TAR Torino, sez. II, sentenza 2015-06-12, n. 201500976

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2015-06-12, n. 201500976
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201500976
Data del deposito : 12 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00372/2009 REG.RIC.

N. 00976/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00372/2009 REG.RIC.

N. 00373/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 372 del 2009, proposto da:
V G, rappresentato e difeso dagli avv. G M, Y B, con domicilio eletto presso G M in Torino, Via Stefano Clemente, 22;

contro

Comune di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. E B, con domicilio eletto presso Elisabetta Maria Boursier in Torino, Via Corte D'Appello, 16;



sul ricorso numero di registro generale 373 del 2009, proposto da:
V G, rappresentato e difeso dagli avv. G M, Y B, con domicilio eletto presso G M in Torino, Via Stefano Clemente, 22;

contro

Comune di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. E B, con domicilio eletto presso Elisabetta Maria Boursier in Torino, Via Corte D'Appello, 16;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 372 del 2009:

del provvedimento del Dirigente della Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata, Dirigenza di coordinamento Edilizia Privata, progetto finalizzato condono edilizio del 21.1.2009, consegnato in

data 20.2.2009, con il quale è stata respinta "l'istanza volta ad ottenere permesso edilizio in sanatoria relativo alla realizzazione di nuova unità immobiliare residenziale (piano primo)";

nonchè di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso..

quanto al ricorso n. 373 del 2009:

del provvedimento del Dirigente della Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata, Dirigenza di coordinamento Edilizia Privata, progetto finalizzato condono edilizio del 9.10.2008, consegnato in

data 20.2.2009, con il quale è stata respinta "l'istanza volta ad ottenere permesso edilizio in sanatoria relativo alla realizzazione di nuova unità immobiliare residenziale (piano terreno)";

nonchè di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso..


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Torino e di Comune di Torino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2015 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1) La ricorrente è proprietaria in Comune di Torino, Strada Valpiana 109, di un terreno sul quale ha realizzato abusivamente un fabbricato di civile abitazione a due piani fuori terra, un fabbricato per uso ricovero automezzi, tre serre con montanti in metallo e copertura in policarbonato e telo plastico, tre tettoie parzialmente aperte in legno nonché un basso fabbricato chiuso in legno: l’esistenza di dette opere veniva accertata a seguito di esposto presentato da un anonimo, registrato al protocollo del Comune il 18/01/2004.

2) Relativamente al fabbricato di civile abitazione la signora G presentava due istanze di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 D.L. 269/2003, una per sanare il piano terreno (n. prot. 2004-11-18698), l’altra per sanare il piano primo (n. prot. 2004-11-18703).

3) Con i ricorsi di cui in epigrafe essa ha impugnato i dinieghi espressi dal Dirigente della Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Torino in ordine alle predette istanze di sanatoria, dinieghi che si fondano sul presupposto che sarebbero a priori non sanabili gli abusi commessi in zona vincolata classificabili - secondo l’allegato 2 al D.L. 269/03 - in tipologia 1, 2 e 3 e sul fatto nel caso specifico vengono appunto in considerazione abusi di tipologia 1 commessi in zona vincolata.

3.1.) A sostegno del gravame la signora G ha dedotto:

I) La intervenuta formazione del silenzio assenso per essere il diniego stato comunicato ben oltre il termine di 24 mesi indicato all’394e227bbd86::LRA64A13C52D3B35EB3529::1994-12-30" href="/norms/laws/itatext06wf9i9syu3orb/articles/itaart2y6moq9sldvayy?version=69b5c2ac-0d01-569c-a3df-394e227bbd86::LRA64A13C52D3B35EB3529::1994-12-30">art. 35 comma 18 della L. 47/85, tenuto conto del fatto che la Regione Piemonte, previo conforme parere della competente Soprintendenza, ha espresso – ai sensi della L. 308/04 - parere favorevole al mantenimento del fabbricato abusivo con determina dirigenziale n. 77 del 29/07/2005, mentre i dinieghi impugnati sono stati comunicati alla ricorrente solo il 20/02/2009;

II) eccesso di potere sotto svariati profili e violazione dell’art. 32 D.L. 269/03, che in realtà non precluderebbe a priori la sanabilità degli abusi di tipologia 1, 2 e 3 ancorché commessi in zona vincolata;

III) eccesso di potere per carenza di motivazione in relazione all’interesse pubblico, omessa comparazione tra l’interesse pubblico e privato, difetto di istruttoria.

3.2.) La ricorrente ha infine sollevato, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/03, convertito nella L. 326/03, laddove non prevede che l’immobile che abbia ottenuto condono ambientale ex L. 308/04 possa ottenere anche il condono ex L. 326/03.

4) Il Comune di Torino si è costituito in giudizio per resistere al giudizio ed i ricorsi sono stati introitati a decisione alla pubblica udienza del 27/05/2015.

5) Preliminarmente il Collegio dispone la riunione del ricorso n. 373/2009 al ricorso n. 372/2009, trattandosi di giudizi pendenti tra le stesse parti ed aventi ad oggetto provvedimenti afferenti il condono edilizio di due piani differenti di un medesimo fabbricato.

