TAR Trento, sez. I, sentenza 2021-11-22, n. 202100184

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trento, sez. I, sentenza 2021-11-22, n. 202100184
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trento
Numero : 202100184
Data del deposito : 22 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/11/2021

N. 00184/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00097/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 97 del 2021, proposto da D S, rappresentato e difeso dall’avvocato P D N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Borgo Valsugana, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo Porta Nuova, n. 9, presso gli uffici della predetta Avvocatura;
Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Giacomo Bernardi, Marialuisa Cattoni e Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, piazza Dante n. 15, presso l’avvocato Marialuisa Cattoni, nella sede dell’Avvocatura provinciale;

per l’annullamento

dell’ordinanza in data 6 maggio 2021, notificata il 10 maggio 2021, con cui l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune di Borgo Valsugana, in relazione alle opere abusive, con mutamento di destinazione d’uso, realizzate dal ricorrente sulla p.ed. 2916 C.C. Borgo, ha ordinato al ricorrente medesimo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 129, comma 1, della legge provinciale n. 1/2008, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, entro il termine di novanta giorni 90, nonché di tutti gli atti connessi, presupposti o conseguenziali, ivi compresi: A) il provvedimento dell’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune di Borgo Valsugana in data 22 settembre 2020, con cui è stata rigettata la domanda di sanatoria presentata dal ricorrente in data 9 agosto 2018 e acquisita al protocollo comunale n. 23573/2018;
B) la determinazione del dirigente del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia autonoma di Trento S013/2020/1541/ES, notificata al ricorrente il 26 marzo 2021, con cui è stato trasmesso il parere della Commissione provinciale per l’urbanistica e il paesaggio, Sottocommissione per il paesaggio, della Provincia autonoma di Trento n. 34/21 in data 10 marzo 2021;
C) il parere della Commissione provinciale per l’urbanistica e il paesaggio, Sottocommissione per il paesaggio, della Provincia autonoma di Trento n. 34/2021 in data 10 marzo 2021, nella parte in cui è stato dichiarato «improcedibile il coordinamento sanzionatorio attivato dal Comune di Borgo Valsugana per le opere riguardanti la realizzazione del nuovo alloggio all’interno del complesso aziendale in quanto il proponente non possiede i presupposti normativi e agronomici per poter mantenere i nuovi locali abitabili realizzati senza le necessarie autorizzazioni e titolo edilizio» , con la conseguenza che «tale alloggio, così come le opere ad esso correlate, come le modifiche apportate ai fori - quali modifica del portone di accesso al deposito sul fronte ovest in due porte affiancate con relativa trasformazione della piccola rampa di accesso in gradino, l’applicazione delle ante oscuranti sulle finestre dei fianchi nord e sud - la posa del cappotto termico esterno, la predisposizione della centrale termica nel sottotetto e delle relative opere accessorie tipo canna fumaria e camino o sfiato andranno rimessi in pristino, ristabilendo anche le funzioni originarie delle superfici da esso occupate» ;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Borgo Valsugana e della Provincia autonoma di Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2021 il dott. C P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor D S con il presente ricorso riferisce innanzi tutto che l’impugnato ordine di demolizione in data 6 maggio 2021 costituisce l’epilogo di una complessa vicenda, iniziata con domanda presentata in data 9 agosto 2018 e acquisita al protocollo n. 23573/2018, con cui egli ha chiesto la concessione in sanatoria per alcuni interventi abusivamente realizzati sull’immobile identificato con la p.ed. 2916 C.C. Borgo Valsugana, in origine consistente in un edificio adibito a ricovero animali da cortile e deposito agricolo, realizzato in forza della concessione edilizia numero 12629/02 in data 28 ottobre 2002 e soggetto ad alcuni interventi edilizi in forza della DIA n. 15445 del 12 dicembre 2007. Tale vicenda - analiticamente descritta nella motivazione del predetto ordine di demolizione e dalle parti nei propri scritti difensivi - può essere sintetizzata come segue.

Come risulta dalla motivazione dell’ordine di demolizione, nell’ambito dell’istruttoria relativa alla predetta domanda di sanatoria «sono stati eseguiti due sopralluoghi durante i quali è stato verificato l’edificio nella sua interezza ed è stato appurato che sono state eseguite tutte le predisposizioni e tutte le finiture atte a una casa di civile abitazione. È presente l’impianto di riscaldamento (caldaia, tubazioni con predisposizioni per la futura installazione di corpi scaldanti), l’impianto elettrico (quadro elettrico, prese, interruttori, corpi illuminanti), sono stati realizzati i pavimenti in piastrelle e i rivestimenti a parete. Il proprietario ha poi rivestito il tutto con pannelli di legno affinché questi non si rovinassero in attesa di ottenere il cambio d’uso da magazzino agricolo ad abitazione ...» ;
dunque, sulla base delle risultanze dei sopralluoghi, l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, sentita la Commissione edilizia comunale, «ha ritenuto che il cambio d’uso da magazzino ad abitazione dovesse considerarsi già avvenuto, ritenendo irrilevante l’utilizzazione di fatto dei locali» . Inoltre, trattandosi di un edificio ricompreso in area agricola di pregio del piano urbanistico provinciale (di seguito PUP), il medesimo Ufficio del Comune ha chiesto al Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia un parere sulla procedura da seguire per la sanatoria e, in particolare, «se la domanda di permesso di costruire in sanatoria potesse essere integrata con l’istanza di cambio della destinazione d’uso dell’immobile» ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, applicabile (ancorché abrogato) in forza dell’art. 121, comma 19, della legge provinciale n. 15/2015.

Il Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia con nota in data 8 luglio 2019 ha indicato la procedura da seguire, chiarendo che: A) al caso in questione erano applicabili le sanzioni di cui all’art. 129 della legge provinciale n. 1/2008, perché la DIA del 2007 non contemplava alcun mutamento di destinazione d’uso e all’epoca della realizzazione dell’abuso il cambio di destinazione d’uso era soggetto a concessione edilizia;
B) trattandosi di edificio realizzato in area agricola di interesse primario, l’unica possibilità di assentire il mutamento di destinazione d’uso, da agricola ad abitativa, consisteva nell’attivazione della procedura di cui all’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, che consente la modifica di destinazione d’uso degli immobili realizzati in area agricola primaria in presenza di “eventi del tutto particolari e adeguatamente motivati” ;
C) non essendo tale procedura dettagliatamente disciplinata, prima di attivare il procedimento di cui all’art. 62, comma 5, era preferibile richiedere la valutazione di conformità urbanistica, di competenza dell’ufficio tecnico del comune.

