TAR Ancona, sez. I, sentenza 2013-07-04, n. 201300526
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N. 00526/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00829/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 829 del 2012, proposto da:
D C, rappresentato e difeso dagli avv. M M, S C, con domicilio eletto presso l’avv. Stefania Giuliani in Ancona, c.so Mazzini 148;
contro
Comune di Acquasanta Terme;
per l'annullamento
del silenzio — rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata ai sensi dell'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste la memoria difensiva;
Visto l’art. 35, primo comma, lett. b), del codice del processo amministrativo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Primo Referendario F A nella camera di consiglio riconvocata del giorno 6 giugno 2013;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente, dopo aver premesso di essere proprietario di un fabbricato nella frazione Casaduna del Comune di Acquasanta Terme, ha adito questo Tribunale Amministrativo per domandare l’annullamento del silenzio-rigetto formatosi, ai sensi dell’art. 36, terzo comma, del d.P.R. n° 380/2001, per il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta di permesso in sanatoria del 06 agosto 2012.
Essendo stata introdotta l’azione di annullamento con il rito camerale di cui all’art. 117 del codice del codice del processo amministrativo, con ordinanza n° 257/2013 del 4 aprile 2013, questo Tribunale Amministrativo ha rilevato d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 73, terzo comma, del codice, e assegnato alle parti un termine per presentare memorie.
Con memoria depositata in data 3 maggio 2013, parte ricorrente ha proposto argomenti a sostegno della ritenuta ammissibilità dell’impugnativa.
Alla camera di consiglio del 6 giugno 2013, il ricorso è stato posto in decisione.
Il ricorso è inammissibile.
Il rito di cui all’art. 117 del codice del processo amministrativo appresta un rimedio giurisdizionale, caratterizzato da snellezza, celerità e semplificazione, e dalla dimidiazione dei termini processuali ai sensi dell’art. 87, secondo e terzo comma, del codice del processo amministrativo, nei confronti dell’inerzia dell’amministrazione priva di valenza provvedimentale.
Tale rimedio è esperibile avverso il silenzio mero, non qualificato dalla legge, da distinguersi dalle fattispecie di silenzio cosiddetto significativo, rispetto alle quali ultime, il legislatore tutela l’interesse del richiedente ad ottenere una determinazione provvedimentale sull’istanza annettendo al decorso del termine per provvedere il significato e gli effetti di un provvedimento di accoglimento o di diniego.
La distinzione tra fattispecie di silenzio non qualificato e di silenzio significativo riflette una scelta di discrezionalità legislativa concernente la differenziazione delle tecniche di protezione dell’interesse del cittadino ad ottenere una pronuncia sulla propria istanza.
Nelle ipotesi tipizzate di silenzio significativo, tale interesse è soddisfatto direttamente dalla disposizione di legge, che equipara l’inerzia amministrativa ad un provvedimento, formatosi per il decorso del termine di conclusione del procedimento, provvedimento di assenso o di diniego, come tale impugnabile con l’azione di annullamento di cui all’art. 29 del codice del processo amministrativo, soggetta al rito ordinario.
Tale è l’evenienza che ricorre nella specie, considerato che il terzo comma dell’art. 36 del d.P.R. n° 380/2001 annette al decorso del termine di sessanta giorni gli effetti di un provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria.
Per tale ragione, il ricorrente non può far valere in giudizio l’interesse ad ottenere un provvedimento espresso, quale che sia, sulla propria istanza, atteso che tale interesse è stato realizzato direttamente dalla previsione legislativa che equipara l’inerzia, protrattasi oltre il termine di sessanta giorni, ad un provvedimento di rigetto.
Non sussistendo la lesione dell’interesse sostanziale all’emanazione di un provvedimento sull’istanza, stante la valenza provvedimentale del silenzio significativo, l’azione avverso il silenzio mero, apprestata dal legislatore avverso la diversa fattispecie del silenzio che, in mancanza di qualificazione normativa in chiave provvedimentale, configura inadempimento all’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, difetta di interesse ad agire.