6) Relativamente al primo motivo di doglianza, il Collegio osserva che la ricorrente in data 31/05/2005 ebbe a presentare, ai sensi della L. 308/04, art. 1 comma 37-38-39, istanza per il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica relativo al fabbricato di civile abitazione per il quale sono state presentate le due istanze di condono qui gravate: su detta istanza la Soprintendenza esprimeva parere favorevole con nota n. prot. 2785 del 1/06/2005, pervenuto in Regione il 16/06/2005. Conseguentemente con determina del Dirigente del Settore Pianificazione e Gestione Urbanistica – Settore Gestione beni ambientali, n. 77 del 29/07/2005 la Regione Piemonte esprimeva il parere favorevole in merito alla compatibilità paesaggistica del fabbricato di civile abitazione oggetto dei provvedimenti qui impugnati, e ciò ai sensi della L. 308/04. La predetta determina della Regione Piemonte, tuttavia, é stata comunicata alla Soprintendenza ed alla ricorrente, mentre il Comune ne è venuto a conoscenza solo dopo che la ricorrente gliene ha rimesso copia, il 4/09/2007, con la nota di osservazioni che replicava al preavviso di diniego ricevuto il 24/08/2007. I provvedimenti qui impugnati sono stati comunicati alla ricorrente sotto la data del 20/02/2009, quindi prima che fossero decorsi, dal momento in cui la documentazione relativa alle due pratiche di condono divenne completa, i 24 mesi di cui all’art. 32 comma 37 D.L. 269/03. La prima doglianza deve pertanto essere respinta non essendosi formato alcun assenso sulla istanze di condono presentate dalla ricorrente.

7) L’esame del secondo motivo di ricorso richiede un preliminare ed approfondito esame dell’art. 32 del D.L. 269/03, che secondo un certo orientamento di giurisprudenza dovrebbe leggersi nel senso che solo gli abusi edilizi indicati, nell’allegato 2 al D.L. 269/03, ai nn. 4, 5 e 6 (restauro e risanamento conservativo realizzati in assenza o difformità dal titolo edilizio e manutenzione straordinaria) sarebbero astrattamente sanabili qualora realizzati in zona soggetta a vincoli. Dalla sanatoria il D.L. 269/03 avrebbe invece escluso a priori gli abusi commessi in zona vincolata di tipologia 1, 2 e 3

7.1.) Il Collegio ritiene opportuno rammentare che la sanatoria prevista dalla normativa in questione, come già quella di cui al Capo IV della L. 47/85 e quella di cui all’art. 39 L. 724/94, ha natura straordinaria, poiché da essa consegue l’effetto estintivo dei reati connessi al compimento di opere edilizie abusive. Tale particolare effetto, come noto, consegue normalmente alla c.d. “sanatoria di conformità” introdotta dall’art. 13 della L. 47/85 ed oggi disciplinata all’art. 36 d.P.R. 380/01, la quale può essere concessa qualora le opere eseguite in assenza o in difformità dal titolo edilizio risultino conformi sia alla normativa edilizia ed urbanistica vigente al momento di realizzazione delle opere, sia a quella vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria: ebbene, a differenza dei principi vigenti in materia di “sanatoria di conformità”, nel caso della sanatoria di cui alle tre leggi sopra citate – sanatoria altrimenti denominata “condono” edilizio - l’effetto estintivo dei reati si verifica anche in difetto della ricordata “doppia conformità”, e ciò costituisce tratto particolare ed essenziale di una normativa pensata non solo e non tanto per consentire agli autori di tali condotte antigiuridiche di andare esente da responsabilità penale quanto piuttosto per favorire l’emersione, la regolarizzazione e la corretta classificazione di un patrimonio edilizio che sarebbe rimasto, in difetto, misconosciuto, con nocumento per i traffici giuridici e per il gettito fiscale che detto patrimonio avrebbe potuto indurre. L’art. 32 del D.L. 269/03 deve dunque essere letto ed interpretato tenendo presente che nell’emanare tale norma il legislatore aveva l’interesse rivolto non solo e non tanto alla sanatoria amministrativa degli abusi edilizi, quanto piuttosto alla estinzione delle conseguenze penali degli abusi edilizi, perché questa, più che la sanatoria meramente amministrativa, avrebbe potuto influire sulla “discovery” degli abusi edilizi.

7.2.) Ebbene: secondo quanto previsto dall’art. 44 del d.P.R. 380/01 (e prima dagli artt. 18-20 L. 47/85) nonché dagli artt. 169 e segg. D. L.vo 42/04 (e precedentemente dall’art. 163 D. L.vo 490/99), conseguenze penali si verificavano, e si verificano, nei seguenti casi: a) realizzazione di opere in violazione di prescrizioni contenute nella concessione edilizia o nel permesso di costruire;
b) realizzazione di opere in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia o dal permesso di costruire o dalla denunzia di inizio attività di cui all’art. 22 comma 3 d.P.R. 380/01 (c.d. “super D.I.A., ovvero la D.I.A. onerosa alternativa al permesso di costruire);
c) realizzazione di interventi edilizi costituenti lottizzazione abusiva ovvero realizzazione in zona vincolata di opere in violazione, in difetto o in assoluta difformità dalla concessione edilizia, o dal permesso di costruire o dalla d.i.a. ex art. 22 comma 3 d.P.R. 380/01;
d) realizzazione di qualsiasi opera, ancorché non soggetta a concessione edilizia o a permesso di costruire o a d.i.a alternativa, in zona vincolata. Deve dunque essere ben chiaro che certe tipologie di abusi edilizi, e cioè quelli che vengono integrati dalla realizzazione di opere edilizie in assenza o in violazione della D.I.A., quando questa sia necessaria ai sensi dell’art. 22, comma 1 e 2 del d.P.R. 380/01, non implicano conseguenze di tipo penale, salvo che le opere non risultino essere state realizzate in zona vincolata senza il preventivo assenso della autorità preposta alla tutela del vincolo: va precisato, a tale proposito, che anche prima della entrata in vigore del d.P.R. 380/01 certe opere edilizie erano state assoggettate ad un regime autorizzatorio ed erano quindi non sanzionabili penalmente (visto che gli artt. 18-20 della L. 47/85 sanzionavano solo le opere soggette a concessione edilizia) a meno che non fossero state realizzate in zona vincolata;
è comunque chiaro che l’entrata in vigore dell’ art. 22 d.P.R. 380/01, generalizzando il regime della D.I.A. per tutta una serie di opere e confermando la rilevanza penale delle sole opere soggette a permesso di costruire o a “super D.I.A.”, ha avuto l’effetto di “depenalizzare” la realizzazione abusiva delle opere soggette a D.I.A. e ciò sia per l’avvenire che per il passato, in base al principio della applicabilità della legge penale più favorevole a reo. In conseguenza di ciò il restauro ed il risanamento conservativo e la manutenzione straordinaria, opere soggette a D.I.A. ex art. 22 comma 1 e 2 del d.P.R. 380/01 e considerate come abusi di tipologia 4, 5 e 6 nell’allegato 1 al D.L. 269/03, sono dunque irrilevanti dal punto di vista penale a meno che non risultino poste in essere in zona vincolata e senza il necessario e preventivo assenso.