Sempre nella motivazione dell’impugnato ordine di demolizione si legge che al ricorrente è stato richiesto di specificare «l’esatta datazione della fine dei lavori di cui alla pratica edilizia n.12629/02 e l’epoca di realizzazione dei lavori oggetto di sanatoria» e questi ha dichiarato che la fine lavori delle opere abusive risaliva al 29 novembre 2008, mentre le opere autorizzate con la concessione n. 12629/02 erano state ultimate a fine gennaio 2005. Quindi l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune con nota del 25 agosto 2020 ha comunicato al ricorrente il preavviso di rigetto della domanda di concessione in sanatoria presentata il 9 agosto 2018, osservando che: A) «contrariamente a quanto richiesto, la domanda di sanatoria non riguarda solo opere in difformità alle pratiche autorizzate, ma anche l’avvenuto cambio d’uso da magazzino ad abitazione» ;
B) «conseguentemente a quanto dichiarato dal signor S D ..., il vincolo di destinazione agricola risultava decaduto a fine gennaio 2020» ;
C) «per tali motivi al momento della presentazione domanda di sanatoria ... l’intervento di cambio d’uso non era conforme agli strumenti urbanistici in vigore, come disposto dall’art. 135 della l.p.1/2008» . Peraltro in data 14 settembre 2020, durante il periodo concesso per la presentazione di osservazioni sul preavviso di rigetto, il ricorrente ha presentato una nuova istanza di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, avente ad oggetto le opere eseguite in difformità dai suddetti titoli edilizi e l’avvenuto mutamento di destinazione d’uso dell’immobile.

Da ultimo, come riferito dal ricorrente, l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune con l’impugnato provvedimento in data 22 settembre 2020 ha disposto la reiezione della prima domanda di sanatoria, presentata il 9 agosto 2018, confermando le motivazioni indicate nel preavviso di rigetto.

Inoltre, come evidenziato nella motivazione dell’impugnato ordine di demolizione, l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune con nota del 14 dicembre 2020 si è espresso circa la conformità urbanistica delle opere abusive in questione, dichiarando che le opere stesse «sono conformi agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli adottati al momento della presentazione della domanda ai sensi dell’art. 135 comma 7 della l.p.1/2008, in quanto al momento della realizzazione delle stesse vigeva il vincolo di destinazione agricola» , ma ha contestualmente precisato che tale conformità «è comunque subordinata all’esito positivo della procedura di cui all’articolo 62 comma 5 della l.p.1/2008, applicabile ancorché abrogato ai sensi dell’art.121 della l.p.15/2015» .

A sua volta la Commissione provinciale per l’urbanistica e il paesaggio della Provincia (di seguito CUP), Sottocommissione per il paesaggio, con l’impugnato parere n. 34/2021 in data 10 marzo 2021 - poi recepito dal Servizio urbanistica e tutela del paesaggio con l’impugnata determinazione dirigenziale S013/2020/1541/ES - si è espressa ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, statuendo come segue: «1) improcedibilità del coordinamento sanzionatorio attivato dal Comune di Borgo Valsugana per le opere riguardanti la realizzazione del nuovo alloggio all’interno del complesso aziendale - in quanto il proponente non possiede i presupposti normativi e agronomici per poter mantenere i nuovi locali abitabili realizzati senza le necessarie autorizzazioni e titolo edilizio. Ne consegue pertanto che tale alloggio, così come le opere ad esso correlate, come le modifiche apportate ai fori - quali modifica del portone di accesso al deposito sul fronte ovest in due porte affiancate con relativa trasformazione della piccola rampa di accesso in gradino, l’applicazione delle ante oscuranti sulle finestre dei fianchi nord e sud - la posa del cappotto termico esterno, la predisposizione della centrale termica nel sottotetto e delle relative opere accessorie tipo canna fumaria e camino o sfiato, andranno rimessi in pristino, ristabilendo anche le funzioni originarie delle superfici da esso occupate;
2) ammissibilità, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera a), della l.p. 4 marzo 2008, n. 1 e ss.mm., delle rimanenti opere eseguite in assenza o in difformità dalle autorizzazioni e dai titoli edilizi, che riguardano principalmente l’eliminazione dei tamponamenti lignei dei timpani est e ovest, la modifica della capriata a est, la pavimentazione dei marciapiedi esterni e del portico in lastre di porfido - al meno del gradino in corrispondenza dell’accesso verso ovest - il cambio del manto di copertura con la relativa apertura di nuove finestre in falda, la predisposizione dell’impianto elettrico, idrico e fognario - opere queste non strettamente connesse al cambio d’uso interno e comunque compatibili con una funzione agricola dell’immobile o non in contrasto con la gestione aziendale e con la destinazione delle aree agricole, l’ammissibilità sotto il profilo paesaggistico ambientale, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera a), della l.p. 4 marzo 2008, n. 1 e ss.mm.»
.

Da ultimo l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, in conformità al parere espresso dalla Sottocommissione per il paesaggio della CUP, ha ordinato al ricorrente di provvedere alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

2. Dei provvedimenti impugnati il ricorrente chiede l’annullamento affidando le proprie domande alle seguenti censure.

I) Eccesso di potere per errore di fatto, travisamento della realtà, difetto di istruttoria, contraddittorietà e irragionevolezza.

I provvedimenti impugnati si fondano sull’erroneo presupposto che al momento della presentazione della prima domanda di sanatoria, ossia nell’agosto 2018, il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, da agricolo a residenziale, fosse già stato realizzato. In particolare, secondo il ricorrente, tale errore discende dal fatto la Commissione edilizia comunale «ha ritenuto che il cambio di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione possa considerarsi già avvenuto» , e ciò sulla base di quella giurisprudenza secondo la quale, «ai fini della verifica della sussistenza del mutamento della destinazione d’uso, ritiene irrilevante l’utilizzazione di fatto, conferendo importanza, invece, alle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire attraverso l’esecuzione di nuovi lavori o comunque attraverso i lavori eseguiti» .

Invece la Commissione edilizia ha errato tanto nella ricostruzione, quanto nella qualificazione giuridica della situazione di fatto. Difatti, se è vero che, secondo la giurisprudenza, la destinazione d’uso di un immobile non va intesa come uso concreto che ne fa il privato, ma come destinazione impressa all’immobile in ragione delle caratteristiche funzionali e architettoniche dello stesso, tuttavia tale principio sottende una valutazione analitica e approfondita delle caratteristiche dell’immobile. Diversamente opinando si giungerebbe all’assurda conseguenza di qualificare come abitazione qualsiasi edificio, sia esso in aperta campagna o nel bel mezzo di una un’area industriale, sol perché è dotato di tetto, porte, finestre, è dotato di acqua e luce, e vi sono stati depositati mobili, anche in attesa di essere diversamente collocati, e senza considerare se tutti i servizi siano allacciati e funzionanti e se sia dotato dei requisiti minimi di un’abitazione, anche in relazione al luogo ove l’edificio stesso è ubicato.