Laddove l’iniziativa giurisdizionale sia rivolta avverso una fattispecie di silenzio significativo, come, nel caso che ne occupa, il silenzio-rigetto dell’istanza di sanatoria, il ricorso proposto con il rito di cui all’art. 117 del codice del processo amministrativo è inammissibile, in quanto, sussistendo in concreto una determinazione provvedimentale, per effetto della disciplina legislativa delle conseguenze dell’inerzia, non si configura un inadempimento all’obbligo di provvedere, ferma restando l’esperibilità, nel consueto termine decadenziale decorrente dalla formazione del provvedimento di rigetto per silentium , dell’azione di annullamento, con la quale il ricorrente può far valere la lesione della propria situazione giuridica soggettiva, determinata dal provvedimento implicito di rigetto.
Per le medesime ragioni, il ricorrente avverso un provvedimento di rigetto formatosi per silentium non può limitarsi a lamentare l’illegittimità dell’inerzia, ma deve prospettare specifici motivi di ricorso, atti a far valere i profili di illegittimità dai quali dovrebbe ritenersi affetta la determinazione provvedimentale negativa sull’istanza.
Nemmeno potrebbe accogliersi la richiesta di parte ricorrente di conversione dell’azione inammissibilmente proposta con il rito di cui all’art. 117 del codice del processo amministrativo.
Ed infatti, l’art. 32 del codice del processo amministrativo stabilisce la disciplina processuale del ricorso cumulativo, ovvero dell’iniziativa giurisdizionale con la quale siano proposte più domande connesse, soggette a riti diversi.
Il caso concreto non è sussumibile nella fattispecie astratta contemplata dall’art. 32 del codice del processo amministrativo, non vertendosi in tema di ricorso cumulativo.
Alla conclusione suindicata si perviene, altresì, dalla considerazione della disposizione normativa di cui all’art. 117, quinto comma, del codice del processo amministrativo, a tenore del quale “ se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito ”.
Nel rito apprestato dal codice del processo amministrativo avverso il silenzio inadempimento, pertanto, può farsi luogo a conversione del rito camerale del silenzio in rito ordinario nella fattispecie in cui, essendo stata ritualmente proposta la domanda di declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia per violazione dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, l’amministrazione emani il provvedimento dopo il decorso del termine di conclusione del procedimento e il suddetto provvedimento tardivo sia impugnato con ricorso per motivi aggiunti nel giudizio già instaurato ai sensi dell’art. 117 del codice.
In una siffatta ipotesi, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, si riteneva che il ricorso proposto ai sensi dell’art. 21- bis della legge n° 1034/1971 dovesse essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza dell’interesse ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere sull’istanza, dovendo il provvedimento tardivo essere impugnato con autonomo ricorso soggetto al rito ordinario.
In seguito all’entrata in vigore della disposizione processuale di cui al quinto comma dell’art. 117 del codice del processo amministrativo, nella fattispecie di provvedimento emanato in ritardo, in coerenza con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, è ammissibile la proposizione di motivi aggiunti all’originario ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento, per la prosecuzione del giudizio di cognizione della domanda di annullamento del provvedimento tardivo con il rito previsto per tale provvedimento.
La summenzionata disposizione processuale, che costituisce una specificazione della generale disciplina di cui all’art. 32 del codice del processo amministrativo, presuppone la corretta instaurazione con il rito del silenzio di un’azione giurisdizionale avverso il silenzio inadempimento, rivolta alla declaratoria dell’obbligo di provvedere, nonché, nei casi di cui al terzo comma dell’art. 31 del codice del processo amministrativo, all’accertamento della fondatezza della pretesa, alla quale segua la proposizione di motivi aggiunti per l’impugnativa del provvedimento emanato dall’amministrazione dopo la scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Nell’odierna controversia, la fattispecie in rilievo è tuttaffatto eterogenea rispetto a quella disciplinata dalla disposizione processuale dell’art. 117, quinto comma, del codice del processo amministrativo, non solo e non tanto per l’insussistenza di una pluralità di azioni connesse, quanto per la considerazione che la domanda è proposta in presenza di una concreta determinazione provvedimentale, formatasi per silentium , in relazione alla quale è carente l’interesse all’azione giurisdizionale apprestata dall’ordinamento per stigmatizzare l’inerzia non qualificata dell’amministrazione.
Per le suesposte ragioni, il ricorso in epigrafe dev’essere dichiarato inammissibile.
Nulla dev’essere disposto per le spese processuali, stante la mancata costituzione dell’amministrazione intimata.