7.3.) Prima di procedere con l’analisi dell’art. 32 comma 26 e segg. Del D.L. 269/03 è bene ancora sottolineare che tale norma annette chiaramente ad adempimenti diversi gli effetti amministrativi e gli effetti penali della sanatoria in esame. In particolare, mentre l’estinzione degli effetti penali si verifica - ai sensi dell’art. 32 comma 36 - quale conseguenza del pagamento dell’oblazione dovuta (che l’Amministrazione nei successivi 36 mesi dalla presentazione della domanda può solo rettificare, in difetto di che perde il diritto ad incassare l’eventuale somma dovuta a conguaglio), le sanzioni amministrative si estinguono - ai sensi dell’art. 32 comma 37 - solo con il rilascio, eventualmente in forma tacita, del titolo edilizio in sanatoria. L’estinzione del reato é quindi sganciata dal rilascio del titolo edilizio in sanatoria.

8. Tanto premesso si può ora procedere con l’analisi dell’art. 32, che al comma 26 recita “ Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologìe di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 , nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui alla L. 28/02/1985 n. 47, art. 32;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui alla l. 28/02/1985 n. 47 art. 32, in attuazione di Legge Regionale da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale é determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per la ammissibilità a sanatoria di tali tipologìe di abuso edilizio
”.

8.1. Tale previsione secondo un certo orientamento, abbracciato in particolare da Cass. Pen. 6431/2007 e poi richiamato da altre pronunce, statuirebbe espressamente che nelle aree sottoposte al vincolo di cui all’art. 32 L. 47/85 é possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza, corrispondenti a quelli indicati nelle tipologìe 4, 5 e 6 dell’allegato 1;
e detta interpretazione, che circoscrive la sanabilità degli abusi commessi in zona vincolata a quelli “minori” troverebbe conferma nella relazione governativa al d.l. 269/2003, ove, in un passaggio, si legge che “…é fissata la tipologìa di opere insanabili tra le quali si evidenziano….quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologico, ambientali e paesistici….Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia sugli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria é rimessa ad uno specifico provvedimento regionale .”.

8.2. Ad avviso del Collegio, tuttavia, l’interpretazione della Corte di Cassazione spezza arbitrariamente in due tronconi “indipendenti” la norma che si sta esaminando, senza tenere in debito conto il fatto che le parole “ fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27 del presente articolo ” sono contenute tra due virgole, e perciò rappresentano un inciso che, in quanto tale, non può cambiare il senso della proposizione principale in cui si inserisce. Orbene: l’art. 32 comma 26, letto senza l’inciso di cui sopra, suona: “ Sono suscettibili di sanatoria le tipologìe di illecito edilizio di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito dell’intero territorio nazionale ………nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 L. 28/02/1985 n. 47 ” . La semplice e piana lettura della intera proposizione principale contenuta nel comma 26 lett. a) induce a ritenere che gli abusi maggiori siano sanabili nell’ambito dell’intero territorio nazionale, e quindi anche in zona vincolata, mentre gli abusi minori siano sanabili solo se commessi in zona vincolata: questa é, perciò, una regola di ordine generale, rispetto alla quale l’inciso sopra visto (“ fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27 del presente articolo ”), inserito a metà della frase principale, ha chiaramente la funzione di enunciare una limitazione, parimenti di ordine generale, ma riferentesi solo agli illeciti di tipologìa 1, 2 e 3. Pertanto, dal comma 26 lett. a) é possibile enucleare una regola ed una limitazione di ordine generale, e cioè: 1) la sanabilità di tutti gli abusi ( “ maggiori ” e “ minori ”) commessi in zona vincolata (regola);
2) la non sanabilità degli abusi “ maggiori ” (tipi 1, 2 e 3) se ricadenti su immobili dichiarati monumento nazionale (limitazione enucleabile dal richiamo al comma 27 lett. e).

8.3. Ciò detto rimane il fatto che quanto agli abusi di tipologia 4, 5 e 6 l’art. 32 comma 26 effettivamente pare limitarne la sanabilità ai soli casi in cui risultino commessi in zona vincolata e questo può apparire paradossale rendendo non credibile quanto sopra detto in ordine alla sanabilità degli abusi di tipologia 1, 2 e 3 “ nell’ambito dell’intero territorio nazionale ” (nel senso che si fatica a comprendere la ragione per cui la sanatoria di fatti di importanza minore non debba, essa pure, essere estesa all’ambito dell’intero territorio nazionale): tale paradosso è tuttavia solo apparente e si spiega con l’irrilevanza penale degli abusi di tipologia 4, 5 e 6 ove commessi fuori dalle aree vincolate. In altre parole: leggendo l’art. 32 comma 26 come norma avente non lo scopo di indicare la tipologìa degli abusi sanabili quanto piuttosto lo scopo di affermare la sanabilità dei soli abusi di rilevanza penale, essa assume senso compiuto e credibilità, proprio perché, coerentemente con tale scopo, essa afferma la sanabilità degli abusi più gravi sull’intero territorio nazionale, dal momento che gli abusi più gravi hanno rilevanza penale indipendentemente dall’essere commessi all’interno di zone vincolate, mentre per gli abusi minori la sanabilità è affermata solo con riferimento a quelli commessi in zona vincolata, perché solo questi hanno rilevanza penale.