Inoltre nella fattispecie, se si considerano le opere edilizie che secondo i provvedimenti impugnati avrebbero determinato una modifica di destinazione d’uso dell’immobile - opere consistenti in «modifiche apportate ai fori - la modifica del portone di accesso al deposito sul fronte ovest in due porte affiancate con relativa trasformazione della piccola rampa di accesso in gradino, l’applicazione delle ante oscuranti sulle finestre dei fianchi nord e sud - posa del cappotto termico esterno predisposizione della centrale termica nel sottotetto e delle relative opere accessorie tipo canna fumaria e camino o sfiato» - risulta palese che tali opere, anche se considerate nel loro complesso, non sono idonee a variare le caratteristiche funzionali dell’immobile, né sono incompatibili con la destinazione originaria dell’immobile stesso a deposito agricolo. Difatti, quanto alla realizzazione di due porte affiancate al posto di un unico portone di accesso, trattasi di modifica compatibile con l’uso agricolo, posto che l’attività agricola ivi ipoteticamente praticata era, per un verso, la coltivazione di piccoli frutti, che non necessita né di grandi macchinari quali trattori o piattaforme mobili, né di grandi attrezzi;
per l’altro verso, il ricovero di animali da cortile quali principalmente galline e conigli. Quanto all’applicazione di ante oscuranti sulle finestre, evidentemente finalizzata a mettere al sicuro il locale da furti e vandalismi, era destinata a proteggere attrezzature e materiale contenuti nel deposito. Quanto al cappotto termico, era finalizzato a mantenere temperature accettabili all’interno dell’edificio e ciò è ampiamente giustificabile e ragionevole anche per un deposito agricolo e per un magazzino. Quanto alla asserita predisposizione della centrale termica nel sottotetto, allo stato nessuna caldaia risulta installata, ma solo un camino con funzioni di sfiato. Dunque, posto che nella fattispecie non è stato realizzato alcun mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, tutti gli atti impugnati, ivi compreso l’ordine di demolizione, sono viziati per errore di fatto e difetto di istruttoria.

II) Violazione degli articoli 8 e 9 della legge provinciale n. 15/2015;
incompetenza della Commissione edilizia comunale;
eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Ai sensi degli articoli 8 e 9 della legge provinciale n. 15/2015 l’organo deputato al rilascio dei titoli abilitativi, anche in sanatoria, nonché all’istruttoria delle pratiche finalizzate al rilascio dei titoli medesimi è il titolare del competente ufficio del Comune e, in particolare, dell’ufficio tecnico comunale, mentre la commissione edilizia comunale è un organo consultivo, chiamato solo ad esprimere pareri di natura tecnica. Dunque ogni provvedimento deve essere assunto dall’ufficio tecnico comunale sulla base di una propria, autonoma valutazione dei fatti emersi dall’istruttoria e dei pareri espressi dalla commissione edilizia.

Invece nella fattispecie «tutto è stato deciso dalla Commissione Edilizia Comunale, la quale dapprima ha deciso come indirizzare l’istruttoria, poi ha proceduto alla valutazione e alla qualificazione giuridica dei fatti emersi» , mentre l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune si è limitato a recepire le richieste istruttorie della Commissione edilizia (eseguire i sopralluoghi sull’immobile) e quanto ritenuto dalla medesima Commissione sia in merito all’adesione ad un certo orientamento giurisprudenziale, sia in merito all’avvenuto mutamento di destinazione d’uso dell’immobile. Dunque i provvedimenti impugnati sono illegittimi perché sono mancati l’autonomo accertamento dei fatti e l’autonoma qualificazione dei fatti stessi da parte del Servizio tecnico comunale.

III) Eccesso di potere difetto di motivazione, perplessità, contraddittorietà interna e tra atti del procedimento, illogicità nell’iter procedimentale e incompletezza.

In via subordinata, per il caso in cui si ritenessero corrette sia la ricostruzione della situazione di fatto operata dalla Commissione edilizia comunale con particolare riferimento al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, sia la relativa qualificazione giuridica, l’impugnato ordine di demolizione risulterebbe comunque illegittimo. Difatti l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, ravvisando un contrasto dell’intervento eseguito con il Piano Urbanistico Provinciale (di seguito PUP), con nota del 28 maggio 2019 ha chiesto un parere al Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia, e tale Servizio ha risposto che l’unica soluzione sarebbe stata la sanatoria di cui all’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008;
ciononostante l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune con nota del 25 agosto 2020 ha comunicato il preavviso di rigetto della prima domanda di sanatoria, così inducendo il ricorrente a presentare una nuova istanza di sanatoria. Inoltre lo stesso Ufficio, da un lato, non ha informato il ricorrente della necessità di presentare un’istanza ai sensi del predetto art. 62, comma 5, e di fornire una relazione giustificativa per dimostrare la sussistenza delle eccezionali motivazioni richieste da tale disposizione;
dall’altro, ha chiesto alla Sottocommissione per il paesaggio della CUP di pronunciarsi ai sensi dell’art. 62, comma 5, e ciò ha determinato «una grande confusione» e l’assoluta impossibilità, per il ricorrente di comprendere cosa gli venisse concretamente richiesto e quali fossero le possibilità a sua disposizione. Infine tale confusione si riflette in maniera evidente nella motivazione dell’impugnata ordinanza di demolizione, che si limita a ripercorrere il tortuoso iter procedimentale e a richiamare il parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, ma nulla dispone in ordine alla sanatoria ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008 o alle ragioni per cui non sarebbe stata attivata la procedura ivi prevista.

IV) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta, violazione del principio di proporzionalità.

I provvedimenti impugnati ammettono che, sotto il profilo urbanistico, «gli interventi abusivi eseguiti non hanno inciso in maniera significativa su quelli che erano i parametri dimensionali, compositivi ed architettonici del manufatto assentito» (cfr. pag. 6, ultimo capoverso, del parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021) e che «le opere abusive sono conformi agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli adottati al momento della presentazione della domanda di sanatoria» (cfr. la nota del l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune del 14 dicembre 2020). Pertanto, non vi è alcun interesse urbanistico alla demolizione delle opere ritenute non sanabili.

