della stessa dalle condizioni ambientali e lavorative.

Spetta dunque al ricorrente dare un’effettiva prova di tale dipendenza – ciò che nel caso di specie è mancato – atteso che in tema di malattia causata dal lavoro, la prova di essere stato sottoposto per lungo tempo a lavori stressanti non è sufficiente, dovendosi invece dimostrare specificatamente l’efficacia causale dello stress quale fattore di rischio con riferimento all’attività lavorativa in concreto prestata;
occorre, dunque, provare che si tratta di condizioni di lavoro particolarmente gravose, eccezionali ed esorbitanti rispetto alle ordinarie mansioni, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che rappresentano un fattore di rischio ordinario in relazione alla prestazione lavorativa;
del resto la stessa giurisprudenza civile (Cass. civ., n. 10319/2017) prevede che il lavoratore ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno (ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.).

Più in particolare, incombe sul lavoratore l’onere di provare di avere subito un danno, la nocività dell’ambiente d lavoro ed il nesso causale tra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere attuato tutte le cautele necessarie ad impedirlo (Cass. Civ., n. 2209/2016), atteso che in materia di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale va affermata la diretta applicazione della regola contenuta nell’art. 41 c.p., di modo che il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa (che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni) può escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. civ., nn. 17958/2015, 5174/2015, 23990/2014, 23207/2014).

A tal fine non può ritenersi sufficiente il generico riferimento all’influenza nociva dello stress lavorativo, in quanto la giurisprudenza richiede che sia data dimostrazione specifica dell’efficacia causale di tale fattore rischio (stress) nel caso concreto e quindi di evidenziare con precisione il nesso eziologico con riferimento alla diversa tipologia dell’attività lavorativa nelle specifiche circostanze che ne caratterizzano svolgimento. In tale prospettiva è stato escluso che il rapporto causa/effetto possa essere basato su mere valutazioni probabilistiche – dovendo invece essere individuato con un grado di consistente certezza sul piano tecnico-amministrativo e medico -legale (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2008, n. 2239) – e deve investire le specifiche e singolari modalità di svolgimento dell’attività di lavoro (sicché non si tratta di causalità “di” servizio” genericamente inteso, ma del servizio in concreto prestato).

In particolare la giurisprudenza ha precisato che, a tal fine, non è sufficiente la prova di essere stato sottoposto a lavori particolarmente stressanti e protratti per lungo tempo (Tar Lazio, Roma, sez. Ili, 18 gennaio 2010, n. 309 su un caso di infarto del miocardio), ma deve altresì essere provato che si tratta “di condizioni di lavoro particolarmente gravose eccezionali ed esorbitanti rispetto alle ordinarie mansioni”, cioè di fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (TAR Lazio, I, 3 aprile 2008 n. 2828;
sez. I, 3 dicembre 2010, n.35286;
sez. I, 1 gennaio 2010, n. 192;
sez. II, 5 gennaio 2011, n. 27;
TAR Lazio, sez. II, 5 gennaio 2011, n. 27;
T.A.R. Lecce sez. II 12 settembre 2012 n. 1522;
Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274).

Nel caso di specie tale prove è del tutto assente essendosi il ricorrente limitato a descrivere le condizioni ambientali e atmosferiche in cui opera ed i turni cui è sottoposto, circostanze che sono per loro natura connesse all’attività svolta.

Non ha dato specifica prova di fattori che siano di per sé idonei a giustificare una stretta dipendenza tra lo stress lavorativo e la patologia.

Infine occorre altresì evidenziare che il Comitato ha tenuto conto dei referti e e della documentazione trasmessa dalla Commissione Medica e sulla base degli stessi ha sancito la non dipendenza della patologia contratta dal lavoro.

In conclusione il ricorso va respinto perché infondato.

Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

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