8.4. Il legislatore nazionale non ha invece inteso, con il D.L. 269/03, interferire con la sanatoria a fini amministrativi, e ciò è reso evidente dal comma 26 lett. b), che nella versione originaria rimetteva al legislatore regionale la individuazione dei casi e delle modalità per la concessione della sanatoria relativa agli abusi minori commessi in zona vincolata e che la pronuncia della Corte Costituzionale n. 196/2004, ha dichiarato incostituzionale “nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologìe di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del d.l. 269/2003 ”. La Corte Costituzionale é arrivata a tale pronuncia dopo aver rilevato che la normativa sul condono “ non esclude la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento della esenzione dalla punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi;
ciò é reso d’altra parte evidente dalle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell’art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell’intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell’art. 39 prevede che, ove sia effettuata l’oblazione, si produca comunque l’estinzione dei reati anche ove le opere non possano conseguire la sanatoria
”. D’altra parte anche l’art. 32 impugnato prevede, al comma 36, i presupposti per il verificarsi dell’effetto estintivo penale, mentre i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria sono regolati dal comma 37, così confermando che i due effetti possono essere indipendenti l’uno dall’altro, dal momento che l’effetto penale si produce a prescindere dall’intervenuta concessione della sanatoria amministrativa e anche se la sanatoria amministrativa non possa essere concessa. In altre parole: abuso “ condonabile ” ed abuso “ sanabile ” non sono sinonimi, potendosi avere, conseguentemente, estinzione degli effetti penali anche ove la sanatoria amministrativa non sia concedibile (in questi esatti termini si veda Corte Cost. n. 196/2004, punto 20 della motivazione in diritto, ultimo paragrafo). Leggendo ed interpretando l’art. 32 del D.L. 269/03 come norma che prevede e sottende un “doppio binario”, uno finalizzato alla estinzione degli effetti penali degli abusi edilizi, l’altro finalizzato alla estinzione degli effetti amministrativi, si comprende per quale ragione la Corte Costituzionale abbia restituito alle Regioni il potere di individuare i casi di sanabilità anche relativamente agli abusi maggiori, fermi restando i limiti “esterni” tracciati dal legislatore statale quanto agli effetti penali della sanatoria. Tutto ciò conferma che l’art. 32 comma 26 lett. a) è norma che ha lo scopo di affermare la sanabilità/condonabilità degli abusi aventi effetti penali e che come tale deve essere interpretata: proprio per tale motivo non v’è alcuna incoerenza nel fatto che essa affermi la sanabilità degli abusi “minori” solo se commessi in zona vincolata e la sanabilità degli abusi edilizi più gravi indipendentemente dal luogo di commissione dell’abuso.

8.5. A circoscrivere esattamente la categoria degli abusi sanabili, individuata in via generale dal comma 26 lett. a), interviene, invece, l’art. 32 comma 27, il quale stabilisce che “ Fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora: …….d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
e) siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490;
.”. Si ricorda sin d’ora che l’eccezione prevista alla lettera e) dell’art. 32 comma 27 è richiamata nell’inciso presente nel comma 26 lett. a), e costituisce pertanto una eccezione generale ed inderogabile alla sanabilità degli abusi “maggiori” commessi in zona vincolata.

8.5.1. Ritiene il Collegio che il comma 27 deve essere letto come norma che introduce eccezioni, le quali fungono da limiti alla operatività dei principi generali enunciati nel comma 26: tale funzione del comma 27 é resa evidente, a livello letterale, dalla frase di esordio, là ove si afferma - con proposizione che all’evidenza sottende l’esistenza di un generale principio di sanabilità degli illeciti edilizi - che “ le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria ” nelle situazioni di seguito indicate. Nello stesso tempo il comma 27, facendo salve le previsioni di cui agli artt. 32 e 33 L. 47/85 e non introducendo distinzione alcuna tra le tipologìe di illeciti, evidenzia che i limiti ivi enunciati debbono trovare applicazione generale salvo, appunto, nelle situazioni indicate dagli artt. 32 e 33 L. 47/85. Le eccezioni indicate nel comma 27 devono quindi trovare applicazione sia per gli abusi “ maggiori ” che per gli abusi “ minori ”.

8.5.2. Per quanto attiene, specificamente, gli abusi commessi in zona sottoposta a vincolo, la lett. d) del comma 27 introduce una distinzione tra abusi commessi in epoca anteriore o posteriore alla istituzione del vincolo: mentre nel primo caso la astratta sanabilità degli illeciti é sempre fatta salva, nel secondo caso essa viene limitata ai soli abusi conformi alle norme e prescrizioni urbanistiche. Dalla lett. d) del comma 27 si trae dunque conferma che ai fini di stabilire se e quando un illecito edilizio commesso in zona vincolata sia sanabile, non é rilevante la tipologìa dell’abuso, bensì l’epoca di realizzazione ed eventualmente la conformità di esso alla normativa urbanistica.

8.5.3. Il richiamo compiuto dal comma 27 agli artt. 32 e 33 L. 47/85, infine, non fa altro che confermare che non esiste affatto una regola generale che esclude dalla sanatoria gli abusi di tipologìa più rilevanti, quando commessi in zona già vincolata.