Del resto la mancanza di interesse alla demolizione delle opere in questione è ancor più evidente se si considera che il ricorrente con la memoria del 25 febbraio 2021 aveva espressamente dichiarato di rinunciare alla domanda di cambio di destinazione d’uso (cfr. pag. 5, primo capoverso, del parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, ove si attesta che nella memoria del ricorrente «Viene richiesto pertanto di rivedere il pronunciamento di parziale diniego, autorizzando anche quelle opere attualmente in contrasto, fermo restando che la destinazione d’uso non verrà modificata» ). Dunque, posto che il ricorrente ha chiesto di poter sanare gli abusi edilizi - ivi compresi il cappotto termico e la modifica dei fori - pur mantenendo la destinazione agricola dell’immobile, l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi è comunque illegittimo in quanto, allo stato, non esiste alcuna norma che vieti l’installazione del cappotto termico o che impone determinate caratteristiche dei fori di accesso negli edifici con destinazione agricola. In altri termini, seppure il ricorrente dovesse ottemperare a tale provvedimento, comunque potrebbe, subito dopo, presentare una SCIA per realizzare le medesime opere appena demolite e il Comune dovrebbe assentirle.

3. Il Comune di Borgo Valsugana con memoria depositata in data 23 luglio 2021 ha preliminarmente eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione del provvedimento del 22 settembre 2020, con cui è stata rigettata la prima domanda di sanatoria presentata dal ricorrente, e della determinazione dirigenziale S013/2020/1541/ES, con cui è stato trasmesso il parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021. In particolare, secondo il Comune, tali provvedimenti «assurgono a fondamentali presupposti dell’unico provvedimento tempestivamente impugnato, vale a dire l’ordinanza di rimessa in pristino del 6 maggio 2021» e avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati nei termini di legge, non potendosi ritenere che l’impugnazione degli stessi, congiuntamente all’ordinanza di demolizione, valga a rimettere in termini il ricorrente perché la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che il soggetto che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria di opera da lui abusivamente realizzata decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione. Inoltre il Comune ha diffusamente replicato alle suesposte censure evidenziando, in particolare, che, non possedendo il ricorrente i requisiti per poter realizzare un’abitazione in aree agricole di pregio del PUP, non è sanabile l’abusivo mutamento di destinazione d’uso dell’immobile per cui è causa e che l’improcedibilità della domanda di sanatoria relativa a tale abuso si estende anche alle opere edilizie funzionali al mutamento di destinazione d’uso, posto che «l’abuso deve essere considerato nella sua unitarietà e non è possibile scindere lo stesso in parti da assoggettare a fattispecie sanzionatorie diverse».

4. Il ricorrente con memoria depositata in data 26 luglio 2021 ha replicato all’eccezione processuale del Comune osservando, in particolare, che il provvedimento del 22 settembre 2020 non è un atto immediatamente lesivo della sua sfera giuridica e che l’unico atto da cui si può desumere la conclusione del procedimento avviato a seguito della nuova istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata dal ricorrente medesimo in data 14 settembre 2020, è proprio l’ordinanza di demolizione in data 6 maggio 2021.

5. Questo Tribunale con l’ordinanza 29 luglio 2021, n. 41, nel provvedere sulla domanda cautelare presentata dal ricorrente, ha sospeso solo l’impugnata ordinanza di demolizione in data 6 maggio 2021, «limitatamente all’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi» . In particolare questo Tribunale ha ritenuto che la domanda cautelare non risultava supportata dal fumus boni iuris per i seguenti profili: A) quanto al primo motivo di ricorso, sia perché il ricorrente (come eccepito dal Comune di Borgo Valsugana) non ha tempestivamente impugnato il provvedimento del 22 settembre 2020 con cui la prima domanda di sanatoria, presentata in data 9 agosto 2018, è stata rigettata proprio sul presupposto che «contrariamente a quanto richiesto, la domanda di sanatoria non riguarda solo opere in difformità alle pratiche autorizzate, ma anche l’avvenuto cambio d’uso da magazzino ad abitazione» , sia perché l’ulteriore domanda di sanatoria, presentata dal ricorrente medesimo in data 14 settembre 2020 e rigettata con l’impugnato provvedimento in data 6 maggio 2021, ha ad oggetto anche il cambio di destinazione d’uso del manufatto da agricolo a residenziale;
B) quanto al secondo motivo, perché l’art. 4, comma 3, della legge provinciale n. 23/1992 ammette la c.d. motivazione per relationem e l’impugnato provvedimento del 6 maggio 2021 è motivato, per relationem , avuto riguardo a quanto evidenziato nel parere della Sottocommissione per il paesaggio del 10 marzo 2021;
C) quanto al terzo motivo perché, come risulta dal parere della Sottocommissione per il paesaggio del 10 marzo 2021, il ricorrente in data 25 febbraio 2021 ha presentato osservazioni per confutare le ragioni ostative all’applicazione dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, ma la Sottocommissione ha ritenuto che tali osservazioni «non abbiano di fatto apportato alcun elemento di novità, tale determinare un riesame o un ripensamento anche parziale delle valutazioni precedentemente espresse e sopra riportate, che si confermano» . Invece il Tribunale ha ritenuto la domanda cautelare supportata dal fumus boni iuris limitatamente al quarto motivo, con il quale il ricorrente - sul presupposto che egli stesso nelle osservazioni presentate in data 25 febbraio 2021 aveva espressamente dichiarato di «rinunciare alla domanda di cambio di destinazione d’uso» del manufatto - osserva che «non esiste alcuna norma che vieta l’installazione del cappotto termico, o che impone determinate caratteristiche dei fori di accesso, negli edifici a destinazione agricola» .

6. La Provincia di Trento costituitasi in giudizio in data 1° ottobre 2021, con memoria depositata in data 11 ottobre 2021 ha replicato alle suesposte censure formulate dal ricorrente osservando, in particolare, che la realizzazione di unità abitative all’interno delle aree agricole è ammessa solamente per i soggetti che svolgono l’attività agricola a titolo principale e che possiedono i requisiti prescritti dagli articoli 71-79 del regolamento urbanistico-edilizio provinciale (approvato con il d.P.P. 19 maggio 2017, 8-61/leg.);
invece il ricorrente non possiede né i requisiti soggettivi di imprenditore agricolo a titolo principale, iscritto da almeno tre anni, senza soluzione di continuità, alla sezione prima dell’archivio provinciale degli imprenditori agricoli (di seguito APIA), come previsto dall’art. 72, comma 1, del predetto regolamento, né i requisiti oggettivi inerenti la condizione di funzionalità dell’unità abitativa alle caratteristiche e alle dimensioni dell’azienda agricola, come previsto dall’art. 73 del predetto regolamento. Non sussistono pertanto i presupposti per sanare l’abusivo mutamento di destinazione d’uso, con opere, dell’edificio per cui è causa.

7. Il ricorrente con memoria depositata in data 11 ottobre 2021 ha insistito per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

8. La Provincia di Trento, a sua volta, con memoria depositata in data 21 ottobre 2021 ha insistito per la reiezione integrale ricorso.

9. Alla pubblica udienza dell’11 novembre 2021 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio ritiene che possa essere integralmente confermata la decisione assunta da questo Tribunale nella sede cautelare, alla luce delle seguenti considerazioni.

