TAR Milano, sez. II, sentenza 2009-06-17, n. 200904066
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N. 04066/2009 REG.SEN.
N. 01992/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1992 del 2006, proposto da:
Ragione S, rappresentato e difeso dagli avv. A B e J R, con domicilio eletto presso A B in Milano, via Turati n. 26;
contro
Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv. A M e M R S, domiciliato presso l’avvocatura comunale in Milano, via della Guastalla, 8;
nei confronti di
R, M e A M e M L L, rappresentati e difesi dagli avv. C S e M S, presso lo studio dei quali, in Milano, via Hoepli, 3 sono elettivamente domiciliati;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento del Comune di Milano del 3.5.2006, pratica n. 2237/2003, con il quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate con dichiarazione di inizio attività p.g. n. 20927176/2003 ed il ripristino dello status quo ante e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di R, M e A M e di M L L;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22/04/2009 la dott.ssa S C e uditi per le parti gli avv. Bazzani, Mandarano, M S e De Nora (in sostituzione di C S);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La società “Ragione” s.r.l. impugna il provvedimento con cui il Comune di Milano le ha ordinato la demolizione delle opere realizzate con d.i.a. presentata in data 22.5.2003 (avente ad oggetto il recupero del sottotetto dello stabile situato in via Donizetti, n., 12, adibito a clinica) ed il ripristino dello status quo ante per i seguenti motivi:
I. violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241/1990;violazione del principio di autotutela e carenza di motivazione;
II. violazione e falsa applicazione dell’art. 1, l. reg. n. 15/1996;violazione e falsa applicazione dell’art. 51 del r.e.c.;violazione dell’art. 1, c. 2, l. n. 241/1990;eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento ed erronea valutazione dei fatti;carenza di motivazione e difetto di istruttoria;
III. violazione e falsa applicazione dell’art. 33, l. tar.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Milano ed i controinteressati R, M e A M e M L L, contestando la fondatezza delle censure dedotte.
All’udienza del 22 aprile 2009 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
La pubblica amministrazione, nell’ambito del rapporto che si origina con la presentazione della dichiarazione di inizio attività, dispone di tre differenti poteri.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, per trenta giorni a decorrere dal ricevimento della dichiarazione di avvio dell’attività, l’amministrazione ha il potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del trentesimo giorno si consolida la fattispecie che abilita il privato a costruire e l’amministrazione decade dal potere di inibire la prosecuzione dell’attività.
Il decorso del termine di trenta giorni, ed il conseguente consolidamento del titolo, non comportano tuttavia che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 3498/2005).
Venuto meno il potere inibitorio, residuano, difatti, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n. 380/2001 ed un potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 secondo cui “è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies” (sia pure sui generis, poiché, a differenza della consueta autotutela decisoria non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo).
La legge n. 80/2005, nel riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha, difatti, precisato che la p.a. può vietare lo svolgimento dell’attività ed ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
Con il provvedimento impugnato, il Comune di Milano ha annullato la dichiarazione di inizio attività presentata dalla Ragione s.r.l. il 22.5.2003 ed ha ordinato la demolizione delle opere realizzate.
Tale atto costituisce espressione di un potere di autotutela e non è, invece, il frutto dell’esercizio di un potere sanzionatorio.
Allo scadere del termine previsto dall’art. 23 d.P.R. 380/2001, si consolida, difatti, in capo all’istante una legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia. L’amministrazione, ove intenda contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio ma deve prima intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare che è sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine di trenta giorni senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Il provvedimento impugnato, adottato dall’amministrazione successivamente allo scadere del termine di trenta giorni, che afferma l’insussistenza del presupposto per l’intervento di recupero del sottotetto richiesto dalla l. reg. n. 15/96, non può, dunque, che qualificarsi come esercizio di un potere di autotutela.
Non assume rilievo, al riguardo, la circostanza che le modifiche all’art. 19, l. n. 241/1990 siano intervenute successivamente alla presentazione della d.i.a.: l’attuale formulazione di tale norma era sicuramente vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato;in ogni caso, anche prima dell’entrata in vigore della l. n. 80/2005, la giurisprudenza riteneva che, successivamente al perfezionarsi della d.i.a., sussistesse in capo alla p.a. un potere di intervento in autotutela (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453).
Il potere di autotutela, a differenza di quello sanzionatorio, è discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.
Presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela sono dunque:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili.
Nel caso di specie, l’amministrazione si è limitata a motivare il provvedimento richiamando le disposizioni violate (violazione della l. reg. 15/1996 poiché la destinazione residenziale dell’immobile è mutata;mancati chiarimenti in ordine al locale tecnico realizzato in copertura a lato del vano ascensore e scale, violazione dell’art. 51 del r.e.c.) ma non ha fatto alcun cenno alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, che andasse al di là dell’esigenza di ripristinare la legalità violata, prevalente sull’interesse del privato alla conservazione dell’atto.
Non può, poi, ritenersi che ogni valutazione in merito alla sussistenza di un interesse pubblico fosse preclusa dalla sentenza n. 3819/05: con tale pronuncia, resa ai sensi dell’art. 21 bis, l. n. 1034/1971, questo Tar ha solamente posto a carico dell’amministrazione comunale un obbligo di provvedere sulla diffida presentata dai controinteressati il 22.9.2003 con cui veniva sollecitato l’esercizio dei poteri sanzionatori ex art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, ma non ha affatto inciso sul differente potere di autotutela.
Né può condividersi la tesi assunta dai controinteressati secondo cui l’onere motivazionale dell’amministrazione era attenuato poiché il titolo sarebbe stato rilasciato in conseguenza di un’inesatta rappresentazione dello stato di fatto imputabile al richiedente: nel provvedimento impugnato non vi è, difatti, alcun cenno a falsità compiute dall’istante che abbiano portato l’amministrazione a non esercitare il potere inibitorio.
Per le ragioni esposte il ricorso è dunque fondato e va pertanto accolto.
In considerazione delle peculiarità della vicenda, il Collegio ritiene opportuno disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.