8.5.3.1. L’art. 32 L. 47/85, invero, disciplina il procedimento per il rilascio, da parte delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, del parere favorevole al mantenimento dell’opera, e tale norma non distingue affatto tra le varie tipologìe di abusi: é anzi possibile affermare che tale norma contempla espressamente la possibilità che la procedura per il rilascio del parere favorevole possa avere ad oggetto anche abusi “ maggiori ”. Infatti l’art. 32 comma 4 L. 47/85 richiama sul punto l’art. 20 comma 6 D.P.R. 380/01, il quale, così recita: “ Nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5 comma 3, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14 bis, 14 ter, 14 quater della l. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni. Qualora si tratti di opere pubbliche incidenti su beni culturali si applica l’art. 25 del d. lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 ”. Orbene, la conferenza indetta ai sensi dell’ art. 14 bis l. 241/90 per definizione non può avere ad oggetto abusi edilizi di tipologìa 4, 5 o 6, giacché essa viene indetta per l’esame preliminare di “ progetti di particolare complessità o per insediamenti produttivi di beni e servizi ”. Ove il legislatore avesse inteso limitare la sanatoria degli illeciti commessi in zona vincolata ammettendola solo per gli abusi di tipo “ minore ”, probabilmente avrebbe previsto, per l’acquisizione del parere della autorità preposta al vincolo, il ricorso alla sola conferenza di cui all’art. 14 L. 241/90, o addirittura avrebbe lasciato la previsione originaria dell’art. 32 L. 47/85, che annetteva all’inutile decorso del tempo il significato di silenzio-assenso sulla richiesta di parere. L’art. 32 L. 47/85, nella formulazione vigente a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 32 comma 43 d.l. 269/2003, all’evidenza sottende dunque la possibilità che la richiesta di parere abbia ad oggetto opere di una certa complessità, ragione per la quale il legislatore del condono ha ritenuto opportuno cancellare l’istituto del silenzio-assenso in ordine alla richiesta di parere, ribadendo la necessità di ricorrere alla conferenza di servizi onde sopperire al silenzio della autorità preposta alla tutela del vincolo.

8.5.3.2. Anche l’art.. 33 L. 47/85, che esclude la sanabilità di abusi realizzati in zone vincolate solo ove il vincolo comporti inedificabilità assoluta, non effettua alcuna distinzione tra abusi di tipo “ maggiore ” e abusi di tipo “ minore ”: la norma si limita semplicemente ad escludere la sanatoria delle opere realizzate in zone sottoposte a qualsiasi vincolo implicante inedificabilità, quando il vincolo sia sorto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere stesse. E poiché i vincoli di cui all’art. 32 comma 27 lett. d) d.l. 269/2003 sono comunque tutti riconducibili a quelli di cui all’art. 33 comma 1 lett. a) L. 47/85, il richiamo a questa ultima disposizione, effettuato dal comma 27, può avere solo il senso di affermare che i vincoli a priori ostativi alla sanatoria sono solo quelli che, imposti prima della realizzazione delle opere abusive, comportano inedificabilità assoluta.

8.5.4. Dalla lettura coordinata dell’art. 32 comma 26 e 27 d.l. 269/2003 e degli artt. 32 e 33 L. 47/85, si evince dunque che tutti gli abusi, ancorchè commessi in zona vincolata, sono astrattamente sanabili, e ciò sia qualora realizzati in epoca anteriore alla imposizione del vincolo, sia qualora realizzati in epoca successiva alla imposizione del vincolo, ma in questo secondo caso solo se il vincolo non comporti inedificabilità assoluta e solo se l’opera abusiva sia conforme alle norme e prescrizioni urbanistiche e consegua il parere favorevole della autorità preposta alla tutela del vincolo, in ogni caso dovendosi escludere, in forza del richiamo al comma 27 lett. e) da parte del comma 26 lett. a), la sanatoria per abusi “maggiori” commessi su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse rilevante ai sensi degli artt. 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490.

8.6. L’interpretazione dell’art. 32 d.l. 269/2003 che qui si accredita non produce, come si vede, l’effetto di rendere sanabile ogni e qualsiasi abuso commesso in zona vincolata: giacché, in sostanza, di vera e propria sanatoria si può parlare solo con riferimento agli illeciti commessi in zone sottoposte a vincolo dopo la realizzazione degli abusi, che sono sanabili a prescindere dalla conformità alle norme edilizie ed urbanistiche. Per gli illeciti commessi in zone vincolate prima delle opere la sanatoria é invece condizionata dall’essere le medesime conformi a dette norme: trattasi quindi di abusi non idonei, per natura, a cagionare un danno all’assetto urbanistico e, posto che debbono essere assistiti da parere favorevole della autorità preposta alla tutela del vincolo, neppure idonei a compromettere il vincolo insistente sull’area interessata.

8.6.1. In particolare, per gli abusi edilizi commessi in zona sottoposta a vincolo prima della realizzazione delle opere edilizie, la sanatoria ex art. 32 D.L. 269/03 consente la regolarizzazione sia quando sussista la c.d.”doppia conformità” alle norme edilizie ed urbanistiche – conformità che, in ragione della presenza del vincolo e della assenza del preventivo assenso della autorità preposta alla tutela di esso, non potrebbe comunque condurre al rilascio della sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/01 -;
sia nel caso in cui le opere abusive risultino conformi alla sola normativa vigente al momento della entrata in vigore del D.L. 269/03 nonché al successivo momento della proposizione della domanda di sanatoria.

8.6.1.1. Al riguardo il Collegio osserva che la tabella allegata al D.L. 269/03, individua gli abusi di tipologia n. 1 come le “ opere realizzate in assenza o difformità dal titolo abilitativo edilizio E NON conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ”, mentre gli abusi di tipologia 2 sono individuati come le opere parimenti realizzate in assenza o difformità dal titolo edilizio E conformi “ alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di entrata in vigore del presente provvedimento ”. Per gli abusi di tipologia n. 3 la tabella non effettua, invece, alcun riferimento alla loro conformità, o non conformità, alle norme urbanistiche vigenti. Orbene: il riferimento che nella descrizione degli abusi di tipologia 2 si effettua alla normativa vigente alla data di entrata in vigore del D.L. 269/03 (3/10/2003) potrebbe suggerire che questo solo dato debba essere tenuto in considerazione per valutare la conformità o meno degli abusi. Tuttavia si deve considerare che l’art. 32 comma 27 lett. d) non specifica che la conformità deve essere valutata con riferimento alla data di entrata in vigore del D.L. 269/03, ed inoltre si deve considerare che il D.L. 269/03 concedeva termine sino al il 1° novembre 2004 per proporre le domande di condono. Il Collegio ritiene, pertanto, che la conformità alla normativa edilizia degli abusi commessi in zona vincolata doveva e deve essere riscontrata, ai fini della sanatoria ex D.L. 269/03, sia con riferimento alle norme e prescrizioni vigenti al 3/10/2003, sia con riferimento alle norme e prescrizioni vigenti alla data di presentazione della domanda di sanatoria, rimanendo ininfluenti solo le modifiche sopraggiunte a tale secondo momento (non potendosi porre a carico del richiedente il ritardo delle Amministrazioni comunali nell’esaminare le domande).