2. Innanzi tutto - posto che l’atto introduttivo del giudizio risulta notificato in data 5 luglio 2021 - come già evidenziato da questo Tribunale nell’ordinanza n. 41 del 2021, in accoglimento dell’eccezione processuale sollevata dal Comune dev’essere dichiarata irricevibile la domanda di annullamento del provvedimento dell’Ufficio urbanistica ed edilizia privata in data 22 settembre 2020, con cui è stata rigettata la prima domanda di sanatoria, presentata dal ricorrente in data 9 agosto 2018.

In particolare - sebbene dagli atti di causa non risulti quando tale provvedimento di rigetto sia stato notificato al ricorrente - tuttavia il ricorrente medesimo nella memoria depositata in data 26 luglio 2021 nulla ha replicato in ordine all’eccepita tardività della relativa impugnazione, limitandosi ad affermare che «l’unico atto da cui si può desumere la conclusione del procedimento è l’ordine di demolizione» , oggetto di tempestiva impugnazione, mentre il provvedimento del 22 settembre 2020 non avrebbe carattere immediatamente lesivo della sua sfera giuridica sia perché nello stesso non sarebbero state indicate le conseguenze sanzionatorie del diniego della sanatoria, sia perché il Comune avrebbe assunto «un comportamento e atti a dir poco disorientanti» , senza lasciar intendere quale fosse l’atto conclusivo del procedimento. Dunque, da un lato, posto che ai sensi dell’art. 64, comma 4, cod. proc. amm. il giudice “può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo” , vi è motivo di ritenere che la domanda di annullamento del provvedimento del 22 settembre 2020 sia stata tardivamente proposta, proprio in quanto il ricorrente nel replicare all’eccezione del Comune non ha addotto la tempestività della predetta domanda. Dall’altro, occorre evidenziare che, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, il provvedimento con cui viene rigettata la domanda di sanatoria di un abuso edilizio si configura come un atto immediatamente lesivo della sfera giuridica dell’interessato.

In particolare, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2021, n. 3565;
id., 23 luglio 2018, n. 4475), il soggetto che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria dell’opera abusivamente realizzata decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto. Pertanto, stante l’inequivoco tenore del provvedimento di diniego del 22 settembre 2020, non vi è dubbio che (come già affermato da questo Tribunale nell’ordinanza cautelare n. 41 del 2021) lo stesso - quale atto conclusivo del procedimento di sanatoria avviato con la domanda presentata dal ricorrente in data 9 agosto 2018 - andasse tempestivamente impugnato, non potendosi opinare diversamente sol perché l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, a seguito della nuova istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 14 settembre 2020, ha attivato il relativo procedimento.

3. Diverse considerazioni valgono per l’eccezione di tardività dell’impugnazione del parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, reso ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, e della determinazione dirigenziale del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio S013/2020/1541/ES, che recepisce integralmente tale parere.

Sebbene l’atto introduttivo del giudizio risulti - come detto - notificato in data 5 luglio 2021 e sebbene la predetta determinazione dirigenziale sia stata notificata al ricorrente il 26 marzo 2021, come ammesso dal ricorrente medesimo, e in motivazione sia stata espressamente qualificata come un provvedimento immediatamente impugnabile, tuttavia l’eccezione non può essere accolta per le seguenti ragioni.

Come già evidenziato da questo Tribunale in altre occasioni (da ultimo, T.R.G.A Trentino Alto Adige, Trento, 20 aprile 2021, n. 60), l’istituto del permesso di costruire in sanatoria - denominato anche accertamento della conformità urbanistica e disciplinato, a livello nazionale, dall’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 - si rinviene pure nell’ordinamento della Provincia autonoma di Trento, che però si caratterizza in quanto, accanto al caso in cui la sanatoria è subordinata all’accertamento della c.d. doppia conformità, è stata tipizzata e disciplinata anche la c.d. sanatoria giurisprudenziale degli abusi edilizi.

In particolare l’art. 135, comma 1, della legge provinciale n. 1/2008 dispone - in conformità a quanto previsto dall’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 - che, fino alla scadenza dei termini per l’esecuzione dell’ingiunzione prevista dall’articolo 129, comma 1, della stessa legge provinciale n. 1 del 2008, “il responsabile dell’abuso o altro soggetto avente titolo possono chiedere la concessione in sanatoria se l’opera è conforme agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda” . Parimenti il comma 4 dell’art. 135 dispone che il rilascio della concessione in sanatoria “è subordinato al pagamento del contributo di concessione e di una sanzione pecuniaria pari al valore del contributo” , precisando che nei casi di esenzione o di riduzione del contributo “la sanzione pecuniaria è pari al contributo dovuto negli altri casi” e nei casi di difformità “il contributo e la relativa sanzione sono calcolati con riferimento alla parte di opera difforme dalla concessione” , fermo altresì restando che “la sanzione non può essere inferiore a 1.500 euro” .

Peraltro la sopradescritta disciplina di fonte provinciale si discosta sensibilmente da quella statuale perché il comma 7 dell’art. 135 dispone che, fermo restando quanto previsto dal comma 1, “resta salvo il potere, ai soli fini amministrativi, di rilasciare la concessione edilizia quando è regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate, anche se l’opera per la quale è richiesta è già stata realizzata abusivamente. In tal caso le sanzioni pecuniarie previste dai commi 4 e 5 sono aumentate del 20 per cento” . Come già evidenziato da questo Tribunale (T.R.G.A Trentino Alto Adige, Trento, 11 agosto 2020, n. 136), con tale disposizione il Legislatore provinciale, nell’esercizio della competenza legislativa primaria in materia di urbanistica, prevista dell’art. 8, comma 1, n. 5, dello Statuto speciale di autonomia della Regione Trentino Alto Adige/ Südtirol approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, ha codificato la c.d. sanatoria giurisprudenziale, così ampliando (seppure “ai soli fini amministrativi” , ossia fatte salve eventuali responsabilità di natura penale) la possibilità di richiedere l’accertamento della conformità urbanistica dell’opera realizzata in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, purché l’opera stessa sia “conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate” .

Inoltre, per quanto più interessa in questa sede, secondo il comma 2 dell’art. 135 , “Quando per la sanatoria sono necessari i provvedimenti permissivi previsti dall’articolo 101, il comune, su richiesta, può prorogare i termini fissati nell’ingiunzione per consentire l’acquisizione e la presentazione della relativa documentazione” . Tale disposizione si spiega in quanto l’art. 101, comma 3, della legge provinciale n. 1/2008 (oggi abrogato, ma recepito nell’art. 81, comma 1, della legge provinciale n. 15/2015) definisce la concessione edilizia come “l’atto conclusivo finale per procedere alla realizzazione delle opere richieste” , precisando però che il rilascio della stessa è subordinata “all’avvenuto rilascio di ogni atto di assenso, comunque denominato, nonché alla presentazione delle certificazioni previste da altre disposizioni per la realizzazione di opere e interventi di modificazione del territorio” . Dunque anche il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 135, comma 1, o dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, è subordinato alla preventiva acquisizione di ogni atto di assenso, comunque denominato, ivi compresi gli atti di assenso previsti dall’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008 per l’edificazione nelle aree destinate all’agricoltura (applicabile nel caso in esame, ancorché abrogato, ai sensi dell’art. 121 della legge provinciale n. 15/2015), e ciò spiega perché - essendo l’immobile per cui è causa ricompreso in area agricola di pregio - l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, a seguito della seconda domanda di sanatoria, presentata dal ricorrente in data 14 settembre 2020 ai sensi dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, abbia provveduto ad attivare il Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia. Difatti, secondo il predetto art. 62, comma 5, “In presenza di eventi del tutto particolari e adeguatamente motivati il consiglio comunale, acquisito il parere della sottocommissione della CUP integrata secondo quanto previsto dal comma 9 e previo nulla osta della Giunta provinciale, può autorizzare il mutamento di destinazione degli edifici di cui al comma 4 per usi che risultino comunque compatibili con le aree agricole” .

Tanto premesso, osserva il Collegio, da un lato, che l’art. 62, comma 5, disciplina un autonomo procedimento, attivabile anche nei procedimenti di sanatoria di cui all’art. 135, commi 1 e 7, della legge provinciale n. 1/2008, destinato a concludersi con un provvedimento motivato del consiglio comunale, che può autorizzare il mutamento di destinazione degli edifici di cui al comma 4 dello stesso art. 62 - ossia degli edifici “realizzati nelle aree destinate all’agricoltura per l’esercizio dell’attività agricola, compresi quelli a uso abitativo dell’imprenditore agricolo e quelli destinati all’agriturismo” - per usi che risultino comunque compatibili con le aree agricole;
dall’altro, che il parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP e il nulla osta della Giunta provinciale costituiscono atti endoprocedimentali, non immediatamente impugnabili. Ritiene infatti il Collegio che a tali atti sia applicabile il medesimo principio di diritto, affermato da una consolidata giurisprudenza in materia di condono edilizio ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. V, 16 febbraio 2012, n. 794), secondo il quale la concessione edilizia in sanatoria relativa ad un manufatto realizzato su area sottoposta a vincolo ambientale-paesaggistico presuppone, ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il parere dell’organo preposto alla tutela del vincolo, parere che, peraltro, non è l’atto conclusivo del procedimento, ma è un atto endoprocedimentale;
dunque tale parere, pur essendo vincolante, non è immediatamente lesivo e, in quanto tale, non è suscettibile di impugnazione autonoma, dovendo essere impugnato unitamente al provvedimento finale, concretamente lesivo della sfera giuridica del richiedente.

Ne consegue che l’eccezione di tardività della domanda di annullamento del parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021 e della determinazione dirigenziale del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio S013/2020/1541/ES - eccezione sollevata dal Comune sul presupposto che tali atti fossero suscettibili di impugnazione autonoma - è infondata, perché trattasi piuttosto di atti endoprocedimentali relativi al procedimento avviato a seguito della seconda istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente.

4. Passando all’esame dei suesposti motivi di ricorso, il Collegio ritiene che il primo ed il secondo siano inammissibili in quanto, seppure formalmente rivolti avverso tutti i provvedimenti impugnati, in realtà riguardano il provvedimento di diniego del 22 settembre 2020 e, quindi, avrebbero dovuto essere tempestivamente dedotti impugnando tale provvedimento.

5. In particolare il ricorrente con il primo motivo contesta il presupposto di fatto in base al quale è stata rigettata la prima domanda di sanatoria, negando che nell’agosto 2018 il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, da agricolo a residenziale, fosse già stato realizzato. Tuttavia l’accertamento del fatto che il mutamento di destinazione d’uso fosse già intervenuto al momento della presentazione della prima domanda di sanatoria è cristallizzato nel provvedimento del 22 settembre 2020, oramai consolidatosi per effetto dell’omessa tempestiva impugnazione dello stesso.

Dunque, in ossequio alla giurisprudenza innanzi richiamata, il ricorrente, avendo prestato acquiescenza al diniego della prima istanza di sanatoria, è decaduto dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego mediante l’impugnazione degli ulteriori atti in epigrafe indicati e, in particolare, mediante l’impugnazione dell’ordine di demolizione conseguente alla mancata sanatoria dell’abuso.

Inoltre, un’ulteriore causa di inammissibilità del primo motivo di ricorso si rinviene nel fatto che il ricorrente non ha affatto contestato le ragioni in base alle quali la Sottocommissione per il paesaggio della CUP ha espresso un parere negativo in ordine al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile.

In particolare a pag. 5 del parere n. 34/2021 si legge quanto segue: «Le opere oggetto d’esame riguardano le difformità eseguite rispetto ai titoli edilizi nella realizzazione del deposito agricolo e ricovero animali, con cambio d’uso interno in abitazione, sulla p.ed. 2916 C.C. Borgo ..., con esecuzione di tutte le predisposizioni e tutte le finiture necessarie per una abitazione, come accertato da due sopralluoghi del Servizio Tecnico del Comune di Borgo Valsugana. Secondo le disposizioni dettate dagli articoli 37, comma 4 e 38 delle norme di attuazione del PUP, nonché dagli art. dal 71 al 79 del regolamento urbanistico edilizio, attuativo della legge provinciale per il governo del territorio, approvato con deliberazione della Giunta provinciale n. 773, del 19 maggio 2017, si osserva che la realizzazione dell’unità abitativa all’interno delle aree agricole è ammessa solamente per i soggetti che svolgono l’attività agricola a titolo principale ai sensi delle norme vigenti (art. 37, comma 4, lettera a), punto 1), di attuazione del PUP). Per quanto sopra esposto appare evidente che non sussistono i requisiti soggettivi e oggettivi per la realizzazione dell’alloggio del conduttore agricolo e quindi per poter approvare in sanatoria la trasformazione d’uso con relative opere del deposito/ricovero animali sito sulla p.ed. 2916 in C.C. Borgo (Borgo Valsugana) in abitazione del Signor S D. Il proponente non possiede infatti i requisiti soggettivi di imprenditore agricolo a titolo principale iscritto alla sezione prima dell’APIA da almeno 3 anni senza soluzione di continuità (ai sensi dell’articolo 72, comma 1 del regolamento), né quelli oggettivi inerenti la condizione di funzionalità dell’unità abitativa alle caratteristiche e alle dimensioni dell’azienda agricola (art. 73 del regolamento). Anche se mai utilizzato per l’esercizio dell’attività agricola, l’edificio è comunque vincolato alla destinazione agricola. Sotto il profilo agronomico non ci sono pertanto le condizioni per poter sanare la trasformazione d’uso del deposito/ricovero animali in abitazione, per la mancanza dei requisiti agronomici in capo al proponente per la realizzazione di una unità abitativa in area agricola».