8.6.2. Si deve dunque ritenere che, in definitiva, dei c.d. “abusi maggiori” commessi in zona anteriormente sottoposta a vincolo gli unici che non possono a priori accedere alla sanatoria prevista dal D.L. 269/03 sono quelli di tipologia 1, perché questi per definizione sono non conformi alle norme e prescrizioni urbanistiche. Per gli abusi di tipologia 2 e 3 si dovrà invece riscontrare ed accertare la loro conformità sia alle norme e prescrizioni urbanistiche vigenti al 3/10/2003 (data di entrata in vigore del D.L. 269/03) sia al momento di presentazione della domanda di sanatoria. Quest’ultima, con la relativa estinzione degli effetti penali, potrà però conseguire solo ove il vincolo in considerazione non comporti inedificabilità assoluta e solo se l’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso si esprima in senso favorevole al rilascio della sanatoria, ferma restando l’esclusione assoluta della sanatoria per gli abusi commessi sugli immobili dichiarati monumento nazionale.

8.7. In definitiva il Collegio, discostandosi dal precedente orientamento assunto dalla Sezione, re meliu perpensa, ritiene che anche gli abusi di cui ai nn. 2 e 3 della tabella allegata al D.L. 269/03 siano condonabili se commessi in zona vincolata, allorché concorrano tutte le seguenti condizioni: 1) che gli abusi non interessino beni dichiarati monumento nazionale, 2) che il vincolo non comporti inedificabilità assoluta;
3) che le opere risultino oggettivamente conformi alle norme e prescrizioni edilizie ed urbanistiche vigenti sia alla data di entrata in vigore del D.L. 269/03 sia alla data di presentazione della domanda di condono/sanatoria;
4) che l’Autorità preposta alla tutela del vincolo rilasci parere favorevole alla sanatoria. Con la precisazione che l’assenza di anche una sola delle dianzi indicate condizioni è sufficiente a precludere la sanabilità/condono dell’abuso.

9. Il Collegio ritiene che la interpretazione qui proposta dell’art. 32 D.L. 269/03 sia quella che meglio contempera l’esigenza di far emergere il maggior numero possibile di interventi edilizi abusivamente realizzati e significativi dal punto catastale, fiscale e negoziale, e l’esigenza di non consentire la sanatoria e l’esenzione da responsabilità penale rispetto a quegli interventi che interferiscano con la pianificazione territoriale o che impattino sul territorio in maniera eccessiva. Posto che la sanatoria degli “abusi maggiori” commessi in zona già vincolata è subordinata - secondo quanto sopra esposto - al riscontro di condizioni che attestano la inidoneità di tali interventi a cagionare un danno ambientale o urbanistico, si osserva che la loro esclusione del beneficio sarebbe incoerente con gli scopi perseguiti dal legislatore del condono, e non avrebbe altro significato che quello di punire a tutti i costi i relativi autori. Tale esigenza punitiva sarebbe però compensata, in senso negativo: dal minor gettito fiscale che la emersione e la sanatoria di questi abusi consentirebbe anche “a regime”;
dalle permanenti difficoltà degli enti territoriali ad effettuare una corretta pianificazione di un territorio del quale non conoscano in maniera capillare l’edificazione;
ed infine dal rischio che gli edifici interessati da abusi edilizi vengano trasferiti a terzi inconsapevoli della situazione abusiva, che resterebbero colpiti dalla sanzione della nullità oggi prevista dall’art. 46 comma 1 del d.P.R. 380/01: il rischio non è tanto concreto per gli edifici costruiti interamente in assenza di titolo edilizio, per i quali l’acquirente non sarebbe in grado di esibire alcun titolo edilizio, quanto piuttosto per gli edifici che siano stati indebitamente ampliati rispetto a quanto assentito da un titolo edilizio, laddove il cedente è in grado di esibire un titolo che se non debitamente controllato, nel contenuto, dal notaio rogante o dall’acquirente può concretamente indurre l’acquirente alla stipula di una compravendita apparentemente valida. Ebbene: tutti questi inconvenienti possono essere evitati, ad avviso del Collegio, a condizioni del tutto ragionevoli, ammettendo alla sanatoria ex art. 32 D.L. 269/03 anche gli “abusi maggiori” commessi in zona vincolata, nel rispetto dei limiti sopra descritti.

10. Di converso l’ interpretazione proposta dalla Cassazione Penale, secondo la quale il comma 26 lett. a) va letto nel senso che la sanabilità in zona precedentemente vincolata sarebbe riservata ai soli abusi di tipologia 4, 5 e 6, ad avviso del Collegio implica conseguenze assurde.

10.1. Detta interpretazione, come già detto, spezza in due tronconi indipendenti il comma 26 lett. a). Se - come sostiene la Cassazione penale - la locuzione “ nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui alla L. 28/02/1985 n. 47, art. 32 ” dovesse riferirsi solo alle tipologìe 4, 5 e 6, e se la locuzione “ nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo ” dovesse riferirsi solo agli abusi 1, 2 e 3 si otterrebbe una norma paradossale: infatti, posto che il comma 26 lett. a) parte prima fa espressamente salva la limitazione di cui al comma 27 lett. e) per i soli abusi di tipologia 1, 2 e 3, e posto che il comma 26 lett. a) seconda parte non effettua alcun richiamo al comma 27, sarebbe chiaro che per gli abusi di cui alle tipologìe 1, 2 e 3 la sanabilità sarebbe esclusa solo per gli immobili dichiarati monumento nazionale, mentre per gli abusi minori opererebbero tutte le limitazioni di cui al comma 27, pervenendo all’assurdo risultato che gli abusi “maggiori”, benché più gravi, diverrebbero sanabili a condizioni meno limitative rispetto agli abusi “minori”.