Dunque, come si avrà modo di evidenziare, l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune ha rigettato - seppure implicitamente - la seconda domanda di sanatoria presentata dal ricorrente in quanto, da un lato, il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile era già intervenuto al momento della presentazione della prima domanda di sanatoria, e tale circostanza non può essere rimessa in discussione dal ricorrente nel presente giudizio in quanto egli ha prestato acquiescenza al provvedimento di diniego del 22 settembre 2020;
dall’altro, la Sottocommissione per il paesaggio della CUP ha rilevato che il ricorrente non possiede i requisiti soggettivi di imprenditore agricolo, perché non è iscritto nell’Archivio provinciale delle imprese agricole (APIA), né alla Camera di commercio, sezione speciale agricoltura, né i requisiti oggettivi inerenti la condizione di funzionalità dell’unità abitativa alle caratteristiche e alle dimensioni dell’azienda agricola;
e tali affermazioni (per sé stanti ostative all’autorizzazione al mutamento di destinazione dell’edificio alla positiva conclusione del procedimento attivato ai sensi dell’art. 62, comma 5, propedeutico all’accoglimento della seconda domanda di sanatoria) non sono state in alcun modo contestate con il ricorso in esame.

6. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune si sia limitato a recepire le richieste istruttorie della Commissione edilizia (ossia ad eseguire due sopralluoghi sull’immobile) e il parere della medesima Commissione sulla circostanza che il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile fosse già intervenuto al momento della presentazione della prima domanda di sanatoria, senza svolgere alcuna autonoma valutazione al riguardo. Difatti anche tali censure, seppure formalmente rivolte avverso tutti i provvedimenti impugnati, in realtà riguardano il provvedimento di diniego del 22 settembre 2020 e, quindi, avrebbero dovuto essere tempestivamente dedotte impugnando tale provvedimento.

Inoltre, anche a voler opinare diversamente, resta comunque il fatto che (come già evidenziato da questo Tribunale nell’ordinanza cautelare n. 41 del 2021) l’art. 4, comma 3, della legge provinciale n. 23/1992 ammette la c.d. motivazione per relationem e l’impugnato ordine di demolizione in data 6 maggio 2021 è - per l’appunto - motivato, per relationem , avuto riguardo a quanto evidenziato nel parere n. 34/2021, ove la Sottocommissione per il paesaggio della CUP, oltre ad affermare che il ricorrente non possiede i requisiti soggettivi di imprenditore agricolo, ha precisato che «il Comune di Borgo Valsugana ha stabilito che di cambio d’uso interno da deposito ad abitazione si tratta, non la Sottocommissione della CUP, che ha semplicemente preso atto di quanto affermato dal medesimo Ente locale» , così evidenziando l’intangibilità delle motivazioni in base alle quali era stato adottato il provvedimento di diniego del 22 settembre 2020.

7. Passando alle censure dedotte con il terzo motivo, la prima di esse - con cui il ricorrente si duole del fatto che, sebbene il Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia con nota in data 8 luglio 2019 avesse chiarito che la sanatoria delle opere in questione richiedeva l’attivazione del procedimento di cui all’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, tuttavia l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune, invece di attivare tale procedimento, ha comunicato il preavviso di rigetto della prima domanda di sanatoria, così inducendo il ricorrente a presentare una nuova istanza di sanatoria - è inammissibile perché concerne la nota del 25 agosto 2020, con cui è stato comunicato il preavviso di rigetto. Trattasi, quindi, di una censura che avrebbe dovuto essere proposta impugnando tempestivamente il provvedimento di diniego del 22 settembre 2020.

Inoltre, trattandosi nella fattispecie di un edificio realizzato in area agricola di interesse primario, non v’è dubbio che l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune abbia correttamente provveduto ad attivare, d’ufficio, la procedura di cui all’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, in quanto propedeutica all’accoglimento della seconda domanda di sanatoria.

Né il ricorrente ha motivo di dolersi del fatto che non sia stato posto nella condizione di dimostrare la sussistenza di «eventi del tutto particolari» , tali da giustificare l’autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso dell’edificio in questione ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008. Difatti dagli atti di causa risulta che il Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia con nota del 27 gennaio 2021 ha comunicato al ricorrente i motivi ostativi al rilascio del parere previsto dall’art. 62, comma 5, e il ricorrente medesimo in data 25 febbraio 2021 ha presentato osservazioni al riguardo, osservazioni disattese dalla della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, ove si legge (a pag. 6) che «il proponente non ha motivato ed evidenziato nessun evento particolare - nell’istanza di sanatoria né tantomeno nelle osservazioni al preavviso di improcedibilità ... - tali da giustificare la sanabilità della trasformazione interna del deposito in abitazione» .

8. Coglie, invece, nel segno il ricorrente quando afferma, sempre nel terzo motivo, che l’ordinanza di demolizione in data 6 maggio 2021 nulla dispone in ordine alla conclusione del procedimento avviato dall’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008, limitandosi a richiamare la nota del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia e l’allegato parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021. Tale affermazione non è, peraltro, sufficiente per ritenere illegittimo l’impugnato ordine di demolizione, dovendosi nella presente fattispecie fare applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di atto implicito, nonché della regola del raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, sancita dall’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241/1990.

In particolare, secondo la giurisprudenza ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6732;
id., 27 novembre 2014, n. 5887), è possibile configurare un provvedimento amministrativo implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà. Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543), la presenza di un provvedimento amministrativo implicito può desumersi indirettamente, ma univocamente, da un altro provvedimento.

Ritiene allora il Collegio che il parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021 assume ex se una valenza palesemente ostativa alla positiva conclusione del procedimento avviato ai sensi dell’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008 e, quindi, al rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto dal ricorrente ai sensi dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008 e che deve conseguentemente escludersi che l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune potesse discostarsi da tale motivato parere. Se così è, dall’impugnato ordine di demolizione è per certo possibile dedurre in modo non equivoco la volontà provvedimentale di concludere negativamente sia il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione al mutamento di destinazione dell’edificio (non ostando a tale deduzione il fatto che spetti al consiglio comunale la competenza ad adottare il provvedimento conclusivo del procedimento di cui all’art. 62, comma 5), sia il procedimento volto al rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto dal ricorrente.

Inoltre, a favore della possibilità di rinvenire nell’impugnata ordinanza in data 6 maggio 2021, oltre che l’esplicito ordine di demolizione, anche due ulteriori provvedimenti impliciti - ossia il diniego dell’autorizzazione al mutamento di destinazione dell’edificio e il diniego del permesso di costruire in sanatoria - milita altresì la c.d. regola del raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, di cui all’art. 21- octies , comma 2, primo periodo, della legge n. 241/1990, la quale comporta, nei casi di attività vincolata, la c.d. dequotazione della violazioni forma e procedimentali. Difatti nella fattispecie è palese che, a fronte del parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, il contenuto dell’impugnata ordinanza in data 6 maggio 2021 non avrebbe potuto essere diverso se il Consiglio comunale si fosse pronunciato con un provvedimento espresso sulla domanda di autorizzazione al mutamento di destinazione dell’edificio e se l’Ufficio urbanistica ed edilizia privata del Comune si fosse pronunciato con un provvedimento espresso sulla domanda di permesso di costruire in sanatoria.

9. Da ultimo, avuto riguardo alle censure dedotte con il quarto motivo di ricorso, il Collegio ritiene che possa trovare conferma quanto affermato da questo Tribunale, nell’ordinanza n. 41/2021, sul presupposto che il ricorrente nelle osservazioni presentate in data 25 febbraio 2021 abbia espressamente dichiarato di «rinunciare alla domanda di cambio di destinazione d’uso» del manufatto.

10. Dall’esame dell’impugnata ordinanza in data 6 maggio 2021 si evince che il Comune ha ordinato la demolizione delle opere ritenute strumentali al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile conformandosi al parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, ove si afferma (a pag. 6) quanto segue: «l’improcedibilità della domanda di sanatoria con riferimento al cambio d’uso abusivo si estende anche alle opere edilizie difformi, funzionali al medesimo cambio d’uso, posto che l’abuso deve essere considerato nella sua unitarietà e non è possibile scindere lo stesso in parti da assoggettare a fattispecie sanzionatone diverse».

A tale affermazione si contrappone la tesi del ricorrente, secondo la quale - posto che nelle osservazioni presentate in data 25 febbraio 2021 al Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia egli ha dichiarato di rinunciare alla domanda di cambio di destinazione d’uso, come riconosciuto nel parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, ove si attesta (a pag. 5) che nelle osservazioni procedimentali viene chiesto di «rivedere il pronunciamento di parziale diniego, autorizzando anche quelle opere attualmente in contrasto, fermo restando che la destinazione d’uso non verrà modificata» - nulla osta alla sanatoria delle sole opere abusive strumentali al mutamento di destinazione d’uso (ossia considerate separatamente dall’abusivo mutamento di destinazione d’uso) perché non esiste alcuna norma che vieti l’installazione del cappotto termico o che imponga determinate caratteristiche dei fori di accesso negli edifici con destinazione agricola.

11. La tesi del ricorrente merita di essere condivisa alla luce delle seguenti considerazioni.

Non ignora il Collegio il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 20 febbraio 2018, n. 1093;
Cassazione penale, Sez. III,1° ottobre 2013, n. 45598) secondo il quale la valutazione di un intervento edilizio abusivo presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell’intervento stesso, giacché il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva dall’insieme delle opere abusivamente realizzate. Di conseguenza non v’è dubbio che l’Amministrazione, laddove venga chiesta la sanatoria di un intervento complesso (qual è il mutamento di destinazione d’uso, con opere, di un immobile) sia tenuta a considerare l’intervento stesso nella sua interezza. Difatti non può ammettersi che l’interessato prospetti un’artificiosa frammentazione dei singoli elementi costitutivi dell’intervento abusivo in modo da conseguire la sanatoria integrale dell’intervento stesso. In altri termini non può ammettersi che l’amministrazione - in luogo della doverosa qualificazione unitaria dell’intervento abusivo e della conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato - avalli una scomposizione virtuale dell’intervento stesso, strumentalmente finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria.

Tuttavia nella presente fattispecie è innegabile che il ricorrente - pur avendo inizialmente chiesto la sanatoria integrale dell’intervento abusivo di mutamento della destinazione d’uso, con opere, dell’immobile - tuttavia in un secondo momento, rinunciando alla sanatoria dell’abusivo mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, abbia circoscritto l’oggetto della domanda di sanatoria, limitandolo alle sole opere abusive in origine funzionali al mutamento della destinazione d’uso dell’immobile. Dunque non coglie nel segno il Comune quando nelle proprie difese afferma che l’intervento per cui è causa «deve essere considerato nella sua unitarietà e non è possibile scindere lo stesso in parti da assoggettare a fattispecie sanzionatorie diverse» . Difatti la giurisprudenza innanzi richiamata correttamente nega, come già evidenziato, la possibilità di una sanatoria parcellizzata delle singole parti dell’intervento abusivo, ossia considerate in modo atomistico ai fini della sanatoria integrale dell’intervento stesso;
pertanto tale giurisprudenza non può essere utilmente invocata nel caso in esame, nel quale il ricorrente ha invece rinunciato alla sanatoria integrale dell’abusivo mutamento di destinazione d’uso, con opere, dell’immobile.

Ne deriva che le residue opere abusive - ossia la modifica del portone di accesso al deposito in due porte affiancate, l’applicazione delle ante oscuranti sulle finestre dei fianchi nord e sud, la posa del cappotto termico esterno, la predisposizione della centrale termica nel sottotetto e le relative opere accessorie - avrebbero dovuto essere considerate in sé e per sé dall’Amministrazione ai fini di un’eventuale sanatoria delle stesse, e non già come opere funzionali al mutamento della destinazione d’uso dell’immobile.

12. Tenuto conto di quanto precede, il ricorso deve essere accolto in parte e, per l’effetto, si deve disporre l’annullamento dell’impugnata ordinanza in data 6 maggio 2021 nella parte in cui viene disposta la rimessione in pristino dello stato dei luoghi anche con riferimento alle predette opere, sebbene non più funzionali al mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, nonché la determinazione dirigenziale S013/2020/1541/ES e il parere della Sottocommissione per il paesaggio della CUP n. 34/2021, sempre nella parte relativa alle predette opere, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere sulla domanda di sanatoria delle opere stesse senza procedere alla riattivazione del procedimento di cui all’art. 62, comma 5, della legge provinciale n. 1/2008 (procedimento la cui necessità è venuta meno per effetto della rinuncia del ricorrente alla sanatoria del mutamento della destinazione d’uso dell’immobile).

13. Tenuto conto della complessità delle questioni trattate e del parziale accoglimento della domanda di annullamento degli atti impugnati, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra tutte le parti.

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