11. Infine non pare al Collegio che indicazioni contrarie alla interpretazione dianzi accreditata siano rinvenibili nelle pronunce della Corte Costituzionale che si sono ad oggi confrontate con l’art. 32 del D.L. 269/03.

11.1. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 3 comma 1 L.R. Lombardìa n. 31/2004 - che recita: “ Nelle aree soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela di interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonché dei beni ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora il vincolo comporti inedificabilità assoluta e sia stato imposto prima della esecuzione delle opere ” -, la Corte Costituzionale, con sentenza 49/2006 (che ha verificato la legittimità costituzionale di numerose norme contenute in leggi regionali) ha statuito che tale norma “ si limita a recepire la normativa statale, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriore a quelle previste dal d.l. 269/2003 ”. Dunque: anche la Corte Costituzionale interpreta il d.l. 269/2003 nel senso che esso non preclude a priori la sanatoria di abusi commessi in zona vincolata quando il vincolo, se imposto prima della realizzazione delle opere abusive, non comporti inedificabilità assoluta.

11.2. Con la sentenza n. 54/2009, avente ad oggetto l’art. 1 L.R. Basilicata n. 25/2007 lett. d), che escludeva da sanatoria le opere eseguite “ su immobili sottoposti a vincoli di tutela, qualora comportino l’inedificabilità assoluta e siano imposti prima della realizzazione delle opere stesse, così come definiti dall’art. 2 comma 1 lett. c) della presente legge, e siano difformi dalla legislazione urbanistica e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici e/o paesistici vigenti alla data del 31 marzo 2003 ”, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma perché essa avrebbe avuto l’effetto di considerare preclusivi della sanatoria solo i vincoli comportanti inedificabilità assoluta, allorché l’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/03 richiama espressamente anche vincoli di altra natura: ebbene, ad avviso del Collegio la pronuncia della Corte Costituzionale in questione non suppone una lettura del D.L. 269/03 diversa da quello sopra proposta, perché è chiaro che la norma della legge della Regione Basilicata oggetto di impugnazione effettivamente ammetteva la sanatoria in zona soggetta a vincoli “relativi” senz’altra condizione, imponendo la concorrenza di tutta una serie di requisiti al fine di escludere la sanatoria e così facendo divenire questa ultima la regola anziché l’eccezione, mentre la interpretazione accreditata dal Collegio in realtà porta ad individuare una serie di condizioni che debbono essere presenti al fine di affermare la sanabilità degli abusi (“ maggiori ” ma anche “ minori ”) in zona vincolata, ed è chiaro che tale lettura suppone la rilevanza anche dei vincoli diversi da quelli che comportano inedificabilità assoluta, i quali effettivamente possono precludere in concreto la sanatoria, qualora le predette condizioni non siano verificabili.

11.3. Con la sentenza n. 290/2009 la Corte Costituzionale è stata invece chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo unico della L.R. Marche n. 11/2008 che, recando interpretazione autentica dell’art. 2 comma 1 lett. a) della L.R. Marche n. 23/2004, stabiliva che detta norma doveva essere intesa nel senso che i vincoli di cui agli artt. 33 L. 47/85 e 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/03 dovevano ritenersi preclusivi la sanatoria di opere abusive solo qualora implicanti inedificabilità assoluta e solo se imposti prima della esecuzione delle opere: la Corte, rammentando che “ solo alla legge statale compete l’individuazione della portata massimo del condono edilizio straordinario ” (sent. n. 70/2005 e 196/2004), con conseguente impossibilità per il legislatore regionale di ampliare i limiti applicativi della sanatoria, e richiamata la sentenza n. 54/2009, ha dichiarato l’illegittimità della norma emanata dalla Regione Marche, che all’evidenza produceva l’effetto di rendere a priori condonabili gli abusi commessi in zone soggette a vincoli diversi da quelli a inedificabilità assoluta.

11.4. Di interesse ai fini della presente indagine, risulta anche l’ordinanza della Corte n. 150/2009, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Ischia, dell’art. 32 comma 26 lett. a) D.L. 326/2003 nella parte in cui, secondo il “diritto vivente”, tale norme consentirebbe la sanatoria di abusi commessi in zona vincolata solo se riconducibili a quelli di cui alle tipologie 4, 5 e 6. Nella occasione la Corte Costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile, rilevando come il Giudice rimettente avesse tentato di ottenere dalla Corte un avallo su una diversa interpretazione - rispetto a quella assurta a “diritto vivente” -, utilizzando in maniera distorta l’incidente di costituzionalità: incidenter tantum , peraltro, nella ordinanza in esame la Corte ha anche affermato che il “diritto vivente” ritenuto illegittimo dal Giudice rimettente appariva del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata, atteso che con sentenza n. 54 del 2009 la Corte aveva già chiarito che i vincoli preclusivi alla sanatoria non fossero solo quelli comportanti inedificabilità assoluta. Si è visto, però, che la sentenza n. 54/2009 si è pronunciata su una norma regionale che effettivamente consentiva il condono di abusi commessi in zone soggette a vincoli “relativi” senza ulteriori condizioni, e segnatamente a prescindere dalla conformità/non conformità degli stessi alle norme e prescrizioni urbanistiche vigenti. Il Collegio ritiene pertanto che anche con l’ordinanza n. 150/2009 (che peraltro, in quanto di rigetto, non sarebbe vincolante per questo Giudice) la Corte Costituzionale non abbia inteso affermare la assoluta impossibilità di condonare abusi commessi in zone soggette a vincoli relativi, ed è peraltro interessare notare come nella sentenza n. 54/2009, richiamata nella ordinanza di rigetto n. 150/2009, non si facesse questione di distinguere tra abusi di “ maggiori ” e abusi “ minori ”, ma solo tra la rilevanza preclusiva dei vincoli a inedificabilità assoluta e rilevanza preclusiva dei vincoli “relativi”.

11.5. Detta impostazione risulta infine rispettata anche nella pronuncia più recente della Corte Costituzionale, la n. 225/2012, a mezzo della quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune previsioni contenute nella L.R. Liguria n. 5/2004, ed in particolare: a) dell’art. 3 comma 3, secondo il quale “ Per vincoli imposti a tutela degli interessi idrogeologici e dell’assetto idraulico ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d) del d.l. 269/2003, convertito dalla l. 326/2003 e modificato dalla l. 350/2003, si intendono le previsioni di inedificabilità assoluta dettate da leggi statali e regionali in tema di difesa del suolo (legge 18 maggio 1989 n. 183 e leggi regionali 28 gennaio 1993 n. 9 e 21 giugno 1999 n. 18) nonché dai piani di bacino e piani di bacino stralcio approvati ai sensi dell’art. 97 della legge regionale 21 giugno 1999 n. 18 …”;
dell’art. 4 comma 1, secondo il quale “ Ai sensi dell’art. 32 comma 26 del d.l. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003 e modificato dalla l. 350/2003, e ad integrazione di quanto stabilito dal successivo comma 27 lettera d), relativamente alle opere abusive realizzate in aree assoggettate ai vincoli di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47…..sono suscettibili di sanatoria, ancorché eseguiti nelle aree sopra indicate ed in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili, realizzati mediante opere o senza, ove le destinazioni d’uso insediate o da insediare non siano precluse dalla disciplina di tutela del vincolo;
b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume e gli interventi comportanti violazioni relative all’altezza, ai distacchi e alla cubatura o alla superficie coperta che non eccedano il 2% delle misure prescritte dal progetto assentito, sempreché entrambe tali fattispecie non si pongano in contrasto con le specifiche discipline di tutela del relativo vincolo;
c) le opere eseguite nel periodo antecedente la data del 1° settembre 1967, indipendentemente dalla disciplina urbanistica vigente
..”. Ebbene, il tenore letterale delle norme dianzi ricordate evidenzia come esse consentissero la sanatoria di taluni abusi commessi in zone precedentemente sottoposte a vincoli “relativi” a prescindere dal riscontro della conformità alle norme e prescrizioni urbanistiche, così di fatto privando di rilevanza tutti i vincoli non implicanti inedificabilità assoluta. Non stupisce, dunque, che la Corte sia pervenuta alla declaratoria di illegittimità, la quale sembra essere stata determinata esattamente dalla circostanza che la Regione Liguria, interpretando in maniera non corretta il combinato disposto dell’art. 32, comma 26 e 27 del D.L. 269/03, e degli artt. 32 e 33 L. 47/85, aveva ritenuto di poter legiferare ammettendo “comunque” al condono gli abusi commessi in zone sottoposte a vincoli “relativi” (e cioè i vincoli di cui all’art. 32 della L. 47/85), senza tener conto delle più limitative disposizioni di cui al comma 27 lett. d). La Regione Liguria, insomma, aveva ritenuto che il richiamo effettuato all’art. 32 della L. 47/85 valesse di per sé a rendere sanabile qualsiasi abuso commesso in zona di vincolo relativo, mentre invece avrebbe dovuto considerare che la normativa sul condono del 2003 aveva una portata più limitata del condono del 1985, perché questo ultimo consentiva senz’altro il condono nelle zone soggette a vincoli a inedificabilità relativa. Nel corpo della motivazione della sentenza in esame, la distinzione tra abusi “maggiori” e “minori” rimane sullo sfondo e non sembra affatto essere stata determinante nella pronuncia di declaratoria di incostituzionalità delle norme liguri, sulla quale sembra invece aver giocato un ruolo dirimente la arbitraria esclusione dei vincoli relativi dal novero di quelli rilevanti ai fini del condono.

12. Per venire al caso di specie occorre rilevare che la signora Giura ha presentato le istanze di condono qualificando gli abusi commessi come di tipologia 1, ossia come abusi commessi in assenza o in difformità dal titolo edilizio e non conformi alle norme e prescrizioni urbanistiche. Nel ricorso introduttivo del giudizio essa pare insinuare che sussisterebbe la conformità delle opere, ma di ciò non fornisce alcuna prova, e per la verità la relativa eccezione viene proposta in maniera del tutto generica. Il Collegio ritiene pertanto che allo stato le opere abusive oggetto degli atti impugnati fossero effettivamente non sanabili in ragione della loro difformità rispetto alle norme e prescrizioni urbanistiche vigenti, difformità che deve ritenersi dimostrata di per sé dalla dichiarazione in tal senso resa nella domanda di condono. Anche il secondo motivo di ricorso va conseguentemente respinto.

13. Del tutto inconferente è poi il richiamo alla necessità di contemperamento tra i vari interessi coinvolti, contemperamento che il Comune di Torino avrebbe omesso di effettuare con i provvedimenti impugnati: la censura è infondata poiché il Comune di Torino si è limitato a respingere, non sussistendone i requisiti, le istanze di condono presentate dalla ricorrente. Peraltro la censura è anche inammissibile: si deve rilevare che l’infondatezza degli argomenti indicati dal Comune di Torino negli atti impugnati non toglie che le istanze di condono fossero, e sarebbero, comunque da respingere, e che pertanto un eventuale annullamento degli atti impugnati non farebbe conseguire alla ricorrente alcun effetto utile.

14. Il ricorso va conclusivamente respinto.

15. La novità degli argomenti e dell’orientamento assunto dalla Sezione giustifica comunque la compensazione delle spese di giudizio.

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